Inizia un nuovo ciclo di “Venerdì Scimmiesco“: dopo il Pianeta delle Scimmie e King Kong, è ora il momento di andare alle origini… ma alle origini di brutto!
Per questo è necessaria una piccola introduzione storica, che nel futuro eBook “Monkey Movies” farà da introduzione: so che odiate le ricerche ma a me invece fanno sciogliere il cuore, quindi eccovela. Se volete, saltate pure al film, più sotto…
Nel 570 a.C. circa un navigatore cartaginese di nome Annone andò là dove nessun europeo era mai stato prima: sulle coste dell’Africa occidentale. Ciò che scrisse nel suo resoconto fu un grande bestseller dell’epoca, e per secoli gli europei ricopiarono il suo memoriale di viaggio con il racconto di cose fantastiche. Come quella volta che, nell’entroterra, Annone e i suoi uomini furono aggrediti da strani esseri pelosi, che mordevano e strattonavano con violenza.
Chiedendo in giro, uscì fuori che nessuno aveva mai visto un esemplare maschile di quegli strani esseri: erano dunque donne ricoperte di peli. I locali avevano un nome per questi strani esseri e lo comunicarono ad Annone, ma l’originale è andato perduto: abbiamo solo la traslitterazione greca… Gorilla (Γορίλλας).
Per i successivi duemila anni nessun europeo è più tornato in quei luoghi – o, se l’ha fatto, non ha scritto un memoriale che ci sia arrivato – e alla fine il testo di Annone viene perso e dimenticato.
Nella metà del Quattrocento Vasco da Gama ripercorre il viaggio di Annone e dà il via al predominio portoghese sui viaggi di esplorazione. Sarà proprio un marinaio portoghese, Eduardo (o Odoardo) López, a raccontare al nostro Filippo Pigafetta ciò che ha visto nel suo viaggio in Congo, e subito l’esploratore vicentino pubblica tutto nel saggio Relatione del reame del Congo et delle circonvicine contrade (Roma 1591): in zone vicine a quelle toccate da Annone duemila anni prima, López ci informa che ci sono tante specie di scimmie.
Per avere informazioni più precise, però, bisogna aspettare il britannico Samuel Purchas che, basandosi sui resoconti di Andrew Battell, marinaio britannico tenuto prigioniero dai portoghesi in Angola, nel 1625 ci racconta che nella provincia di Mayombe ci sono due specie di monsters: uno grande di nome Pongo e uno piccolo di nome Engeco.
Passano gli anni e salta fuori un manoscritto del IX secolo (Codex Palatinus Graecus 398) dove viene trovata una traduzione greca del viaggio di Annone, sebbene pesantemente ridotta: nel 1797 lo studioso di Oxford dottor Falconer lo traduce in inglese, Periplus or Voyage of Hanno. (Esiste una fonte più tarda del testo del viaggio ma probabilmente è un falso, come spiegherò più avanti.)
L’Europa dell’Ottocento dunque riscopre gli animali misteriosi del passato e scoppia la “scimmia-mania”, ma dal punto di vista prettamente scientifico. Scende in capo l’autorevole francese Georges Cuvier, che sebbene abbia preso belle cantonate nella sua carriera rimane il più grande zoologo occidentale.
Mentre nel 1830 gli studiosi britannici ipotizzano che quelle “donne pelose” descritte da Annone fossero in realtà grandi scimmie, Cuvier comincia a pubblicare sue analisi di quel Pongo di cui si parla tanto, addirittura curando illustrazioni esplicative dell’animale più intelligente dopo l’uomo, a detta dello zoologo francese.
Sin dall’inizio del Settecento i tedeschi chiamano il Pongo “Orang-Outang”, e ancora oggi i due nomi sono strettamente legati, ma c’è un problema: Cuvier e gli altri europei chiamano a priori ourang-outang sia le scimmie provenienti dal Borneo (unica patria al mondo dell’orango) sia quelle provenienti dall’Africa. In fondo siamo agli albori degli studi sui primati.
Mentre l’Europa si arrabatta a studiare le piccole scimmie che gli esploratori portano indietro, facendo molta confusione, il 24 aprile 1847 Richard Owen riceve una lettera dall’amico dottor Thomas S. Savage, in cui questi gli racconta che qualche giorno prima, in casa del missionario J.L. Wilson nel Gabon, gli sono stati mostrati due teschi particolari: due teschi inequivocabilmente di scimmia… ma più grossi di qualsiasi scimmia nota all’epoca.
Savage comincia a scrivere a tutti gli studiosi che conosce, inviando bozzetti e disegni vari, finché torna in patria con i teschi sotto il braccio e nel dicembre 1847 pubblica il suo studio sul “Boston Journal of Natural History”.
In questo studio, uscito in realtà nel gennaio 1848, Savage propone un nome per battezzare questa specie ignota di scimmia: ricordando il viaggio di Annone, che in lingua inglese girava abbondantemente, propone il nome di Gorilla.
La grande attenzione dell’opinione pubblica su questa nuova scimmia – quando di solito le nuove specie animali interessano solo agli addetti ai lavori – è dovuta anche al fatto che due anni prima dell’annuncio di Savage viene pubblicato in volume un racconto apparso sul “Graham’s Lady’s and Gentleman’s Magazine” nell’aprile del 1841. Un racconto firmato da un 32enne di nome Edgar Allan Poe. Un racconto intitolato The Murders in the Rue Morgue.
(L’edizione italiana più vecchia che ho trovato è Il doppio assassinio in Via Morgue, apparso in appendice al romanzo Storia meravigliosa di Pietro Schlemihl di Adelbert von Chamisso, edito dalla milanese G. Daelli e Comp. nel 1863.)
È universalmente riconosciuto che questo racconto di Poe segni l’inizio di quel genere narrativo che noi italiani chiamiamo “giallo”, e come sempre quando tutti sono concordi su qualcosa… probabilmente quella cosa non è esatta. Come testimonia anche il romanziere Giulio Leoni, le vere origini del giallo risalgono all’Edipo Re di Sofocle, risalente al V secolo a.C.
Comunque il parigino Auguste Dupin e il suo metodo investigativo aprono le porte a un fiume che ben presto diventa oceano e, almeno in Italia, continua imperterrito a sfornare geniali indagatori che sanno cogliere ogni più minimo indizio.
Però il povero Poe cade nell’equivoco in voga all’epoca, senza colpa va detto. Il suo Dupin legge la descrizione di Georges Cuvier e capisce che l’assassino è un…
grande Orang-utang fulvo delle isole dell’India orientale. Tutti conoscono la statura gigantesca, la forza e l’agilità prodigiose, la ferocia selvaggia e le facoltà imitative di questi animali mammiferi. Di un tratto mi fu rivelato tutto l’orrore dell’assassinio.
Poe si è informato e, giustamente, sa che l’Orang-Utan (scritto in decine di versioni diverse) è il nome comune dato dai tedeschi al Pongo pygmaeus del Borneo, così scrive «East Indian Islands»: il Borneo è in effetti un’isola ad est dell’India. Ma tutto questo non ha nulla a che vedere con l’animale che descrive Cuvier, proveniente dall’Africa: semplicemente non c’era ancora un nome per identificarlo, perché – c’è da crederlo – se Poe avesse aspettato qualche anno, avrebbe scritto “gorilla”.
In quella metà dell’Ottocento la scimmia-mania raggiunge livelli inimmaginabili, tanto che il 12 marzo 1853 la British Library acquista con gran piacere un manoscritto del XIV secolo che contiene una versione greca del viaggio di Annone: un manoscritto trovato nel monastero Vatopedi sul Monte Athos e venduto da Costantino Simonides. (Come potete leggere nella scheda del museo, relativa al manoscritto con il codice Add MS 19391.)
Chi ha letto il mio saggio, Alla conquista del Monte Athos, avrà capito già il problema: dalla metà dell’Ottocento fiumi di falsi sono fuoriusciti da quel monte greco, grazie alla titanica opera di Simonides (o Simonidis): semplicemente il più grande falsario mai esistito. (O almeno il più grande “beccato”!)
Questa seconda fonte di Annone è altamente a rischio falso, tanto più che – stando al danese Jerker Blomqvist e al suo The Date and Origin of the Greek Version of Hanno’s Periplus, 1979, pag. 57 – “non ha vita indipendente”. Cioè, aggiungo io, è identico al Codex Palatinus Graecus… proprio come se un falsario l’avesse ricopiato identico…
L’orango di Poe arriva per la prima volta al cinema nel 1908 in un curioso cortometraggio: Sherlock Holmes in the Great Murder Mystery. Un gorilla fugge dalla sua gabbia e compie un omicidio, di cui viene incolpato un giovane: sarà Sherlock Holmes a risolvere l’enigma “peloso”.
Nell’agosto del 1914, alle soglie della Prima guerra mondiale, sbuca fuori un altro cortometraggio: The Murders in the Rue Morgue.
Sono titoli ormai dimenticati che hanno lasciato ben poche tracce.
La scimmia assassina viene di nuovo presa in considerazione per un film agli inizi degli anni Trenta, quando la Universal Pictures inizia a fare soldi a palate grazie al competizione di due dei suoi attori: un certo Boris Karloff e un certo Bela Lugosi, in continua concorrenza fra di loro.
Nel febbraio del 1931 un certo film intitolato Dracula – potreste averne sentito parlare – ha portato Bela Lugosi così in alto in classifica che Boris deve rispondere con qualcosa di altrettanto potente: il 21 novembre dello stesso anno esce un film intitolato Frankenstein, e anche questo magari vi è capitato di sentirlo citare…
Non erano film dettati da mode ricorrenti, come accade oggi: erano film che hanno creato il cinema.
C’è da dire che Bela non amava i ruoli da “mostro” che la Universal voleva dargli, voleva essere un attore “normale”… ma con quella faccia e quell’accento, era nato per fare il mostro.
Il 19 ottobre del 1931 iniziano le riprese del film che dovrebbe fare concorrenza a Frankenstein, fallendo miseramente: Murders in the Rue Morgue.
Il film arriva in Italia il 12 luglio 1934 con il titolo Il dottor Miracolo, passando del tutto inosservato. Dopo un solitario passaggio televisivo su Rai3 il 27 agosto 1991 e una VHS Pantmedia di incerta datazione, la Sinister Film lo porta in DVD dal 18 febbraio 2014.
Va subito detto che il film non c’entra nulla con il racconto di Poe, ma proprio nulla nulla.
La pellicola racconta del giovane ispettore parigino Pierre Dupin (Leon Waycoff, noto in seguito come Leon Ames) che passa il suo tempo a fare il mollicone con la bella Camille (Sidney Fox), bambolina che parla con la vocina da bambina: ucciderla è un po’ la voglia di ogni spettatore.
Dopo tre quarti di film passati ad amoreggiare, Pierre viene colto da un pensiero: ma non è che, niente niente, quelle donne su cui sta facendo finta di indagare sono state uccise da sangue di gorilla inoculato loro?
Tolta questa parte imbarazzante di film, una ridicola buffonata scritta incredibilmente con l’aiuto di un giovane John Huston (sì, proprio quel John Huston!), il protagonista vero è lo strano e straniero dottor Mirakle (Bela Lugosi), che all’apparenza è un imbonitore da circo con tanto di freak al seguito – Erik il gorilla, “interpretato” dal filippino Charles Gemora: segnatevi questo nome, perché lo ritroveremo – in realtà è uno scienziato che sta andando contro Dio eseguendo un esperimento contro natura: la fusione di un gorilla con un essere umano. E per far questo gli servono donne…
Ora, il Zinefilo già vede in testa immagini di accoppiamenti e copule oscene tra gorilla e donna… ma no! Fermi tutti, siamo negli anni Trenta, non scherziamo. Quindi cosa fa il grande scienziato dalla parlata strana? Prende sangue dal gorilla e lo infila nelle vene di donne rapite, provocandone la morte: cosa possa aspettarsi da una trasfusione di sangue gorillesco, rimarrà per sempre un mistero.
Murders in the Rue Morgue aveva sulla carta tutti gli elementi per essere un altro grande cult movie della Universal, invece sono 60 minuti di ridicolo. Eppure come direttore della fotografia troviamo il maestro Karl Freund, che sarebbe come dire che Totti va in auto e il Papa gli fa da autista!
La fotografia e la scenografia del film sono ovviamente qualitativamente al di sopra di ogni prodotto dell’epoca, superando anche il già ottimo Frankenstein, ma il resto del film è il nulla.
La storia storia si gioca tutto nel finale, quando il dottor Mirakle invia Erik il gorilla a rapire Camille, cioè l’unico momento che molto vagamente potrebbe essersi ispirato al racconto di Poe. Presa la donna, appena scopre che il dottore vuole farne la propria cavia e quindi ucciderla, Erik uccide il suo padrone e scappa con la donna in spalla… arrampicandosi su un alto palazzo! Come dite? Sta copiando King Kong? No… perché King Kong uscirà solamente un anno dopo!
Tranquilli, lo scimmione di Poe tornerà al cinema, e il Zinefilo è pronto a raccontarvelo.
Chiudo però con una curiosità.
All’inizio del film, durante il carnevale parigino, uno stand mostra degli Apaches alla gente curiosa. Due signori commentano che quel nome, Apaches, sarebbe perfetto per certe bande cittadine: e infatti già nel 1911 il mitico Fantômas sfoggiava, nel suo sesto romanzo, il titolo La banda degli apaches.
L.
– Ultimi post simili:
- Watchers (1988) Alterazione genetica
- Jack il ciclone (2004) Mamma, ho perso la scimmia!
- Mogambo (1953) Quando sparavamo ai gorilla
- Liane (1956) La figlia della foresta
- Captive Girl (1950) La laguna della morte
- The War – Il pianeta delle scimmie (2017)
- Panther Girl of the Kongo (1955)
- Forbidden Jungle (1950)
- Jungle Goddess (1948) Fuga nella giungla
- Blonde Savage (1947) Bionda selvaggia
Considerando la bellezza del post e il tema è il caso di dirlo: …And the crowd goes banana!!
No sul serio, ogni Venerdì mi fai iniziare la giornata con brio con questa rubrica, grandissimo pezzo, uno dei migliori che tu abbia mai fatto, e non sono propriamente stati pochi 😉 Cheers
"Mi piace"Piace a 2 people
Ti ringrazio, se gentilissimo: il merito però va tutto al fascino delle scimmie giganti ^_^
Non ho mai visto i film ispirati alla Rue Morgue quindi per me è tutta roba nuova: ci sto sguazzando dentro come un bambino 😛
"Mi piace""Mi piace"
Wow, qui ci diamo proprio di cinearcheologia! Quando ho visto l’immagine credevo che avessi iniziato una nuova rubrica sul cinema sperimentale del primo ventennio del ‘900 (magari un giorno…)
"Mi piace"Piace a 1 persona
Eh, ma quella è roba buona: io tratto Z 😛
"Mi piace"Piace a 1 persona
P.S. quanto cavolo ci hai lavorato su questo articolo, è una miniera di fonti e dettagli!!!
"Mi piace"Piace a 1 persona
Sono un perverso “ricercatore” 😛
"Mi piace"Piace a 1 persona
Oh sono un Fan di Lugosi e Karloff, ma questo me l’ero perso proprio.
Se ami la vicenda di Poe, ovviamente immagino che hai letto l’omonima versione a fumetti del grande Crepax (e con Valentina che legge il Libro)
"Mi piace"Piace a 1 persona
No, ma per ora seguo la vicenea cinematografica 😉
"Mi piace"Piace a 1 persona
Un post di prim’ordine, accuratamente documentato fin dalle origini -è proprio il caso di dirlo- del tema in questione: ci hai fatto salire la scimmia, con l’introduzione storica sulla scimmia 😉 Peccato per questo classico mancato (ma, onestamente, se le è giocate parecchio male le carte che aveva)…
P.S. Gemora, oltre che scimmione, ricordo fu pure marziano ne “La guerra dei mondi”, un paio di decenni più tardi.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Ho scoperto che Gemora è apparso, truccato, in molte chicche: un attore senza volto da riscoprire 😉
Ti ringrazio dei complimenti, sono felice di essere riuscito a comunicare la mia passione nel scrivere il post 😉
"Mi piace""Mi piace"
Pingback: The Gorilla (1939) Il Bela e la Bestia! | Il Zinefilo
Pingback: L’uomo scimmia (1943) Il Bela è la Bestia | Il Zinefilo
Pingback: The Monster and the Girl (1941) | Il Zinefilo
Pingback: Captive Wild Woman (1943) | Il Zinefilo
Pingback: Lorraine of the Lions (1925) La figlia della jungla | Il Zinefilo
Pingback: Vieni dalla tua Mummy! | Il Zinefilo
Pingback: The Mummy (1932) La mummia | Il Zinefilo
Pingback: [Italian credits] Verdi dimore (1959) | Doppiaggi italioti
Pingback: Dracula (1931) 35 anni in Italia di un film semi-inedito | Il Zinefilo