La Paramount Pictures sente nell’aria che gli scimmioni “tirano” e decide di fare concorrenza alla Fox (The Gorilla, 1939), alla Monogram (The Ape, 1940) e alla Banner (The Ape Man, 1943) producendo The Monster and the Girl, diretto dal quasi esordiente Stuart Heisler e scritto dallo specialista di western Stuart Anthony, ormai a fine vita.
Uscito in patria il 28 febbraio 1941, risulta inedito in Italia… o semplicemente non ho trovato prove di una sua distribuzione nel nostro Paese.
La provincialotta Susan Webster (Ellen Drew) arriva nella grande città e ovviamente finisce subito vittima del mascalzone di turno, Larry Reed (Robert Paige), che finge di sposarla ma in realtà la concupisce e poi la molla, indebitata, tra le fosche mani del racket criminale gestito dal boss Bruhl (Paul Lukas) che l’avvia alla prostituzione.
Arriva furente il fratello Scott (Phillip Terry) per vendicare l’onore familiare e la banda criminale prontamente lo sistema: lo fa accusare di omicidio e così il giovane finisce condannato a morte, giurando una impossibile vendetta contro gli aguzzini.
Prima dell’esecuzione Scott viene contattato dal dottor Parry (interpretato dal noto caratterista George Zucco, che nel 1944 sarà uomo preistorico in Return of the Ape Man e che sarà vittima di una truffa mediatica postuma che ci racconta Nick Parisi nel suo Nocturnia) che gli chiede di aiutarlo: per un esperimento di grande importanza ha bisogno di un cervello umano… e il giovane tra poco non ne avrà più bisogno!
Mentre Susan chiede pietà ai boss inamovibili, Scott viene giustiziato e subito, con un’operazione chirurgica davvero futuristica, il suo cervello viene trapiantato nel cranio di… un gorilla! Sarebbe questo il grande esperimento del dottor Parry? A quanto pare di sì…
Appena sveglio, il gorilla scappa e un secondo dopo la radio ci informa che è stato trovato ucciso con tutte le ossa rotte Stanley McMasters (Onslow Stevens), guarda caso il viscido iniziatore dell’innocente Susan al gorgo della prostituzione.
Uno dopo l’altro i cattivi gangster muoiono – sempre fuori campo – fino allo scontro finale con il boss Bruhl, che prima di morire svuoterà il caricatore nel corpo del gorilla.
Susan ha capito che quel quadrumane è in realtà suo fratello? Non lo sapremo mai, l’unica cosa certa è che il suo cane l’ha capito eccome.
La sorprendente particolarità di The Monster and the Girl è che la prima metà del film è un classico noir, con la discesa del buono nel fango della criminalità, poi per circa due minuti è un classico fanta-horror, con il mad scientist che trapianta cervelli di qua e di là, poi è un classico monkey movie, con il gorillone che gigioneggia per i tetti delle case quasi a ricopiare Il dottor Miracolo (1932), ma alla fine… be’, alla fine è un dramma che tocca sinceramente il cuore.
Ritrovatosi nel corpo di un gorilla, Scott non comunica in alcun modo con il mondo esterno, e a noi spettatori regala solo sguardi sofferenti. Ma tornato a casa e ritrovato il suo cagnolino, inizia con lui un rapporto di perfetta comprensione come solo un uomo e un cane possono avere: quando il quadrumane avrà compiuto la sua vendetta e spirerà sotto i colpi di proiettile, solamente il cagnolino piangerà per lui, e su di lui si chiude l’ultima dissolvenza.
Un film sorprendente, che cambia registro in continuazione ma proprio per questo è molto meno datato di quanto si possa pensare.
L.
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Noir, Monkey-movie e anche il cagnolino co-protagonista, davvero pieno di svolte questo film, non ne ho mai sentito parlare, ma il tuo ottimo venerdì scimmia serve anche a questo, a sfornare chicche come questa 😉 Cheers!
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Il tema è molto più vasto di quanto avrei mai immaginato, e ribadisco che questa rubrica… è tutta colpa tua! 😀
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Ed eccolo qua nei panni di un gorilla, il nostro Charles Gemora, in un ruolo tragico dove per forza di cose uno sguardo (assieme alla forza bruta) vale più di mille parole, ed un fedele cagnolino ad affiancarlo fino alla fine in modo coerente, toccante e per nulla zuccheroso…
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Credevo di assistere al solito scimmione ridicolo, invece gli occhi di Gemora sono così carichi di pathos che commuovono davvero.
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