Martial Girls 1. Le origini

Ripesco dai miei archivi uno speciale che curai per ThrillerMagazine (nella mia rubrica “CineFurious”) nel 2011, e che ripresento a puntate cercando di aggiornarlo.
Questa prima parte è apparsa il 7 marzo 2011.

Martial Girls 1. Le origini

mg1Il cinema marziale ha sempre dimostrato grande interesse per l’altra metà del cielo: non sono moltissimi i titoli con protagoniste donne forti e combattive, rispetto ai ruoli maschili, ma sono film che gli appassionati non dimenticano facilmente.
Per risalire alle origini del fenomeno delle Martial Girls bisogna andare lì dove tutto è iniziato: il cinema di Hong Kong.

Le donne sono sempre state parte fondamentale della cinematografia asiatica, quindi è davvero arduo stabilire con assoluta certezza il momento esatto in cui i loro ruoli sono passati da principesse a guerriere. Per convenzione questa nascita la si fa risalire a Le implacabili lame di Rondine d’Oro (大醉俠 / Da zui xia / Come Drink With Me), film diretto nel 1966 da un nome di grande spicco come King Hu: il celebre regista vuole come protagonista Cheng Pei-pei, una men che ventenne ballerina di Shanghai da poco arrivata nella grande casa produttrice Shaw Bros.

Cheng Pei-pei in Come Drink With Me (1966)

Cheng Pei-pei
in Come Drink With Me (1966)

La giovane Pei-pei è intrigata dalla sfida e vuole dimostrare che sa muoversi sullo schermo come i colleghi maschi, anche perché il regista cerca un tipo di arti marziali non sterotipato o imbrigliato: vuole proprio una “marzialità danzante”. L’attrice non è di certo la prima ad essere coinvolta in scene d’azione cinematografica, ma il fatto di essere protagonista del film non era all’epoca cosa di tutti i giorni.

Malgrado l’esplosivo successo della pellicola, anche a livello internazionale, va ricordato che Le implacabili lame… è un wuxiapian, un “film di cavalieri erranti”, genere che sin dalla sua nascita ha visto una presenza importante se non addirittura fondamentale di ruoli femminili di grande carattere e spessore. Sono però donne che non combattono quasi mai a mani nude, che cioè non si lasciano andare alla violenza bruta e volgare che rimane ancora appannaggio maschile: sono principesse, maghe o condottiere sempre fiere nel loro portamento e sempre dignitose in ogni situazione.
Tutto cambia con l’inizio degli anni Settanta.

La grintosa Polly

Le prime avvisaglie possono essere riconosciute in alcune infime e grezze produzioni cinematografiche taiwanesi che però hanno un loro forte: la grintosa e fisicamente importante presenza dell’attrice Lingfeng Shangguan (ribattezzata, per un mercato più anglofono, Polly Shang-Kwan ma in realtà i suoi pseudonimi ufficiali sono una quindicina). Stiamo parlando di film girati con povertà di mezzi e di idee, la cui distribuzione non ha certo seguito canali rintracciabili: possiamo farci un’idea di questo genere di film solo grazie alle briciole che la distribuzione italiana dell’epoca ha spacciato per “capolavori”.

La grintosa Polly Shang-Kwan in Boxer dalle dita d’acciaio (1972)

La grintosa Polly Shang-Kwan in Boxer dalle dita d’acciaio (1972)

Nel 1971 L’urlo di Chen terrorizza tutti i continenti (萬里雄風 / Wan li xiong feng / Rider of Revenge) è ancora legato a schemi da wuxiapian ma già gli scontri sono più fisici; Boxer dalle dita d’acciaio (女拳師 / Nu quan shi / A Girl Fighter, 1972) è già un gongfupian di tutto rispetto – cioè dove si combatte a mani nude invece che con armi – e l’unico elemento che salvi questi film di pessima qualità è la presenza di Polly, attrice lontana dai canoni classici di bellezza occidentale (è paffutella ma al punto giusto!) e proprio per questo perfetta per il ruolo. In entrambi i titoli ha la parte di una donna forte e determinata, ma nel primo ha ancora vesti da “cavallerizza volante”, mentre nel secondo ricopre un ruolo destinato a futuri successi: una poliziotta di ferro!

Angela Mao con furore

La mitica Angela Mao

La mitica Angela Mao

Rimaniamo nel 1972. È proprio in quest’anno che il fenomeno delle “donne forti” acquista dimensioni consistenti e si impone a livello mondiale. Il 6 giugno esce ad Hong Kong il film Mani che stritolano (鐵掌旋風腿Tie zhang xuan feng tui / Lady Whirlwind), un classico gongfupian con un’ancor più classica storia di vendetta: un uomo viene ucciso e un familiare lo vendicherà. La differenza fondamentale è che stavolta a cercare la vendetta è la sorella del morto, interpretata da una  ventiduenne di Taiwan destinata a grande fama: Lin Ying Mao, meglio conosciuta come Angela Mao.

Mentre Cheng Pei-pei incarnava la bellezza “innocente” e quasi solare, già Lingfeng Shangguan si pone come “donna quadrata”: Angela Mao incarna alla perfezione il personaggio di femme fatale dallo sguardo che uccide! Il fascino magnetico aiuta la donna a far fronte ad un’impresa ardua: scontrarsi con i migliori stuntman e lottatori di Hong Kong (non da ultimo il grande Sammo Hung) senza sfigurare: provenendo la Mao dalla scuola dell’Opera di Pechino (come i migliori interpreti del genere) non esiste scena in cui risulti poco credibile…

Angela Mao e Sammo Hung in Mani che stritolano (1972)

Angela Mao e Sammo Hung in Mani che stritolano (1972)

Va ricordato che il 22 marzo del 1972 è uscito nei cinema Dalla Cina con furore e il gongfupian è in fase esplosiva. Mani che stritolano, uscito a giugno, è un successo clamoroso che ne segue la scia, tanto da spingere la casa produttrice Golden Harvest a ripetere in tutta fretta l’operazione: richiama il regista Huang Feng, la protagonista Angela Mao, Sammo Hung, altri stuntman e comprimari e nasce in gran velocità un altro successo senza confini. Sto parlando di Lady Kung Fu (合氣道 / He qi dao / Hapkido), uscito il 1° ottobre dello stesso anno.

Angela Mao in Lady Kung Fu (1972)

Angela Mao in Lady Kung Fu (1972)

Mentre nei film citati finora la trama si basava quasi unicamente sulla vendetta personale, con Lady Kung Fu il discorso prende la piega politico-sociale che aveva decretato il successo di Dalla Cina con furore: nella Seoul occupata dai giapponesi, Angela Mao si ritrova ad impersonare la versione femminile del Chen di Bruce Lee! Combatte i soprusi dei giapponesi invasori usando l’hapkido invece che il kung fu, insieme agli amici (interpretati da due grandi calibri come Sammo Hung e Carter Wong) e si lancia in scene di grande impatto visivo.
Impossibile dimenticare la sequenza del dojo: malgrado ricalchi quella celebre di Bruce Lee contro i giapponesi, riesce ad essere unica nel suo genere. (Aiuta molto, poi, il fatto di avere nella sequenza degli stuntman del calibro di Jackie Chan, Yuen Biao e Corey Yuen!)
L’anno successivo quasi lo stesso cast torna a dare vita ad un plot molto simile: When Taekwondo Strikes, conosciuto anche come Sting of the Dragon Masters.

Nasce il Pinky Violence

Meiko Kaji in Lady Snowblood (1973)

Meiko Kaji in Lady Snowblood (1973)

Malgrado in questo periodo esplode la mania del gongfupian, le “donne forti” vengono subito traghettate in un genere che esplode in Giappone: il Pinky Violence.

Proprio agli inizi degli anni Settanta, quando Angela Mao incarna la summa della donna forte nel genere marziale, in Giappone nasce il mito di Sasori, la prigioniera n. 701 che dai manga arriva sugli schermi interpretata da una Meiko Kaji divenuta subito icona.
Parallelamente a un ciclo di film con protagonista la violenta e spietata donna divenuta criminale per amore, il cinema nipponico immette nel mercato storie di donne-yakuza e bande di centaure che hanno alcune caratteristiche di grande impatto: violenza eccessiva e spregiudicatezza nei costumi sessuali.

Reiko Ike in Sex and Fury (1973)

Reiko Ike in Sex and Fury (1973)

Il Pinky Violence di ambientazione contemporanea – non più racconti medioevali, fantasy o bellici – non usa però molta marzialità: in fondo sono storie di degrado urbano, di piccola criminalità di periferia. Altro discorso per le storie di ambientazione storica, che possono invece considerarsi chanbara, il genere tipicamente giapponese di film che mostra combattimenti con la spada. (Da cui il termine onomatopeico che si usa per indicare il genere, che pronunciandolo ricorda il suono di spade che si incrociano.)

Due esempi per tutti: Lady Snowblood (Shurayukihime, 1973), la spietata storia di vendetta da cui Quentin Tarantino ha attinto a piene mani per il suo Kill Bill, e Sex and Fury (Furyô anego den: Inoshika Ochô, 1973), dove la celebre e controversa Reiko Ike – che all’epoca amò far parlare di sé per scandali e gossip vario – affronta decine di malviventi senza indossare altro che la propria katana!
Una scena che non si dimentica facilmente, così come non deve averla dimenticata il regista cinese Robert Tai quando, nel 1986, la fa ripetere (ma solo per pochi secondi) ad Alice Tseng nel film Ninja: the Final Duel.

(continua)

L.

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21 risposte a Martial Girls 1. Le origini

  1. Cassidy ha detto:

    Pezzo veramente mitico! Roba da applausi a scena aperta! 😉 Quando ho visto Angela Mao da “Mani che stritolano” ho davvero avuto voglia di applaudire, quel film mi piace un sacco. Bellissimo pezzo, non vedo l’ora di leggermi il resto 😉 Cheers!

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  2. Willy l'Orbo ha detto:

    Quel “continua”, pensando che dopo, pur di altri natali, è venuta la Rothrock…mi inquieta assai! 🙂
    Per il resto bel pezzo, ricco di quella cultura che piace a noi

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  3. Denis ha detto:

    Sex Fury e anche titolato Sex in Japan?c’è forse anche Cristina Lindberg?no perchè se e quello c’è l’ho in dvd(copertina truffaldina) sono quei film dove i tagli fanno fontane di sangue poi ricopiati dal grande?Quentin Tarantino in Kill Bill

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  4. loscalzo1979 ha detto:

    ❤ ❤ ❤ ❤ ❤ ❤

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  5. Pingback: Martial Girls 2. La transizione | Il Zinefilo

  6. Marco ha detto:

    Leggere questi articoli fa bene al cuore!

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