Nuova puntata di uno speciale che ho ripescato dagli archivi del 2011 di ThrillerMagazine: stavolta uso del materiale preesistente – pubblicato il 12 marzo 2011 – per integrare e approfondire.
Martial Girls 4. Michelle Yeoh
Le “donne toste” di Sonny Chiba infiammano i film giapponesi ed evidentemente Hong Kong sente che la moda è cambiata: non è il caso di renderle protagoniste, ma qualche martial girl la si può pure usare in un film.
Così nel 1979 c’è una vedova che sa ben difendersi dai malintenzionati nel capolavoro I maestri del kung-fu (唐山五虎 / Five Superfighters, noto in Italia precedentemente come Bruce Lee: lotta di titani) di Lo Mar (John Law Ma) interpretata dalla brava Wong Mei-Mei; nel 1980 una figlia in età da marito (interpretata da Lily Li) si sa difendere a suon di calcioni dalle profferte amorose del giovane Jackie Chan ne Il ventaglio bianco (師弟出馬 / The Young Master) di Jackie stesso; e per finire nel 1981 la dolce attrice cicciottella Ho Wai-Han interpreta la grintosa figlia del mitico Sammo “The Fat Dragon” Hung da cui impara i rudimenti del kung fu, nel film The Prodigal Son (敗家仔) di Sammo stesso.
È il momento che queste “donne toste” abbiano più spazio.
Nel 1983 viene eletta Miss Malesia una donna destinata a grande successo cinematografico (almeno in patria): Michelle Yeoh. È tra le Bond Girl meno ricordate – forse perché era tra le più “vecchie”, a 35 anni! – e forse in Italia il suo nome è ricordato unicamente per La Tigre e il Dragone, il film più banale della sua filmografia…
Nasce il 6 agosto 1962 ad Ipoh, cittadina malese che si basa sull’industria dell’olio di palma… quindi oggi, con la globale demonizzazione di quel prodotto, mi sa che è una ghost town.
Diplomata alla Royal Academy of Dance di Londra, Michelle vede il suo sogno di diventare ballerina infranto da una ferita alla schiena. Ora è in cerca di una nuova carriera ed essendo Miss Malesia riceve molte proposte dai media: come per esempio uno spot pubblicitario che in breve diventa famoso in tutta l’Asia… perché co-protagonista è Jackie Chan.
L’amico fraterno e collega di Chan, Sammo Hung, la nota e la chiama subito a fare piccoli ruoli nei suoi film, come The Owl and Dumbo (貓頭鷹與小飛象, 1984) e Bambole e botte (夏日福星 / Twinkle Twinkle Lucky Stars, 1985): in quest’ultima pellicola interpreta una bella istruttrice di judo che cerca un volontario per la sua lezione, e quando si fa avanti il comico Richard Ng, convinto di poterla battere facilmente, ci prende la sveglia.
Finita questa “breve” gavetta, un’altra colonna portate del cinema di Hong Kong la nota e la lancia, cambiandole la vita: un certo Corey Yuen…
Spesso viene citato il film Police Story di Jackie Chan come il momento in cui il cinema di Hong Kong passa dalla predominanza del wuxiapian o del gongfupian – cioè generi con scontri più o meno marziali ma sempre fermamente legati ad un passato spesso fantasioso del Paese – al police drama cittadino, quello che noi in Italia chiamiamo “poliziottesco”. Per molti anni a venire quel film ha dato vita ad un nutritissimo filone che dura ancora oggi: storie di poliziotti moderni alle prese con il crimine moderno, sempre più violento ed organizzato.
Ma Police Story di Chan è uscito il 14 dicembre 1985… e non era affatto il primo del genere, quell’anno.
Il 30 novembre 1985, cioè due settimane prima del film di Chan, Corey Yuen come regista e Sammo Hung come produttore presentano un classico “poliziottesco di Hong Kong”, destinato però a luminosa memoria: Yes, Madam (皇家師姐).
I giapponesi in realtà questi prodotti già li presentavano negli anni Settanta, ma Hong Kong ci ha messo un po’ a cambiare: in fondo ancora oggi è famosa nel mondo per i suoi film in costume con principi guerrieri e principesse svolazzanti, non è stato facile mollare tutto per passare a dure e ruvide storie di criminalità cittadina.
Questo non vuol dire che in passato Hong Kong non abbia saputo sfornare “storie di mala moderna”, basti citare Il padrino di Hong Kong (大惡寇 / The Notorious Bandit, 1974) e Il drago di Hong Kong (直搗黃龍 / The Man from Hong Kong, 1975) con Wang Yu, ma queste sono eccezioni: dopo Yes, Madam il poliziottesco marziale diventa la regola.
Dal 1984 al 1988 Michelle Yeoh risplenderà di luce propria, impegnandosi in sequenze marziali di altissimo livello – grazie anche al genio di Corey Yuen e ai versatili stunt-double impegnati a vestirsi come lei! – e interpretando quasi sempre il ruolo di “poliziotta superpiù”: sarà un brutto colpo per i fan quando sposerà il produttore Dickson Poon e abbandonerà il cinema. Appena divorziata torna in scena e conquista tutti nel ruolo della fenomenale poliziotta collega di Chan in Supercop (警察故事III超級警察 / Police Story III: Super Cop, 1992) che le vale subito uno spin off in solitaria: Project S (超級計劃 / Project S, 1993), infilando un’altra grande serie di successi, come la versione asiatica di Charlie’s Angels intitolata The Heroic Trio (東方三俠, 1993).
Indimenticabile in questo periodo il suo Wing Chun (詠春, 1994), biografia fantastica e fantasiosa (come tutte le biogafie) della donna che ha codificato lo stile di kung fu che ancora oggi porta il suo nome.
Nel 1996 abbassa drasticamente la dose di marzialità nei film perché vuole cercare di migliorarsi come attrice. Ottiene il ruolo (inutile) di Bond Girl ne Il domani non muore mai (Tomorrow Never Dies, 1997): l’esperienza dev’essere così devastante che decide di tornare a combattere!
Con la svolta del Duemila l’attrice alterna recitazione e arti marziali, sfornando noiosi successi occidentali come La Tigre e il Dragone (臥虎藏龍 / Crouching Tiger, Hidden Dragon, 2001), divertenti pacchianate d’azione asiatica come Silver Hawk (飛鷹 / Silver Hawk, 2004) e piccoli ruoli in drammoni hollywoodiani come Memorie di una geisha (Memoirs of a Geisha, 2005).
Si dice che nel 2008 abbia interpretato uno dei filmetti del ciclo La Mummia, ma non ci credo: non voglio crederci… quel film non esiste!
Ma torniamo nel 1985, perché per capire la potenza del film Yes, Madam è necessario che vi parli anche dell’altra fenomenale martial girl che ci ha lavorato…
(continua)
P.S.
Mi piace ricordare che Michelle Yeoh la si ritrova ancora nel 2016, al fianco del granitico Jason Statham in Mechanic: Resurrection (2016)…
L.
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Quando ho letto Corey Yuen ho avuto un tuffo al cuore e al contempo mi sono fischiate le orecchie…mi puoi capire, vero???
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Fa questo effetto, confermo 😛
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L’Altra sera me lo sono rivista comparire sulla tv di casa, passavano “Police Story” 😉
Mito, mito vero, il suo ruolo d Bond girl era veramente un accontentarsi. Per altro invecchiata meravigliosamente. Una piccola gioia rivederla accanto a Giasone, anche se nel film si vede pochissimo. Cheers!
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Rimane sempre una donna bellissima, a qualunque età 😉
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Deve solo ricordarsi di continuare ad evitare tigri, dragoni, mummie e agenti segreti 😉
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Sì, perché lì dà davvero il peggio di sé…
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… dà il peggio di sé e, paradossalmente, pare si pensi che siano questi i film adatti a farla conoscere meglio al pubblico occidentale. Film dove un’attrice marziale deve rimanere il meno marziale possibile: non fa una grinza. Bah…
P.S. A proposito di ragazze che menano come fabbri, ricordo che ti credevi l’unico a considerare The Machine (con la bravissima Caity Lotz) un ottimo film: no, adesso siamo in due a farlo 😉
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Ohhh sapevo di poter contare su di te: tutti fanno a gara a trattare male quel film, invece è un bel prodottino. Soprattutto LEI è un bel prodottino 😛
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Per essere sintetico, dirò che è proprio una gran bella sintetica 😉
P.S. Fanno a gara per esaltare indiscriminatamente -magari a priori, senza averle viste prima- le grandi produzioni e poi, semplicemente, non arrivano a capire il valore e la solidità di prodotti più minimalisti (nel senso migliore del termine) come questo…
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Anche perché tutti quelli che parlano lo fanno PRIMA, all’insegna del “bisogna vedere e poi giudicare”, dimenticandosi poi di giudicare: ormai abbiamo un surplus di pareri a priori e il nulla a posteriori…
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