Sogni proibiti (1947-2013) Tre film, una sola storia

Questo speciale l’ho scritto la settimana scorsa, e ho finito di creare questo post esattamente dieci minuti prima di scoprire della morte di Paolo Villaggio: non è nato come suo omaggio… ma a questo punto glielo dedico.

Tutto comincia il 18 marzo 1939, sei mesi prima dello scoppio della Seconda guerra mondiale, quando il quotidiano “The New Yorker” presenta un racconto di James Thurber dal titolo The Secret Life of Walter Mitty: «uno dei racconti più antologizzati della letteratura americana», a detta della Wikipedia inglese. Pare che negli USA se una persona è sognatrice la si chiami “Walter Mitty type”…

Walter Mitty è un uomo qualsiasi, succube della moglie, e la storia ci narra di come insieme a lei vada sommessamente a passare la giornata in un centro commerciale. La moglie lo muove come un burattino e Mitty non conosce che una sola valvola di sfogo alla sudditanza del suo matrimonio: la fantasia. Durante la narrazione di una squallida giornata, Walter Mitty avrà cinque “visioni”: per cinque volte userà qualche particolare della grigia realtà che lo circonda per “migliorare” la sua vita in narrativa.
Un rimbrotto che guida troppo piano lo trasforma in un fenomenale pilota della marina; un’occhiata ad un ospedale lo trasforma in abile chirurgo; cercare di ricordare cosa la moglie gli abbia detto di comprare lo trasforma in spietato assassino; l’ennesima lunga attesa dei comodi della donna porta alla lettura di una rivista che parla di guerra, e Walter Mitty si trasforma in asso del cielo ammazza-nazisti; fumare una sigaretta davanti ad un muro scatena l’ultima fantasia: affrontare un plotone d’esecuzione.
Nella biografia dell’autore, The Man Who Was Walter Mitty (2001), Thomas Fensch ipotizza che Walter Mitty sia in realtà la rappresentazione di James Thurber stesso: ammazza che intuizione!

Pagina del “The New Yorker” del 18 marzo 1939

Un uomo mite e succube che nella fantasia diventa un mattatore inter-genere: la storia sembra cucita addosso alla superstar dell’epoca Danny Kaye.
Temo che i gggiovani d’oggi non sappiano più chi sia stato questo attore, ma durante i miei anni d’infanzia – negli anni Ottanta – la TV trasmetteva i suoi film a getto continuo: non dico di aver visto tutta la sua filmografia, ma poco ci manca.
A livello numerico non è stato un attore prolifico – “solo” una trentina di film in trent’anni – ma le sue qualità istrioniche da vera star hollywoodiana della golden age (attore, cantante, ballerino, tutto ad alti livelli per l’epoca) lo hanno reso immediatamente una stella del periodo.
Un mio personale ricordo a cui tengo molto è un Natale da bambino passato con i miei a vedere su Rete4 Il giullare del re (1955), coloratissima e spumeggiante commedia di cappa e spada alla fine della quale avremmo aperto i regali: basta poco per passare un Natale indimenticabile…

Questo è un lavoro per Danny Kaye!

La MGM chiama James Thurber per scrivere la sceneggiatura di un film tratto dal suo racconto, ormai diventato un classico amato dal pubblico: Thurber accetta, allunga la storia e presenta la sceneggiatura ai dirigenti della major… che la prendono e la depositano nel cestino più vicino.
Nelle interviste successive, Thurber si lamenterà del fatto che il totale stravolgimento della sua storia non sia solo colpa dei dirigenti MGM… ma anche delle loro mogli! Nella biografia di Danny Kaye, Nobody’s Fool (2002) Martin Gottfried racconta che solamente una delle scene scritte da Thurber venne effettivamente girata, per poi venir scartata dal montaggio finale poche settimane prima dell’uscita: che si sappia, giace ancora sepolta in qualche angolo buio degli archivi MGM…
La sceneggiatura viene totalmente riscritta da Ken Englund ed Everett Freeman, due fidati (e malleabili) uomini della MGM.

E se questi colori non vi abbastano, ce ne sono degli altri…

Quando il 14 agosto 1947 la MGM porta nei cinema statunitensi il film The Secret Life of Walter Mitty, tutti conoscono la storia e quando Danny Kaye entra subito in scena ogni spettatore sa chi sia il suo personaggio: per questo è comprensibile un sostanzioso stravolgimento della trama…
Il film comunque è un enorme successo, di critica e di pubblico, le fonti parlano di uno dei maggiori campioni d’incasso dell’annata. Arriva nei cinema italiani il 30 dicembre 1948 con il titolo Sogni proibiti.
Esce in VHS in data imprecisata per M&R, Skema, CDE e San Paolo, mentre la DNA lo porta in DVD dal 26 agosto 2010.

Bello ma… non è un po’ troppo vestita?

Siamo negli anni Quaranta, è ora di dire basta alle mogli prepotenti: siamo moderni, perdinci! Così Walter Mitty (Danny Kaye) diventa scapolo e… succube della madre! Evidentemente le mogli dei produttori MGM che avevano trovato disdicevole un protagonista succube della moglie hanno invece trovato accettabile che lo fosse della madre…
Walter Mitty è un uomo qualunque… be’, ora non esageriamo. Lavora ai piani alti di un impero editoriale che ha addirittura un intero palazzo: il Pierce Building! Bruce Pierce (Thurston Hall) ha fondato una casa editrice di riviste di genere che, in questi anni in cui vanno di moda, domina il mercato.

Pronta la copertina della prossima rivistina

Walter Mitty è un sognatore, lo sanno tutti, e lavorare in un posto dove nascono storie in continuazione diciamo che è il suo paradiso. Gli basta una locandina o qualsiasi altra cosa per iniziare a sognare un’avventura esotica, dove lui ovviamente è quell’uomo di polso che non è nella realtà.
Certo, a rivederli oggi i sogni di Walter Mitty sono parecchio noiosetti: sono solo una scusa per lasciare all’istrionico Danny Kaye spazio libero per le sue mattate. Fa le scenette, le vocine buffe, salta e balla: paradossalmente le scene che rappresentano il cuore del film sono la parte meno conservata al passare del tempo.

Quando sogni di essere un cowboy… almeno vèstiti meglio!

L’idea geniale – che non sappiamo se provenga dalla prima sceneggiatura Thurber, ma probabilmente è tutta farina del sacco MGM – è quella di fargli vivere ad un certo punto una “vera” avventura: d’un tratto il mite sognatore viene a contatto con un intrigo internazionale degno di uno dei film di Hitchcock dell’epoca.
Un criminale di guerra è alla ricerca delle opere d’arte salvate dagli alleati, e non si ferma davanti a nulla pur di raggiungere il suo scopo. Il nostro Walter Mitty si imbatte per caso in Rosalind van Hoorn (Virginia Mayo, grande stella MGM ad inizio carriera), misteriosa e affascinante donna che sta lottando per custodire il segreto di quelle opere, perché non cadano in mani criminali.
Ma nel frattempo il nostro eroe deve vedersela con un pericolo più grande: il matrimonio combinato da sua madre con l’antipatica Gertrude (Ann Rutherford) e il suo insopportabile cagnolino.

Walter Mitty 007: Casino Royale…

Walter Mitty deve dunque vedersela con una triste realtà (la donna antipatica) una realtà affascinante (la donna misteriosa) e una finzione piena d’avventure: quale sceglierà?
Ad aiutarlo in questa decisione… ci pensa Boris Karloff!
Entra in scena con i fuochi d’artificio, presentandosi come il dottor Hugo Hollingshead e, con sguardo torvo da brivido, afferma di aver scritto un romanzo dove si descrivono modi per uccidere senza lasciare traccia. Il mitico attore ha una parte piccolissima nel film, ma da solo riempie ogni scena in cui appare!

Pronto, Polizia? C’è Boris Karloff che vuole uccidermi! Pronto…?

Sono costretto a rivelarvi il finale perché sarà importante, nell’ottica di come verrà rielaborato di film successivi.
Convinto dai cattivi e dall’evidenza che non esiste alcun complotto né alcuna donna misteriosa, Walter Mitty si rassegna alla sua grigia vita matrimoniale con l’insopportabile Gertrude, ma quando davanti all’altare prende l’anello nuziale… si ritrova in tasca degli orecchini che gli aveva dato la donna del mistero: allora era tutto vero!
Inizia una roboante corsa contro il tempo e contro tutti, in pieno stile hollywoodiano, in cui il mite diventa eroe e, tra mille pasticci e capitomboli, riuscirà a salvare la bella e a dimostrarsi per la prima volta all’altezza delle proprie fantasie.
Rivisto oggi il film è molto datato, ma vi assicuro che quando l’ho visto per la prima volta, negli anni Ottanta, mi ha molto appassionato – a parte le noiose canzoni – e mi è rimasto molto impresso… ecco perché ho riconosciuto subito il suo plagio italiano!

Il momento della scoperta: tenetelo a mente!

In cosa consiste la tanto decantata “creatività italiana”? Nel cinema è noto: consiste nel plagio. Solamente gli americani copiano più di noi…
Negli ultimi anni l’usanza di copiare i film stranieri di successo si è tolta la patina di “plagio” perché gli autori originali vengono citati – in piccolo, nei titoli di testa – ma lo spirito è lo stesso: quando un film è bello, si sente che funziona, ricopiamolo e via. Tanto se ci scoprono non frega niente a nessuno: lo sanno tutti che Per un pugno di dollari (1964) è un plagio: frega niente a qualcuno?
Così ci si mettono ben in quattro sceneggiatori (Giovanni Manganelli, Franco Marotta, Neri Parenti e Laura Toscano) a scrivere una sceneggiatura che ricopiasse fedelmente questo film adattandolo per l’attore meno simile a Danny Kaye che esista: Paolo Villaggio.

«Ora Villaggio ha un sogno proibito: rubare a Danny Kaye risate mostruose.»
(da “La Stampa”, 29 settembre 1982)

Era il Capodanno del 1980 quando la RAI organizzò un veglione fatto di film: nel pomeriggio ReteDue (oggi Rai2) mandò in onda «il più bel film di Danny Kaye», Sogni proibiti appunto, che già aveva girato per i cinema d’Italia per anni ed anni, ed aveva esordito in TV il 20 febbraio 1979, sempre su ReteDue. Questo per dire che non si è scelto un oscuro film sconosciuto da copiare, ma un notissimo successo ben conosciuto: forse per la dubbia regola “se copio da uno famoso non è copiare: è un omaggio”…

«Una specie di remake di un celebre film americano interpretato da Danny Kaye, “Sogni proibiti”. Villaggio e la sua truppa lo italianizzano spruzzandolo dei vari Fracchia e Fantozzi. Un sogni proibiti-spaghetti insomma.»
(da “La Stampa”, 9 ottobre 1982)

Quando il giornalista Lamberto Antonelli va ad intervistare Villaggio per “La Stampa”, a sorpresa fa quello che i giornalisti non fanno mai: una domanda scomoda. (Erano ancora i primi anni Ottanta, poi questo strano comportamento scomparirà per sempre.)
«C’è poco da scandalizzarsi sulla moda del remake», risponde l’attore alla domanda se si fosse ispirato al film con Danny Kaye. «Dopotutto gran parte del cinema americano non è altro che un rifacimento di quello nostro, di film fondamentali come “I soliti ignoti”, “Romanzo popolare”, eccetera eccetera.»
Mi sento di dissentire dal noto attore: anche ammettendo che fosse vero questo discorso (e sinceramente non mi sembra proprio), quale sarebbe dunque la conclusione? Che siccome tutti copiano, allora copio pure io? Che siccome tutti rubano, rubo pure io? Non mi aspettavo una frase tanto democristiana da Villaggio…
E comunque si dice remake quando nei titoli di testa appare la scritta “basato sulla sceneggiatura di…” (e magari si pagano anche i diritti): se questa scritta è assente, come in questo caso, si dice plagio.

Voi vedete riferimenti al film americano?

«Ho lavorato a lungo, mostruosamente, alla sceneggiatura insieme a Laura Toscano e Franco Marotta», continua Villaggio, malgrado il suo nome non risulti nei crediti della sceneggiatura, «proprio per riportare il tutto alla dimensione italiana, al nostro costume, alle nostre situazioni.»
Con queste premesse il 30 ottobre 1982 esce al cinema Sogni mostruosamente proibiti, diretto da un Neri Parenti in stato di grazia, subito dopo Fracchia la belva umana (1981).
Uscito in VHS in data imprecisata per General Video e Cecchi Gori, la stessa Cecchi Gori lo porta in DVD dal 17 gennaio 2007, e addirittura in Blu-ray dal 21 febbraio 2013.

Ah, quelle fonti semplici di una volta…

Fantozzi non è un mammone, perciò bisogna cambiare qualcosa della situazione familiare di Walter Mitty. Paolo Coniglio (Villaggio) quindi sta per sposare Marina (la caratterista Sofia Lombardo) che al contrario del film precedente è simpatica e anche dolce: l’unico suo difetto è l’arcigna madre, interpretata da una perfetta Alida Valli, storica attrice italiana dalla filmografia cine-televisiva sterminata.

Le riviste di narrativa diventano fumetti

Ovviamente sul posto di lavoro Paolo Coniglio è Fantozzi in tutto e per tutto, riuscendo a prendere le situazioni del precedente film ed adattarle al Fantozzi style. Così è un grigio impiegato ignorato da tutti, ma stavolta fa il traduttore in una grande casa editrice di fumetti: il suo compito è curare le avventure di Dalia, donna di cui è follemente innamorato e di cui sogna costantemente.

L’eroina che turba i sogni del protagonista

Grazie al fascino innegabile della svedesona Janet Agren – molto usata dai registi italiani, e giusto per citare un piccolo ruolo era la sorella di Red Sonja in Yado (1985) – Villaggio si lancia in scene oniriche che si rifanno all’immaginario dell’epoca, compresa una scena “fanta-medievale” che cita espressamente l’appena uscito Excalibur (1981).

Ah però, e questa mica c’era in Excalibur (1981)!

Da Superman a super tennista – erano gli anni del mito John McEnroe – da vincitore di telequiz, con tanto di Mike Bongiorno in comparsata, a Tarzan con tanto di Jungle Girl.
Però la parte sognata è ridotta all’osso, perché è molto più sviluppata quella “vera”, dove Dalia è accusata ingiustamente di omicidio e dovrà sfuggire alle mire di un gruppo di criminali internazionali. Con l’aiuto, involontario, di Paolo Coniglio.

Passano gli anni, ma le Jungle Girl tirano sempre!

Ho la netta sensazione di aver visto al cinema questo film, magari non proprio alla sua uscita del 1982 ma qualche anno dopo nel cinema parrocchiale sotto casa. (All’epoca i film giravano per anni di sala in sala.)
Quindi avevo meno di dieci anni eppure rivedendo certe scene ho ricordato le risate di cuore che mi sono fatto: sarà l’effetto nostalgia, ma rivisto oggi il film ha ancora delle scene azzeccate e dell’umorismo slapstick che secondo me funziona.

«Ma che fa?» «È… è un orologio subacqueo…»
Ricordo di aver riso anni a questa battuta!

Il vecchietto che fa attraversare la strada e ogni volta fa investire è ancora uno sketch che mi fa spanciare. Quando SuperConiglio vola nel palazzo, salva la donna sbagliata, e getta nel vuoto la vecchia per tornare a salvare Dalia, la cattiveria del gesto lo rende ancora divertentissimo, così come le classiche trovate fantozziane – tutte rigorosamente ripetute – alla fin fine si lasciano gustare.

La vogliamo fare una marchetta alla Standa? E facciamola, dài…

Esattamente come per Fracchia la belva umana, abbiamo un irresistibile going berserk finale, quando cioè Coniglio capisce che non si è sognato tutto e che Dalia esiste ed è in pericolo. Lo capisce ovviamente davanti all’altare mentre sta sposando la donna che non ama, ma a differenza di Walter Mitty non lo scopre da degli orecchini trovati in tasca… bensì dalle mutande di Dalia che aveva appresso!

Il momento della scoperta 2.0

Inizia una serie di gag da antologia, ma ce n’è una che ancora ricordavo dalla prima visione. Per procurarsi un’arma, Coniglio va davanti ad un’armeria e con un mattone rompe la vetrina della porta… ma la porta era già aperta, così abbatte un povero cacciatore. Ricordo ancora da bambino che piangevo per le risate!

Sarà Effetto Nostalgia, ma a me questa scena fa ancora morir dal ridere

Innegabilmente il film con Villaggio è molto più divertente del film con Danny Kaye, semplicemente per i quarant’anni e l’oceano che li separa…

Complimenti: fa schifo già dal titolo bianco su bianco!

Del tutto a sorpresa Ben Stiller cerca di salvare la sua carriera con un tristissimo remake/reinterpretazione: The Secret Life of Walter Mitty.
Distribuito dalla Fox, questa inutile robaccia esce in anteprima il 4 ottobre 2013 al New York Film Festival ed arriva subito in Italia il 19 dicembre successivo con il titolo I sogni segreti di Walter Mitty.

Si torna alle riviste, ma non di narrativa

Steve Conrad scrive per Ben Stiller un film che vince ogni primato mondiale di banalità e scontatezza, una imbarazzante congerie di asinini luoghi comuni didascalici, perpetrati da un esercito di comici televisivi che fingono di fare gli attori di cinema, il tutto inondato da effetti speciali spaventosamente inutili e gratuiti, forse per strappare qualche biglietto in più: non ha funzionato. Costato 90 assurdi e immotivati milioni di dollari, ne guadagna 13 durante il primo week-end. Ammazza, Ben, sei riuscito a fare peggio di Alien Covenant (2017), solo per questo dovresti ricevere un premio!
Non stupisce che dopo questa immonda porcata di film abbia provato a fare Zoolander 2 (2016) per cercare di salvare il salvabile come regista, fallendo miseramente anche lì. Ciao, Ben, è stato bello conoscerti.

Mi spiace, Ben: non sei “poetico” né sorprendente, sei solo imbarazzante

Dopo esattamente 30 secondi di film abbiamo già capito tutto della sceneggiatura ed è palese che ‘sta buffonata moscia e brutta non migliorerà con l’andare avanti della storia, infatti non fa che crollare miseramente verso il fastidio più nero.
Walter Mitty (Ben Stiller) è un grigio impiegato che nessuno rispetta – possibile che Ben non sia in grado di fare altri personaggi se non un pagliaccio? – anzi è noto per imbambolarsi continuamente nei suoi sogni ad occhi aperti, in cui è un eroe che fa cose piene di inutili effetti speciali roboanti. Lavora alla rivista LIFE… capito il metaforone? VITA… però Walter Mitty non ha una vita… capito il metaforone? Lavorare per la VITA senza una VITA, perché Walter Mitty non è mai stato al Polo Nord, quindi non ha una VITA malgrado lavori per la VITA. Capito la metafora?
Oddio, Ben, hai rotto il cazzo con ‘sta LIFE: non puoi ripetere cento volte in 10 minuti lo stesso concetto, ma cosa sei davvero Zoolander? Abbiamo capito la stupida metafora di LIFE, ora basta… e invece no.

Capito la metafora? LIFE come VITA che devi vivere viaggiando al Polo Nord…

Fondata nel 1883, è stato un grande evento quando nel 2007 LIFE ha chiuso. Capito? La VITA, come l’abbiamo conosciuta finora, è finita. Capito il metaforone? Se volete Ben ve lo ripete altre cento milioni di volte…
Per l’ultimo numero la rivista riceve una serie di preziosissime foto scattate dal mitologico Sean O’Connell (Sean Penn), che ancora fa fotografie su pellicola e spedice telegrammi. Oddio, ancora esistono i telegrammi? E li consegna un vecchietto di cent’anni, va’ che vecchio stupido, che ha cent’anni, va’ che stupidi i telegrammi, va’ che ridicola la pellicola, va’… oddio Ben, hai rotto il cazzo, abbiamo capito che non ti piace chi critica la passata tecnologia, ma non puoi prendertela con noi!
La foto numero 25 è consigliata da O’Connell in persona perché è la quintessenza della VITA. Il problema è che nel rullino che ha inviato manca proprio la 25 e Mitty rischia di perdere il posto se non la trova: l’unica soluzione è girare il mondo alla ricerca di Sean O’Connell e la quintessenza della VITA. Capito il metoforone? Per chiudere con la VITA di prima bisogna fare il giro del mondo e cercare la quintessenza della VITA per simboleggiare la VITA per la chiusura della VITA che inneggia alla nuova VITA… oddio Ben, quanto ti odio…

Capito la metafora? LIFE come VITA, che se chiude LIFE si apre una VITA da vivere viaggiando per il mondo vivendo la VITA anche se ha chiuso LIFE

Ad esattamente 30 minuti smetto di vedere il film, perché altrimenti mi tocca pagare qualcuno per uccidere Ben Stiller. Non è possibile che Ben, non un genio ma neanche uno stupido coglione come dimostra di essere, possa arrivare ad abissi abominevoli di abbominio abbbominevole come questo film. Prima mi dispiaceva per la sua carriera da tempo finita nel cesso, ma ora spero che una legge di Trump metta al bando lui e i suoi film per sempre: chiunque possa anche solo immaginare un film così brutto e stupido non merita di apparire mai più su schermo, in alcuna veste.
Con questa offesa finale, con questo sputo in faccia, si chiude la parabola di Walter Mitty, sognatore letterario che ha conosciuto ben tre film, totalmente diversi l’uno dall’altro, che in tre modi diversi hanno tramandato la sua “morale”: la finzione serve a migliorare gli errori della realtà. Una realtà talmente triste… dove Ben Stiller fa film obbrobriosamente brutti!

Bibliografia

A Study Guide for James Thurber’s “Secret Life of Walter Mitty” (2016)
Currents of Comedy on the American Screen (2009) di Nicholas Laham
American Literature on Stage and Screen (2012) di Thomas S. Hischak
Nobody’s Fool. The Lives of Danny Kaye (2002) di Martin Gottfried

L.

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57 risposte a Sogni proibiti (1947-2013) Tre film, una sola storia

  1. cumbrugliume ha detto:

    Splendido articolo e interessantissimi retroscena! Sogni Mostruosamente Proibiti è un altro dei film di Villaggio che hanno segnato la mia infanzia (diciamo pure come tutti o quasi i film di Villaggio di quel periodo), ma non sapevo fosse un plagio… e all’uscita del film con Ben Stiller proprio non sono riuscito a fare questo collegamento. Per fortuna c’è il Zinefilo ad aiutarci 🙂

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  2. Cassidy ha detto:

    Lo sapevo che “Sogni” era il soggetto giusto per scatenare l’Etrusco 😉
    In effetti un post iniziato prima, è diventato una dedica a Paolo Villaggio, uno che ci ha davvero fatto ridere tutti almeno una volta nella vita.

    Il film è una scopiazzata non dichiarata, però mi ha sempre fatto ridere per alcune gag davvero azzeccate, l’idea del solito impiegato “Fantozziano” che evade a colpi di fantasia mi è sempre piaciuto, la scena del cacciatore me la ricordo bene, che spasso! 😀

    Il film di Ben Stiller è piaciuto solo ai critici felici di scrivere della svolta “seria” di un comico, peccato che il film sia di una banalità esagerata, se sei bravo a far ridere come Stiller, non è detto tu debba fare altro per forza. Cheers!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Il film di Stiller è così banale e scontato che fa davvero male agli occhi: ho dovuto smettere di vederlo perché mi stava intossicando, e ad ogni scena odiavo sempre più Ben. Spero di non dover mai più vedere niente di suo, è riuscito a cancellare trent’anni di carriera con un film solo…

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  3. Evit ha detto:

    Questo articolo mi ha rapito!

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  4. Evit ha detto:

    Non vedo questo film da tantissimi anni, ma sono sicuro che in questi giorni ripasserà. Ieri c’erano ben QUATTRO Fantozzi e un Fracchia contro Dracula, il tuo amato. Solo che La7 non la riesco più a ricevere quindi mi sono perso il ripasso di Fracchia contro Dracula.

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  5. Conte Gracula ha detto:

    Ho visto solo quello di Vill, mai tutto intero: l’ho sempre beccato già iniziato 😦

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  6. Zio Portillo ha detto:

    Gran bel post. Complimenti. Il film “originale” non l’ho mai visto ma gli altri due non me li sono fatti mancare. Di quello di Villaggio mi ricordo che da bambino mi faceva morire dal ridere la scena in cui il morto (e Paolo Coniglio) appariva e spariva dalla stanza richiudendosi nel letto. Mi faceva morire perché anchi’io per un periodo avevo un letto così e mi è capitato di chiudermi dentro. E poi la scena di Rischiatutto quando elenca gli spettatori della partita con “U Carcamagnu” finale. Devastante.
    Quello di Stiller lo salvo solo per la fotografia (e per la scena che sale sull’elicottero ma con Il Duca Bianco che canta in sottofondo vinci facile…). Per il resto concordo: poca roba.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Man mano che lo rivedevo ho ricordato tutte le risate fatte da ragazzino: è davvero un film pieno di sketch “nuovi”, rispetto ai soliti fantozziani ripetuti allo sfinimento. Erano ormai gli ultimi film che cercavano qualche gag nuova…
      Tecnicamente quello di Ben è ineccepibile, ma la totale banalità e scontatezza e fastidiosa stupidità del soggetto me lo fa odiare all’infinito.

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  7. Austin Dove ha detto:

    ciao^^
    articolo molto interessante! ieri ho guardato per la prima volta fantozzi e quindi sono fresco di situazioni fantozziane.
    sai che in locandina il film di stiller era descritto il nuovo forrest gump?

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Purtroppo le locandine dicono sempre il falso 😀 😀
      Scherzi a parte, benvenuto nel mondo fantozziano… ^_^

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    • Andrea87 ha detto:

      @Lucius: eppure ti dirò, dell’orrido (perchè è ORRIDO!) “Fantozzi 2000” salvo giusto giusto la gag finale con l’alieno, che è una IMHO degna conclusione di saga (a questo punto definitiva).

      Per chi non la sapesse: scappati con un gommone da una festa in cui si erano imbucati (dalla solita Serbelloni Mazzanti Vien dal mare con la solita gag della mozzarella che finisce nel decollete “LA PRENDO IO! MMMMMH!”), Ugo e Pina finiscono sulle spiagge dell’Albania (ahahahhahahah! avete capito la satira?) quando vedono una stella cadente in cielo.
      Ugo esprime il desiderio che ci sia almeno un mondo felice nell’universo, quando la stella precipita ai loro piedi e si scopre che era un UFO. Esce un alieno fantozzide (coppola ecc) che dice che ha viaggiato per tutto l’universo alla ricerca del mondo felice e la terra era l’ultima meta del viaggio. a questo punto Fantozzi dice sommessamente a Pina “va e compra 3 fucili…”

      FINE

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  8. Austin Dove ha detto:

    e poi la critica ha detto che poteva venire meglio, ma nel complesso lo ha elogiato:
    National Board of Review of Motion Pictures
    Migliori dieci film dell’anno

    davvero così brutto?

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  9. loscalzo1979 ha detto:

    Niente, un lavorone eccelso questo editoriale, complimenti.
    Sì anche a me Walter Mitty con Stiller ha fatto PENA.

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  10. Mahatma K. B. ha detto:

    Ho un amico che da anni cerca di convincermi a vedere la versione di Stiller affermando che e’ il miglior film del decennio.
    Oh, io riesco a vedermi tutte le peggio cazzate in circolazione ma quello proprio non ce la faccio.
    Sara’ che non ho mai trovato Stiller minimamente divertente, sara’ che non mi sono mai piaciute particolarmente le altre due versioni.
    Comunque bellissimo articolo, dovresti farne di piu’ di questi confronti tra versioni diverse.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Ti ringrazio, e la categoria “Saggi” la tengo proprio per filoni di film, accomunati di solito da plagio o scopiazzo. (Tipo il filone “Fuga per la vittoria”, o “Per un pugno di piombo e sangue” ecc.)
      Io seguivo Ben Stiller dai tempidi “Giovani, carini e disoccuati”, ho amato il primo Zoolander e mi ha fatto morire il suo breve “Ben Stiller Show”, genialmente citazionistico. Poi però ha cominciato a fare sempre e solo il personaggio dell’imbranato che tutti trattano male, cioè del Fantozzi americano, e onestamente mi basta e avanza quello italiano. Qui, al di là di ben, parliamo davvero di un film spaventosamente scontato: al secondo minuto hai già capito tutto quello che succederà. E’ banale e di grana grossa, è come se qualcuno ti raccontasse per la centesima volta una vecchissima barzelletta sporca: sei lì che soffri, imbarazzato e infastidito, e ti chiedi quando finirà quella tortura…

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      • Giuseppe ha detto:

        Appunto: ma ci credeva davvero a quello che stava facendo, Ben? Ho i miei dubbi… mentre non ho nessun dubbio nel farti i complimenti per quest’ottimo post, intriso di ricordi natalizi “DannyKayeschi” condivisi: per quanto riguarda Villaggio, trovo che il suo Paolo Coniglio fosse in parte già presente nello scrittore sci-fi Della Spigola, protagonista nel ’78 del secondo episodio di “Io tigro, tu tigri, egli tigra” (dove però non ha la fortuna di trovare Janet Agren 😉 ) e, capitolo scopiazzature a parte, credo rimangano quelli i suoi anni migliori. In seguito, l’arrivo dei cinepanettoni avrebbe segnato l’inizio dell’involuzione dei gusti del pubblico, al quale i seguenti Fantozzi (a Fracchia almeno il declino venne risparmiato) con l’unica -per me- davvero valida eccezione di “Fantozzi va in pensione si sarebbero progressivamente e inesorabilmente adeguati, ahimè 😦
        Forse non è un caso che il mitico Ragioniere abbia cominciato a scricchiolare in coincidenza con le prime vacanze natalizie vanziniane, nel 1983: non che “Fantozzi subisce ancora” fosse un brutto film, tutt’altro, ma già dimostrava senza ombra di dubbio quanto la carica graffiante dei predecessori si stesse avviando a diventare solo un ricordo…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Quell’episodio del ’78 sta a testimoniare l’accesa passione italiana per la fantascienza dell’epoca, che nel 1982 dovette lasciare spazio alla nuova “moda”, cioè il fumetto. In fondo questo viaggio nel cinema italiano anni ’80 lo sto facendo anche per vedere cosa i film reputassero “di moda” tanto da doverne parlare o criticare. Se “Sogni proibiti” lo copiassero oggi, che narrativa e fumetto in Italia sono del tutto estinti, non so proprio che mestiere farebbe Walter Mitty… forse l’assistente di studio della De Filippi! 😀
        Penso a “capolavori comici da morir dal ridere”, cioè filmetti totalmente privi di umorismo come “Pompieri” 1 e 2, con un Villaggio che sembra l’ombra di se stesso e che fa da tappezzeria, con ogni tanto una scena di pochi secondi in cui tristemente rifà identici gli sketch fantozziani. Diciamo che gli anni Ottanta erano così diversi dai Settanta che il Ragioniere non è riuscito ad adeguarsi…

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      • Giuseppe ha detto:

        Già 😦 E, paradossalmente, quella grande massa di pubblico sempre meno esigente e che, ormai, non credeva più in lui pretendeva però allo stesso tempo di continuare a vederci un Fantozzi “per interposta persona” in ogni ruolo comico interpretato da Villaggio (compresi quei miserandi “Pompieri” dove, appunto, gli unici guizzi -pur se assolutamente incapaci di salvare alcunché in quelle tristi pellicole- erano proprio gli sketch fantozziani), portandolo di fatto a riprendere ancora in mano il suo storico personaggio con risultati sempre meno entusiasmanti…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Sono sicuro che Villaggio sarà stato assediato tutta la vita da gente che gli chiedeva ancora più Fantozzi, ed ogni suo tentativo di fare altro non mi sembra sia andato molto bene. Anche perché, onestamente, quando non faceva il servile Fantozzi faceva la belva umana: non è che avesse tutto questo spettro recitativo. (Se non ricordo male provò a dirigere pure Striscia la notizia, sempre facendo il rude belva umana!) Forse in “Io speriamo che me la cavo” mi è piaciuto veramente, come attore, però l’ho visto all’epoca e sono passati decenni, magari a rivederlo non mi piacerebbe 😛

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  13. FRa X ha detto:

    Ah, ah! Da piccolo questo misto di sogno e realtà in cui si trovava VIllaggio mi lasciò perplesso, soprattutto nel simpaticissimo finale. Devo proprio rivederlo. Curiosa la storia produttiva. Pensavo che questo e Fracchia la belva umana fossero parodie dichiarate di classici di Hollywood! Il film degli anni 40 l’ ho visto invece su Rete 4 da grande su Rete 4, Rete di grandi chicche classiche, e me lo sono proprio gustato! Dopo questo film Karloff tornerà in auge solo negli anni 60 grazie a Korman e Bava!!!

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  14. FRa X ha detto:

    Certo che parlar male de “I pompieri”… XD

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  15. FRa X ha detto:

    Basta che non mi toccate “Ho vinto la lotteria di capodanno”! Ok sequela di gag, ok alcune riciclate, ma io lo trovo sempre divertente. Con un altro finale a sorpresa e le scene con la famiglia con tanto di musichetta troppo lol. A me comunque piacciono ancora i primi 2 “Le comiche”! XD Sarò di bocca buona! Boh! Poi si, “Io no spik inglish” e “Banzai” niente di memorabile e dove si è ormai persa la verve cinica.

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  18. SAM ha detto:

    Veramente negli anni 80 i fumetti in Italiani stavano andando a ramengo come vendite : Villaggio poi si dimostra incredibilmente datato in ciò, citando personaggi vecchi come il cucco che sicuramente leggeva da ragazzo ma che nessuno si filava più, tipo Mandrake o la tarzanide bionda che è un omaggio a Pantera Bionda , coeva di Mandrake e Superman ( quest’ ultimo tornato di moda all’ epoca grazie al film di o’ Donner)
    E’ vero che fare remake non dichiarati non sarà finissimo, ma se non si vergognano gli yankee di fare plagi/remake non dichiarati di valanghe di film/fumetti e libri stranieri, dobbiamo farcene un cruccio noi ?

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Sarebbe bello vantare una “superiorità morale”, evitando di fare ciò che critichiamo negli altri, oltre ovviamente all’atto illegale di plagiare un film 😀
      Non mi esprimo sui fumetti: abbiamo esperienze e idee totalmente agli antipodi…

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      • SAM ha detto:

        Vabbè dai, in arte nulla si crea e nulla si distrugge , e se dovessimo far fuori tutti quelli che nel cinema hanno scoppiazzato almeno una volta qualcosa, ben pochi sii salverebbero ! ù
        Inoltre va detto che il titolo del film mette le mani avanti sulla sua fonte di ispirazione 🙂
        Che i fumetti in Italia non tirassero più negli anni 80 ( dopo i fasti degli anni 70 ) è un dato di fatto, come scritto qui
        https://www.giornalepop.it/linverno-dei-fumetti-milanesi/
        all’ epoca, venivano incensati dalla cultura “alta” solo i fumetti “d’autore ” di Pazienza e compagni, che però all’ atto pratico non è che vendessero chissà che cifre .( meno di 20.000 copie )
        Insomma, un pò come ora , dove il mercato editorale è in crisi nera ma i fumettisti d’autore sembrano sempre più ” IN “

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Grazie del link, molto interessante. Solo che ha preso in considerazione vecchie case sul viale del tramonto, sebbene mitiche, Forse l’esplosione della Bonelli – delle cui pubblicazioni le edicole sciabordavano – ha “rubato” lettori a case più storiche. All’epoca ero un adepto bonelliano e in pratica in edicola compravo solo fumetti di quella casa – a parte poco altro – e il resto semmai lo recuperato in fumetteria, cioè usato.
        Il fumeto “d’autore” seguiva le sue strade, mentre il fumetto popolare forse si è focalizzato su alcuni fortunatissimi personaggi Bonelli e lì è rimasto. Per sostenere le tante ristampe che ogni mese la casa portava in edicola, immagino avesse vendite sufficienti, e già almeno nel 1990 la casa è regina assoluta del fumetto.
        Forse non era più tempo di eroi alla Magnus o Tarzan, forse un cambio generazionale stava pretendendo i più. Non dimentichiamo che gli Ottanta sono il decennio dell’esplosione dell’horror e dello splatter, argomenti assolutamente vietati agli eserciti di fumetti citati dal pezzo in questione (a parte qualche fumetto erotico “pepapto”, ma non certo “Dottoressa”!), mentre i personaggi bonelliani affrontavano mostri, alieni e zombie tranquillamente, per non parlare dei fumetti horror che in edicola si compravano “sotto banco”. L’uscita di Dylan Dog sul finire degli Ottanta è stata la prova che la Bonelli era riuscita a convogliare in pratica l’intera richiesta di fumetti dell’epoca.
        Questi fumetti non potevano apparire nei film di Vilaggio, temo che la Bonelli non fosse economica o magari non era interessata alle “marchette”, mentre Diabolik e Zora appariranno tranquillalmente nelle mani della signorina Silvani di “Fracchia la belva umana” (1981)
        Per finire, è come il discorso della Guerra delle K: perché negli anni Sessanta sono nate frotte di eroi crudeli con una K nel nome, che uccidevano mascherandosi in vari modi, e negli anni Ottanta era rimasto solo Diabolik? Forse la Astorina aveva più mezzi o forse le sue storie erano più corpose. Però il pubblico che ama e compra fumetti negli anni Ottanta c’era eccome, solo che non sceglieva più le case dei decenni precedenti ma stava passando ad altri personaggi.

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  21. Mauro ha detto:

    Il bello è che nel film di Stiller i sogni del protagonista sono del tutto secondari e non c’è nessuna spy-story! Che remake è, allora? Almeno il film con Villaggio rispetta l’originale.

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