Lady Bloodfight (2016) Kumite al femminile


Un paio di mesi prima che in Asia uscisse Female Fight Club, già la Voltage Pictures aveva presentato in quella parte di mondo la bionda combattente Amy Johnston, ruvida ma di buona pasta.
Intorno al novembre 2016 esce infatti Lady Bloodfight, che sbarcherà negli Stati Uniti il 5 maggio 2017.

Ok, magari sulla grafica del titolo ci lavoriamo un po’…

È sorprendente trovare alla regia Chris Nahon, il regista francese lanciato da Luc Besson con Kiss of the Dragon (2001) che con il successivo L’impero dei lupi (2005) sembrava essere ormai un nome promettente nel giro della serie B.
Dopo il rozzo ma sorprendente Blood: The Last Vampire (2009) Nahon scompare dal giro, riapparendo con questo film, che sembra girato da un ragazzetto con la webcam. Dispiace che la morte del cinema “di cassetta” abbia rovinato un altro grande talento. Sono sicuro che se avesse iniziato nell’81 invece che nel 2001, Nahon avrebbe fatto in tempo a farsi un nome di spicco e a vivere di rendita girando porcate, come fanno i grandi di Hollywood.

La sezione “Z” della Voltage ci ha abituati a filmacci girati nelle peggiori location economiche, ma quando la location economica si trova ad Hong Kong… che vi devo dire, è tutto più esotico.

Location minimale, ma comunque funzionale

Ovviamente il grande errore di questo film è l’essere una specie di pessimo remake in gonnella di Senza esclusione di colpi! (1988), e qui c’è il problema più grosso: strizzare l’occhio ai grandi va bene, copiare dai grandi va bene, rifare i grandi… significa toppare alla grande. Hanno fallito produzioni che avevano lo stesso budget dei grandi film, figuriamoci questo filmetto che non ha i soldi neanche per i vestiti delle attrici (che infatti recitano per l’intera vicenda con un solo abito). È come usare il pongo per rifare un’astronave Lego: puoi anche provarci, ma non stupirti delle pernacchie che sentirai.

Malgrado il sangue, questa è la “divisa” di Amy per tutto il film

Checché ne dica l’esercito di immotivati entusiasti di Seagal, è Van Damme che da solo ha inventato il cinema marziale degli anni Novanta, e l’ha fatto a partire da Bloodsport: cioè da un film assolutamente non originale, che si rifaceva così tanto a I 3 dell’Operazione Drago (1973) da chiamare lo stesso Bolo Yeung a fare il cattivo. I film non originali che da soli creano un mondo si contano sulla punta delle dita, e a meno che non sei James Cameron e hai l’idea per un seguito che da solo creerà un universo… be’, abbassa le tue pretese e cerca di fare qualcosa di più piccolo ma più divertente.
Nahon invece ha l’idea opposta: creare un prodotto pessimo, per nulla divertente e totalmente privo di interesse che però si rifaccia al film che da solo ha cambiato il mondo del cinema marziale. Un po’ meno, Nahon, un po’ meno…

Bella posa, Amy, ma non sei il Van Damme dell’88: abbassiamo un po’ il tono

La trama la conoscete, se avete visto il film di Van Damme. (E se non l’avete visto, smettete immediatamente di leggere e andate a vederlo, sant’Iddio!)
Per varie ragioni personali – tutte vaghe, tutte taciute, tutte scritte malissimo – un gruppo di giovanissime combattenti senza muscoli, senza stile, senza bravura e senza grinta partecipano al Kumite di Hong Kong: un torneo clandestino di combattimenti che possono anche finire con la morte. E se il riferimento al kumite non bastasse, ad un certo punto ci scappa pure un dim mak: manca solo che il regista metta un poster di Bloodsport nella scenografia!
Ricordo che kumite vuol dire semplicemente “combattimento” in giapponese e la parola viene pronunciata in tutte le palestre di karate italiane sin dagli anni Sessanta, ma dopo il film di Van Damme è passato ad indicare un torneo clandestino.

La famosa posizione “Bidet per il Kumite”

Jane Jones (Amy Johnston) non si sa che cacchio stia facendo, a metà film scopriamo che sta cercando il padre ma in realtà ogni motivazione dei persoanggi è vaga e lacunosa: succede quando fai scrivere la sceneggiatura a Bey Logan, che di professione fa l’attore e il produttore. Lui potrà anche andare in giro a sventolare di aver collaborato con Jackie Chan, e di aver sceneggiato il suo The Medallion (2003), ma qualcuno dovrebbe dirgli che questo va solo a suo sfavore.
E pensare che ha iniziato la carriera scrivendo White Tiger (1996) con Gary Daniels, un ottimo e onesto piccolo film marziale che andrebbe insegnato a scuola per la sua semplice purezza…

Non c’è kumite senza tanga

Evitando di spiegare qualsiasi cosa, metà film passa a scimmiottare qualcosa che forse nella mente del regista potrebbe essere un classico soggetto “maestro-allievo” tipico di Hong Kong, fra la maestra Shu (Muriel Hofmann), che assomiglia ad una maestra marziale come io assomiglio a George Clooney, e l’americana Jane.

Vedi questo uccellino morto? È più vivo di questa sceneggiatura

Poi a un certo punto, quando ormai il film ha superato la metà e si sono accorti che non esiste trama, corrono ai ripari. Serve il Jackson della situazione, cioè l’amico del protagonista massacrato dal cattivo. In due o tre fotogrammi prendono Jane e le fanno fare amicizia con Cassidy (Jet Tranter), un rapporto strettissimo della durata di due fotogrammi che verrà spezzato dalla cattivissima russa Svietta (Mayling Ng, tipico nome russo!), l’unica che sembra assomigliare ad una combattente.

Ho letto le tue recensioni, Cassidy: ora ti spiezzo in due!

Distrutta dall’aver perso un’amica che conosceva da ben due fotogrammi, Jane ha lo spirito giusto per affrontare il combattimento finale. Oppure no?

Finalmente qualcuna che dà l’idea di combattere

Impegnati in frescacce vergognose tipo la maestra Shu che risveglia gli uccelli – prima che facciate battute, si parla di volatili ed è noto che le arti marziali servono a risvegliare uccelli defunti! – sceneggiatore e regista si dimenticano del going berserk: ogni film action in generale, e ogni film marziale in particolare, deve portare lo spettatore all’esaltazione mediante la furia del protagonista, che nell’ultima parte “va di matto” ed entra nella modalità d’animo giusta per battere il big boss finale.
Gli autori di questo film ignorano questa regola, o pensano che sia un’opinione: non lo è, è una tecnica limata in cento anni di cinema e funziona, perché se la togli il film si sgonfia come un palloncino bucato.

Qui vediamo Jane dare due spinte alla cattivissima Svietta, oh: ma due spinte forti forti, eh? Giustamente la muscolosa russa la suona come un tamburo allo stadio, e lei va giù. Ora scatta l’occhio della tigre, ora lo spirito guerriero si impossessa di Jane, ora il Potere di Grayskull la trasforma nella migliore combattente dell’universo… No, Jane si alza e dà un pizzicotto alla russa. Oh, ma forte forte, eh?
Fine del combattimento finale.

Bloodsport aveva personaggi ridicoli e una trama da menargli in faccia, ma nessuno ci ha mai badato: era il miglior film marziale prodotto in Occidente da sempre – bella forza, doveva competere con Chuck Norris che dava un calcio a film e cascava pure, dopo!
Lady Bloodfight riesce ad avere una trama peggiore semplicemente perché la sceneggiatura butta là due o tre frasi sconnesse, però se non altro dal punto di vista marziale… è pure peggio!
Non è riuscito a tirar fuori una sola tecnica decente o anche solo eseguita in modo pulito: certo che se prendi delle ventenni anoressiche e rachitiche e le spacci per lottatrici, non è che si può ottenere di più. La russa è splendida ma è una stuntwoman che non sembra conoscere gran che di marzialità, mentre da Amy Johnston mi aspettavo qualcosa di più del nulla totale che si impegna a fare.
Malgrado siano quasi contemporanei, siamo davvero molto lontani da Female Fight Club, sembra quasi un’altra persona. Spero che in futuro migliorino le sue scelte.

Bella e brava, ma ne ha ancora di strada da fare

Dunque Amy Johnston è un’ottima combattente che ha iniziato rifacendo Bloodsport e ha proseguito rifacendo Lionheart: visto che sta seguendo la carriera di Van Damme, ora me l’aspetto polizoitta sotto copertura in un carcere e sdoppiata nel ruolo di due gemelle separate alla nascita…

L.

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42 risposte a Lady Bloodfight (2016) Kumite al femminile

  1. Zio Portillo ha detto:

    In quanto ad ambizione sembra che nessuno batta Nahon o sbaglio?

    Cacchio, prendi pure delle anoressiche per prendersi a sberle, e vabbè. In fondo artiste veramente marziali disposte a fare questo filmaccio non credo ci siano. Ma serve per forza una trama? Metti queste 10-12 donne in un magazzino con dei container e falle massacrare per… Soldi. Tutti/e fanno di tutto per denaro, quale più alta motivazione ci vuole? Chi vince il torneo si porta a casa una paccata di soldi sporchi della mala di Honk Kong che scommette sulle varie tizie. Non servono tante spiegazioni. La Johnston è la protagonista? Perfetto, prendi un cinese qualunque che la porta dall’aeroporto all’hotel e le spiega che lei e le altre atlete verranno prese e accompagnate giorno per giorno dove si svolgerà il torneo e non possono uscire dall’hotel, avere contatti con l’esterno o fare altro se non allenarsi nella palestra che l’hotel mette loro a disposizione. Scena di 5 minuti che si conclude col cinese che chiosa: “Naturalmente non ci sono regole a parte fermarsi se uno urla “mattè” o muore. Se si vince il torneo si portano a casa 10.000.000 di dollari americani”. Stop. In un colpo hai spiegato tutto, strizzato l’occhio a “Bloodsport” e dato motivazioni plausibili alle ragazze che si devono menare. La russa è data vincente 1.01, la Johnston è l’underdog data 100 a 1 e naturalmente vince con la mossa finale. Un helicopter kick fatto coi cavi alla cintola, un calcio della gru come faceva Ralph Macchio/Danny La Russo,… Tiè, usa un falshback di 5 minuti che mostrano la Johnston che impara la mossa “l’esplosione del cuore con 5 colpi delle dita” o l’ancora più letale “Tocco della Morte” di Bart Simpson. Sopra i container nel magazzino metti dei figuranti cinesi in giacca e cravatta che fumano, urlano, sputano e agitano banconote.
    Riprese strette per non mostrare l’incapacità delle tizie, qualche rallenty che mascherano i colpi accompagnati, un po’ di prese di sottomissione (in fondo pure Edgerton ha vinto in “Warrior” senza sferrare un colpo!) e via di mestiere per portare a casa il risultato. In “Undisputed 4” c’è Martin Ford a fare il cattivone finale. Ecco, il buon Ford è un cristone d’uomo che di mestiere fa il culturista e ha un sito dove dà consigli di fitness, alimentazione ed esercizi per aumentare la massa muscolare. Tutto ma non fa arti marziali. Eppure lo hanno reso uno spettacolo perché, seppur incapace come una zucchina, era messo in scena in modo magistrale (portato con museruola e catene a combattere!). Se non hai le attrici giuste, usa dei trucchi per mostrarle pericolose o pazze. Più facile di così! Ma cosa ci vuole? Io non sono un regista o uno sceneggiatore, ma cacchio… Alle volte ho idee migliori quando mi faccio la doccia di gente che di mestiere viene pagata per scrivere o dirigere.
    Film come questo che hanno l’idea potenzialmente vincente ma a conti fatti fanno c@gare mi fanno incazzare che non hai idea!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      ahah condivido in pieno il tuo sentimento e magari facessero un film come l’hai descritto 😛
      Sembra quasi che gli sceneggiatori siano pagati per NON scrivere niente, che il loro compito sia uccidere ogni scintilla di originalità che possa nascere.
      L’idea qui era giusta e il soggetto neanche malaccio, ma poi l’evidente incapacità delle attrici scelte ha reso necessario intorbidare le acque per giustificare il fatto che si vedono pochissimi combattimenti, tutti raffazzonati.
      Eppure il sistema “giusto” lo si era trovato negli anni Novanta: dài fondo a tutte le palestre di arti marziali californiane, chiami tutti gli atleti con la faccia giusta e li butti davanti all’obiettivo: chi se ne frega se sappiano recitare, devono solo menare. Fra l’89 e il ’95 circa abbiamo assistito all’unico modo plausibile di fare cinema marziale in Occidente, cioè filmetti televisivi dalla trama discutibile che però garantivano spettacolo di altissima qualità, essendo pieni di grandi atleti provenienti da tutte le discipline note nelle palestre di Los Angeles. L’esperimento è morto e non è mai stato più ripetuto, anche perché c’è gente che ancora oggi crede che Matrix presenti combattimenti marziali…
      Lo standard dal ’95 in poi è: non solo attori incapaci, ma pure atleti incapaci. Se prendi un film inutile che si regge solo sulla bravura dell’atleta protagonista e ci metti un impedito, in mano hai solo un escremento fumante: cioè il cinema marziale attuale…

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      • Zio Portillo ha detto:

        Quanto manca Golan a questo cinema…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Golan paradossalmente c’entra poco, lui ha sempre fatto film d’azione, era poco interessato alle arti marziali tanto che ha lanciato film importantissimi fregandosene altamente, l’ha fatto quasi senza rendersi conto di cosa stesse facendo. (Non capì Van Damme, che da solo ha cambiato il mondo, e questa è una grave colpa per un uomo che aveva una grande sensibilità di genere.)
        Sono state piccole casupole a invadere il mercato di spettacolari film marziali che nel tentativo di seguire l’onda di Van Damme hanno dato possibilità a grandissimi atleti che hanno dato spettacolo di sé in video. Tutti atleti che lavoravano ad Hong Kong perché solo lì esisteva un cinema che li chiamasse in scena. Sono volati tutti in America e hanno sfornato ottimi film: trame ridicole e recitazioni scandalose, ma spettacoli marziali di una qualità impensabile negli anni successivi.

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      • Zio Portillo ha detto:

        Intendevo uno che sapesse dare spessore a film mediocri fiutandone l’idea. Ad esempio “Over The Top” con tutta una serie di personaggi bizzarri ma iconici che danno vita ad un torneo di braccio di ferro (!!!). Se davi questo soggetto ad un tipo come Golan veniva fuori una pellicola memorabile.

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      • Zio Portillo ha detto:

        Intendo il soggetto di “Lady Bloodfight”

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Però non sarebbe venuto fuori un film marziale, o comunque uno dove la marzialità era secondaria. Invece gli “eredi” di Golan, quei figli illegittimi che hanno però saputo virare in chiave marziale l’idea di cinema di genere.

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      • Zio Portillo ha detto:

        Dici che non avrebbe avuto l’intuizione che hai avuto tu? Cioè quella di girare per palestre californiane a raccattare atleti per farli esibire davanti ad una cinepresa?
        In fondo con “Over The Top” non aveva fatto qualcosa di simile registrando veri incontri di braccio di ferro con tutto il corollario di personaggi bizzarri o pittoreschi che popolano quel circuito? Per carità, braccio di ferro è una cosa, le arti marziali sono un’altra parrocchia ma l’idea c’era.

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        “Over the Top” non è un film sul braccio di ferro, è un film su Stallone: questa è la differenza. Golan non ha creduto in Van Damme perché in una concezione del cinema “eroistico”, ovviamente J.C. aveva tutto tranne che la faccia dell’eroe. Idem per American Ninja: impossibile considerare quel tubero di Dudikoff già un essere umano, figurarsi un eroe! Golan cercava eroi per film di genere di ogni tipo e non si è reso conto che il suo maggior successo è stato l’esatto contrario: il cambio di punto di vista, lo sfondo che diventa protagonista. Quelle arti marziali che per Golan erano ciò che erano per tutti – un elemento di colore in un film di genere – d’un tratto diventano uniche protagoniste: non importa chi sia l’eroe, non importa neanche se ci sia un eroe, importa che in scena ci siano bravi atleti che sappiano dare spettacolo. Questo ha preso tutti di sorpresa e probabilmente non piaceva, perché era impossibile avere uno Stallone o uno Schwarzenegger in questo genere: sembra assurdo, ma d’un tratto era il bulletto da palestra, quello che se la tirava ed era antipatico a tutti, a diventare “eroe”.
        Gli eroi di Golan sono rimasti eroi, anche se sempre più appannati: i protagonisti della grande ondata marziale dei ’90 sono tutti scomparsi: il più fortunato è Billy Blanks, che si è inventato uno stile di fitness marziale (tae bo) e ha fatto i soldi con i corsi e i video, ah e pure Jeff Speakman è tornato ad insegnare karate, mentre altri fortunati sono rimasti caratteristi da sfondo. Nessuno era un eroe, erano onesti atleti marziali che per un certo numero di anni hanno saputo dare spettacolo con film in cui magari per metà della durata c’erano combattimenti: oggi grasso che cola se ci sono 5 minuti totali…

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      • Zio Portillo ha detto:

        Punto di vista molto interessante quello del “cambio di focus” da attore centrale ad ambientazione predominante.
        E’ sempre un piacere scambiare opinioni e commenti con uno che ne sa a pacchi (e pure molto più di me). Bravo Lucius! 🙂

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Per carità, semplicemente ho vissuto quel periodo considerandolo “normale” per poi scoprire, col passare del tempo, che è stato un periodo unico e irripetibile 😛
        Oggi viene molto rivalutata la Cannon, che all’epoca era considerata spazzatura, magari un giorno verranno riscoperti anche i veri prodotti marziali, che con la Cannon non hanno molto a che vedere 😛

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    • loscalzo1979 ha detto:

      Portillo, facciamolo, raccattiamo i soldi e famo sto film.
      Dimostriamo al mondo come si fa l’epico cinema di menare

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  2. Denis ha detto:

    Blood era nato come ottimo film di animazione giapponese non ricordo se era tratto da un manga,ma poi perchè non prendere vere atlete marziali o al massimo wrestler che almeno sono fisicate e sanno magari crearsi il personaggio da sole,quella roba del going berserk c’è pure una cosa simile nei videogiochi che dopo un tot di uccisioni si riempe una barra apposita che garantisce una trasformazione che rende per poco tempo invicibili e nella animazione giapponese se ci fai caso dopo che il protagonista ne prende un sacco si ripiglia e vince.
    Povero Cassidy .
    P.s comunque ho scritto un post sulle carriere stronacate e c’è pure Van Damme^_^

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  3. Vincenzo ha detto:

    questi film tirano più del proverbiale carro di buoi… 😉
    e c’è pure Cassidy!! 😀

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  4. Denis ha detto:

    La serie Dead or Alive è famosa per 2 cose le arene distruttibili e la sballonzamento delle tette, ma nel gioco le tette erano più grosse !

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  5. Cassidy ha detto:

    Rifarsi a “Bloodsport” bene, rifarsi troppo a “Bloodsport” malissimo! 😉 Mi sta simpatica quella di nome Cassidy, così, a pelle 😛 Si sta già avverando la tua profezia? Ovvero che un artista marziale promettente ad un certo punto si mette in testa di fare Van Damme e si azzoppa da solo? Speriamo di no cavolo, sarebbe davvero troppo presto per Amy! Cheers

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Anche se sono usciti insieme, questo film è leggermente anteriore quindi diciamo che la Johnston è in ascesa e sta migliorando: speriamo riesca a fare almeno un paio di titoli che la facciano ricordare in futuro 😉

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  6. Willy l'Orbo ha detto:

    Checchè se ne dica di sto filmaccio m’è presa un’insana voglia di vederlo! O forse, più che insana, semplicemente zinefila 🙂 🙂 🙂

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  7. Cumbrugliume ha detto:

    Devo dire che Cassidy me l’immaginavo diverso! In ogni caso… filmaccio segnato in lista! 😀

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  8. Giuseppe ha detto:

    Nella foto sopra la didascalia “Bella e brava, ma ne ha ancora di strada da fare”, la posizione e l’espressione di Amy mi danno come l’idea che ti abbia sentito e, di conseguenza, stia lanciando una sfida: “Fatti sotto, Lucio! Dai, perché non me la insegni tu qual è la strada da fare? Eh? EH? Intanto magari mi abbassi anche il tono, vero?”… c’è il rischio che Nahon fiuti l’affare e vi scritturi per il sequel “Lady BLOGfight” 😉

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      aahahahaha tanto con la disperazione che c’è nel cinema non mi stupirebbe che una casa di produzione mettesse in piedi un film pensato dai blogger: sarebbe tutta pubblicità gratuita ^_^
      La differenza fra “Lady Bloodfight” e “Female Fight Club” è abissale, per questo sono rimasto allibito. Spero che Amy continui a crescere come in quest’ultimo titolo, lasciando stare produzioni dilettantesche, tipo di gente che pensa che girare ad Hong Kong faccia sì che automaticamente si tiri fuori un film di Hong Kong…

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