The Meg (2018) Shark, il primo squalo

Agosto è ormai il mese più triste dell’anno. Perché arrivano le inondazioni, i terremoti e i filmacci sugli squali. No, non quei divertenti filmetti bulgari che invadono TV e videoteche, no, magari. Parlo di quelli brutti sul serio, come le cialtronate da 130 milioni di dollari con cui la Warner Bros asperge l’oceano col fetore della propria decomposizione.

Non era facile fare un film più stupido di quelli della Asylum, UFO, CineTelFilms e altre autorevoli e blasonate case bulgare, eppure la Warner c’è riuscita.
Ma per capire la reale entità del disastro di The Meg è necessario un po’ di rincorsa: vi metto l’indice, così se volete potete saltare, ma nel caso vi perdereste chicche decisamente migliori del filmaccio Warner.


Indice:


Antenati, plagi e megalodonti vari

La voglia di raccontare storie con protagonista il megalodonte non nasce certo oggi: porta la data del 1981 la prima sceneggiatura sull’argomento, scritta dal prolifico script supervisor Raymond “Ray” Quiroz con Daniel James Kiewit, sei mesi prima della pubblicazione del romanzo Megalodon di Robin Brown. Le sceneggiature non sembrano riuscire a risolvere il problema dei costi e quindi rimangono nei cassetti dei produttori, mentre i romanzi non hanno di questi problemi: ciò comunque non ferma gli autori, così se nel 1993 esce il romanzo Quest for Megalodon di Tom Dade, nel 1994 Steven J. Slade deposita la sua sceneggiatura Megalodon: The Great White Sharkdog.

Come ricorda Steve Alten nei ringraziamenti alla recente ristampa del suo storico romanzo, nell’agosto del 1995 un articolo letto sul “Time” riguardante la Fossa delle Marianne gli ha dato un’idea per un romanzo: un megalodonte appartenente ad una razza vissuta migliaia di anni all’insaputa del genere umano che si ritrova trasportato in superficie, diventando così il più grande cacciatore degli oceani. Il risultato, intitolato The Meg viene pubblicato nell’estate del 1997 e – ci racconta la rivista “Total Film” n. 273 (agosto 2018) – la Disney acquista i diritti della storia prima ancora che il libro raggiunga gli scaffali delle librerie. L’idea di farne un film è quindi subito presa in considerazione ma, ci spiega la citata rivista, viene altrettanto prontamente chiusa in un cassetto davanti al flop al botteghino del film Warner Blu profondo (1999): a quanto pare, si dev’essere detta la Disney, non è più tempo di squali o megalodonti. Poveri ingenui…
Alten dice che il suo romanzo è stato opzionato tre volte per diventare un film, mentre “Total Film” ci presenta una storia più travagliata:

«Nel 2004 i produttori dietro Hellboy lo opzionano per Guillermo del Toro. Nel 2007 Jan de Bont, il regista di Speed, è stato ingaggiato ma le acque sono rimaste ferme fino al 2015, quando investitori cinesi sono saliti a bordo ed è stato ingaggiato Eli Roth. Solo che il regista di Hostel ne voleva fare un film vietato ai minori, il che dunque ha portato ad un altro caso di “uomo in mare”. Alla fine, all’inizio del 2016, con l’entrata in acqua della Warner Bros, è arrivato Jon Turteltaub

Questa è la storia “ufficiale” dei tentativi di portare The Meg al cinema, ma ce n’è un’altra che viaggia parallela, sotto le acque: una storia Z.
Se infatti la Disney e le altre case si sono fatte spaventare dall’insuccesso di Blu profondo, questo non ha certo fermato la bulgara UFO (Unified Film Organization), che per sfidare la fortunata serie Shark Attack della Nu Image Films scopiazza il romanzo di Alten e sforna Shark Hunter nell’ottobre 2001. (Arriverà in Italia in DVD DNC nel marzo 2007.)

Antonio Sabato jr.: il primo Jonas Taylor dello schermo

Il Jonas Taylor del romanzo originale diventa Spencer Northcut (interpretato dal sempre inespressivo Antonio Sabato jr.) che tiene conferenze e sogna di tornare in mare per dimostrare la verità a cui nessuno crede: il megalodonte esiste, è tutt’altro che estinto. Quando una pilota bionda gli offre di dare una mano ad una missione sottomarina, lo specialista accetta e insieme metteranno in scena la prima parte del romanzo di Alten, quella sottomarina. Ovviamente con i mezzi della serie Z di inizio Duemila, cioè mille miglia al di sotto dello zero.

Case ancora più minuscole subodorano che è il momento giusto di parlare di squaloni, proprio quando le grandi case non vogliono farlo. Nel novembre del 2000 Gary J. Tunnicliffe – il celebre truccatore della saga Hellraiser – e Stanley Isaacs hanno depositato una sceneggiatura dal titolo semplice, Megalodon, e piccole case se la pappano d’un sol boccone e la trasformano nel film Megalodon di Pat Corbitt, il primo a mostrare in video una storia originale (cioè non copiata da Alten) con il pesce preistorico.
Stavolta si va nelle profondità marine per varare una futuristica trivella che, com’è facile immaginare, libera dagli abissi un megalodonte che comincia ad attaccare i protagonisti incastrati nelle profondità marine. Risponde subito la Nu Image Films, che si sente attaccata nel proprio territorio: sfruttando un ritardo nella produzione riesce a battere il citato film con il suo Shark Attack 3. Megalodon di David Worth, che stavolta prende ispirazione dall’ultima parte del romanzo di Alten e porta lo squalone in superficie ad attaccare yacht e ricconi vari.

Capolavoro megalodontico!

Forse è proprio per via di questa produzione di serie Z, che si rifà non dichiaratamente al romanzo di Alten, che nel 2004 sono iniziati gli sforzi per produrre The Meg.

Negli ultimi anni il tema è letteralmente esploso, nelle librerie americane: cinque romanzi nel 2015 (Megalodon Rising di Alex Laybourne; Megalodons di Eric S. Brown e Clarence Wirtz; Megalodon Apocalypse di Eric S. Brown; Megalodon di Eric S. Brown; Hotel Megalodon di Rick Chesler) e quattro nel 2016 (Megalodon. Apex Predator di S.J. Larsson; Project Megalodon di Alex Laybourne; Megalodon: Feeding Frenzy di J.E. Gurley; Kraken vs Megalodon di Eric S. Brown). Tutti romanzi inediti in Italia, compresi i recenti Megalodon In Paradise (2017) di Hunter Shea e Operation Megalodon (2018) di Matthew Dennion.

C’era davvero bisogno di un nuovo squalone su grande schermo. Non un grande squalo, basta uno squalo grande.


Il romanzo di Steve Alten

Come dicevo, Alten stesso racconta che nell’agosto 1995 ha avuto l’idea per il suo romanzo leggendo un articolo sulla Fossa delle Marianne sul “Time”. Scritto per passione nel tempo libero dal suo lavoro di direttore generale di un’azienda che vendeva carni all’ingrosso, quando «un venerdì 13 del 1996 (il mio giorno fortunato)» Alten viene licenziato ecco che comincia a cercare un editore per il romanzo, scatenando addirittura «una guerra di offerte», almeno così la racconta lui.
Pubblicato nel giugno del 1997 e arrivato in Italia per Mondadori lo stesso anno (con la traduzione di Stefano Fusi), inizia per l’autore una prolifica saga del MEG, che diventa in pratica il suo marchio: un ciclo di romanzi che l’Italia ignora bellamente. Al massimo la seconda avventura del MEG, The Trench, entra nella sfortunatissima collana “Segretissimo Presenta” (traduzione di Marcello Jatosti), che ha prodotto solo libri immediatamente scomparsi nel nulla. Ah, questa seconda avventura del MEG viene ristampata da Mondadori il 28 agosto 2018.
L’autore si è dedicato anche ad altre tematiche, e il suo ciclo sulla Profezia Maya del 2012 quello sì che è arrivato in Italia: solo il meglio, per i nostri attenti lettori.

Nel 2011 Alten fa la furbata di scrivere un testo breve esclusivamente in eBook, Origins, dove viene raccontato l’episodio che nel romanzo MEG viene ricordato in flashback: cioè il primo incontro di Jonas Taylor con il megalodonte. Una robbetta di puro marketing che fa il paio con quella del 2015, in cui l’autore “riscrive” il romanzo unendoci il raccontino.

«Volevo combinare le due storie, ma la qualità della scrittura era molto diversa: in vent’anni ero maturato come scrittore. Perciò ho riscritto tutto il romanzo, ampliando alcune scene e sviluppando i personaggi, con l’aggiunta di illustrazioni che arricchiscono l’esperienza di lettura. È con grande emozione che vi presento questa edizione “riveduta e ampliata”.»

Così Alten ci spiega il romanzo che in Italia la Mondadori ha presentato con il titolo del film, Shark, il primo squalo (traduzione di Valentina Daniele).
Ovviamente non sappiamo quanto sia vero il discorso della “riscrittura”, visto che rimangono nel testo elementi che denotano l’epoca in cui è stato scritto: telefoni con il filo, riprese notturne virate sul verde e telecamere con pellicola. Non credo sia stata una riscrittura “profonda”.

La storia è un “aggiornamento” de Lo Squalo: Jonas Taylor ha visto uno squalone e nessuno gli crede, poi lo squalone fa danni e ora gli credono, chiedendogli di risolvere la situazione: sarà uno scontro corpo a corpaccione. Non è certo lo spunto ciò che contraddistingue il romanzo.
Va ricordato che quell’estate del 1997 il megalodonte non era il vostro dinosauro preferito, perché tutti guardavano alle creature di terra rilanciate da Jurassic Park: dei mostroni preistorici che abitavano gli abissi, e che avrebbero usato i dinosauri come stuzzicadenti, non fregava molto a nessuno. Quindi Alten ha gioco facile, essendosi informato sia sulla biologia degli squali “normali” che di quelli preistorici: può lanciarsi in lunghi pipponi tipici del monster thriller, dove ci spiega tutte quelle informazioni che oggi troveremmo su Wikipedia ma che nel 1997 hanno inchiodato i lettori.

Il romanzo, che è stata una mia piacevole lettura da spiaggia – e dove leggerlo, se no? – è la onestamente divertente storia del povero Jonas Taylor, fra i migliori subbaqui dell’esercito che un giorno ha un “incidente”: dicono che è stato un crollo e in effetti per colpa di superiori poco accorti ha fatto più immersioni del previsto… ma è assolutamente convinto di aver visto uno squalo gigante provocare la morte dei suoi colleghi.
Cacciato a pedate dai ranghi, usa i propri studi universitari per diventare professore esperto di biologia marina e scrive libri che raccontano lo stato delle ricerche sul megalodon, che se da una parte sono testi inattaccabili perché si limitano a riportare le prove note, dall’altra sono dileggiati perché l’autore crede che esistano ancora questi squali preistorici. Eppure la domanda che si fa Taylor è semplice: il fatto che nessuno li abbia mai visti, può essere considerata una prova sufficiente della loro inesistenza?
In fondo parliamo di animali che vivono in ambienti assolutamente inadatti alla vita umana, quindi non stupisce affatto che nessun pescatore li abbia adocchiati: i megalodonti e i pescatori vivono a svariate migliaia di chilometri di distanza.

Un giorno è avvicinato dalla famiglia Tanaka, e qui vorrei ricordarvi che il romanzo nasce in un periodo in cui gli americani sentivano i giapponesi come i nuovi “padroni”: ogni storia di ogni genere vedeva almeno un elemento giapponese “al comando”. Mentre i cinesi sono sempre stati manovali, schiavi, vittime e al massimo mafiosi locali, i giapponesi nell’immaginario americano sono sempre padroni, sin da quando il mondo ha assistito basito all’acquisto della Columbia Pictures da parte della Sony, evento di fine anni Ottanta che ricordo venne presentato come chiaro segno della fine del mondo occidentale.
Prendete un qualsiasi romanzo, film o fumetto degli anni successivi, e ci sarà un giapponese in posizione “alta” nella storia, che sia buono o cattivo. O robo-ninja come in Robocop 3. Comunque Alten deve per forza mettere i giapponesi nella storia perché gli serve una famiglia di super-mega-ricchissimi che vuole costruire un acquario di balene: e chi ce li ha i soldi nel 1997? Solo i giapponesi. (Oggi sarebbero i cinesi… e infatti nel film sono cinesi!)

I Tanaka hanno bisogno dell’esperienza di Jonas Taylor sia come biologo “squalesco” che come subbaquo: uno dei loro sottomarini si è incagliato nella Fossa delle Marianne per un guasto ignoto… e le telecamere mostrano qualcosa che assomiglia ad un dente di squalo. Grosso come un’anguria.
Jonas parte e fra una spiegazione e uno screzio, fra il passato che ritorna e altri classici espedienti narrativi – comunque gradevoli per una lettura da spiaggia – succede il casino: trascinando in superficie il sottomarino… si portano appresso lo squalone!
Occhio, però, perché i megalodonti pare si mangino fra di loro, e mentre i Tanaka senza saperlo stanno portando in superficie un maschio ferito… da sotto c’è la femmina, molto più grossa, che se lo sta mangiando, salendo anch’essa in superficie.

Il resto della storia è l’inseguimento attraverso gli oceani, con i giornalisti che vogliono fare lo scoop, l’esercito che vuole bombardare l’oceano intero e Jonas e i Tanaka che vorrebbero prendere il megalodonte vivo per metterlo nell’acquario delle balene. (Sai come sarebbero contente, le balene?)
Ripeto, una perfetta storia da spiaggia che si legge con piacere e in più punti è anche divertente, anche se non stiamo certo parlando del romanzo dell’anno.


La cialtronata con Jason Statham

Dopo i tanti sforzi raccontati per portare il film in sala, la Warner finalmente trova la formula perfetta, del tutto compatibile con la qualità della casa degli anni Duemiladieci: così ne fa una imbarazzante cialtronata, robbetta per ragazzini perfetta per lo spettatore occasionale.
La Warner BroZ – perché ormai è la più spendacciona delle case di serie Z – lo fa uscire nelle sale italiane il 9 agosto 2018 (fonte: ComingSoon.it) e portate pazienza: il DVD e il Blu-ray sembra che siano previsti addirittura per il 2019! Forse che si aspettano che il film duri in sala più di un paio settimane? Cos’è, hanno mangiato pane e ottimismo?
Dopo aver attentamente studiato quale potesse essere il più ridicolo, stupido e buffonesco titolo italiano, hanno avuto l’illuminazione: Shark, il primo squalo. Ma il primo in che cosa?

— Diamo il via alla penetrazione.
— Hai detto penetrazione? ahahahha

Questo il momento più alto di una sceneggiatura che mi stupisce Steve Alten non abbia denunciato per danni: ma quanto l’hanno pagato per farlo stare zitto sul fatto che l’unica penetrazione è quella che ha subìto il suo romanzo?
Alten ha subìto l’Effetto Asimov, ma mentre nel caso di nonno Isaac hanno dovuto aspettare che morisse – altrimenti il combattivo scrittore avrebbe personalmente raso al suolo i cinema che proiettavano quel letame di I, Robot (2004) – la Warner ha riservato lo stesso trattamento ad Alten ma da vivo. Se non si è lamentato l’autore, evidentemente ci ha guadagnato parecchio dallo stupro del suo romanzo.

Alten se la ride: chissà che assegno gigante ha trovato nelle sue acque…

Asimov ha impiegato circa cinquant’anni, gran parte della sua intera vita da scrittore, a ricordare, sottolineare, spiegare e specificare che il cervello positronico non può uscire fallato dalla fabbrica, poi nei primi cinque minuti di I, Robot esce un cervello positronico fallato dalla fabbrica.
Alten ha impiegato meno risorse, ma comunque un numero sostanzioso di pagine del suo romanzo spiegano per filo e per segno perché tutto ciò che vediamo nel film sia pura spazzatura: i clown addetti alla sceneggiatura del film Warner hanno studiato con attenzione le lunghe e precise descrizioni di cosa NON poteva succedere con un megalodonte… e l’hanno fatto succedere. Non è un caso, hanno scovato ogni singola parola scritta nel romanzo per il puro piacere di fare l’esatto contrario su schermo.

Sì, bravo, ammazza uno squalo grande come un palazzo con un coltellino…

Jonas Taylor non è più un professore dal passato tormentato: ora è Rambo che sonnecchia in un bar thailandese, manco fossimo tornati negli anni Ottanta. Mi aspetto che entri un esploratore in cerca di una guida locale o Stallone che rivoglia il suo ruolo. Invece è Jason Statham, che ovviamente fa il duro più duro e agli squali glie ammazza la testa, come Maccio Capatonda.
E le approfondite ricerche che rendono Jonas Taylor utile ai Tanaka? Zero, ora i cinesi – perché nel frattempo la Cina ha fatto i soldi – hanno semplicemente bisogno del primo stronzo che ha visto uno squalo. E Jonas una volta ha visto uno squalo. Ammazza che curriculum!

Ah, ma questo è uno squalo? Allora no, non l’avevo mai visto

Il problema principale della minchiata filmica della Warner Bros è che si tratta in pratica di un bignamino del romanzo, un riassuntino sbagliato che però deve andare di corsa. Sapete perché il film del 1975 di Spielberg durava due ore? Perché aveva bisogno di due ore per farti entrare dentro la storia, per portarti ad avere una naturale fottuta paura del mare, per farti capire che cazzo di mostro sia uno squalo. E lì era uno squalo “normale”. Qui dunque come minimo servono due ore e mezzo…
Sapete perché questa cialtronata della Warner dura per puzza 100 inutili minuti? Perché finiti i dialoghi avevano 90 minuti di buco e non sapevano che fare. Ma sì, mettiamoci i bagnanti che scappano davanti allo squalo, che agli spettatori piace.
Scusate, ma il romanzo di Alten non ha preso neanche in considerazione l’idea perché è impossibile che uno squalo grande come un palazzo riesca a nuotare nell’acqua di un metro davanti alle spiagge, com’è fisicamente possibile che quel gigante nuoti sotto i piedi dei bagnanti? Rispondono gli sceneggiatori della Warner: e a noi che ce ne frega a noi? Ambientiamo ’sta cazzata nelle Filippine perché lì la gente fa il bagno nell’acqua profonda venti metri, a un passo dalla riva, va bene? Ci sei stato nelle Filippine? No? E allora che vuoi?

Il vero (stupido) motivo per cui la WB ha fatto il film

È ovvio che questo carrozzone di film, un altro grande titolo imbarazzantemente Z della Warner, voglia puntare tanto sull’umorismo per bambini scemi, tipo la scena del barboncino mangiato dallo squalo (o forse no) peccato che l’abbia copiata para para dall’infinitamente migliore Shark 3D (2012), film indipendente che è Hitchcock in confronto a ’sta roba.

A copioni!!!!!!

È ovvio che la Cialtroner Bros volesse un film estivo con lo squalo che mangia i bagnanti, e allora perché non si è limitata a fare una sharknada qualsiasi? Ogni anno escono film di squali a pioggia, perché disturbare un romanzo in cui ogni singola parola è impossibile da rendere in video per una banda di buffoni com’è diventata la Warner?

No, Jason, è ancora troppo piccolo, quel fucile…

Tutto va di corsa, tutto è buttato a cazzo, personaggi entrano ed escono col fiatone, storie d’amore si dipanano sull’orlo di fotogrammi, rapporti interpersonali si esauriscono così velocemente che se chiudi gli occhi non capisci più come mai Heller (il bravo Robert Taylor) fa lo stronzo per mezzo film poi d’un tratto è il migliore amico di Jonas: oh, ma che è successo? Ho solo sbattuto gli occhi… Ecco, hai sbagliato: questo film va visto in “modalità Arancia meccanica“, se no perdi pezzi interi di trama.

Una tristissima banda di figuranti la cui inutilità fa male a pelle

Dieci secondi di sguardi fra Jonas e Suyin (Li Bingbing) e abbiamo sbrigato la storia d’amore che piace alle spettatrici; venticinque secondi con Jaxx (la titanicamente inutile Ruby Rose) e abbiamo fatto la marchetta all’attrice idolo delle lesbiche; Page Kennedy che dice due cazzate e abbiamo rispettato la legge che dagli anni Quaranta impone ad Hollywood almeno un attore nero in ogni film, anche dove non ce n’è minimamente bisogno; diciotto secondi e mezzo di immersioni a un metro di profondità per far capire che Jonas è un super esperto di immersioni; otto secondi e tre quarti di fondale marino per far godere gli amanti degli effetti speciali inutili; tre frazioni di barboncino, otto venticinquesimi di umorismo bambinesco, mezz’etto di squalo, che faccio signo’, lascio?
Scusa, perché stai correndo? Se devi fare altri film ti aspetto, chiamami quando hai finito questo…

Lo sai, tesoro, che sei solo un stupido buco di sceneggiatura?

In un rutilante susseguirsi di nulla, stando attenti a stuprare ogni singola pagina del romanzo, The Meg dimostra una volta di più la putrefazione della Warner Bros, che spendendo 130 milioni di dollari ha tirato fuori una robaccia indegna di un film bulgaro dal budget di una stretta di mano.
Non mi resta che consigliarvi caldamente il romanzo di Steve Alten, che al confronto con il film è da Premio Nobel, e lasciarvi con un interrogativo. Perché dare quel nome al protagonista? Perché raccontare di uno che dà la caccia ad un gigantesco pesce… e chiamarlo Giona?
La risposta mi sembra ovvia, ed è il perfetto simbolo della serie Z: è ovvio dove vai a finire, ciò che conta… è da che buco passi! Perciò, in culo allo squalo!

L.

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32 risposte a The Meg (2018) Shark, il primo squalo

  1. Il Moro ha detto:

    Già non volevo vederlo, ora mi hai convinto del tutto! Credo che piuttosto mi riguarderò il trailer di Sharkanado 6 che ho visto per caso ieri e che è da solo una perla del trash più demenziale… almeno fa ridere! (il trailer. il film non saprei)

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Infatti, almeno la Z vera fa ridere: la WarnerZ è solo un costoso giocattolo fasullo che annoia mortalmente perché pensato per i bambini scemi che la Warner crede costituiscano il proprio pubblico. Battutine da prima elementare, uno squalone gommoso che non metterebbe paura solo a chi non abbia mai visto un film in vita sua, e una sceneggiatura così demenziale da fare una rabbia infinita.
      Te lo sconsiglio caldamente, invece se ti capita il romanzo te lo consiglio: niente di eccezinonale, ma un onesto intrattenimento balneare 😉

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  2. Conte Gracula ha detto:

    Perché mi hai ricordato che esiste quella boiata di film di Io, robot?
    Comunque, sto pensando di scrivere un saggio su come i libri vengano storpiati al cinema, per dissuadere gli aspiranti scrittori scarsi a inondare coi loro brutti libri il mercato. Siccome nessuno lo leggerebbe, ne farei fare un film 😛

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      ahahaha geniale! 😀
      Da come è contento Steve Alten che il suo romanzo sia stato stuprato in video temo che gli autori ricevano compensi così alti che sono ben felici di vedere smerdato il loro lavoro. E parliamo di un onesto buon romanzo, figuriamoci le stupidate!

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      • Conte Gracula ha detto:

        Non è che i budget siano sempre milionari – a volte, è la paghetta ricevuta da un adolescente per il suo bar mitzvah (tanto per infilare l’idea solita che gli ebrei ci manipolino col cinema in segreto, ma in versione più povera).

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Qui la Warner pare abbia investito 130 milioni di dollari, quindi mi sa che ha messo insieme le paghette di tutti i suoi dipendenti! Ma ormai più è alto il budget, più la mattonata fa male: infatti risplende Jason Blum che spende al massimo 5 milioni a film…

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  3. Willy l'Orbo ha detto:

    Prima ancora di leggere la tua recensione ti copio/incollo quella, sintetica, di un mio amico cui basta vedere uno squalo per essere in estasi: Il film faceva cagare. 😂😂😂

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  4. nik96 ha detto:

    io questo film l’ho visto al cinema a me è piaciuto non è stato brutto ci sono film di squali peggiori.

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  5. Cassidy ha detto:

    Cento volte meglio questa recensione del film, non mi aspettavo niente di meno dal Zinefilo, l’analisi del libro poi è una chicca, malgrado il film sia penoso il libro vorrei leggerlo, dopo questo post ancora di più. Ho visto il film durante queste ferie, non vedo l’ora di scriverlo per prenderlo a pugni, perché è dalla fine dei titoli di coda che ho voglia di trattarlo male questa robaccia, mi è piaciuta solo una scena, Giasone che fa il vero a Dory di “Alla ricerca di Nemo” il resto, fuffa! 😉 Cheers

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  6. Zio Portillo ha detto:

    Avevo uno shot da giocarmi al cinema ed erano in ballo questo e “Ant-Man 2”. Avrei deciso all’ultimo non aspettandomi nulla da entrambi, anche se la bilancia pendeva più per i pigiamoni Marvel visto che il primo era stata una piacevola sorpresa mentre di questo “The Meg” sentivo la puzza di marcio da chilometri di distanza. Poi per motivi strani che non sto a raccontare mi sono dato buca da solo e ho perso il treno. Fortuna che leggendo questo post (e spulciando in giro i pareri del film Marvel) mi sa che mi è andata di lusso!

    Devo però essere sincero al 100%: questo Megalodonte l’ho già pescato ed è nella mia rete usb. Ora sono curioso di guardarlo per capire che putt@nata immane sono riusciti a fare quelli della WB.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Non puoi usarmi come metro di giudizio perché “Ant-Man 2” non merita neanche una mia recensione: preferirei rivedermi dieci volte The Meg che quello! 😀 Già il trailer mi provoca forti conati, più della media della roba Marvel, quindi in ogni caso non ti sarei stato utile per decidere a quale spettacolo andare: se la scelta era fra Ant-Man e Meg, perdere il treno è stato quanto di meglio potesse capitarti 😛

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  7. gioacchino di maio ha detto:

    Mi pare di aver letto che lo sceneggiatore abbia affermato che ” The Meg è come ‘Sharknado’ se avesse un budget di 150 milioni e un cuore. Sappiamo che è oltraggioso, ma è anche molto divertente”. Forse non ha proprio un cuore, ma da un film sugli squali dopo Spielberg e i vari Sharknado è difficile pretendere di più. Con molta astuzia è stato confezionato per un pubblico cinese, solo quelli hanno ripagato il budget, da noi continua e reggere al secondo posto almeno da un paio di settimane, e come filmetto estivo non sarebbe proprio da scartare.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Credo che lo sceneggiatore non abbia mai visto né Sharknado né un film sugli squali, visto che ha volutamente cancellato ogni buona trovata “squalesca” del romanzo per puntare su scenette indegne, tipo il panico sul bagnasciuga – copiato da “Piranha 3D” – e il cagnolino – copiato da “Shark 3D” – e aver ridotto un megalodonte ad uno squalo un po’ cresciuto. Per tutto il film non fa alcuna differenza se sta parlando di uno squalo, di un megalodonte o di un polipo, perché la sceneggiatura è assente e viene semplicemente riassunto (male) il romanzo. Gli sceneggiatori sono riusciti a fare peggio di “Shark Hunter”, che nel 2001 scopiazzava apertamente il romanzo di Alten ma furbamente non tutto: solo la prima metà, mentre “Shark Attack 3” ne scopiazzava furbamente la seconda metà. “The Meg” è più furbo di tutti e in 100 minuti vuole raccontare un romanzo che servirebbero due film a presentare, così da andare di corsa e limitarsi a battutine sulla “penetrazione”, al nero che non sa nuotare, a Statham che fa Statham e quindi al nulla che piace tanto al pubblico.
      Non mi stupirebbe che “The Meg” diventi campione d’incassi, il pubblico ha premiato porcate peggiori, ma essendo costato 130 milioni perché si parli di successo dovrà incassarne almeno 200 in tempi rapidi, mentre “Sharknado”, che l’hanno visto in decine di milioni di spettatori, bastava che vendesse due copie del DVD per rientrare delle spese. Ecco perché la vera Z vincerà sempre sulla Cialtroner Bros…

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      • Giuseppe ha detto:

        Se diventasse campione d’incassi i sequel sarebbero inevitabili, a quel punto: il problema è che essendo Alten un autore non propriamente per ragazzini, e cioè il target privilegiato per questo nuovo (?) filone megalodontico, un adattamento “adulto” dei suoi romanzi molto difficilmente (eufemismo) lo vedremo mai su grande schermo. D’accordo, l’innocuo giocattolone per famiglie la prima volta ci può pure stare, ma se -legittimamente- si cerca anche ben altro la seconda già sarebbe di troppo 😦

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Perché non si sono limitati ad uno Shark Tale con Statham? Ormai si possono fare film solo per ragazzini, perché cercare nei romanzi adulti?
        Che rabbia vedere tanti soldi e tanti bravi attori sprecati in una trama demenziale e urticante: mezzo film a chiacchierare su una barca… sarebbe questo il grande kolossal?

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  8. nik96 ha detto:

    ti consiglio di recensire Open Water almeno il 3 se ti va ok.

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  12. Cristian Maritano ha detto:

    Perfetta analisi! Come sempre 😉

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  13. nicholas ha detto:

    Lucius Etruscus volevo dirti che quando è uscito questo film l’ASYLUM è sempre preparata a fare i suoi film infatti nel 2018 è uscito Megalodon con Michael Madsen non perderlo ora è pure disponibile in italiano

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  16. nicholas ha detto:

    in questo Film mancava solo una cosa Lucius Etruscus ovvero sarebbe stato bello se c’era anche qui la scena dove lo squalo affonda un aereo sarebbe stato bello ma purtroppo non ci hanno pensato peccato

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  19. nicholas ha detto:

    ad agosto esce al cinema SHARK 2 L’Abisso.

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