Stavolta vi porto alle origini del mito, quando il pubblico di Hong Kong prima e del mondo intero dopo (tranne l’Italia) impazzì per un eroe come se n’erano mai visti prima: Fang, lo spadaccino monco.
Ovviamente, il padre di tutti i maestri sciancati…
Hong Kong anni Sessanta. Nato nel 1901, ha sessant’anni Renmei Shao quando diventa produttore di una casa fondata con i suoi fratelli, usando la grafia internazionale del proprio cognome: Renmei Shao diventa da allora Runme Shaw, uno degli Shaw Brothers, o più semplicemente Shaw Bros, come la Warner Bros.
La casa produce i film che vanno di moda, drammoni storici in costume con canzoni e tanto ammore fra i protagonisti, dove ad avere peso sono le star femminili adorate dal pubblico e raccontate dai rotocalchi. È un onesto intrattenimento che però comincia ad andare stretto alla casa: perché non provare qualcosa di più “serio”, qualitativamente più curato, che contraddistingua i propri prodotti in un mercato come quello asiatico dove la concorrenza è spietata?
Runme assume uno scrittore e critico cinematografico molto preparato e seguito, proveniente da famiglia militare: un certo Chang Cheh. Saprebbe mica creare film più seri?
John Woo, Tsui Hark, Jackie Chan e tutte le future star di Hong Kong sono ragazzetti che muono i primi passi sui set di Hong Kong quando con occhi sgranati assistono all’arrivo del Maestro: l’epica ha appena invaso il cinema, e niente sarà più lo stesso.
Cresciuto in tempi di guerra, in una nazione umiliata dagli stranieri, Chang Cheh è l’Omero del cinema asiatico, che dalla piccola Hong Kong parla a tutta l’umanità di valori universali. Valori come l’onore del guerriero: non l’onore paesano di accoltellare chi ha guardato tua moglie, non l’epica volgare del guitto da strada, ma l’onore superiore che esula addirittura dal corpo.
L’onore di rimanere un guerriero anche senza un braccio. Perché non sono le parti del corpo a fare la somma: è l’epica a tenere insieme un guerriero. E Cheh, in ogni suo film, parla di epica. Infatti i suoi film sono arrivati poco e male in Italia…
Era il settembre del 1969 quando nelle vetrine dei cinema d’Italia un possente uomo asiatico a torso nudo agitava una grande frusta e un roboante titolo strillava Mantieni l’odio per la tua vendetta. Gli italiani che fossero passati davanti a quella locandina non dovevano sapere che si trattava di un film cinese, cosa probabilmente non frequente sui grandi schermi nostrani, quindi venivano citati solo i nomi di due attori: Oswald Gis ed Ann Elois. Ma chi sono? E che razza di nomi sono? Nomi apolidi, incomprensibili ma vagamente europei, pura invenzione dei pubblicitari perché al Ministero del Turismo e dello Spettacolo, per ottenere il visto censura il 29 maggio 1969 con divieto ai minori di 18 anni, sono stati presentati i nomi veri degli attori. (Presenti anche nelle successive locandine, come quella riportata ad inizio pezzo.)
Il trucco non ha funzionato: alla prima scena era chiaro che erano tutti “cinesi” (espressione italiana che raggruppa le infinite etnie asiatiche dagli occhi a mandorla, dai kirghisi ai mongoli) e gli italiani non sono famosi per amare le novità, a meno che qualcuno non le imponga loro spacciandole per buone. Nessuno spacciò per buono Chang Cheh e l’esperimento fallì: sarebbero passati quattro anni prima che Cinque dita di violenza, una baggianata mille volte inferiore, facesse letteralmente esplodere i cinema italiani e mentre la stampa massacrava i film di Hong Kong e Oriana Fallaci li giudicava fascisti gli spettatori si menavano per vederli, decretandone un successo come raramente si è visto in Italia.
Chang Cheh è stato quasi sicuramente il primo autore cinese ad arrivare in Italia, il suo film è stato sicuramente il primo wuxiapian ad essere proiettato nei cinema nostrani, ma la sua epica che ha conquistato il mondo ha fallito con gli italiani, i quali invece si sono appassionati alle botte, alle storie di campagnoli che menano i boss, all’eroe senza divisa che riscatta l’onore di una donna e altre storie di paesello. Quelle sì comprensibili per noi. Per citare un titolo italiano del 1973, “Storia di karate, pugni e fagioli”…
La cinematografia di Hong Kong è sempre stata di una prolificità stratosferica e allo stesso tempo evanescente come poche: a parte i suoi grandi titoli, che hanno girato il mondo, trovare informazioni precise sugli altri è impresa ardua se non impossibile.
Per esempio è altamente probabile che quando il 26 luglio 1967 uscì nelle sale del Paese 獨臂刀 (Du bei dao, “Coltello a un braccio”, dice Google Translate) in realtà si trattava di una sorta di remake di 斷臂神龍劍 (“Spada drago drago rotto”???, noto in inglese anche come Dragon Sword of the Broken Arm), prodotto dalla stessa Shaw Bros ed uscito il 13 luglio 1966: sia il film del 1967 di Chang Cheh che quello del ’66 di Miu Hong Nee sono distribuiti nel mercato anglofono con il titolo One-Armed Swordsman e probabilmente hanno la stessa trama.
Del film del ’66 non rimane molto, anche se fosse lui l’originale non importa: quello che ha conquistato il mondo è il film di Cheh.
La vita del guerriero Fang nasce all’insegna della morte e del sangue. Da bambino, una notte assiste al sacrificio del padre: l’uomo difende con la vita il vigliacco attentato di una banda di criminali al suo padrone, il famoso spadaccino Qi Rufeng (Tien Feng, il maestro della scuola dei “buoni” di Dalla Cina con furore).
Rufeng aveva accolto l’uomo nella propria casa e gli aveva dato un tetto e un lavoro, quindi è senza battere ciglio che il servo dona la vita al posto del padrone. Prima di esalare l’ultimo respiro, l’uomo chiede a Rufeng il dono di prendersi cura del proprio figlioletto, che ora lascia orfano e senza famiglia. Lo spadaccino acconsente.
Il bambino piangente abbraccia il padre morto con onore e solleva da terra la sua spada spezzata intrisa del sangue dei suoi nemici: un orfano destinato alla miseria è appena diventato un guerriero allievo del grande spadaccino Rufeng.
Gli anni passano ma le scuole marziali cinesi non è che siano diverse dal canone “cenerentolesco”. Il giovane orfano è cresciuto, ora è Fang Kang, con il volto del 23enne Jimmy Wang Yu, cinese di nascita ma campione di nuoto di Hong Kong, attore da circa due anni e pronto ad entrare con questo film nel Gotha della cinematografia di Hong Kong, nonché a diventare fra i primissimi attori cinesi ad essere noto a livello internazionale. (Italia a parte, ovviamente.)
Il sifu, il maestro, ha una figlia viziata, Pei (Violet Pan Yingzi), e altri due allievi particolarmente antipatici e tronfi ma figli di noti ed onorevoli spadaccini. Quindi l’unico a non contare nulla è Fang, figlio d’un servo, ed infatti in assenza del maestro Pei lo tratta da servo e gli altri due gli fanno dispetti.
Come regola vuole, però, Fang è l’unico in cui il maestro ripone fiducia e stima: addirittura sta per sceglierlo come suo successore.
Non stupisce che gli altri “fratelli” non vedano l’ora di toglierlo di mezzo.
Trascinato nel bosco per via di una sfida, è subito chiaro che Fang è più bravo di tutti gli allievi messi insieme, e alla richiesta di Pei di combattere anche con lei risponde battendola velocemente. La ragazza viziata, in un motto d’ira, sferra il più vigliacco dei colpi: malgrado lei stessa avesse proposto di combattere a mani nude, sfodera la spada… e con un colpo trancia di netto il braccio destro di Fang.
Il figlio d’un servo era cresciuto con il mito di un padre onorevole a cui aveva giurato, in punto di morte, di renderlo fiero votando la propria vita a diventare un guerriero onorevole: ora è tutto finito. Non in guerra, non in battaglia, non con onore: tutto è finito con il capriccio di una ragazzina viziata.
Distrutto, Fang non può fare altro che gettarsi in un fiume gelato.
Il Destino aveva altri progetti per il nostro eroe, quindi gettandosi nel fiume in realtà il guerriero sanguinante finisce nella barchetta di Xiao Man (Lisa Chiao Chiao), umile contadina del posto che si prende cura di Fang per una settimana, mentre egli rimane svenuto.
Al suo risveglio e passato lo shock, Fang rimane a vivere con l’unica persona che gli è rimasta al mondo: una donna senza cognome, perfetta per il guerriero senza un braccio.
Ma la donna nasconde un segreto: è l’esatta antitesi di Fang. Lui è un umile che vorrebbe riscattarsi mediante il combattimento, mentre lei ha rinunciato al combattimento preferndo la vita umile: il padre della donna, infatti, morendo le aveva lasciato un manuale di combattimento che avrebbe dovuto studiare una volta cresciuta. Xiao non l’ha fatto, perché la vendetta porta solo vendetta.
Fang non è così, non si accontenterà mai della vita umile, lui sente dentro di essere un guerriero, e quindi la donna – malgrado non voglia che lui combatta – cede e gli dona il manuale del padre. Un manuale per il combattimento con la mano sinistra… guarda caso!
Va sottolineato come sia nei wuxiapian (combattimenti all’arma bianca) che nei gongfupian (combattimenti a mani nude) il tema del “manuale segreto di kung fu” è molto ricorrente, come se leggendo un rozzo libro con figure si diventasse in brevissimo tempo dei campioni.
Intanto Cheng Tian Shou detto Tigre Sorridente (Tang Ti), fratello del Diavolo dal Lungo Braccio (Yeung Chi-Hing) che anni prima è stato battuto da Qi Rufeng, sta ordendo nell’ombra: vuole sterminare sia il vecchio nemico che tutti i suoi allievi, e per farlo ha inventato il “blocca-spada”, un marchingegno infido per vincere con l’inganno.
Fang ovviamente vuole difendere il proprio maestro, che si è preso cura di lui, e anche della viziata Pei: è vero, l’ha distrutto rendendolo monco, ma è anche la figlia del maestro, e per questo va difesa.
Xiao cerca di fermarlo, cerca di convincerlo a lasciar stare chi gli ha fatto solo del male e a cambiare vita per sempre: Fang è perfettamente d’accordo sul cambiare vita, ma… prima deve saldare i conti con il passato. Perché l’epica non racconta guerrieri che combattono perché lo vogliono: lo fanno perché devono.
Mentre il perfido cattivo usa l’inganno per falcidiare i membri della scuola di Rufeng, i quali giungono alla decisione di uccidersi nel disperato tentativo di salvare il maestro, arriva Fang: con lui i trucchi non funzionano, perché usa uno stile inedito, perché è senza il braccio destro e perché usa la spada spezzata lasciatagli dal padre.
Alla fine Qi Rufeng, grato, invita il suo allievo migliore a tornare nella scuola e a diventarne maestro, ma ormai Fang non è più un guerriero: ha pagato il suo debito e si allontana verso l’orizzonte della sua nuova vita umile. Ma potete scommetterci: tornerà…
Chang Cheh veniva considerato l’autore del “nuovo cinema”, perché la rivoluzione che ha portato sullo schermo è davvero di quelle potenti. Non solo storie drammatiche, anzi melodrammatiche, e profondamente epiche, ma soprattutto una qualità tecnica che il cinema di Hong Kong non aveva.
Fondali, luci, una fotografia da urlo e innovazioni tecniche che sbaragliano ogni concorrenza: l’uso delle sacche di pomodoro liquido, così da rendere coloratissimi i litri di sangue che mediamente scorrono nei suoi film, e l’uso del trampolino, il cui inventore si ritaglierà il ruolo di attore come cattivo big boss nel primo film marziale di Bruce Lee, Il furore della Cina colpisce ancora.
Il genere wuxiapian è nato insieme al cinema di Hong Kong, ma Chang Cheh l’ha fatto esplodere a livello internazionale con sangue, salti ed onore: ogni suo eroe è un eroe tragico, ogni sua storia parla di dolore, sacrificio e morte in nome di valori elevati. Grazie poi ad una classe di attori di grande carisma, Cheh conquista il mondo… tranne l’Italia, ovviamente.
Nel 2008 la Celestial Pictures ha restaurato il film in maniera impeccabile, come ha fatto con l’immenso e sconfinato catalogo della Shaw Bros: nei rarissimi e infinitesimali casi in cui questi prodotti sono arrivati nel nostro distratto Paese, sono targati AVO Film. La casa, nota sin dagli anni Ottanta per prodotti home video non sempre di buona fattura, negli ultimi giorni di vita ha avuto un moto d’orgoglio e ha portato in videoteca DVD di una qualità mai vista in Italia, limitandosi a presentare doppiate le splendide edizioni Celestial Pictures.
Se il doppiaggio di questi film sia stato recuperato dalle pellicole degli anni Settanta italiani, purtroppo lo ignoro: non so se sia più costoso recuperare quelle “pizze” o ridoppiare questi film. (A orecchio mi sembrano voci “moderne”, prive di quelle inflessioni vocali tipiche degli anni Settanta.)
Lasciamo lo spadaccino monco al suo destino. Forse ha trovato pace insieme a Xiao, nella loro umile casa di contadini, o forse il cuore guerriero che batte potente nel suo petto lo porterà a tornare in azione non appena un altro potente sarà così vigliacco da prendersela coi più deboli.
I potenti vigliacchi sono tanti, quindi il nostro “maestro sciancato” dovrà fare gli straordinari…
L.
P.S.
Dimenticavo: tempo fa mi sono divertito ad omaggiare Fang per creare… Fango, il monco che si unisce al variopinto gruppo di guerrieri di Giona Sei-Colpi nell’Italia del Risorgimento di Tenebra!
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Versione breve: Facciamo che questo è uno dei post migliori del Zinefilo? Si dai 😉
Versione estesa: Il film lo conosco e gli voglio molto bene, gli hai reso davvero giustizia, aggiungendo tutta una serie di informazioni che non conoscevo, bravissimo! Ma il succo è davvero questo, un eroe epico non combatte perché vuole ma perché è un dovere morale farlo, la mia conoscenza dei film degli Shaw Bros è lacunosa, ho visto abbastanza e spero tutte le cose importanti, ma non tutto, quindi sapevo che questa rubrica era destinata a galvanizzarmi 😀 Cheers
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Credo che neanche gli abitanti di Hong Kong abbiano visto tutti i miliardi di film Shaw Bros, sarebbe umanamente impossibile 😀
Scherzi a parte, purtroppo questi gioielli sono arrivati poco e male in Italia, paese che ha prediletto la roba economica e quindi la scolatura, prendendo con il contagocce i capisaldi: almeno questo rende fattibile vedere i film Shaw in italiano, visto che sono un numero molto limitato 😛
Fang è un grande mito che era ora venisse omaggiato in Italia ^_^
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The Blade Tsui Hark sarebbe un simil remake di questo ?all’Unieuro vendono 3 film insieme della Shaw Bros di Cheh
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Ogni film di Cheh che riesci a vedere sono soldi ben spesi ^_^
E sì, “The Blade” è dichiaratamente il remake/reinterpretazione del mito, che già negli anni Settanta è stato ampiamente remakato e reinterpretato, come vedremo in future puntate della rubrica 😉
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Non l’ho preso comunque su Ibs c’è il volume 2 contiene Le sette anime del drago, I sette guerrieri del kung fu il primo volume contiene: Le invincibili spade delle Tigri volanti(1969 -versione prima uscita ), I dodici medaglioni (1970 – versione prima uscita ), (1992 – versione prima uscita ). Me lo ricordo perchè come attore c’e Ti Lung che ho visto nei 2 A Better Tomorrow di Woo, il bello che costava solo 7,90 euro.
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Io te lo consiglio ma ovviamente deve piacerti il genere: sono di serie A++ ma sempre wuxiapian di Hong Kong anni ’70 rimangono!
Ti Lung è un mito e infatti sbuca ovunque, nei film di Cheh: insieme a David Chang era l’eroe tragico per eccellenza.
Non so perché venga specificato “versione prima uscita”, perché: qual’è la seconda uscita???
Le Tigri Volanti ha una particolarità che curiosamente è sfuggita a tutti: presenta la struttura “a pagoda” qualche anno prima che Bruce Lee la rendesse protagonista del suo Game of Death! Risulta davvero difficile credere che uno dei più famosi attori di Hong Kong non conoscesse un film appena uscito: secondo me gli è piaciuta l’idea e se l’è presa 😛
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Di wuxia/gongfupian ho visto ben poco… figurati se mai io sia inciampato in questo!
Sembra figo. Spero che la figlia del maestro abbia preso almeno due ceffoni dati col tagliere, babbea schifosa (le mutilazioni dei personaggi mi colpiscono sempre).
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Vedi, non hai il senso dell’epica: se la sua vittima l’ha perdonata, perché non puoi farlo anche tu? 😀
Comunque la trovata deve aver fatto storcere qualche naso già all’epoca, perché nei successivi reboot/remake il nostro Fang perderà il braccio in modi più “onorevoli” 😛
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Ma si può anche perdonarla, però deve imparare a non farlo più! Non è che può sciancare spadaccini a tradimento quando le pare…
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Dài, esce fuori che segretamente è innamorata di Fang, gli ha staccato il braccio come segno d’affetto! 😀
Ti ricordi quando da ragazzini dare uno spintone ad una compagna di scuola significava che ci piaceva? Ecco, qui è la stessa cosa 😀
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Quindi se lui ricambiasse tagliandole il tendine d’Achille, sarebbe tutto ok… 😛
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ahahah uno scambio “onorevole” 😛
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Duro l’amore, ai tempi del wuxia 😛
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Visti poi quanti si suicidavano per amore o per onore, diciamo che ne feriva più il cuore che la spada 😀
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Porca pu…pazza che rubricona da leccarsi i baffi! Ottimo post caro Lucius, si vede che la materia ti sta molto a cuore. A parte i film di Bruce Lee ho solamente visto qualche pellicola di cui ignoro titolo, attori, casa di produzione,… Da ragazzino li beccavo molto spesso trasmessi da qualche rete regionale i pomeriggi. Ergo, della materia non ne so un emerito cavolo. Sarà un piacere scoprirla attraverso i tuoi racconti.
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Ti ringrazio e ovviamente sì, l’argomento mi sta a cuore come ogni aspetto del cinema marziale, sin da quando ho memoria ^_^
Bei tempi quando piccoli canali locali trasmettevano quelli che venivano considerati piccoli film ma in realtà erano i capolavori con cui Chang Cheh ha conquistato il mondo. Film epici, con eroi che si immolavano e guerrieri che combattevano da soli contro eserciti, in scene di lotta dalla durata allucinante! Purtroppo quando ho capito quanto erano preziosi quei film, i canali hanno smesso di trasmetterli…
Vedrai che la rubrica ha ancora belle chicche in serbo 😉
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E, immagino, saranno illustrate ogni volta con dei post di pari livello 😉 Il che mi aiuterà a ricordare quanto io possa effettivamente aver visto dell’opera di Chang Cheh su quei piccoli canali locali che, ovviamente, bazzicavo pure io 😉
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Nella grande stagione delle videoteche, prima dell’appiattimento dell’èra Blockbuster, tanti film di Cheh sono giunti in VHS ma con fantasiosi titoli balzani e con immagini di locandina totalmente inventate, per non parlare dei “dati tecnici” di solito inventati sul momento dal grafico di copertina. Quindi anche chi all’epoca avesse saputo cosa cercare avrebbe avuto parecchi problemi a trovarlo, ma poi il problema si è risolto da solo, facendo scomparire tutto…
Alcuni capisaldi del genere sono totalmente scomparsi in lingua italiana: esistono solo alcuni collezionisti che si ritrovano in magazzino le pellicole cinematografiche dell’epoca in cerca di un posto dove sbolognarle, il che mi fa pensare che ormai quelle pizze siano belle che perdute.
Per fortuna qualche pirata ha salvato dei passaggi televisivi e alcuni storici film sono stati conservati in digitale 😉
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