Il 1976 è l’anno in cui il nostro monco preferito si prende tre rivincite contro la casa che l’ha esiliato: ecco la seconda.
Mi piacerebbe aver trovato così tante informazioni su Jimmy Wang Yu per potervi raccontare come mai dal suo esilio taiwanese nel 1976 ha deciso di “attaccare” la potente Shaw Bros riprendendosi i propri personaggi e chiamando a recitare storici attori della casa: purtroppo non so altro se non quanto ho appena scritto.
Forse l’esplosivo, inarrestabile, totale e globale successo di Bruce Lee ha fatto sì che la casa per cui lavorasse – quella Golden Harvest che anni prima aveva accolto l’esule Wang Yu – prosperasse e superasse la storica Shaw Bros, che infatti negli anni Ottanta in pratica scomparirà, e quindi Wang Yu poteva permettersi di tornare nei panni dei personaggi che gli avevano dato la notorietà, comunque sta di fatto che dopo One-Armed Swordsman Against Nine Killers quel 1976 il nostro eroe torna nei panni di un suo personaggio storico: il lottatore monco, che nel 1972 con One-Armed Boxer ha molto probabilmente inventato il gongfupian, il cinema di arti marziali contrapposto ai combattimenti svolazzanti all’arma bianca del wuxiapian.
La vendetta è un piatto che va menato freddo (o la frase era diversa?) e dopo essere stato esiliato a Taiwan Wang Yu torna ad Hong Kong, terra dominata dalla Shaw Bros, e non solo si riappropria di un suo personaggio – che comunque è della locale Cheng Ming Film Co. – bensì ne prende con la forza altri, di altri film, probabilmente senza neanche chiedere il permesso. (O magari la Shaw Bros indebolita ormai neanche lo pretendeva.)
Scritto e diretto da Wang Yu stesso e noto anche come One-Armed Boxer 2, fondendo due grandi film ecco l’incredibile One-armed Boxer vs the Flying Guillotine (獨臂拳王大破血滴子), uscito in patria il 24 aprile 1976 ed ovviamente inedito in Italia.
Il narratore ci racconta che siamo nel 1730, durante il regno dell’imperatore Yung Cheng (per sapere chi era, vi rimando a Wikipedia), uno degli ultimi esponenti della dinastia Manciù e noto nella “mitologia” del cinema marziale per aver istituito un corpo di guerrieri scelti con lo scopo di spazzare via gli avversari politici, soprattutto quelli che “tifavano” per la dinastia Ming: questo corpo era noto come le Ghigliottine Volanti, esperti nell’uso dell’arma omonima. (Sto ovviamente parlando del celebre film del 1975 che poi vedrà un seguito apocrifo in Fatal Flying Guillotines del 1977.)
Ben pochi ribelli sono riusciti a scappare dalla terribile arma, e per stanare questi ultimi superstiti l’imperatore ha inviato sulle loro tracce Fung Sheng Wu Chi (Chin Kang), maestro della ghigliottina volante. Maestro cieco!
Spacciatosi per lama buddhista e vivendo isolato fra le montagne, un giorno riceve il messaggio di suoi due allievi: stanno per battersi contro un ribelle Ming particolarmente coriaceo, uno tosto malgrado l’aspetto fisico. Se il maestro riceverà quel messaggio, vorrà dire che i due allievi hanno fallito e sono morti.
Il maestro cieco interrompe il suo isolamento, rispolvera la ghigliottina volante e torna in azione: è il momento di affrontare il misterioso ribelle Ming così forte. Un uomo per di più… con un braccio solo!
Intanto il nostro eroe senza nome – sia nel precedente che in questo film viene chiamato solamente One Armed Boxer – ha messo su la sua bella scuola clandestina di kung fu, che in realtà è alla luce del giorno ma a quanto pare riesce a sfuggire al controllo della polizia governativa. Per questo il nostro monco preferito non vorrebbe partecipare al grande torneo marziale organizzato dal maestro Wu Chang Sang (Yu Chung-Chu), per non dare nell’occhio, ma i suoi allievi insistono e così si iscrivono tutti.
In realtà alla base c’è un broglio elettorale: per votare a favore del torneo… si alzava la mano destra!
La storia si trasforma in un classicone del gongfupian, il genere “torneo” reso celebre da film come Cinque dita di violenza (1972) e I 3 dell’Operazione Drago (1973): a voi giovani lettori magari questi titoli non dicono molto o vi sembrano lontani ricordi di un’epoca passata, ma sono film che hanno riscosso un successo senza precedenti (né successori) in ogni più sperduto angolo della Terra.
Il genere “torneo” permette ad un gran numero di caratteristi di farsi apprezzare in ruoli minori, così per esempio abbiamo lo “straniero” – e i cinesi odiano gli stranieri – cioè un lottatore thailandese (Sham Chin-Bo) che ha la faccia da Charles Bronson!
La particolarità di questo personaggio è che ci regala tecniche marziali assolutamente inedite per gli anni Settanta, tutti votati al kung fu: splendide sequenze di muay thai che in Occidente dovremo aspettare Tony Jaa per gustare!
Al torneo partecipa un’altra nostra vecchia conoscenza, Lung Fei, il super-cattivo per eccellenza, villain di un miliardo e mezzo di film marziali e probabilmente amico di Wang Yu, visto che lo stesso anno ha partecipato anche al suo One-Armed Swordsman Against Nine Killers.
Qui interpreta Yakuma, l’Uomo Senza Coltello: non ci crederete, ma malgrado il nome… la sua arma segreta è un coltello! Ammazza che infame! (Non a caso il nome è giapponese…)
Assolutamente da menzionare è il solito indiano, immancabile nei film dell’epoca, qui interpretato da un abbronzato Wang Yung-Sheng che… allunga le mani! (Mo’ te le cionco, quelle mani!)
Chissà se è un omaggio a questi indiani allunga-braccia di Hong Kong il personaggio di Dhalsim nel videogioco Street Fighter.
Avendo a disposizione il grande maestro Liu Chia-Liang come coreografo, è naturale sfornare un film fatto all’80% di scene di combattimento con una trama scritta sulla mano destra del protagonista. Cioè assente.
Durante il lungo torneo, con decine di lottatori che si menano nei modi più strani, ogni tanto arriva Fung Sheng e decapita un monco. Perché sembra strano, ma è pieno di lottatori monchi! Essendo cieco, Fung Sheng nel dubbio ammazza tutti i lottatori con un braccio solo nella speranza di beccare prima o poi quello che gli ha ucciso gli allievi, vendicandosi.
Ucciso l’organizzatore, il torneo si interrompe e via tutti a menarci per le strade, senza più trama da seguire fino alla fine del film.
Ad essere onesti siamo lontani dalla qualità del primo film, sebbene sia rimasta la voglia di divertire con combattimenti assurdi e folli, e la qualità Shaw Bros è parecchio lontana. La Golden Harvest, la cui qualità è sempre eccelsa, non sembra aver insegnato molto a Wang Yu, ma almeno il nostro “maestro sciancato” preferito si è saputo circondare di ottimi caratteristi marziali per donare quello che in fondo i fan volevano e vogliono: un film di menare!
Ed ora occhio… perché la vendetta di Wang Yu in questo 1976 sta per raggiungere l’apice definitivo, come vedremo la settimana prossima!
L.
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Non si scherza con il Charles Bronson thailandese! 😉 Questo ciclo mi sta regalando titolo sconosciuti ma pieni di chicche, mi sono sempre chiesto perché il Dhalsim di “Street Fighter” allungasse le mani (‘sto maleducato), nel tuo posto ho trovato quella che si avvicina di più ad una spiegazione 😉 Cheers!
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Altre volte mi è capitato di trovare l’indiano “coi superpoteri”, nei prodotti di Hong Kong più “ruspanti”, e quando ad un certo punto qui il nostro soffia con la bocca e gli allungano le mani… mi sono ricordato delle ore passate a Street Fighter 2 a combattere Dhalsim 😛
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Probabilmente è un modo per rendere una siddhi (perfezione. Praticamente un superpotere) che sarebbe possibile ottenere grazie allo yoga: poter toccare oggetti lontani 😛
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Le mani allungabili dell’indiano di Wang Yung-Sheng fanno anche un po’ il verso a Mister Fantastic (vecchi ricordi della Marvel che fu) 😉
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Chissà chi ha contagiato chi…
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I Fantastici 4 sono degli anni ’60 (la DC ha un paio di personaggi simili, ma non so chi sia venuto prima).
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Non so quanto i fumetti americani siano entrati nell’immaginario cinese dell’epoca. Certo, Hong Kong era una città occidentalissima, con doppia lingua, quindi non mi stupirebbe che DC e Marvel siano arrivate subito, ma forse lo stereotipo dell’indiano-yoga “allungabile” era già autoctono.
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