Bone Dry (2007) Il crudele Lance Henriksen

Questo è il primo venerdì del 2018 in cui tratto un film “singolo”. È stata un’annata intensa, in cui tutti i venerdì sono stati dedicati alle peggiori saghe horror che mente (deviata) umana possa concepire: Hellraiser, Venerdì 13, Nightmare, Halloween, Pumpkinhead… Sì, è stata un’annata intensa, che ha fatto male. Molto male.

La faccia di chi ha visto troppe saghe horror

Dopo i film più brutti che la storia del cinema ricordi, servirebbe disintossicarsi con qualcosa che dimostri come anche un piccolo film di serie Z sappia arrivare al cuore. La mia non è proprio fame, è più voglia di… una storia crudele con Lance Henriksen!

Tranquillo, Zinefilo… sto arrivando

«Sto facendo un film chiamato Bone Dry con Luke Goss: è un grande thriller»: così Lance Henriksen racconta alla rivista “HorrorHound” nell’inverno del 2005, intervistato ad un evento di collezionisti mentre l’attore esponeva le sue “terracotte aliene”. Notoriamente Henriksen è un appassionato lavoratore della terracotta e dopo l’uscita di Alien vs Predator (2004) ha realizzato delle piastre quadrate con ritratti i due mostri protagonisti. Immagino siano state vendute a prezzi non economici.
Intervistato da “Scars” (volume 2, n. 1) nel febbraio 2009, citerà Bone Dry come l’unico film a basso budget recente di cui è soddisfatto, perché lavorato molto bene.

E pensare che il regista e co-sceneggiatore Brett A. Hart rivela al sito “Den of Geek!“, nel novembre 2008, di aver impiegato circa sei anni per portare a termine il progetto. Hart non è “del mestiere”, il cinema lo porta solo nel cuore e ci può lavorare giusto nel tempo libero, cercando finanziamenti, contattando gli attori quando li becca in vacanza – cioè quando hanno tempo per starlo a sentire – e via dicendo: sembra la classica storia edificante del solerte ambizioso che, con sforzo e con fatica, riesce a fare un film. Ed in effetti è proprio così, anche se non è nato un regista: Brett non farà molto altro ed è un peccato, perché ha il cuore al posto giusto.

Stando a quanto racconta Hart, anni fa ha ricevuto un copione dallo sceneggiatore Jeff O’Brien con il titolo Mojave. Il regista adora il deserto e quel copione lo ha intrigato, ma si trattava di una storia di una ventina di pagine senza finale, non sembrava una cosa valida su cui lavorare. In occasione di un viaggio a Houston il regista se lo porta dietro, lo legge in volo, e quando atterra è assolutamente deciso a farci un film.
Telefona ad O’Brien e si fa dire il finale. Discutono e alla fine decidono di partire:

«Ci vidi un progetto che racchiudeva due dei miei elementi preferiti: Duel di Spielberg e una sorpresa finale sul genere di “Ai confini della realtà”.»

In realtà Hart aveva nel cassetto un suo copione per un film particolare, «un western hitchcockiano chiamato Bone Dry» e alla fine il suo rapporto epistolare con O’Brien – i due non si sono incontrati mai prima dell’inizio delle riprese! – è servito a creare una fusione, con elementi delle due sceneggiature mischiati insieme.

Bravi, mischiate, che poi arrivo io a condire

La ricerca delle location alla fine è durata tanto quanto le riprese.

«Erano previste quattro settimane di riprese ma alla fine furono quasi cinque, per via del caldo. Abbiamo girato nel pieno dell’estate della Death Valley e nei deserti circostanti, durante la più calda estate che la storia ricordi. Ogni settimana perdevamo membri della troupe. Alcuni dei ragazzi più tosti che abbia mai conosciuto mi hanno poi confessato che sono state le riprese più difficili mai affrontate. Io ho perso cinque chili.»

Come se non bastasse il caldo, arrivano pure le tempeste di sabbia e i lampi di luce: alla fine, 20 mila dollari del budget se ne sono andati solo in danni alle strumentazioni e giornate di riprese perse. Questo è cinema da sbarco!

Pronto? Qualcuno mi porti via da questo fottuto deserto!

Dopo aver sopportato tutto questo impegno fisico per il film, Hart va a commettere due dei peggiori errori che un regista possa compiere. Il primo è chiudere l’intervista citata spiegando per filo e per segno tutti i suoi progetti futuri: Brett, amico mio, i progetti futuri di un cineasta sono desideri, se li dici a voce alta non si avverano. E infatti niente di quello che anticipa nel 2008 vedrà mai la luce.
Chi segue il mio blog alieno sa che lo stesso identico errore lo compì Dan O’Bannon nel 1979, quando in occasione dell’uscita di Alien nelle interviste sbandierava i suoi fantomatici progetti futuri, regolarmente arenatisi nel nulla. E qui arriva il secondo errore commesso da Hart: accettare di lavorare insieme a Dan O’Bannon, notoriamente un cineasta segnato dalla “maledizione dell’inconcludenza”. Nel 2008 Hart è contentissimo di lavorare a Pain Clinic con O’Bannon: se qualcuno di voi ha notizie di quel film, mi faccia sapere…

Ragazzi, ci muoviamo? Fa un po’ caldino…

Presentato in anteprima il 26 giugno 2007 al Drake International Film Festival… di Caserta… (Drake International… a Caserta?), Bone Dry esce in Inghilterra il 26 dicembre successivo e in America il 26 febbraio 2008: in Italia torna nell’aprile 2009 quando Rai Cinema e ONE Movie lo portano in DVD, con l’aggiunta dell’inutile sottotitolo Segreto letale. I famosi “sostantivi aggettivati” che hanno reso celebre nel mondo la titolistica italiana…
La Blue Swan lo riporta in DVD dall’aprile 2016.

Titolo secco. (Capito? Dry, secco…)

Vogliamo aprire con una citazione di Lucrezio, che fa figo? Quando vuoi fare colpo su qualcuno, sparagli Lucrezio che lo spettini.

«La violenza e l’ingiustizia irretiscono ognuno e per lo più ricadono su colui da cui nacquero.»

La citazione è abbastanza comune in lingua inglese, e il fatto che nel film Lucretius sia scritto senza “i” fa capire quanto studio ci sia stato dietro. Comunque è presa dal quinto libro del De rerum natura e la traduzione del doppiaggio usa sicuramente quella del celebre latinista Francesco Giancotti, ancora vivo all’epoca dell’arrivo in Italia del film.
Poi va be’, c’è il solito Riccardo III di Shakespeare citato ovunque, perché si sappia che è un prodotto americano: già è un miracolo che sia stato citato anche un autore non di lingua inglese.

Mi comincio un po’ a… seccare (Capito? Dry…)

Ricchi e variopinti sono i significati dell’espressione bone dry: l’Urban Dictionary parla di twisted, wasted, high, fucked, trippin, shroomin, ripped, comatose, smashed, tutta roba di difficile resa in italiano. Ma tanto credo si possa benissimo parlare di un gioco di parole, perché quando Eddie (un Luke Goss in grande spolvero) si sveglia in pieno deserto del Mojave (California) con un uomo misterioso («Chiamami Jimmy») che gli parla attraverso una ricetrasmittente («Vai a nord, o uccido la tua famiglia»), le sue ossa mi sembrano già belle che pronte a diventare secche, sotto il sole del deserto…

Dov’è il nord in questo fottuto posto?

Quando ho visto per la prima volta il film – incredibilmente era dicembre anche all’epoca: il 7 dicembre 2009, quasi dieci anni fa! – non sapevo nulla della trama e trovai assolutamente geniale la trovata di far iniziare la storia senza spiegazioni. Jimmy è semplicemente uno psicopatico che si diverte a torturare il povero Eddie come vittima casuale. Ma siamo sicuri che sia solo questo?
Ogni volta che il regista o Lance sono stati intervistati in merito hanno spifferato subito ciò che invece nel film si scopre alla fine: non voglio ripetere questa ingiustizia e non vi dico il motivo della dinamica fra i due personaggi. Va scoperta scena dopo scena.

«Tu hai un problema con me, Jimmy…»

Ogni scena che passa scopriamo un po’ di più sul cacciatore e la vittima, sul torturatore e il torturato, e ogni nuova terribile prova che Eddie deve affrontare ci fa avvicinare a scoprire cosa frulla nella testa di Jimmy.

Cosa nasconde questo volto di cuoio e sudore?

Non stupisce che alla sua uscita questo film sia stato paragonato ad una sorta di Saw (2004), sebbene sia stato scritto anni prima: per rendere plausibile il paragone basta la scena del cactus. Hart l’aveva scritta per il suo western nel deserto e poi l’ha riutilizzata qui: immaginatevi di essere nudi, legati per le mani ad un enorme cactus. L’unico modo per salvarvi… è scalare il cactus…

Un uomo nudo e un cactus: basta poco ad accapponare la pelle

Non posso dire di più se non che è un minuscolo film scritto col cuore che convince ad ogni scena, anche grazie a due attori in stato di grazia. Una sfida di resistenza fra due uomini che si vogliono uccidere e si rincorrono nel deserto: a questo punto oserei addirittura scomodare l’episodio Arena di “Star Trek”, con le più che dovute proporzioni.
Bone Dry è un film deliziosamente crudele che ti porta per mano in quel deserto infernale che è il cuore umano, dove non esiste salvezza ma solo… ossa secche.

Guardatevi il film senza leggere trame. Nel 2009 il finale mi colpì come un pugno in faccia: vi auguro di gustarvi ignari questo film come l’ho gustato io la prima volta.

L.

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17 risposte a Bone Dry (2007) Il crudele Lance Henriksen

  1. Cassidy ha detto:

    Dopo tanti venerdì ad affrontare le peggio saghe horror ti sei meritato Lance, e te lo dico subito, mi hai venduto il film con tutte le scarpe 😉 L’espressione usata nel titolo si sente spesso nei film, tradotta (se così possiamo dire) “secco come un osso”, che qui è chiaramente riferito al deserto che fa da sfondo, in ogni caso mi farò volentieri asciugare le ossa da questo film, grazie per la dritta! Cheers

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  2. Kuku ha detto:

    Un post pieno di chicche!
    Ma come, Lance e il regista fanno spoiler così, gratuiti?
    Sulla lavorazione sarebbe da fare un film. Che significa che ogni settimana perdevano un membro della troupe? E lo dice così? E non sono andati a cercarli??
    COmunque adesso mi piglio il De rerum naturae e imparo qualche frase ad effetto spettinatorio!

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  3. Il Moro ha detto:

    Beh, questo è interessante, me lo segno.

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  4. Giuseppe ha detto:

    Mi tiri in ballo Arena, nientemeno? Lance “Gorn” Henriksen contro Luke “Kirk” Goss mi suona bene, in effetti (sempre con le dovute proporzioni)… un motivo in più per vederlo 😉

    Piace a 1 persona

    • Lucius Etruscus ha detto:

      Parliamo ovviamente di un accostamento molto ardito e con parecchi universi di distanza, però mi piace vedere in “Bone Dry” lo stesso guizzo che animava lo storico racconto di Brown e poi episodio di Star Trek: due esseri che non si capiscono ma si inseguono per uccidersi. E, come per Star Trek, il deserto è il vero protagonista…

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