Chuck Norris 13. Missing in Action (1984)

La guerra in Vietnam non è finita… finché non lo dice Chuck Norris!

Seguite questo ciclo a vostro rischio e pericolo!

È la storia di un bambino di 12 anni che ha una visione, una premonizione: non vivrà così tanto da compiere 28 anni. Una strana convinzione che, anni dopo, non gli impedirà di arruolarsi volontario nell’esercito americano, come i suoi due fratelli, e di partire per il Vietnam.

California, 1970. C’è un torneo marziale in corso quando l’altoparlante avverte uno dei lottatori, Chuck Norris, che c’è una telefonata urgente per lui. Alla cornetta una voce informa l’atleta che la previsione di quel bambino si è avverata, inesorabile. Il 3 giugno precedente Wieland Norris è caduto in azione: scoperta una trappola in territorio nemico, mentre avvertiva la sua squadra è stato abbattuto dai Vietcong. Di lì a un mese suo fratello avrebbe compiuto 28 anni.
Di tutti i colpi subiti in tanti anni di lotta professionistica, questo è l’unico che manda Chuck a tappeto. E scoppia a piangere davanti a tutti.

«Sebbene Dio mi abbia benedetto con una meravigliosa e grande famiglia, mio fratello mi manca ancora terribilmente», scriverà decenni dopo nella sua biografia Against All Odds. My Story, dove rievoca questi tristi avvenimenti.
Mentre Aaron Norris, il terzo dei fratelli, all’inizio della sua ferma militare, riporta a casa la bara di Wieland, in Chuck nasce un proposito per il futuro: in qualche modo dovrà fare quello che all’epoca nessuno prende anche solamente in considerazione. Qualcosa che nessuno vuole ma che deve a Wieland. In qualche modo, dovrà omaggiare i caduti in Vietnam.

Questa è per Wieland Norris…

Dal Duemila la cultura americana ha concretizzato un paradosso che nel 1948 George Orwell aveva vaticinato: la guerra è pace. La pax americana in cui viviamo impone che ogni medium esalti la guerra e insegni ai ragazzi che chi muore per la patria vissuto è assai. Che siano i Transformers o i Signori degli Anelli non importa, dev’esserci una guerra e tutti devono combattere desiderosi di farlo.

Un tempo non era così, quando un’intera generazione di americani è stata falcidiata andando a combattere dall’altra parte del mondo le coscienze si sono scaldate e negli anni Settanta la guerra è stato al suo trend negativo storico: era decisamente out. La narrativa popolare l’ha tenuta viva, sottopelle, ma il Vietnam era solo la “palestra” degli eroi maschi della narrativa action anni Settanta, da Mack Bolan al Punisher: ogni “vendicatore” doveva aver fatto almeno un periodo nel ’Nam dove apprendere le tecniche di combattimento da usare contro il “male in casa”, ma comunque rimaneva un reietto della società civile, la quale non poteva tollerare quella violenza in casa propria.
Oggi nei film americani i veterani sono considerati con grande (ed esagerato) rispetto, ma basta pensare a Rambo per capire come la pensavano all’epoca. Nel romanzo-capolavoro del 1972 di David Morrell il reduce Rambo è il risultato deviato di una società deviata: sia il reduce che lo sceriffo sono buoni e cattivi allo stesso tempo, perché l’unico vero “cattivo” della vicenda è la società che li ha creati.

A me Rambo m’allaccia la fascia in testa

La società “civile e per bene” non vuol saperne nulla dei reduci, quei pezzenti vestiti di stracci che sono pericolosi e portano la violenza nelle amabili e pacifiche cittadine. Un film che li esalti non è qualcosa che i produttori si sentono di fare.
Poi succede qualcosa di inaspettato: dal 4 novembre 1979 al 20 gennaio 1981 sono stati tenuti prigionieri degli americani su suolo straniero, in quella che viene chiamata la Crisi degli ostaggi in Iran. Lo sdegno popolare è immenso e alle elezioni viene eletto il Presidente americano che più di tutti sembra uscito da un romanzo “maschio” anni Settanta: Ronald Reagan, insediato proprio il 20 gennaio della liberazione degli ostaggi.
È il momento di cambiare, ed esattamente un anno dopo esce nei cinema americani il film Rambo (1982), che stravolte completamente il romanzo. Lo sceriffo, simbolo dello status quo della vecchia generazione, diventa cattivo e il reduce diventa un eroe maschio d’azione che risolve le situazioni con la forza bruta. Sono appena nati gli anni Ottanta e gli eroi cinematografici muscolari, che prima menano e poi sparano, e dopo menano di nuovo.

Chuck Norris: il Caso Vietnam è tuo…

Preparate il Vietnam, che mo’ arrivo!

Premendo sul fatto che il pubblico, dopo lo scandalo dell’Iran, ora vuole vedere storie con prigionieri americani all’estero che vengono salvati, Chuck comincia a bussare a tutte le case di Hollywood che riesce a raggiungere, cercando di convincere gli inamovibili produttori che è il momento giusto per parlare dei MIAs, sigla per indicare i Missing in Action, cioè i dispersi in azione che potrebbero ancora essere vivi. Visto che il nostro eroe ha già affrontato lo stesso identico argomento in Good Guys Wear Black (1978), è convinto di riuscire a sfangarla.
Le case però non si lasciano convincere, è ancora forte il tabù culturale del Vietnam: una guerra non dichiarata che a lungo è stata addirittura taciuta, come racconterà Tom Cruise nelle interviste per Nato il quattro luglio (1989), confessando di non aver mai sentito parlare a scuola di quella guerra, quand’era ragazzo.
Solo un pazzo o un genio potrebbe raccogliere l’idea di Chuck Norris: sta a voi decidere a quale categoria appartenga Menahem Golan.

Ora, però, c’è da raccontare una storia parallela, che solo il Zinefilo vi regala: perché nulla nasce mai dal nulla.

Il Missing in Action uscito un anno prima di Missing in Action

Possiamo anche dare per vero il racconto che Chuck Norris ci propina nella sua biografia, a decenni di distanza dagli eventi, ma rimane il fatto che il nostro eroe è arrivato almeno secondo.

Wings Hauser (© Metro-Goldwyn-Mayer Studios)

È la storia di Gary Dickerson che cresce insieme al suo amico d’infanzia Wings Hauser, prima di andare in Vietnam: al suo ritorno – ci racconta l’amico – riesce solo a dire cinque parole. E tutte iniziano per fuck.
Intanto Wings Hauser è diventato un attore noto e per i successivi dieci anni vede l’amico rimanersene spento, anche quando vanno a bere insieme. Una notte, però, l’alcol scioglie la lingua di Gary e questi torna a parlare, e parla della guerra in Vietnam: lui è rimasto lì, con la mente. Nessuno ne parla, il ’Nam non è un argomento di conversazione e soprattutto nessuno ascolta i reduci: Wings ascolta il suo amico, ascolta i suoi racconti e viene assalito dal senso di ciò che è rimasto indietro. I prigionieri americani.
Diciotto mesi dopo è pronta una sceneggiatura che la Paramount compra per un film da girare nell’estate del 1983. Intanto però il Fato Beffardo se la prende con William Shatner…

«Cops really liked me», così racconta Shatner nella sua biografia Up Till Now (2008) scritta con David Fisher: i poliziotti lo hanno sempre adorato, perché – posso testimoniarlo di persona – negli anni Ottanta la sua serie televisiva “T.J. Hooker” (1982) spaccava. Dopo il capitano Kirk, il poliziotto Hooker è il personaggio di Shatner che preferisco, forse solo perché da ragazzino adoravo quel telefilm.
Racconta l’attore nella sua biografia:

«Un gruppetto di poliziotti un giorno venne in visita sul set [della serie TV] e mi chiese se avessi mai sentito parlare di Bo Gritz. Non lo avevo mai sentito nominare. Uscì fuori che Bo Gritz era un noto veterano del Vietnam convinto che i nord-vietnamiti continuassero a tenere prigionieri degli americani, ed aveva dedicato la propria vita a ritrovarli e salvarli. Sarebbe andato lì a prenderli. Ho letto un po’ su di lui e ho capito che era una storia incredibile. “Mi piacerebbe incontrarlo”, dissi ai poliziotti.»

Una settimana dopo Shatner incontra Gritz, un personaggio da film che gli racconta come la gente che vuole vivere in realtà fa cose che la portano alla morte: l’unico modo per sopravvivere è decidere come morire. E Gritz ha deciso che il Vietnam sarà la sua tomba. «Non importa se io vivo o muoio, se è così che devo morire, morirò così. Ho fatto la mia scelta: io sono un guerriero.» Insomma un personaggione.
Gritz racconta a Shatner che ha intenzione di mettere insieme una Delta Force – e ricordo che solo nel 1986 il termine avrà fama cinematografica, inaugurando un filone – andare di nascosto in Vietnam e liberare i prigionieri. Tira fuori delle foto satellitari, con zone del Vietnam sospettate di essere campi prigionia dove si vedono ombre alte e ombre basse: quelle basse sono asiatici… quelle alte sono americani. «Sappiamo che i MIAs sono lì, Bill»: ripeto, un personaggione.

Tenente colonnello Bo Gritz

«“Bo, vogliono raccontare questa storia: è una storia importante.” Lui fu d’accordo con me e disse che sarebbe stato felice di raccontare questa storia… se l’avessi sovvenzionato. Avevo un conto aperto alla Paramount che mi permetteva di comprare i diritti di storie in cui credessi, per farne film. Questa era una storia in cui credevo. Aveva avventura ed azione, oltre che un proposito nobile: salvare i prigionieri di guerra americani. Alla fine ci mettemmo d’accordo per un’opzione di diecimila dollari. Gli diedi l’assegno e gli chiesi una copia del manoscritto. “Te lo porterò la settimana prossima”, promise.»

Com’è facile immaginare, Shatner non ha più rivisto Gritz. Però ha avuto notizie di lui, per esempio ha saputo che è andato da Clint Eastwood e gli ha scucito trentamila dollari con la stessa storia, ma attenzione: non era un truffatore. Bo Gritz ha usato i soldi delle star del cinema per organizzare davvero la sua missione e salvare i prigionieri americani: qualche giorno dopo aver messo piede nel Laos, però, viene arrestato. Questa sì che è una storia da film… però comico.

Il colonnello Bo Gritz (a sinistra) con i capi della guerrilla laotiana
dal saggio MIA: Missing in Action, Vietnam drama (1989) di E.F. Dolan

Appena i giornalisti americani quel 1983 scoprono tutto questo, sale un’ondata di fango che è un piacere: Shatner ed Eastwood finiscono in prima pagina come sovvenzionatori occulti di missioni militari segrete internazionali, e tutto il relativo circo mediatico. Vatti a fidare di un soggetto da film…

«L’ultima volta che ho avuto notizie di Gritz è stato nel 1992, quando si è presentato alle elezioni a Presidente degli Stati Uniti con lo slogan “God, Guns and Gritz”. E no, non ho contribuito alla sua campagna”.»

Ripeto ancora: personaggione!

Nel 1983 ovviamente la Paramount non prende in considerazione la storia di Gritz ma continua con il già preventivato film di Hauser, su cui ha puntato ben 14 milioni di dollari.
La rivista “Variety” del 28 settembre 1983 riporta alcuni titoli provvisori della pellicola in questione, come o The Eight, Youth in Asia e Last River to Cross: alla fine verrà scelto Uncommon Valor, ma in lizza c’era anche… l’avete capito, no? Missing in Action.

Qualche ritardo dovuto a ripensamenti nella campagna pubblicitaria fa slittare al 16 dicembre 1983 l’uscita del film poi arrivato in Italia come Fratelli nella notte, interpretato da un ex marine come Gene Hackman e co-prodotto da un titano come John Milius.
(«Abbiamo girato un film migliore di quello che è uscito in sala», racconterà Patrick Swayze secondo la sua biografa Wendy Leigh, in One Last Chance del 2009, «Hanno scelto di tagliar via cose che avrebbero fatto amare maggiormente i personaggi. È stato davvero seccante, per me.»)

Perché Norris non cita mai questo film? In fondo è il vero padre del genere “torniamo in Vietnam a salvare i nostri”.

«Non esiste legame più forte di quello fra uomini che hanno affrontato la morte in battaglia.»

Non c’è bisogno di vedere il nome di John Milius nei titoli di testa per capire che c’è lui dietro il film: questa frase sembra uscirgli direttamente dal cuore, mentre nel 1983 Fratelli nella notte prende l’estremismo di Rambo e lo trasforma in patriottismo.

«Sembra che voi [reduci] abbiate un forte senso di lealtà, anche se molti pensano che siate dei criminali a causa del Vietnam. E sapete perché? Perché avete perso, e in questo Paese è come fare bancarotta: si è tagliati fuori dagli affari. Vogliono dimenticarsi di voi, si è speso troppo per voi e non avete dato alcun profitto. Ecco perché nessuno pensa di andare a prendere i nostri compagni per riportarli a casa, perché non c’è nessun guadagno in questo: voi ed io sappiamo che abbiamo ancora dei conti in sospeso.»

Il discorso del colonnello Jason Rhodes (Gene Hackman, ma nella mia testa è John Milius a pronunciarlo) da solo trasforma un’intera cultura: per i benpensanti (e quindi per i politici) i soldati sono ciurmaglia, sbandati pericolosi, ma fra di loro sono compagni in armi. E se anche uno di loro rimane indietro… lo si va a salvare.

Comunque il Vietnam è una passeggiata. Vai lì, spari ai musi gialli e cerchi di rimanere vivo. Tutto chiaro, tutto semplice. La vera guerra sporca la si fa ad Hollywood: dopo 18 mesi passati a scrivere la sceneggiatura di Fratelli nella notte, pagato come sceneggiatore e con tutti nel ramo che sapevano che Wings Hauser era lo sceneggiatore del film, arriva il temutissimo arbitrato della WGA: lo spietato sindacato degli sceneggiatori che ha potere di vita e di morte senza alcun diritto d’appello. Lo stesso che qualche anno prima ha preso lo sceneggiatore Walter Hill e l’ha cancellato dai crediti di Alien
Raggiunto a New York dal giornalista Char Rao per la rivista “Psychotronic Video” (n. 3, estate 1989), l’attore Hauser si sfoga e si lascia andare. «Questo ragazzino che vendeva scarpe alla fine si è preso il merito della sceneggiatura»: così parla dell’esordiente Joe Gayton, che ancora oggi risulta unico sceneggiatore di Fratelli della notte. Ma solo ora le pallottole cominciano a volare:

«Io ho scritto la sceneggiatura e ne ho perso i crediti in un arbitrato contro John Milius. Diciotto mesi a scrivere il copione, tutti sanno che l’ho scritto io, ho un contratto e sono stato pagato. John Milius è uno stronzo di destra bastardo e non vedo l’ora che muoia, quel figlio di puttana.

Il Vietnam è facile, sai dove sono i nemici e sai da dove ti sparano: da Hollywood non se ne esce vivi.

Tornando alla Cannon di Menahem Golan, dobbiamo credere che nei primi mesi del 1984 si sia lasciata convincere dalle sole parole di Chuck Norris? O magari dal fatto che per tutto il 1983 i giornali non hanno parlato d’altro che degli americani prigionieri in Vietnam? Del fatto che i piani di Bo Gritz sono stati, guarda caso, tutti ricopiati fedelmente su schermo da Fratelli della notte? E che dal Natale 1983 Los Angeles era tappezzata dei cartelloni della Paramount con su scritto «C’mon buddy, we’re going home» (Andiamo, amico, si torna a casa)? Per quanto abbiamo visto che Chuck ha una bella parlantina, penso che Golan abbia semplicemente capito dove stesse andando il gusto popolare e abbia saputo sfruttare al meglio la situazione.

I nomi del mito

Dunque Missing in Action è la versione Cannon – cioè di serie B – di Fratelli della notte? Prima di dirlo, sentiamo di nuovo Chuck, perché nel raccontare l’origine del film nel 1988, nella sua biografia The Secret of Inner Strenght, è più preciso rispetto a quella del 2006.

«Nel 1983 il regista Lance Hool venne da me con una sceneggiatura su dei prigionieri in Vietnam. I film sulla guerra del Vietnam non erano in voga, all’epoca, ed io passai da una casa all’altra nel tentativo di convincere i produttori a fare il film: ogni volta ottenni un rifiuto, ma insistetti e continuai a pensare positivo. Sapevo che sarei riuscito, se avessi perseverato. Alla fine Lance suggerì che la Cannon Films potesse essere interessata nel produrre la pellicola. I dirigenti dissero che avevano già una sceneggiatura su un recupero di alcuni prigionieri ma che preferivano la nostra.»

Quindi Norris in realtà non aveva nulla di scritto, semplicemente in un ipotetico futuro avrebbe voluto omaggiare il fratello ma tutto è nato dalla proposta di Hool: visto che proprio nel 1983 Hool inizia a lavorare per la Cannon, producendo 10 minuti a mezzanotte, ecco che le stelle si allineano. Comunque va fatto notare che Chuck ora parla della nostra sceneggiatura… ma lui non c’entra niente.

«Venne deciso di girare entrambi i film in contemporanea, uno dietro l’altro.»

Questa specifica, confermata anche da altre fonti, ci aiuta a capire la confusione tra questo film e il successivo (che vedremo in altre puntate), il quale si pone come prequel ma in realtà lo è solo a livello ideale. Sono semplicemente due storie, una che si svolge durante la prigionia di alcuni personaggi e un’altra che si svolge dopo: quella “dopo” è stata più veloce a girarsi ed è uscita per prima.

Il primo vero grande successo di Chuck

Il film esce finalmente in patria americana il 16 novembre 1984, e la rivista “Box Office” del febbraio 1985 ci fornisce qualche numero. Distribuito in 1.150 sale cinematografiche, nel primo weekend di programmazione Missing in Action si mette in tasca sei milioni di dollari, che diventano 14 dopo solo dieci giorni e alla fine sempre “Box Office” nel marzo successivo parla di 22 milioni di dollari di incasso: essendone costato solamente un paio, direi che è un successo su tutta la linea. Chuck Norris è appena diventato un divo.

Il 15 febbraio del 1985 finisce sul tavolo della commissione censura italiana e il 26 successivo ottiene il permesso di proiezione senza divieti: però ItaliaTaglia ci dice che 9,5 metri di pellicola vengono tirati via, alleggerendo la scena del Vietcong che uccide a baionettate nella pancia i prigionieri americani.
Esce nelle sale il 23 marzo successivo con uno di quei titolacci italiani che hanno fatto scuola per la sua inettitudine: Rombo di tuono. Ma perché?
Nel doppiaggio di Fratelli nella notte l’espressione “Missing in Action” è tradotta con “dispersi”, e alla censura italiana Missing in Action è stato proposto con il titolo alternativo di Disperso: da dove accidenti è uscito fuori ’sto rombo di tuono?

23 aprile 1985: chi l’ha sentito ’sto rombo di tuono?

Rimane pochissimo in sala, giusto qualche mese – anche perché immediatamente dopo uscirà il seguito, come vedremo – e dopo essere scomparso nel nulla per tre anni, la blasonata Rai3 lo manda in onda sabato 7 maggio 1988 in prima serata.
Probabilmente esce in VHS Multivision in quello stesso 1988, tanto che nel marzo 1989 la stessa casa può pubblicizzare un cofanetto con questo ed altri film di Norris.
MGM e Fox Video lo portano in DVD dal maggio 2002, e nel febbraio 2014 esce addirittura il Blu-ray. Esiste anche un’edizione Stormovie che adorerei avere ma non sembra facile da trovare.

Un nome, una garanzia di serie B

L’abbiamo conosciuto alla regia di Venerdì 13. Capitolo finale (1984) e subito i cuginoni Globus se lo accaparrano: Joseph Zito è pronto a conquistare gli anni Ottanta con i suoi film action.
In realtà qui è straordinariamente grezzo e sembra quasi irriconoscibile nella sua quasi totale anonimità: diciamo che preferisco ricordarlo per i suoi titoli successivi.

Il finto Vietnam nelle Filippine

All’epoca la location d’elezione per il cinema dalla B alla Z erano le Filippine, dove la Cannon era di casa: ci aveva fatto già scorrazzare i propri ninja nel 1981, quindi ora non ha problema a farci girare e sparare e lanciar bombe i suoi soldati americani del finto Vietnam.
Così conosciamo il colonnello James Braddock (Norris), che vede i propri uomini falcidiati in un assalto dei Vietcong e rimane lui stesso prigioniero: prima di soccombere, però, sgancia due bombe a mano e si lancia su due “musi gialli”. Come ha fatto a sopravvivere? Non si sa, ma è solo un buco di sceneggiatura: la scena plagia smaccatamente quella di Randall “Tex” Cobb in Fratelli nella notte, che infatti non si salva…

Io non stringo la mano ai cinesi che si fingono vietnamiti

Le minuscole scene di guerra in realtà sono solo flashback – in alcuni casi copiati di netto da Rambo (1982) – perché la vicenda si svolge ai giorni nostri, quando imitando fedelmente tanto il vero Gritz quanto il filmico Rhodes il nostro Braddock torna in Vietnam per liberare i MIAs, i dispersi in azione ancora vivi e tenuti prigionieri nei campi di lavoro. E lo fa con un’unica arma: la noia.

Per la maggior parte del film non succede niente, con scene inutilmente lunghe e fastidiose che scopiazzano male il film dell’anno precedente: più interessanti dei personaggi sono i luoghi che li circondano…

Chissà perché, ma in questa scena si perde il filo…

Alla fine del film comincia la storia, e Chuck si fa accompagnare dall’ex commilitone Tucker (M. Emmet Walsh) ma poi fa tutto da solo: spara a due tizi, trova gli ostaggi e tutti a casa. Oh, a saperlo che era così facile…
Se non fosse stato per l’argomento “caldo” dei prigionieri americani questo film sarebbe immediatamente scomparso nel nulla, parlando di nulla e mostrando nulla per il 90% della sua durata. L’unico suo effettivo contributo al mito degli anni Ottanta è la scena di Chuck che fuoriesce al rallentatore dalle acque, parodiata in modo geniale dal Charlie Sheen di Hot Shots! 2 (1993).

Ehi Chuck, dicci dove sei che ti veniamo a prendere.

No: sono io che vengono a prendere voi! (cit.)

Per il resto c’è Chuck da solo che fa cose con la stessa espressione e tre comparse che a turno cadono, sparate da lui. Davvero un misero spettacolo per gli standard Cannon, casa che ci ha regalato emozioni ben più dense.
L’unico momento emotivo è la scena finale, con la commissione che ufficializza l’assenza di prigionieri americani in Vietnam mentre Chuck entra portando quelli che ha appena salvato: un’ottima scena, persa in un film vuoto.

L’unico momento ispirato del film: il fotogramma finale!

Il 26 marzo 1985 il quotidiano “La Stampa” chiude così la sua recensione:

«Al contrario di Fratelli nella notte che, pur forzando le situazioni e slittando nella retorica, era un film d’azione spettacolarmente centrato, Rombo di tuono è un centone di situazioni esasperate e false, manovrate da una rozza regia.»

Purtroppo ha ragione.
Il romanziere d’azione Stephen Hunter – che ha iniziato nel 1982 come prolifico critico cinematografico – nel suo saggio di cinema Violent Screen (1997) confronta Missing in Action con il successivo Rambo 2 (1985), «film virtualmente identici nel loro stile crudo»:

«Quello di Norris mi piace un po’ di più. Non era così moralistico e non si autoincensava in più punti per la propria nobiltà d’animo: non era l’esercizio di stile di una star vanitosa nei panni di Rambo.»

Il buono di Chuck è che non si atteggia: lui conosce un solo modo di recitare e ha usato sempre quello in ogni suo film, al di là della trama. Qui è un ciocco di legno monoespressivo dal primo all’ultimo fotogramma: il fatto che questo corrisponda con la nascente figura dell’action hero inespressivo – grazie ai “talenti attoriali” di Stallone e Schwarzenegger – è puramente casuale, perché quell’espressione Chuck la faceva già nel 1973…

La faccia di Chuck al massimo del pathos emotivo

In chiusura, un paio di curiosità.
Poco prima dell’inizio delle riprese, Menahem Golan una sera è al ristorante quando un tizio lo avvicina e comincia a parlare in un inglese stentato: il concetto è che vuole diventare una star del cinema. Per attirare l’attenzione del produttore, il tizio è saltato sul tavolo dove stava mangiando, rimanendo fermo in spaccata per dimostrare le proprie doti atletiche. È un tizio che viene da Bruxelles.
Al di là di questa leggenda – che ha lo stesso valore di qualsiasi altra leggenda del cinema, ma a cui sono affezionato dal 1991, quando l’ho letta su una rivista italiana di gossip – è un fatto che Golan non abbia mai capito le potenzialità di Jean-Claude Van Damme, sottovalutandolo a lungo: quando è esploso, la Cannon ormai era bella che defunta.

Un piccolo ruolo non si nega a nessuno, così Van Damme finisce in Missing in Action, anche se come semplice stuntman, pronto poi a fare la comparsa ballerina in Breakdance (1984) insieme all’amico Michel “Tong Po” Qissi: rimarrà per sempre il mistero di come uno come Golan non abbia capito cosa avesse tra le mani.

L’alba del futuro cinema marziale degli anni Novanta

Anche John Barrett faceva lo stuntman in Missing in Action

Infine, è curioso notare come il film si apra con il sudato Braddock che ripensa al Vietnam mentre guarda la TV… in cui passano scene del cartone animato dell’Uomo Ragno.
La presenza immotivata e ripetuta oltre il buon gusto del vostro amichevole ragno di quartiere è dovuta ad una sottilissima campagna pubblicitaria della Cannon, che aveva appena acquistato i diritti del personaggio da portare al cinema.

Come racconterà alla rivista “Starlog” (n. 104) nel marzo del 1986, è proprio Joseph Zito – a quanto pare grande fan del personaggio – ad essere ingaggiato per dirigere Spider-Man: The Movie, il grande progetto Cannon in fase di pre-produzione: malgrado quel 1986 la sceneggiatura viene data “in corso d’opera”, il film svanirà nel nulla.

L.

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35 risposte a Chuck Norris 13. Missing in Action (1984)

  1. Cassidy ha detto:

    A parte il fatto che mi hai messo addosso una fotta assurda per rivedermi “Fratelli nella notte” (e per questi ti ringrazio) solo la prima parte del post è splendida e arriva al momento giusto perché sto leggendo “Primo sangue” (storia vera), in compenso da lì in poi il pezzo migliora nettamente!

    Credo che “Rombo di tuono” fosse un italico modo di dire al pubblico: abbiamo una cosa tipo Rambo. Per il resto di quel film ricordo sempre solo l’uscita dall’acqua e l’irruzione finale con i Mia portati in salvo. Grazie per la storia su Clint e William involontari “signori della guerra”, pensate che Ben Affleck ha vinto un Oscar con “Argo” quando questa è una storia già pronta per il cinema! A costo di ripetermi lo aggiungo, con questa su Chuck (non castoro, malgrado la pelliccia) stai facendo scintille! 😉 Cheers

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Leggere “Primo sangue” è cosa buona e giusta, perché è un maledetto capolavoro, anche se poi il film l’ha stravolto, e il povero Morrell si è ritrovato a scrivere la novelization del secondo film, umiliazione massima!
      Man mano che cercavo trovavo roba, e per fortuna le biografie dei vari protagonisti hanno fornito ottimo materiale.
      “Fratelli nella notte” l’ho rivisto e vale mille “Missing in Action” messi insieme: è incredibile, anticipa TUTTO il cinema del Vietnam degli anni successivi!
      Mi spiace per la delusione di Hauser, ma John Milius non si batte: quel film sarebbe stato un semplice titolo d’azione, ignorato da tutti, se non fosse stato per lui…

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      • Giuseppe ha detto:

        Proprio così, la grandezza di quel film la dobbiamo al “fascistone” Milius e non a Hauser: nonostante le premesse da cui partiva, con lui saremmo rimasti dalle parti di un onesto e anonimo action movie, quasi certamente meglio realizzato rispetto a quello che è stato poi l’immediatamente successivo “Missing in action”, sì, ma niente di più. Certo, va detto che per far peggio della coppia Zito/Norris ce ne sarebbe voluto (i MIAs, qui, contano davvero qualcosa solo nel finale: un po’ poco, per esserci sobbarcati quel mare di noia su pellicola prima di arrivare al punto)…
        P.S. Ogni volta devo aumentare la mia dose di complimenti: la rubrica settimanale su Chuck Norris sta assumendo contorni epici con tutto quello che, direttamente o indirettamente, finisce per gravitare attorno al Nostro, come pure il curioso e a me sconosciuto caso di Bo Gritz con il suo patriottico metodo capace persino di lasciare un paio di “vittime” illustri sul campo 😉
        L’assurdità del titolo italiano? Beh, probabilmente durante una proiezione in anteprima qualche annoiatissimo spettatore deve aver pensato bene di mollare… non la sala ma IN sala (e i distributori hanno seguito la scia) 😀

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Ahahah mi sembra una spiegazione più che plausibile 😀
        Non mi aspettavo di trovare così tanto materiale, e sarebbe stato bello trovare “la versione di Golan”, ma a parte un celebre recente documentario non sembrano esserci testimonianze su un cinema che invece ha avuto un peso enorme in quel decennio.
        Capisco il dispiacere di Hauser e la sua giusta furia, ma è innegabile che solo l’epica di Milius poteva trasformare un film che rischiava il totale anonimato in un caposaldo, nel bene e nel male. Quando Hackman dice che quando c’è una guerra i soldati combattono, possiamo non essere d’accordo concettualmente ma è così che si pensava all’epoca, e lo dimostra la famiglia Norris: Aaron ha iniziato la sua leva militare portando la bara del fratello, eppure non si è tirato indietro. E il religiosissimo Chuck racconta con orgoglio il suo impegno militare: quella è la cultura e Milius ne è stato perfetto cantore.
        Comunque da quando sto raccogliendo informazioni per il libro su Alien non faccio che incontrare arbitrati della WGA, che tutti odiano ma che alla fine hanno creato il cinema che conosciamo e amiamo.

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  2. Evit ha detto:

    Vieni per l’articolo sul film di Chuck Norris e resti per gli aneddoti e le storie contestualizzanti. Uno splendido resoconto che mi ha tenuto col fiato sospeso durante tutta la colazione e poi le soste ai semafori. La parte che parla del film in sé è paradossalmente la meno interessante 😂

    Perché mi insinui il dubbio che l’aneddoto sulla spaccata di Van Damme al tavolo di Golan possa non essere vero? Di Van Damme mi piacciono solo gli aneddoti, se mi togli pure quelli…

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      È stato ripetuto a lungo, ma esistono dichiarazioni per cui Van Damme fosse diventato amico di Norris e questi gli avesse rimediato un lavoro da buttafuori: quindi sembrerebbe più facile che alla Cannon sia arrivato su consiglio di Chuck.
      Però questa prima parte dela vita di Van Damme è straordinariamente fumosa e lasciata alle leggende, tipo la sua partecipazione a “Predator” che tanti hanno raccontato ma sempre in modi diversi: quando un giorno J.C. scriverà la sua biografia, sapremo…

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  3. Il Moro ha detto:

    Mamma mia che articolone.
    Il vietnam ha influenzato Hollywood per decenni, in un modo o nell’altro, e ovviamente Chuck non poteva rimanere fuori da tutto questo. a questo punto però devo vedermi “fratelli nella notte”.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Assolutamente consigliato! Troverai giovani attori come Fred Ward e Patrick Swayze che negli Ottanta hanno brillato, troverai tutte le tematiche e gli stili che verrano ripresi dai successivi film sul Vietnam, ma ovviamente in salsa “alla Milius”. Non pensare nemmeno alla critica della guerra che si vedrà in seguito in “Platoon” (1986), “Hamburger Hill” (1987), “Full Metal Jacket” (1987), “Vittime di guerra” (1989) e altri grandi classici: qui viene detto espressamente che quando c’è la guerra i guerrieri combattono. Punto. Niente domande, niente riflessioni.
      Io comunque lo dico sempre: le guerre le fanno scoppiare gli sceneggiatori, altrimenti non saprebbero di cosa parlare 😀
      Come ho raccontato nel mio viaggio nel grande cinema d’assedio, nella Seconda guerra mondiale gli sceneggiatori sentivano il TG e scrivevano film man mano che il fronte di guerra del Pacifico procedeva: a guardare in sequenza i film dell’epoca si ha la perfetta rappresentazione dei movimenti americani nel mondo! 😛

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  4. Zio Portillo ha detto:

    Mamma mia che pezzone Lucius! Complimenti, veramente. Si pensa di leggere una semplice recensione di MIA e invece si arriva al film di Chuck storditi e affascinati da così tante notizie e dietro le quinte.
    Non avrei mai immaginato che lo specialone su Norris potesse ragalarmi dei venerdì uno meglio dell’altro. Credevo che avremmo finito per spernacchiare ogni singolo film e prendere per il c@lo in buon Chuck. Chi l’avrebbe mai detto?

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Contentissimo che ti stia piacendo ^_^
      A spernacchiare Chuck ci vuole poco, basta vedere i suoi film, quello che mi preme è trovare chicche e capire il momento storico in cui sono usciti, perché vuol dire tanto.
      Spero di trovare sempre così tanto materiale splendido da proporre 😉

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  5. Willy l'Orbo ha detto:

    Bellissimo. Per la Storia iniziale (lettera maiuscola non a caso) e le storie (non sapevo della morte del fratello in Vietnam), per il riferimento a Fratelli nella notte che ho visto proprio di recente (mi è piaciuta assai la fase dell’addestramento mentre secondo me è meno all’altezza la parte “in loco”), per la narrazione di Rombo di tuono che condivido in pieno nel giudizio, dalla poca azione (eufemismo) per gran parte del film alle scene da salvare finale in primis, per le chicche in conclusione (avevo notato la presenza nel cast di Van Damme)…in tuo onore farò una spaccata sul tavolo! 🙂

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Il film in sé è stato deludente, da ogni mia precedente visione non era rimasta memoria di neanche un fotogramma, ed è facile immaginare perché.
      Invece la ricerca fra le tante fonti mi è piaciuta e spero di trovare anche le prossime settimane “piste” così ricche 😉

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  6. Kuku ha detto:

    Io dico che se ognuno stesse a casina sua, magari ci sarebbero meno problemi di recupero prigionieri…
    Quando vedo un elicottero in locandina, capisco già la qualità del film. Ma la linea qualitativa dei film di Chuck mi pare che vada sempre più giù, anziché ergersi a epiche vette.
    Sto cercando di immedesimarmi in Golan e immaginare un tizio che mi salta sul tavolo mentre sto mangiando. E in spaccata per di più. Un po’ inquietata lo sarei. Poi mi viene pure in mente quella scena del film The Square…

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Paradossalmente questo film dà il via ad una serie di titoli Cannon dalla qualità altissima, per l’epoca, soprattutto se confrontati con la robetta che Chuck ha fatto sino a questo momento.
      La Cannon negli Ottanta era la serie A più A che esistesse, per il cinema d’azione: tutto ciò che non portava “Cannon” scritto sopra o era robaccia di serie Z o era roba moscia che di azione non aveva nulla. Quindi sebbene oggi sembri un prodotto rozzo, invece è stato il primo vero grande film di Chuck 😉

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  8. Alex Kensei ha detto:

    Il livello di approfondimento che metti nei tuoi articoli è semplicemente surreale (in senso positivo).

    Ps la storia di Van Damme è vera, ma avvenne al ristorante ma nell’ufficio di Golam (fonte: sono stato uno studente di arti marziali per tanti anni e durante un campionato internazionale un ragazzo belga che lo conosceva dai tempi della California Gym a Bruxelles me lo racontò)

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Ti ringrazio dei complimenti e spero ti andrà di seguire questo ciclo su Chuck, che sta regalando chicche a profusione ^_^
      Dovrei avere ancora da qualche parte l’articolo del 1991 con questa storia raccontata, e da allora è stata più e più volte ripetute infarcendola in vari modi: le leggende del cinema sono fatte della materia di cui sono fatti i sogni, alla fin fine Van Damme stesso magari la racconta in modo diverso, credendoci 😀
      Soprattutto sui suoi primi anni di attività girano leggende roboanti che mutano ad ogni racconto: spero un giorno J.C. stesso scriva una biografia dove dia la sua versione 😉

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