Walter Hill ricorda Southern Comfort (2013)

In omaggio alla splendida recensione de La Bara Volante dedicata a I guerrieri della palude silenziosa (Southern Comfort, 1981), traduco dalla rivista “Fangoria” n. 327 (ottobre 2013) questa intervista a Walter Hill, che ricorda il suo mitico film ad anni di distanza.

L’intervista si è tenuta in un evento davvero speciale. Una rassegna cinematografica di New York nel 2013 ha proiettato su grande schermo questo film, con gran piacere del pubblico, e Walter Hill era in platea accanto al giornalista di “Fangoria”.

Per evitare il lungo ed indigesto titolo italiano, da qui in poi mi riferirò al film solamente con il suo titolo originale.


Southern Comfort:
come fare infuriare i cajun

di Michael Gingold

Walter Hill ricorda i giorni nelle paludi,
a dirigere una storia di vendetta cajun

Nel 1980 il regista Walter Hill, dopo aver esplorato con successo la giungla urbana di New York ne I guerrieri della notte e il vecchio West con I cavalieri dalle lunghe ombre, ha deciso di tornare nella Louisiana della Grande Depressione del suo film di debutto, L’eroe della strada, ma questa volta con una storia contemporanea.

Avendo acquisito un copione da Michael Kane come parte di un accordo che lui e il suo partner David Giler hanno con la 20th Century Fox (lo stesso accordo da cui è uscito il film Alien), Hill è partito per il bayou per girare Southern Comfort.

Fangoria: “Southern Comfort” è uno dei tuoi rari film contemporanei non ambientato in un ambiente urbano. Era qualcosa che all’epoca stavi cercando? Una specie di cambio di passo?

Walter Hill: No, non penso. Cercavo solo una buona storia da raccontare, e quella mi ha affascinato: pensavo di poterci fare un buon lavoro. È stata dura riuscirci, perché la Fox non voleva produrlo. Molti dei miei titoli hanno in locandina i loghi di grandi case cinematografiche, ma sono solo film da “porta sul retro”: finanziamenti speciali e negative pickups.

[Il saggio Veni, vidi, Video (2001) di Frederick Wasser ci spiega che si parla di negative pickups quando una casa di produzione esterna si presenta ad una grande major con un film già pronto e questa accetta di distribuirlo, di solito pagando alla casa di produzione una cifra subito e una percentuale sugli eventuali profitti eccedenti detta cifra. Infatti il film di Hill è stato prodotto dalla Cinema Group Ventures e Phoenix Films (la casa di Hill e Giler), solo distribuito dalla 20th Century Fox. Nota etrusca.]

Hai detto che non hai inteso “Southern Comfort” come un’allegoria del Vietnam, ma sicuramente ti sarà venuta in mente quella guerra mentre scrivevi il copione e giravi il film.

Come già ho dichiarato, quando eravamo pronti a partire ho detto a tutti quelli coinvolti: «Un sacco di gente dirà che questa cosa è una metafora del Vietnam, dovremo dimenticarcene e raccontare la storia come meglio possiamo». Credo sia una pessima idea cercare di fare un film su un’astrazione. Inevitabilmente la sua, diciamo così, “verità allegorica” uscirà fuori. Lo sai, questo era già post-Vietnam, era una rozza cavalcata per il nostro paese, e magari alcune cose meritavano di essere dette con più forza, ma non ho voluto creare una metafora: ho semplicemente voluto raccontare una storia.

Keith Carradine e Powers Boothe parecchio “provati”

Lo scenario ha parecchio in comune con “I guerrieri della notte”, parlando di un gruppo di combattenti che devono aprirsi la strada attraverso un territorio ostile. Il che ci porta al western classico.

Be’, in fondo tutto porta là. [ride]

Era qualcosa che volevi coscientemente?

Oh, certo. Puoi vederli anche come cowboy e indiani, o come israeliani ed egiziani. Una volta ho detto che tutti i miei film sono western… Dico spesso queste battute stupide, poi le scrivono e sembra che io sia davvero serio in quel che dico. C’è un po’ di verità, certo, ma sarebbe lo stesso dire che mi piacciono le storie bibliche o del Vecchio Testamento, o qualcosa di simile. Questo è il genere di storie che fa il western: storie dal Vecchio Testamento.

Girare nelle paludi dev’essere stato duro…

Southern Comfort potrebbe essere il film più fisicamente impegnativo che ho mai fatto. Per regolare la cinepresa nella palude abbiamo dovuto costruire una piccola piattaforma molto instabile, così avevamo appena quindici o venti minuti per girare, cercando di fare giusto un paio di ciak. È stata davvero, davvero dura per [il direttore della fotografia] Andrew Laszlo, che ha fatto un lavoro incredibilmente buono. Andy è morto lo scorso anno [7 ottobre 2011] ed è stata una terribile perdita.

Ho pensato molto a lui, non solo come cameraman ma come uomo. Ha vissuto tempi difficili durante la Seconda guerra mondiale, ha perso quasi tutta la sua famiglia, è venuto negli Stati Uniti con un centesimo in tasca ed è diventato un cameraman. Era un gentiluomo ed una persona molto forte.

Walter Hill ed Andrew Laszlo

Gli attori hanno frequentato qualche campo di addestramento per prepararsi ai loro ruoli?

No, non avevamo né tempo né quel tipo di budget: contavamo davvero i centesimi, anche se siamo stati fortunati con i finanziamenti e non voglio che sembri che mi stia lamentando. Comunque no. Avevamo previsto due giorni di prove, ma alla fine abbiamo fatto solo una lettura il primo giorno e non credo che abbiamo utilizzato il secondo giorno.

Come si sono posti gli attori nei riguardi dei loro ruoli militari?

Bene. Si sono calati nel personaggio, erano tutti tipi tosti. Quando penso a ciò che abbiamo tirato su, e quanto difficili e faticose siano state le riprese, sono stupito che avessimo un gruppo così positivo. Per gran parte delle riprese c’era questa specie di buonumore… forse perché non potevamo credere quanto fosse orribile la situazione. [ride] Dovevamo guidare all’infinito per raggiungere il set, poi ti sedevi come in coma e non ci credevi che saresti riuscito ad andartene. Quando finiva la giornata pensavi: «Gesù, grazie a Dio sono sopravvissuto». E tutti si fiondavano al bar.

Non era meglio interpretare una commediola?

Malgrado “Southern Comfort” sia un action thriller, ci sono diverse scene che sembrano uscire da un film horror: era qualcosa che eri interessato ad esplorare?

Be’, ho pensato di fare una prova. La paura dell’ignoto e di cosa si nasconda in un luogo estraneo, ma un luogo estraneo vicino a casa è un sentimento doppiamente destabilizzante.

C’è un momento in particolare, quando gli alberi collassano sui soldati, che sembra soprannaturale: pensi che i cajun possano farlo?

I cajun sono molto in gamba e pieni di risorse: conoscono molto bene il loro territorio.

Sembra quasi che la natura stessa si ribelli contro i soldati.

Già…

O sto analizzando troppo?

No, lo dico sempre: la verità più antica del nostro lavoro è “credi alla storia, non a chi te la racconta”. [trust the tale, not the teller] Quando pensi di aver colto il significato di qualcosa, è vero ciò che per te è vero. L’ho già detto in altre occasioni: i film sono viaggi alla scoperta, non creazioni o immaginazione. Non penso mai “Oh, sto creando un mondo” o cose simili, devi trovarlo e tenere la mente aperta.

Com’è stato il rapporto con i veri cajun che hanno lavorato nel film? E come li hai coinvolti?

Siamo semplicemente andati lì e fatto audizioni. Abbiamo ingaggiato dei cajun come consulenti tecnici permanenti: erano il nostro lasciapassare per quel mondo, ed erano davvero eccezionali. Eravamo sempre preoccupati da… Oggigiorno diremmo “dal politically correct“, che all’epoca non si diceva, ma poi risultò essere tutto un fuoco di paglia. Un paio di tizi scrissero delle lettere a qualche giornale della Louisiana, dopo l’uscita del film, ma fu tutto lì. Dalla maggioranza dei cajun che ho conosciuto non ho mai avuto recriminazioni del tipo “Ehi, hai ritratto male la nostra gente”, o roba simile. Sono molto fieri della loro cultura e del loro modo di vivere, e mi sento onorato di averli frequentati. E qualcuno che ama fare western, una volta conosciuta questa cultura si compiace che esista ancora.

Tipici cajun con la faccia di Brion James

Parlando di politically correct, qualcuno ha mai sollevato obiezioni sulla scena del maiale macellato?

La Fox pensava che fosse eccessiva e l’ha un po’ smorzata. Ma per noi era molto importante mostrare la cultura indigena e, come mi è capitato di dire, “da dove viene il bacon”. Fa tutto parte del mondo in cui loro vivono. Molti di noi mangiano carne, ma ci teniamo ben lontani dal suo processo di lavorazione. Per capire a fondo il nostro posto nel mondo e come tutto funzioni, non è un’esperienza negativa: al massimo umiliante, credo.

Invece un elemento di contenzioso con quella sequenza c’è stato perché c’era una coppia di europei nella troupe e loro non pensavano che i cajun macellassero il maiale nel giusto modo, mentre il modo europeo preservava meglio il gusto della carne. Era ben al di là del mio livello di conoscenza e comprensione, ma c’è stato un dibattito acceso fra i cajun ed Andy Laszlo, che era ungherese, e un tizio dal Belgio. Alla fine i cajun hanno detto: «Be’, è così che noi lo facciamo!»

Una volta hai detto di aver intenzione di raccontare di nuovo “Southern Comfort” ma stavolta dal punto di vista dei cajun: hai davvero preso in considerazione questa idea?

No. Quel che ho detto è che puoi fare un film dal loro punto di vista e sarebbe lo stesso interessante. Non tutti i cajun sono contro i soldati, ma solo quei pescatori il cui territorio è stato violato. E mentre la rappresaglia va avanti, rendendosi conto di essere probabilmente responsabili, scatterebbe l’idea “Se facciamo fuori i testimoni, potremmo andarcene liberi”.

Dico sempre che un atto di violenza ha conseguenze, che si espandono come increspature sull’acqua. In Southern Comfort tutto inizia come uno stupido scherzo di un tizio, ma dall’altra parte non capiscono che è uno scherzo e c’era stata una violazione prima di quello, e all’improvviso tutto finisce fuori controllo.

Il film tratta la violenza molto seriamente, ma quando è uscito all’inizio è stato considerato come uno slasher.

La Fox non sapeva bene cosa farci con il film. Hanno addirittura creato la frase di lancio «Not since “Deliverance”…» [“Non dai tempi di Un tranquillo weekend di paura…”], che per noi era orrenda. Se c’è qualcosa in cui credo è che i film dovrebbero stare sulle proprie gambe, non essere il traino di altri film. Ma di nuovo, quando fai parte di questi accordi particolari, sei tu il traino dello studio. Non sei ciò di cui loro si preoccupano maggiormente. Oggi [2013] è divertente venir proiettato e far parte del gioco, ma non è più la stessa cosa.

Guardando oggi “Southern Comfort” di nuovo su grande schermo, pensi che regga ancora il passo?

Oh, non saprei dirlo. Per quel che posso vedere, per quel che ho cercato di fare al mio meglio, penso che sia ancora un buon film, ovviamente ben interpretato dagli attori coinvolti. Ogni volta che dirigi qualcosa che trova il favore del pubblico, è un piacere, ma all’epoca in cui il film è uscito non ha trovato alcun pubblico in questo Paese, ed è stato un dispiacere.

Comunque non fai un film del genere perché pensi che guadagnerà una fortuna: lo fai per altre ragioni. Ed è molto lusinghiero che trent’anni dopo la gente voglia ancora vederlo.


In chiusura, vi ricordo il link che dovete assolutamente mettervi tra i “preferiti”:

Speciale Walter Hill nella Bara Volante

L.

– Ultimi post simili:

Informazioni su Lucius Etruscus

Saggista, blogger, scrittore e lettore: cos'altro volete sapere di più? Mi trovate nei principali social forum (tranne facebook) e, se non vi basta, scrivetemi a lucius.etruscus@gmail.com
Questa voce è stata pubblicata in Interviste e contrassegnata con , . Contrassegna il permalink.

12 risposte a Walter Hill ricorda Southern Comfort (2013)

  1. Cassidy ha detto:

    Anche se ieri mi hai dato un’anticipazione, resta una grandiosa chicca questa! Un peccato che Walter Hill rilasci così poche intervisti, perché tra il suo passare tipo rullo compressore sul “politically correct“ e il fatto che per lui tutto sia Western, beh ha molte affermazioni definitive su argomenti di sicuro interesse 😉 “increspature sull’acqua” è una delle sue espressioni preferite, l’aveva usata anche parlando dei suoi cavalieri (dalle lunghe ombre). Se poi questo film era Gualtiero che provava a fare un po’ di horror, se si fosse impegnato sul serio, cosa avrebbe fatto? Si dopo trenta e passa anni, qualcuno questo film vuole ancora vederlo, anche se qui da noi non siamo mai andati oltre la vhs putroppo. Gran intervista grazie per averla tradotta, vado subito ad aggiungerla al fondo del pezzo su “Southern Comfort”, grazie ancora! 😀 Cheers

    Piace a 1 persona

    • Lucius Etruscus ha detto:

      Leggendo quelle sue poche interviste disponibili, Hill mi dà l’idea di una personcina a modo che i giornalisti se li mangia a colazione 😀
      E sì che ne avrebbe di storia del cinema da raccontare: spero ardentemente che un giorno scriva una sua biografia: allora sì che tremerà la terra sotto Hollywood…
      È incredibile comunque che la Fox non sapesse bene che farci all’epoca con questo film, segno che più sono grandi le case più sono frescone!

      "Mi piace"

  2. Willy l'Orbo ha detto:

    Film dallo spunto avvincente, dallo sviluppo con mometi da ricordare e qualche “calo”, sequenza finale da paura. Una chicca esso stesso e l’intervista! 🙂

    Piace a 1 persona

  3. Giuseppe ha detto:

    Bel ricordo, bell’intervista e traduzione ovviamente all’altezza (come del resto Southern Comfort è ancora del tutto all’altezza di essere rivisto e tramandato ai posteri) 😉

    Piace a 1 persona

  4. Pingback: La Storia di Alien 7. In cerca di regista | Il Zinefilo

  5. Pingback: La Storia di Alien 7. In cerca di regista | 30 anni di ALIENS

  6. Pingback: [Eroi Z in TV] Brion James | Il Zinefilo

  7. Pingback: La ballata di ’Gator Bait (1973-1988) | Il Zinefilo

  8. Pingback: Ravage (2019) La caccia è aperta | Il Zinefilo

  9. Pingback: Alien 3 (1992-2022) – 1. Passato presente | Il Zinefilo

  10. Pingback: Alien 3 (1992-2022) – 1. Passato presente | 30 anni di ALIENS

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.