Howling 1 (1977) Il romanzo

Questo mese festeggiamo i 50 anni dello sbarco sulla Luna e si stanno organizzando iniziative ovunque: perché non dedicare uno sguardo anche agli effetti indesiderati che la Luna ha su di noi?
Con questa labile e assolutamente posticcia scusa lancio un ciclo a cui in realtà pensavo da parecchio tempo: la Saga di The Howling.

Non ho mai amato i film con i lupi mannari, né classici né moderni, ma il mio cuore sarà sempre legato a The Howling (1981) di Joe Dante.
Avevo circa 15 anni quando con mio padre iniziammo la consuetudine di vedere ogni settimana un film horror, genere che grazie alla lettura di “Dylan Dog” avevo iniziato ad apprezzare dopo una vita passata nella fantascienza. Mia madre non voleva sentire un solo urlo, quindi con mio padre accroccammo una “doppia cuffia” per vedere pellicole truculente e strillone senza dar fastidio a mia madre.
Eravamo entrambi del tutti ignari di cosa fosse il cinema horror moderno, semplicemente andavamo in videoteca e prendevamo quello che ci ispirava: la qualità e le quantità di immonde vaccate che abbiamo visto travalica l’universo umano. Non parlo degli horror di serie B che potevi vedere su Italia1: parlo di roba girata da gente che poi si è suicidata perché non si è più riavuta dal trauma.
Non ho più ritrovato gli ignominiosi film visti quel periodo, e forse è un bene…

Un giorno, per puro caso, il film affittato si scoprì avere una marcia in più. E sin dalla primissima scena fino all’ultimissima, è successo qualcosa che non provavo da tanto tempo per un film: il terrore più profondo mi ha attanagliato. Ogni singolo fotogramma di questo film, agli occhi di un ignaro quindicenne totalmente digiuno di questo genere, è stato puro orrore di serie A.
Può piacervi o non piacervi, ma The Howling è un capolavoro e merita di essere analizzato in più giorni: a parte il Venerdì con il Zinefilo, questa settimana servirà ad affrontare da tutti i punti di vista quello che per me è l’unico film di lupi mannari esistente. (Scusa, Landis, ma al cuor non si comanda.)


Il romanzo

«Nella fredda e vuota oscurità prima dell’alba, Karyn udì l’ululato.»
Gary Brandner, The Howling

Dopo un trittico di romanzi dedicati ad un curioso genere di “fanta-spionaggio”, lo statunitense Gary Brandner si butta su un classicone e azzecca il suo primo grande successo editoriale: la Fawcett Gold Medal nel 1977 pubblica il suo romanzo The Howling, che purtroppo non arriverà mai in Italia come quasi tutte le altre opere dell’autore.

In vista di questo ciclo, il 1° maggio scorso con 5 euro mi sono comprato la Trilogia di The Howling in eBook e ho iniziato a dare un’occhiatina al primo, con un piano ben preciso in mente: solo il primo film afferma di ispirarsi al libro di Brandner, quindi do una spulciatina al romanzo in questione giusto per capire quanto si somiglino le trame, ma non ho certo voglia di leggermi un romanzo di lupi mannari degli anni Settanta. Ci mancherebbe!
Poi non so cosa sia successo… e mi sono ritrovato alla fine del secondo romanzo senza neanche sapere come ci fossi arrivato!
Brandner non lo definirei un romanziere di chissà quale spessore, né la trama del suo libro si sforza minimamente di essere… non dico originale, almeno aspirante all’originale… Insomma, tutte le premesse dicono che The Howling è un romanzetto senza molta importanza… eppure ti prende nella lettura e ti trascina con lui. Come un lupo mannaro che ti trascini nel buio del bosco.

Non sono un esperto del genere “mannaro”, ma la forte sensazione che ho avuto è che Brandner nel suo piccolo abbia saputo creare un romanzo spartiacque: ha cioè preso una trama classica da storie d’altri tempi e l’ha trasportata nella quotidianità contemporanea. Oggi sembra banale parlare di un lupo mannaro che giri ai giorni nostri, quante volte l’abbiamo visto in un film o letto in un libro? Però pensando alle date di ciò che abbiamo visto e letto… è tutto posteriore al romanzo di Brandner.
Non sto dicendo che lo scrittore sia chissà che innovatore, è più che palese che ogni pagina del suo romanzo è banalissima e sembra presa da… Uh, da un romanzo successivo. Ho letto The Howling con un incredibile sensazione di déjà vu (già visto) e di déjà lu (già letto), ma ogni immagine che mi veniva in mente… veniva dopo il romanzo.
Cerco di spiegarmi meglio raccontando la trama del libro.

Cover by Daniele Serra

La protagonista si chiama Karyn… e già qui fermi tutti. Per convenzione, una donna protagonista di una storia horror che invece di frignare e inciampare prende in mano la situazione, prende di petto il mostro e lo fronteggia armata – cioè quella che oggi si chiama final girl – nasce nell’ottobre 1978, quando cioè esce nei cinema americani Halloween di John Carpenter. The Howling è uscito in libreria un anno prima.
(Non è questa la sede per dilungarsi, ma in realtà molti fanno risalire al 1974 il concetto, con Non aprite quella porta, dove però la ragazza non fa che inciampare, frignare e non fa nulla per affrontare i mostri.)
Karyn ha un problema grande e uno piccolo. Quello piccolo è che suo marito si chiama Roy Beatty, un nome dannatamente simile al Roy Batty che arriverà al cinema cinque anni dopo con Blade Runner. Il problema grande è che a 25 anni Karyn subisce un violento stupro che la mette in ginocchio. E mette in ginocchio il suo matrimonio, visto che il solo pensiero di un uomo che la tocchi la fa rabbrividire.

I due novelli sposini decidono di provare a cambiare aria, così dalla rutilante (e violenta) Los Angeles se ne vanno nell’entroterra, in un paesino sperduto fra i boschi dal nome straniero e i cui abitanti sembrano ancora più stranieri. Il paese si chiama Drago, e purtroppo nessuno degli abitanti si chiama Ivan: allora sì che sarebbe stato un capolavoro!
Quella che segue è la classica storia di una giovane coppia che si ritrova alle prese con un lugubre piccolo villaggio abitato da gente dallo strano comportamento: avete presente il film Il villaggio maledetto (1982) tratto dal romanzo Cry for the Strangers (1979) di John Saul? Ecco, uguale… ma un anno prima!
Lo so, di storie del genere ne esistono tante… però di solito lo stile dei lupi mannari è fatto di vecchie streghe, terribili maledizioni e arcani sortilegi, con storie spesso ambientate in epoche passate. Qui invece è tutto moderno, contemporaneo all’uscita del libro.

Edizione Hamlyn 1978

Oh, un attimo, “moderno” per modo di dire. Karyn si ritrova in una casa che oggi ci farebbe uscire fuori di testa. L’elettricità e l’acqua corrente sembrano esserci, ma poi basta: niente telefono, niente TV, i personal computer ancora devono essere inventati, niente stereo… insomma, la cella di un monastero!
Con il marito sempre in città per lavoro, è normale che Karyn si senta abbandonata in mezzo al nulla, con assolutamente niente da fare tutto il giorno. Insomma, una casalinga disperata… che di notte sente strani ululati intorno a lei.

Non c’è bisogno di un mago per capire come sviluppa la storia, eppure vi assicuro che è un testo talmente scorrevole che non si riesce a smettere di leggere, anche se sa tutto di scontato… ma non è scontato, è tutto nuovo solo che scritto prima di tutto ciò che oggi diamo per scontato.
Per fare un esempio, al farsi più pressanti le apparizioni di un lupone – che la protagonista ormai ha capito essere mannaro – Karyn lo ferisce ad un orecchio, e il giorno dopo con l’amica e complice che ha trovato in paese ha una bella idea: basta andare in giro a controllare tutti i compaesani, il primo che ha un orecchio ferito è lui il mannaro.
Eh lo so, roba poco originale, è la celebre trovata di Stephen King nel suo Unico indizio la luna piena (Silver Bullet, 1983)… aspetta… 1983? Ma allora il Re ha di nuovo rubacchiato! Ammazza che gargarozzone!

Fawcett Gold Medal 1977

Sapevate che per uccidere un lupo mannaro sono necessarie pallottole d’argento? Certo che lo sapete, lo sanno tutti, grazie al cinema degli anni Ottanta… ma qui, lo ripeto, siamo nel 1977.
Curiosamente io ricordo il momento in cui ho scoperto questa informazione, cioè quando da ragazzino negli anni Ottanta in TV ho visto Amore al primo morso (1979) con un divertentissimo George Hamilton nel ruolo di un Dracula molto sopra le righe. Il Van Helsing di turno, un po’ pasticcione, piomba in stanza e gli spara al cuore pallottole d’argento, che ovviamente non gli fanno nulla, così Dracula spiega la questione al distratto sparatore.
Di nuovo, dopo il romanzo di Brandner del 1977 tutti sanno delle pallottole d’argento contro i lupi mannari, ma all’epoca non è proprio un’informazione scontata: nate dalle storie western di Lone Ranger, le pallottole d’argento sono finite nella mitologia mannara per il celebre antenato L’uomo lupo (1941) e prima di questo romanzo solo quattro o cinque film citano l’argomento. Così come non è affatto scontato reperire la preziosa munizione: voi come fareste per procurarvi pallottole d’argento? Dubito che nell’armeria della vostra città siano disponibili. Molte pagine del romanzo di Brandner sono dedicate a questo problema, forse non ispirate dal punto di vista del ritmo ma sorprendenti perché non ricordo che altri si siano mai posti il problema.

«C’è modo di difendersi da loro?» chiese Karyn. «Aglio alle finestre? Un crocifisso?»
«No, quelle sono armi contro i vampiri. Ci sono solo due cose che possono distruggere un lupo mannaro: una è il fuoco, l’altra è l’argento.»
«Oh sì, le pallottole d’argento.»
Inez si concesse un piccolo sorriso. «Immagino che sia qualcosa che sanno tutti.»

Sembra un dialogo dal film Ammazzavampiri (1985), invece è un romanzo di dieci anni prima.

Com’è che nei film è sempre facile trovare pallottole d’argento?

Al netto dunque di una trama banale ma che lo è diventata solo in seguito, il testo mi sembra sia una lodevole operazione di prendere un tema “antico” e calarlo nella contemporaneità, ma soprattutto dandogli un aspetto in più: la sessualità.

«Karyn era pronta per lui, come non lo era mai stata. Poi lo sentì. L’ululato.»

Che i vampiri siano sensuali è parte integrante del genere, ma che lo siano i lupi non è certo scontato, soprattutto nel 1977. Così Roy, che ormai non può più toccare la moglie, subisce immediatamente il fascino di Marcia Lura, bella lupa in tutti i sensi del termine, non solo quelli “mannari”.

«Era alta, magra, aveva soltanto un seno fermo e vigoroso […] e delle labbra fresche e rosse, che vi mangiavano. Al villaggio la chiamavano la Lupa perché non era sazia giammai – di nulla. Le donne si facevano la croce quando la vedevano passare, sola come una cagnaccia, con quell’andare randagio e sospettoso della lupa affamata; ella si spolpava i loro figliuoli e i loro mariti in un batter d’occhio, con le sue labbra rosse.»
(Giovanni Verga, La Lupa)

Proprio come la Lupa del nostro Verga nazionale, Marcia Lura ha una sessualità spiccata e una volta “puntata” la preda se la sgranocchia in un sol boccone.

«Con Marcia Lura, Roy scoprì un tipo di sesso selvaggio, disinibito, come mai aveva conosciuto. Il suo corpo si contorceva e vibrava in perfetta sintonia con quello della donna. Non un solo centimetro di carne, non un solo orifizio del corpo rimase inesplorato. Le lunghe dita di lei erano su di lui, dentro di lui.»

Ammettiamolo, non è proprio la classica storia di licantropi che trovate nelle antologie horror. Il sesso esplicito ormai era sdoganato nelle trame dell’orrore, almeno da Incubus (1976) di Ray Russell ma, ripeto, nel 1977 non era affatto scontato questo modo di raccontare una storia di lupi mannari.
Seguendo la misteriosa lupona nel bosco, Roy si perde in lei trasformandosi in lupo mannaro anch’egli: niente maledizioni né morsi, solo… tanto ammòre.

La Lupa e il suo pasto

Visto che il libro è inedito in Italia e il film è arci-noto – e se non l’avete ancora visto fino ad oggi… non lo meritate! – nessuno si stupirà nella scoperta che invece manderà nel panico la povera Karyn, cioè la terribile consapevolezza che non c’è “un” lupo mannaro a Drago… sono tutti lupi mannari. Sono infatti tutti discendenti di una antica e misteriosa razza dell’est Europa poi trasferitasi nel Nuovo Mondo: niente streghe, niente maledizioni, niente sortilegi… solo razzismo nei confronti degli europei, che quello è senza età e senza cura.
Vi sfido a trovare un’opera antecedente al 1977 che parli di lupi mannari senza maledizioni e demoni vari. (Nel caso, fatemi sapere che sono curioso!)

Letto con gusto, anzi “divorato”, il romanzo in effetti sembra nato per diventare un film: Jack Conrad ci ha visto bene a comprarne i diritti cinematografici così da scriverne una sceneggiatura. Il problema è che Jack Conrad fallisce nell’intento e quindi bisogna chiamare qualcuno un po’ più ardimentoso. Magari un ragazzo di nome Joe Dante, che arriva a portare oro… anzi, argento al film!


Conclusione:
lupi su due ruote

Per capire meglio quanto sia “moderno” il romanzo di Brandner, chiudo parlando di Werewolves on Wheels, stupidaggine del 1971 – arrivata in Italia due anni dopo come La notte dei demoni – che è una perfetta foto del gusto dell’epoca. (Nel 2017 il film è stato recuperato in DVD dalla Sinister Film.)

Uscita nelle nostre sale con il divieto ai minori di 18 anni «per la trama del film riflettente la vita che conducono gli Hippies dediti alla violenza e ad atti di teppismo», la pellicola si riallaccia al genere dei motociclisti violenti, nato con Il selvaggio (1953) con Marlon Brando e che per tutti gli anni Sessanta terrà banco con piccoli prodotti pseudo-violenti come Satan’s Sadists (1969).
La particolarità di Werewolves on Wheels è che i vagabondi su due ruote, fra una rissa e una devastazione, incrociano la strada di alcuni non meglio identificati monaci, che li usano per un rito satanico. Fuggiti, i nostri gira-mondo cominciano a morire in modi strani, finché alcuni di loro – proprio negli ultimi minuti di film – si trasformano in lupi mannari.

Al di là della follia che permea la sceneggiatura di Michel Levesque, che è anche regista, la storia dimostra di avere elementi “anticipatori” senza essere capace di usarli.

C’è il tema della violenza che infiammerà tutto il decennio a partire da L’ultima casa a sinistra (1972) e c’è il satanismo che terrà banco da L’Esorcista (1973): perché questo film non riesce a sfruttare due elementi che di lì a poco saranno invece di grandissima moda?
Perché è una narrazione pigra e fiacca, che butta lì a casaccio anche il tema della licantropia senza stare neanche a spiegarne il motivo: il film è un prodotto all’apparenza “moderno”, in quanto utilizza canoni e stili contemporanei, ma in realtà gestisce tutto in chiave “antica”.

Ecco perché dico che il romanzo The Howling di Brandner è la prima vera storia moderna di licantropia, perché ignora tutti canoni “antichi” (la maledizione di una strega o i riti satanici non vengono neanche citati) e tratta i lupi mannari come semplice deriva genetica: è come se fossero una razza a parte che cerchi di vivere insieme a noi. Il loro problema dunque non è paranormale ma unicamente sociale.
E se un domani i lupi mannari avessero peso politico e un loro rappresentante, Matteo Lupini, cominciasse a gridare «Prima i lupi»? Cominciamo a pensare ad una legge per cui avremo tutti diritto a tenere in casa pallottole d’argento…

L.

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26 risposte a Howling 1 (1977) Il romanzo

  1. Zio Portillo ha detto:

    Cosa mi hai tirato fuori sto martedì?!?! “L’ululato” non lo vedo da una vita e, giuro, mi ero pure dimenticato della sua esistenza. Urge assolutamente il recupero!
    Può essere che io sia in ancora in post-sbornia, ma mi pare di ricordare che il film era un filo diverso. Che la protagonista era una bella poliziotta che aveva fatto da esca per arrestare un maniaco e non una casalinga… Sbaglio?

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  2. Cassidy ha detto:

    Tu non mi vedi (per tua fortuna) ma sto sul tetto ad ululare alla luna (anche se è mattina) per la gioia di questo grandi inizio di ciclo (lunare) 😀 Ricordo che avevi accennato la tua intenzione di scrivere di questi film, e mi sembra naturale passare dalla barba di Chuck ai lupi mannari, gli unici pelosi quasi quanto lui 😉

    Ovviamente non ho mai letto il libro perché non è mai uscito qui da noi, però ti sei spiegato alla grande la mossa di calare in un ambiente contemporaneo personaggi antichi è un classico, ma è difficile farlo! Leggendoti mi hai confermato quello che ho sempre pensato sui “mannari”: Costa realizzarli al cinema con tutto quel pelo e quelle zanne, ma potrebbero dire qualcosa dei nostri strambi tempi moderni, come “Underworld” non ha mai fatto.

    Nel suo ciclo di storie su “Swamp Thing”, Alan Moore aveva pensato a delle “Lupe mannare” la cui trasformazione era legata, ovviamente alla luna ma anche dal ciclo mestruale. Giusto per dire che il lupo mannaro è un archetipo che ha ancora molto da dire, e comunque spero che Matteo Lupini si divori il suo quasi omonimo il prima possibile, e non solo in un eventuale elezione. Grande super inizio! Il fanatico di Joe Dante in me torna ad ululare sul tetto fino a domani 😉 Cheers!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Da settimane sto leggendo di Dante ed è sorprendente scoprire quanto sia geniale molto più di quanto pensassi. Davvero un peccato che il cinema non abbia saputo apprezzarlo: è un fine artigiano in un mondo di prodotti di massa fatti in serie, non c’è più spazio per lui.
      E’ da maggio che sto raccogliendo materiale ed era impossibile racchiuderlo in un post solo: considera che ho scoperto esistere un libro dedicato interamente alla lavorazione di “Howling”! (Se non costasse 35 euro lo comprerei, ma la mia passione per Dante non arriva così lontano ^_^ )
      Quindi ci saranno più post dedicati ai vari aspetti del film… ma Venerdì arriverà il bollore di tutt’altro tipo 😛

      Ah, c’è anche l’aspetto delle lupe mannare a fumetti, che meriterebbe un approfondimento: spero di riuscire a quagliare in tempi brevi…

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      • Cassidy ha detto:

        Assolutamente sì, per me è uno dei registi più colti e preparati in fatto di cinema il fatto che ami visceralmente le pellicole di genere lo ha sempre relegato alla nicchia. Ogni tanto compare con un podcast sul sito “Trailer from hell” dove a turno registi parlano di film sconosciuti, Dante fa il vuoto, e parliamo di una serie di podcast dove ogni tanto sputano commenti di gente come Edgar Wright e John Landis, non proprio gli ultimi della pista. Non vedo l’ora di leggere tutto quello che sei riuscito a scovare, già mi frego le zampe 😉 Cheers!

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  3. Conte Gracula ha detto:

    I lupi mannari se la ridono, perché sanno che l’argento è un materiale terribile per farci spade e pallottole.
    È un gombloddoh di Matteo Lupini, per instillarci un falso senso di sicurezza!

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  4. Willy l'Orbo ha detto:

    Applausi per il nuovo ciclo e la scelta di un film che ricordo come un vero e proprio gioiellino, applausi per la scelta di approfondire la dimensione romanzesca e soprattutto applausi per la scusa labile e posticcia! 😉😅👏👏👏

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  5. Giuseppe ha detto:

    A un post talmente dettagliato e completo da far ululare di ammirazione (il gioiellino licantropico di Dante, che ricordi! Per quanto io abbia parimenti amato anche quello successivo di Landis) che cos’altro potrei mai aggiungere? Ecco, magari la segnalazione di un film con Peter Cushing anteriore al romanzo di Brandner, “The Beast Must Die” (del 1974, tratto a sua volta da un racconto di James Blish)… e di argento se ne usa pure qua, ovviamente 😉
    P.S. Amore al primo morso, altra perla da rivedere 😉

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  7. Kuku ha detto:

    Che roba pazzesca che hai tirato fuori!
    Beh per me è tutta roba nuova dal momento che ho l’impressione di non aver visto neanche un – ma è possibile? – film di lupi mannari. Mi rendo conto ora di questa cosa.

    C’è una frase che non mi è chiara: “In vista di questo ciclo, il 1° maggio scorso con 5 euro mi sono comprato la Trilogia di The Howling in eBook e ho iniziato a dare un’occhiatina al primo, con un piano ben preciso in mente: solo il primo film afferma di ispirarsi al libro di Brandner,”
    a quali film ti riferisci?
    Cmq il libro nel lo segno da leggere…questa lista to-read si allunga sempre più…aiut

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Dopo il primo Howling sono arrivati vari sequel, che mi prefiggo di illustrare nelle prossime settimane, tutti ovviamente mostri di bruttezza: solo il primo (e forse credo il quarto) si rifanno dichiaratamente al primo romanzo di Brandner, per cui volevo confrontarli.
      Lo scrittore, visto l’entusiasmo cinematografico, si è messo subito a sfornare altri due seguiti ma a quanto ho capito nessun film ne ha tenuto conto.

      Ne parlerò più avanti, ma ti anticipo che è curioso come la donna del romanzo del 1977 sia molto più emancipata rispetto alla versione cinematografica del 1981, segno che il concetto di “final girl” è entrato prima nei libri che nei film.

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