Children of the Corn 1 (1984) Grano rosso sangue

È estate e fa caldo, quando non diluvia e il maltempo distrugge tutto. Concentriamoci sul giallo del sole, come il giallo del grano. Lo sapeva già Oscar Wilde e i suoi adepti che la yellowness, la “giallosità”, è il simbolo della follia e della corruzione dell’anima. Dorian Gray leggeva un libro giallo come giallo era il Re della follia di Chambers: un altro Re, Stephen King, ci porta in un altro giallo ancora, quello del grano. Il grano cattivo e i suoi figli malvagi.

A farci compagnia in questo agosto, ci saranno i figli del grano…

Per avere un’idea dei problemi di produzione di questo film, sono andato a consultare il saggio Stephen King goes to Hollywood (1987) di Jeff Conner.

«King afferma di aver perso il conto di quante volte la proprietà [del film] è stata venduta e ri-venduta. Sembra che l’interesse iniziale nella sceneggiatura di King sia arrivato da Varied Directions, una piccola casa produttrice che sperava di farne un film con solamente un milione di dollari, con David Hoffman alla regia. Le speranze non sono bastate.»

Conner continua raccontandoci che all’inizio del 1979 il documentarista 34enne Harry Wiland (originario dello stesso Maine di King) ha chiamato lo scrittore e gli ha chiesto di poter lavorare insieme al progetto. Stando alle dichiarazioni di King, Wiland e il suo socio produttore Joseph Masefield gli hanno sottoposto diversi copioni, nessuno dei quali ha giudicato buono. King ha inviato loro il racconto e un contratto per un film a basso budget. Lo scrittore vuole assolutamente lavorare con Wiland perché girare nel Maine significa risparmiare moltissimo sui permessi delle riprese e perché il produttore ha anche già i diritti di una canzone da usare come colonna sonora.

I due tirano fuori almeno due sceneggiature, ed è stata accettata anche la richiesta di Wiland di inserire un richiamo alla guerra del Vietnam (oltre al fatto che già il protagonista del racconto è un reduce). Però all’orizzonte si avvicina un duo niente male: la HBO e la 20th Century Fox propongono produrre insieme il film, con 2,75 milioni di budget e l’attore Lance Kerwin (già visto nel televisivo Le notti di Salem da King) già opzionato come protagonista.
King e Wiland sono ancora “giovani”, credono ai sogni e alle case cinematografiche, così accettano. Salvo che la Fox si ritira poco prima delle riprese e Wiland non ha possibilità di gestire un film da quasi tre milioni di dollari. Tutto dunque si scioglie come neve su un campo di grano.

Povero King, a seguire le major c’è da diventare matti

Con l’inizio degli anni Ottanta altre case si avvicinano timidamente al progetto e la Hal Roach Studios se ne dichiara interessata, commissionando a George Goldsmith una sceneggiatura. Chi è Goldsmith? Un signor nessuno che a pochissimi anni di distanza sta compiendo lo stesso errore di Dan O’Bannon: come si dice a Roma, se crede ’sto cazzo.
Il mondo di Hollywood è come la politica: ci si ritrova spesso strani compagni di letto, il tuo nemico di oggi è il tuo migliore amico di domani, si litiga e poi si fa pace, vale tutto… ma appena chiami in ballo un giudice, sei finito. Goldsmith ad un certo punto ha fatto quello che O’Bannon ha da poco fatto per Alien, e quindi condividerà con lui lo stesso destino: il cinema gli chiuderà le porte in faccia.
Sapete chi non ha mai chiamato il giudice e anzi ha ingoiato giudizi palesemente sbagliati? Walter Hill, che continua a fare film anche se il pubblico pagante non lo segue. Come dicevo, ad Hollywood puoi fare tutto e ti fanno fare tutto: ma se chiami i giudici, sei fuori.

Goldsmith è convinto di poter migliorare il lavoro di King. Spetta che lo spiego meglio: il primo stronzo che passa, con zero esperienza, è convinto di saper gestire meglio una storia rispetto allo scrittore più venduto al mondo. Va bene un po’ di sana gagliardiaggine, ma questa è la stessa egomania che ha fottuto la testa di O’Bannon.
Dunque questo Goldsmith “migliora” la storia di King – «la volevo rendere più chiara, più lineare» pare abbia dichiarato, stando al saggio di Conner – aggiunge personaggi a spruzzo e scrive il finale buonista, perché «uccidere i due protagonisti del film non avrebbe aiutato al botteghino», pare abbia dichiarato, sempre secondo Conner.

«Spero che il film sarà controverso, illuminante ed intelligente. Ci sarà gente che capirà le metafore e le idee racchiuse in esso e gente che non le capirà: tutti però usciranno soddisfatti dal cinema.»

Bravo, Goldsmith, sei uno che resta umile e soprattutto sei così intelligente da dare degli stupidi ai tuoi futuri spettatori…

Tu, credi di essere degno di vedere un film scritto da George Goldsmith?

A forza di scrivere, siamo arrivati al 1983 e il copione di Goldsmith finisce tra le mani di Donald Borchers, un esperto di cinema di basso profilo che purtroppo si ritrova ad operare in un importante periodo di transizione.

Borchers proviene dalla AVCO Embassy, una casa di piccoli film che però hanno conquistato milioni di spettatori nel mondo. Fog (1980) di John Carpenter, Exterminator (1980), Due sotto il divano (1980) con Walter Matthau, Scanners (1981) di David Cronenberg, L’ululato (1981) di Joe Dante, 1997: fuga da New York (1981), Triade chiama canale 6 (1981) con Chuck Norris, Il mostro della palude (1982) di Wes Craven: questi sono alcuni degli ultimi gloriosi titoli della casa, in fase calante. Piccoli titoli che però hanno lanciato attori e registi in seguito diventati grandi.

Entra il Drago!

Ora Borchers è entrato in una casa che sulla carta è molto simile: la New World Pictures orfana di Roger Corman. La casa sta presentando robaccia che viene dimenticata all’istante e si sta cercando di cambiare tendenza: in effetti, con Philadelphia Experiment (1984) inizia una serie di film di medio livello che avranno buon successo negli Ottanta.
Quando Borchers in quest’ottica mette le mani su un racconto del Re, gli vengono gli occhi a forma di dollari!

Intervistato da David Everitt per “Fangoria” (1984), così racconta.

«Quando ho letto il racconto in A volte ritornano mi ha molto intrigato, perché vedevo l’opportunità di creare un progetto in cui credevo. Tra il febbraio e il luglio dello scorso anno ho visto forse cento copioni di genere horror, li ho odiati tutti, perché erano tutti derivativi da altri film. Amo l’horror e le storie fantastiche, ma onestamente mi deprime vedere una storia che è semplicemente una scopiazzata di un’altra. C’è un assassino in libertà, ha un coltello e sventra la gente di un certo posto. Perché? Perché lo fanno tutti. Ero invece interessato nell’esaminare l’idea del dogma, della fede cieca senza domande, e le conseguenze di tutto questo.»

Tralasciando il fatto che – come abbiamo vistoChildren of the Corn è profondamente derivativo, modo gentile per dire che scopiazza profondamente un’altra opera, mi sembra di leggere nelle parole di Borchers una critica a prodotti che in quel periodo stanno andando fortissimo, come gli slasher ripetitivi di Venerdì 13 e Halloween. (Nightmare deve ancora nascere.) Tutti i critici e i cineasti degli anni Ottanta li odiano pubblicamente, ma è tutta invidia per il successo al botteghino…

Comunque il produttore sale subito in barca con la Roach Studios, che ha la citata sceneggiatura di Goldsmith, seguito da Terrence Kirby che è un produttore di una casa di cui è socio Fritz Kiersch, che di professione fa il regista. Chi farà la regia del film? Ovvio, Fritz Kiersch.

Parlando con il citato Everitt, Borchers confessa:

«Ho avuto dei problemi con la sceneggiatura di Goldsmith. Il racconto era in pratica un atto unico, e per espanderlo in tre atti devi per forza prendere delle decisioni. Avevo una idea chiara di come fare il film e quando ho letto quel copione mi sono detto: “Mmm, è quasi quello che voglio fare, ma questo, questo e questo lo farei diversamente”. […]
Fra i cambiamenti rispetto all’originale, Goldsmith ha inserito due nuovi personaggi, i due giovani del gruppo che non credono nel culto, il che era fantastico. Così io ho inserito due personaggi più adulti che credono nel culto così da avere un contraltare. Lui ha riscritto il finale, il che è stato sorprendente perché così diverso dal testo originale.»

Tutti guardano il calendario: è quasi tempo di raccolto. Via, tutti nell’Iowa a girare il film in 27 giorni prima che i campi di grano comincino ad essere mietuti.

Studiando la nascita del film Alienraccontata qui grazie all’idea datami da Misterzoro! – ho scoperto un aspetto del cinema che raramente viene citato, almeno in Italia: l’arbitrato, di cui avrò modo di parlare più a fondo quando inizierò la storia di O’Bannon (fra i casi più incredibili di falsi crediti di sceneggiatura!).
Ciò che qui conta è che la New World Pictures era così contenta di avere il Re per le mani che ha depositato la sceneggiatura del film… a sua firma! E presentando il film Stephen King’s Children of the Corn. Il mite e umile Goldsmith si gonfia tutto e comincia a strillare, facendo l’errore a cui accennavo: chiama i giudici.

Buttare lì il nome di King vende sempre

Tirato in ballo il famigerato sindacato degli sceneggiatori (la Writers Guild of America), questo comincia a sentire le parti. Manda a Stephen King la sceneggiatura definitiva e gli chiede quanto ci sia di suo. Racconterà King, stando alla ricostruzione di Conner:

«Avevo in mano una copia della sceneggiatura finale con al suo interno larghe porzioni estrapolate da una mia precedente stesura, risalente almeno a quattro anni prima. Potevo addirittura riconoscere i caratteri Olivetti che avevo usato all’epoca.»

Questa paraculata con cui la casa voleva mettere il nome di King bello grande sul progetto, e vendere di più, secca parecchio lo scrittore, che quindi rifiuta ogni sua paternità davanti al sindacato.

Il massimo concesso a King

Poi la WGA chiama Tim Hewitt, uno dei vari sceneggiatori che avevano lavorato al progetto, e neanche lui si fida della New World Pictures: risponde al sindacato che non ha intenzione di discutere la questione né vuole alcuna paternità.
Visto che i due rinunciano, Goldsmith vince a tavolino. Così come ha vinto O’Bannon. Entrambi fottendosi la carriera.

Bravo Goldsmith, bella prova…

Quando il film esce, con Goldsmith come unico sceneggiatore, i critici fanno a botte per sputarci sopra: c’è gente che si è slogata un polso a forza di scrivere nella propria rubrica valanghe di insulti alla pellicola. Alla New Worlds Pictures poco importa, non ha mai ricevuto una buona critica (non sa neanche come siano fatte) e con un film a basso budget firmato da King incassa vendendo in home video (mercato all’epoca in rapidissima crescita) e all’estero.

Quando Alan Jones va ad intervistare il regista Fritz Kiersch per “Starburst” (agosto 1984), non sa presentarlo in altro modo se non uno dei nomi in lizza per l’imminente progetto Howling II (1985): gran brutta presentazione…
Il regista viene dal mondo degli spot pubblicitari ed è un volpone.

«Odio il dolore finto che mostrano i recenti film splatter. Il nostro film è più suggestivo e quindi più di impatto. Probabilmente è il suo aspetto di maggior successo.»

Mentre Jason e Michael Meyers squartano la gente con secchiate di sangue e nasce il fenomeno Freddy Krueger, quel fulmine di guerra di Fritz Kiersch pensa ai film horror “suggestivi”: non stupisce sia velocemente scomparso dall’ambiente.

Un altro che non ha capito dove si trova…

Il regista racconta di quando ha deciso di passare dal mondo pubblicitario al cinema (proprio come Ridley Scott, tanto per aumentare le similitudini di questo film con Alien), ed è subito andato a trovare l’amico Borchers alla New World Pictures.

«[Borchers] mi ha invitato nel suo ufficio e mi ha detto che non si perde mai quando si lavora a film con budget ristretto. Quando entrai nel suo ufficio, mi mise davanti quattro copioni e mi chiese di sceglierne uno. Uno era Philadelphia Experiment, che però prevedeva budget più alti, un altro era Tough Turf ma ancora in fase di lavorazione: ero interessato a questo ma alla fine lui decise per Children of the Corn, dicendo che era giusto per me.»

Sulla “giustezza” non c’è dubbio, così come Kiersch dimostrerà come si possa sbagliare anche con un film a budget ridotto. L’intervista finisce con il regista che si dice emozionato per il progetto Howling II… che non farà mai. Ciao, Fritz, mandaci una cartolina dai campi di grano…

Uscito in patria americana il 9 marzo 1984, il 13 settembre successivo finisce sul tavolo della commissione di censura italiana, che già il giorno dopo dà il nulla osta alla proiezione ma dietro divieto ai minori di 14 anni, «a causa della tematica e delle scene di riti esoterici che potrebbero turbare detti minori».
Dopo che Fritz Kiersch è passato per l’Italia nell’agosto 1984 (per motivi che non ho capito) a tirarsela da cineasta con i giornalisti nostrani – che a malapena sapevano chi fosse King, figuriamoci Kiersch! – il film esce in sordina il 16 settembre successivo con il titolo Grano rosso sangue, e in locandina una falce che testimonia involontariamente la scopiazzata dal film spagnolo originale.

Rimane al cinema il tempo di un paio di mietiture di grano, e venerdì 26 settembre 1986 già è trasmesso in seconda serata da Rete4.

Solo nel luglio 1988 viene pubblicizzata l’uscita in VHS Multivision del film, con curiosamente il marchio Cannon in copertina.

La compianta Stormovie (Quadrifoglio) lo presenta in DVD dal 2005 mentre la sola Quarifoglio l’ha presentato addirittura in Blu-ray dal 2014.

Stavolta Vicky e Burt vanno più d’accordo

Stavolta Burt e Vicky hanno i volti di Peter Horton e una giovane Linda Hamilton. Al contrario del testo originale e del cortometraggio di Woodward, stavolta i due vanno d’amore e d’accordo, giusto uno screzio di un paio di secondi per stabilire la data del matrimonio.

Investono un ragazzino e nella sua valigia trovano un crocifisso fatto con il grano: curioso che entrambe le produzioni, con budget ben diversi, presentino gli stessi oggetti di scena. Va bene che sono citati nel racconto, ma l’esecuzione è straordinariamente simile.

Tipico artigianato della campagna americana

Cercano di arrivare ad una grande città ma i cartelli stradali sbagliati li costringono ad arrivare a Gatlin, come se il qualcosa che vive tra i filari li voleva a sé. C’è pure la figura del meccanico che è connivente con l’entità del grano, ma è roba imbarazzante che è meglio dimenticare.

Un’amabile scampagnata tra il grano

Scopriamo che il giovane Isaac (il 25enne finto giovane John Franklin) parla con il Dio del Grano e guida la sua comunità di ragazzini, che ha da poco massacrato l’intera popolazione adulta di Gatlin.

Ogni culto inizia con un massacro…

La cosa non è ben spiegata, malgrado il film sia un unico enorme allungamento di brodo, non sembra si siano trovati cinque minuti per spiegare meglio la situazione di Gatlin: semplicemente un giorno Isaac ha detto “Ammazzate tutti gli adulti” e i ragazzi l’hanno fatto. Tutti tranne due bambini, che sono “pacifisti”, anche perché la piccola fra i due ha la “vedenza”: tutta roba totalmente inutile e buttata lì come riempitivo.

Il succo è che Gatlin non è un paese per adulti

Una volta esaurito il testo originale, Goldsmith non sa più che fare e comincia a tergiversare, con il mastino Malachia (Courtney Gains) che ordina alla gente di fare cose: oh, ma perché non se le fa da solo?

Ragazzi, se dovete citare Shining (1980), fatelo meglio

Si chiacchiera e si temporeggia, e fra uno sbadiglio e l’altro abbiamo pure Linda Hamilton crocifissa. È un’ottima scena, molto potente, ma essendo totalmente slegata dalla trama e rimaneggiata in modo cialtronesco, è fine a se stessa.

Nel racconto rappresenta l’apice finale, la crocifissione nel grano della protagonista è una bella batosta per il lettore: qui prima la tirano su, poi la tirano giù, poi la mettono qua, poi la mettono là. Ma che è, la macchina di Francesco Salvi?

Ragazzi, o crocifissa o libera, che ’sto su e giù mi dà un fastidio…

Presi i bambini, presi i chiodini, andiamo sul monte lassù: crocifiggiamo bambino… Isaac. Lo so, non fa rima, né è chiaro perché i Figli del Grano dopo aver massacrato i genitori per seguire Isaac ora tutt’ad un tratto lo odiano, ma la sceneggiatura di Goldsmith è così: deve averla scritta dopo essersi fumato una spiga bella lunga…

Qui appena ti giri… ti crocifiggono!

Grande periodo per le crocifissioni: Schwarzenegger in Conan il barbaro (1982), Paolo Villaggio in Fantozzi subisce ancora (1983), Thom Hoffman ne Il quarto uomo (1983) ben due personaggi in Grano rosso sangue (1984)… Anzi, tre, considerando lo scheletro di poliziotto.

Lo so, a me non mi contano mai…

Lo scheletro del poliziotto, il crocifisso-pannocchia e il pugnale-pannocchia, per non parlare di tutto il resto: tutto era già nel cortometraggio Disciples of the Crow, ma in forma decisamente migliore. Pare che questo filmato di Woodward sia uscito nel 1983, quando ormai doveva essere completata la sceneggiatura di Goldsmith ed addirittura già iniziate le riprese: possibile che gli autori abbiano avuto l’opportunità di attingere al materiale semi-scolastico di un oscuro giovane aspirante cineasta?

Eppure Woodward fa un lavoro di gran lunga migliore, simboleggiato dal giallo: il film Children of the Corn è completamente privo di grano giallo, ne vediamo solo le foglie verdi. Ma il verde non mette ansia come il giallo, di cui  abbonda il cortometraggio dell’anno precedente.

Un grano che non mette paura per niente

Degli effetti speciali non parlerei: quella roba disegnata col pennarello che “prende” Isaac non è degna di analisi. Che poi Isaac torna a prendere Malachia… ma torna da dove? E lo porta dove? Goldsmith ha scritto davvero una stupidata di sceneggiatura, e all’epoca ogni recensore l’ha distrutta: la critica più deliziosa e allo stesso tempo più crudele è che Children of the Corn è il peggior adattamento di King… prima che King stesso faccia peggio, da regista!

Se il cinema Z ci ha insegnato qualcosa, è che le critiche cinematografiche sono come le opinioni: sono scorregge che hanno sbagliato strada. Il film guadagna bene e sfruttando il nuovo mercato dell’home video fa bei soldi, quindi dà vita ad una saga che è più lunga di quanto crediate…

Non vi libererete facilmente di me…

Nel citare il bravissimo compositore Jonathan Elias, creatore di un tema sonoro corale da applauso, non mi resta che lasciarvi con visioni gialle di un grano maligno: da quel campo assolato dove vive un’entità maligna usciranno orripilanti seguiti di questo film… come vedremo nei prossimi venerdì.

L.


Bibliografia

  • Jeff Conner, Children of the Corn, dal saggio “Stephen King goes to Hollywood” (1987)
  • David Everitt, Stephen King’s Children of the Corn, da “Fangoria” n. 35 (aprile 1984)
  • Alan Jones, Children of the Corn. Interview with Fritz Kiersch, director, da “Starburst Magazine” n. 72 (agosto 1984)

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– Ultimi film da Stephen King:

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45 risposte a Children of the Corn 1 (1984) Grano rosso sangue

  1. Zio Portillo ha detto:

    Lo sapevo che oggi pubblicavi questo! Oggi sono super-incasinato… Accontentati della promessa che (a spizzichi e bocconi) riuscirò a leggere tutto!

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  2. Austin Dove ha detto:

    Bello, molto accurato come sempre. Dove prendi le fonti?

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  3. Cassidy ha detto:

    L’anticipazione sugli argomenti della futura rubrica su “Alien” mi interessa molto, ad Hollywood vale a volte davvero tutto, ma se ti fai la fama di piantagrane ciao, ti ritrovi terra bruciata attorno. Bisogna dire che O’Bannon e Goldsmith da questo punto di vista giocavano in un’altra categoria, dedicata alle teste matte 😉

    Non sono mai andato pazzo per questo film, il racconto originale di King aveva un buon livello di ansia generale, ma non mi ha mai esaltato nemmeno quello, tra tutti i racconti di “A volte ritornano” ne ho altri che amo di più (tipo il geniale “Quitters, Inc.”), ed ora dopo questo gran post non riuscirò a pensare altro che a: Questa Linda Hamilton qua devi metterla laaaaa! 😉 Cheers

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      ahahah quando ho visto che la tiravano su e la tiravano giù, che la portavano qua e poi là, non ce la facevo più dal ridere 😀

      “A volte ritornano” è una grandiosa antologia, e ci sono dentro dei racconti da applauso: che t’ha fatto “Il cornicione”??? ^_^
      “I figli del grano” è uno spuntino veloce che piace e va letto con gusto ma certo siamo lontani dai titoli che hanno reso celebre King.

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  4. Conte Gracula ha detto:

    Sai? Le scene di crocefissione erano discretamente popolari pure nei cartoni di robottoni – molte serie ne mostravano almeno una, per quel che ricordo.
    Robottone crocefisso o pilota crocefisso.
    Però mi pare che fosse una roba più soft: niente chiodini, solo corde.

    Tutto molto buffo… comunque, fa un po’ ridere anche l’idea di fare tutto con le pannocchie, pure le armi. Premonizione sulla plastica ricavata dal granturco?

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      I giapponesi hanno una passione per la crocifissione, ma non in senso religioso. Negli anni Settanta la donna legata in varie pose, fra cui legata su croce, la si poteva trovare in alcuni film di genere, quindi non mi stupisce sia stata una cosa poi trasportata nei cartoni. Ancora una decina d’anni fa ricordo un film giapponese arrivato in Italia con in locandina una donna tatuata mezza nuda messa in croce…

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      • SAM ha detto:

        Nel Giappone feudale , quando si diffuse il cristiianesimo, l’Imperatore Hideyoshi Toyotomi fece perseguitare i cristiani e ne crocefisse ben 26 per reprimere la diffusione della loro religione .
        Quindi anche per loro non è proprio una cosa allegra, anzi .

        L’unica cosa per loro intoccabile è l’Imperatore e la famiglia reale , che non può essere mostrato in film, anime e manga e non può essere oggetto di satira.

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Proprio perché per i giapponesi il crocifisso non ha il valore storico che ha per noi occidentali si possomo “permetterne” di farne un oggetto di feticismo. In film che difficilmente l’Imperatore avrà visto 😀

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  5. Willy l'Orbo ha detto:

    Interessanti le traversie produttive, condivisibile l’analisi del film che un po’ rapporto al film medesimo avendolo visto non moltissimo tempo fa un po’, curiosamente, al remake che ho visto questa settimana e che ha pensato bene di mantenere i difetti di questo! (Forse addirittura ampliandoli?) 😥😅

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Il problema fondamentale credo sia il fatto che la storia è brevissima e perfetta per im cortometraggio o per un episodio di un film-contenitore. Tirarne fuori 90 minuti prevede per forza inutili allungamenti noiosi…

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  6. SAM ha detto:

    Non ho letto il copione originale di King, ma non faticherei a credere che non fosse gran chè: lo testimoniano le pessime sceneggiature che ha realizzato per altri film , e anche perché King, come soggettista, è sempre stato un mediocre che scoppiazzava qua e là cose già fatte da altri.
    La sua vera abilità è sempre stata nella sublime prosa dei suoi racconti , con cui riusciva a rendere indimenticabile , anche le trame più idiote ( tipo quella di un pagliaccio alieno che vive nelle fogne che non riesce a uccidere 7 mocciosi idioti )
    Prosa che si perde negli adattamenti cinematografici , e che solo un bravo regista , è capace di mettere in maniera convincente su schermo ( tipo con the Mist, fedelissimo al romanzo breve , ma col finale cambiato in meglio. L’originale lo trovai troppo banale )

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      L’originale è un onesto racconto horror di buona atmosfera, ha solo poche pagine perché la storia sarebbe stata noiosa se più lunga: infatti il film pecca proprio dove vuole inventare un prolungamento per la storia.
      King solo poche volte è stato soggettista dei film tratti dai suoi romanzi, e qui di sicuro – come specificato – non lo è stato.

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      • SAM ha detto:

        Ma infatti il racconto originale l’ho letto , pensavo che King avesse fatto uno script per il film poi modificato, invece Goldsmith firma la sceneggiatura del film che invece viene attribuita inizialmente a King.
        Errore mio .

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  7. The Butcher ha detto:

    E’ un film che ha molti difetti ma io mi diverto a guardarlo ogni volta. Però ammetto che di trasposizioni belle dei libri o racconti di King non ce ne sono tanti (anche se alcune di queste sono straordinarie).

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Parliamo di decine e decine di titoli, ovviamente c’è in mezzo di tutto: dal capolavoro alla stupidata. Negli anni Ottanta almeno c’era una fotografia e un modo diverso di fare cinema, quindi anche i film peggiori alla fin fine si lasciano guardare 😛

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  8. Giuseppe ha detto:

    C’è da spostare Linda Hamilton, venga fuori qualcuno che da soli non ce la facciamo a farcela! E BASTA! 😜
    Tornando a quest’adattamento cinematografico (con tanto di puntuali e dettagliati retroscena), lo trovo una grande occasione mancata (tra le altre) di portare su grande schermo un’entitå lovecraftiana come Colui Che Cammina Dietro I Filari in modo adeguato: un po’ poco far resuscitare un Isaac che ruggisce un “MALACHIA, ADESSO VUOLE TE!” per mostrare la sua potenza e la sua furia vendicativa, quando il semplice passaggio nel racconto riguardante la scoperta del suo tentativo di raffigurazione -a mo’ di sinistra parodia del Cristo classico- riesce da solo a essere più spaventoso dell’intero film (capace comunque, con i suoi palesi e reiterati difetti, di rimanere il “migliore” della serie… Il che è tutto dire, ovviamente).
    P.S. Dove si dimostra di nuovo che ricorrere all’arbitrato è un errore di gioventù senza possibilità di riscatto, in quel di Hollywood…

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  9. Iuri Vit ha detto:

    Io Malachia lo ricordo ancora come se fosse qui.

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  12. MisterZoro ha detto:

    Torno dalle ferie oggi, parto col mega recupero dello Zinefilo e…mi trovo citato!

    Grazie Lucius, mi hai fatto cominciare l’anno lavorativo col sorriso =D

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