La Kings Road Entertainment è una di quelle case che ha capito dove soffia il vento sin dal 1989, in cui ha azzeccato due filmoni non da poco: Giochi di morte con Rutger Hauer e Kickboxer con Van Damme. Affida al nostro Albert Pyun Kickboxer 2 (1991) e poi continua a seguire la saga degli Sloane, mentre intanto il regista parte per il futuro.
Sulla via verso i “cyborg di menare“, la Kings Road e Pyun fanno un pezzo di strada insieme, che si chiama Knights.
Gli americani amavano il Dylan Dog Horror Fest di Milano, perché registi ed attori si facevano una vacanza in Italia tutta spesata senza sentire poi il bisogno stringente di presentarsi al festival, così che alla fine l’iniziativa ha chiuso i battenti. Invece sono più presenti i giornalisti come Anthony Timpone, firma eccellente di “Fangoria” che con la moglie si spara sette giorni di proiezioni in anteprima al Palatrussardi.
Scrivendo su “Fangoria” n. 129 (dicembre 1993), Timpone racconta di quel lunedì 31 maggio precedente in cui Lance Henriksen ha spiegato in una conferenza stampa come il film che è venuto a lanciare non è la solita produzione di fantascienza bensì una commedia sul genere. Incontrato poi di persona, l’attore rivela al giornalista che il finale aperto del film non preclude ad alcun seguito: semplicemente… erano finiti i soldi.
Quel 31 maggio dunque esordisce in anteprima mondiale al Palatrussardi di Milano il film Knights, che la Paramount poi porterà in home video americano dal novembre successivo.
Non esiste alcun visto censura italiana né traccia di trasmissione televisiva: semplicemente un giorno del 1994 la Fox Video ha portato il film nelle nostre videoteche, con il titolo Knights. I cavalieri del futuro, per poi non farlo mai più apparire in lingua italiana.
Quando quel giorno nella mia amata videoteca di quartiere noleggiai questo film, mai avrei pensato di star assistendo ad uno spettacolo unico che sarebbe scomparso per sempre: persino trovare il film in lingua originale è raro, impossibile in italiano.
Ignaro che la distribuzione italiana potesse fare così tanti disastri, non conservai quello che all’epoca considerai un filmetto poco interessante: ero talmente circondato di filmoni marziali d’ogni sorta che potevo anche permettermi di fare lo schizzinoso.
Nel futuro l’umanità sarà soggiogata da una razza di cyborg vampiri… e già partiamo male. Per fortuna a capitanarli c’è il mitico Lance Henriksen, con un braccione gigantone robotico e due aghi nelle dita per succhiare il sangue dagli umani. Malgrado l’attore alla presentazione spacciasse il film per una commedia sulla fantascienza, purtroppo Pyun è invece dannatamente serio.
Massacrati e succhiati alcuni contadini, i “vampyborg” (propongo questo neologismo) non si accorgono che è rimasta viva la piccola Nea, che giura vendetta. E siccome ci tiene, prima giura e poi mantiene: è la Legge di Ambra, baby.
Passano dieci anni e Nea prende le fattezze della splendida Kathy Long, cinque volte campionessa di kickboxing femminile negli anni Ottanta che ha provato a sfondare nel cinema nel momento migliore, cioè nei marzialissimi Novanta, purtroppo senza alcun successo.
Nel maggio del 1997 appare sulla rivista “Femme Fatales” (figlia di “Cinefantastique”) un servizio-intervista su Kathy Long.
«La prima reazione che ha la gente è: “Dio, non sembri proprio una kickboxer”. Ed io rispondo: “Lo prendo come un complimento, grazie”. Credo che si aspettino dei donnoni pieni di muscoli, e sono contenta di non essere così, così come sono contenta di saper combattere bene come gli uomini… se non meglio (ride).»
All’età di 17 anni è diventata cintura nera di aikido e a 22 anni in gee yau bok gik, che non so cosa sia ma così scrive il giornalista. A 27 anni, archiviata l’attività agonistica (di cui a fine post trovate un video con “il meglio di”), partecipa ad un provino della Warner Bros.
«Cercavano donne che sapessero combattere, fare stunt ed assomigliare fisicamente a Michelle Pfeiffer. Mi presentai all’audizione più per curiosità che per altro: il giorno stessi ottenni il lavoro.»
La Long dunque arriva al cinema grazie a Batman. Il ritorno (1992), come stuntwoman generica ma anche stunt double di Michelle Catwoman Pfeiffer.
Albert Pyun ha palesemente un debole per le donne “toste”, sia muscolose che lottatrici, quindi non stupisce scoprire che era fra il pubblico durante l’esibizione della Long come addio all’agonismo. Stupefatto dalla forza della lottatrice il regista la avvicina e le piazza l’offerta: vorrebbe essere protagonista del film Knights? Certo che passare dalla Warner Bros alle robe di Pyun il salto è bello grosso…
«Gli risposi: “Guarda, io non so niente di recitazione, non l’ho mai fatto prima”. Lui disse: “Credo davvero che tu abbia una presenza che funziona sullo schermo: voglio metterla alla prova”.»
L’attrice finisce sotto contratto con la Kings Road per una serie di film, distribuiti addirittura peggio di Knights, quindi purtroppo non è nata una nuova stella dell’action anni Novanta.
Torniamo alla giovane Nea, che sta per soccombere ai vampyborg ma all’ultimo secondo viene aiutata da Gabriel (Kris Kristofferson), che è un cyborg pure lui ma di quelli buoni. Prende la ragazza sotto la sua ala e la allena per farne una combattente: purtroppo le scene di allenamento sono veloci e straordinariamente vaghe.
Gabriel è un lottatore così fenomenale che i cattivi ci mettono cinque minuti a farlo fuori. È anche vero che deve misurarsi con un Gary Daniels in forma, anche se relegato in un ruolo minore e buffonesco.
Per vendicare la propria famiglia e Gabriel, Nea si presenta all’accampamento dei vampyborg e sfida il loro campione: un umano che ha tradito la propria razza per servire i vampiri. E chi poteva fare l’infame Ty se non Vincent Klyn, amico e feticcio di Pyun?
Lo scontro fra Klyn e la Long poteva essere il momento chiave del film, invece è una roba senza nessuna importanza.
Siamo a metà film e la sceneggiatura è scomparsa: inizia una lunga unica sequenza d’azione marziale che ci porterà fino alla fine. Forse un miglior dosaggio sarebbe stato auspicabile, ma Pyun quando parte non lo ferma più nessuno.
Lancia la sua Nea ad affrontare decine e decine di nemici tutta da sola, menando come non ci fosse un domani.
Le coreografie dell’esordiente Burton Richardson sono un po’ rozze ma funzionali, le mosse in cui si lancia l’attrice-atleta sono ghiotte e curiosamente atterra i nemici con un solo colpo: c’ha il calcio d’acciaio!
Dopo venti minuti di combattimenti risbuca Gabriel, ridotto però in “formato Bishop”, cioè solo dalla vita in su. Ricordandosi di Luke e Yoda la nostra Nea se lo carica in spalla, così può combattere anche con la schiena.
Alla fine, non sapendo più come finire una storia mai iniziata, Pyun butta là uno dei suoi famosi cliffhanger: un cyborg rapisce il fratellino di Nea e invita la donna a venirlo a recuperare a Cyborg City, volandosene via. Stando a Lance, l’abbiamo visto, è solo una furbata perché erano finiti i soldi, ma non escluderei che Pyun pensasse davvero di dare un seguito a questo delirio.

Purtroppo nel film non si vede questa scena, rovinata da inquadrature sbagliate.
Foto presa da “Imagi Movies” n. 1 (autunno 1993)
La forza di Albert Pyun sta in film di serie Z con uno stile unico e soprattutto con trame uniche: non certo sceneggiature da Oscar ma corpose, personali e appassionate. Qui a parte continuare la sua critica alla tecnologia – i vampyborg sono stati creati dagli umani per difesa ma poi si sono rivoltati – non c’è nulla di nulla, vuoto totale. Al contrario di tutti gli altri suoi film, ha rinunciato ad una qualsiasi sceneggiatura in favore della sola azione, creando sì un prodotto profondamente di genere che sicuramente piace a chi, come me, è cresciuto con quel tipo di cinema, ma in realtà… manca qualcosa.
Manca il tocco di Pyun, quello che contraddistingue un dozzinale filmetto d’azione qualunque degli anni Novanta e un film unico. Magari incomprensibile, magari squinternato, ma se c’è Pyun alla regia quel film non lo scorderai. Questo purtroppo non merita di essere ricordato: dedicare un’intera metà di film ai combattimenti va bene, ma all’epoca c’erano film marziali di qualità molto più elevata, quindi senza il “tocco di Pyun” Knights rimane vuoto.
Il massimo che gli si può concedere è la scelta di girare fra le montagne dello Utah, sempre in pendenza, il che dà alle inquadrature d’azione uno stile particolare. Troppo poco, per essere un Pyun.
Forse Pyun si rende conto che questo modo di fare film non funziona, non in un momento in cui escono decine di film marziali di qualità tecnica superiore, o forse la pessima distribuzione (e quindi immagino lo scarso incasso) l’ha convinto a lasciar stare per il momento un qualsiasi seguito della vicenda e in generale il Kung Fu-ture.
Non si può però fermare una passione, quindi i “cyborg di menare” torneranno, come vedremo la settimana prossima.
L.
– Ultimi post sui “cyborg di menare”:
- Cyborg Conquest (2009) Chrome Angels / Biker Girls
- Hardware (1990) 30 anni di cyber-plagio
- Cyborg Terminator 5 (2017) The New Model
- Cyborg Terminator 4 (1996) Death Angel
- Shadowchaser 4 (1996) Assedio alieno
- Omega Doom (1996) Per un pugno di androidi
- Shadowchaser 3 (1995) Terrore sull’astronave
- Cyborg Terminator 3 (1996) Prey Harder
- Shadowchaser 2 (1994) L’ombra del cacciatore
- Heatseeker (1995) Kung Fu-ture appannato
Sempre voluto vedere, non ricordo ma potrei averlo addirittura nella mia collezione di VHS, devo controllare. Anche se forse con una copertina diversa.
Finalmente sono riuscito a leggere uno di queste recensioni sui cyborg di menare ahah!
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Mi spiace che hai beccato un “passo falso” di un regista in realtà molto più bravo, con le dovute proporzioni: Pyun fa sempre e solo filmacci assurdi, ma con uno stile unico e particolare che – a tua insaputa – dopo anni dalla visione ti rendi conto che il film ti è piaciuto 😀
Se hai la rara VHS italiana ti faccio un monumento ^_^
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Ho questa https://www.bloodbuster.com/cms/wp-content/uploads/legacy/cavalieridelfuturoVHS.jpg non so se è lo stesso film, troppi titoli tutti uguali nel mercato home video italiano!
Hai proprio ragione, Pyun piace quasi sempre ad insaputa dello spettatore! Fino ad ora è stata una regola costante con tutti i suoi film.
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Purtroppo non è quello, è il solito titolo omonimo dovuto all’eccellente fantasia dei distributori. Comunque è sempre una chicca, complimenti 😉
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Lo so io perché Albert Pyun ha un debole per le donne “toste”… perché devi pagare una sola persona che fa da attore e stunt di se stessa ahah.
Scherzo ovviamente, ma non è improbabile.
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Con Kathy Long è andato sul “magro”: dal secondo “Cyborg Terminator” (che vedremo la settimana prossima) andrà sul bodybuilder spinto!
Rimarrà un mistero il perché la Long non abbia sfondato in un momento in cui il cinema marziale regnava: a parte Cynthia Rothrock (che però lavorava principalmente in film asiatici, anche se con attori americani) le altre donne marziali dell’epoca non sono riuscite a ritagliarsi un loro spazio.
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Cynthia Rothrock però aveva un successone soltanto in Asia, poverina. Arrivata in America non ha mai avuto il successo sperato e meritato Se non c’era spazio per lei, credo non ci fosse spazio per nessun’altra. In proposito ti ricordo il documentario “The Last Action Hero” che tra le tante panzane di rivalutazione nostalgica che detesterai, ha degli ottimi momenti, inclusa un’intervista a Cynthia.
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I film asiatici di Cynthia vendevano molto bene in Occidente, anche perché molti erano studiati apposta con attori americani. A parte minchiate assurde come “Undefeatable” (di cui un giorno dovrà rendere conto) ha fatto molti titoli amati all’epoca. “Lady Dragon” è la versione femminile di “Kickboxer”, peraltro dello stesso regista: sicuramente non ha avuto lo stesso successo di Van Damme ma una sua grande nicchia se l’è aperta. Ogni volta poi che tornava a combattere con Richard Norton Italia1 impazziva e comprava tutto, solo per far sparire tutto nel nulla finiti i Novanta.
I suoi film su China O’Brien o quelli di Tiger Claws hanno ricevuto un’attenzione molto più alta rispetto alle opere della povera Karen Sheperd, lanciata proprio da Cynthia nel 1986 con il cult “Yes, Madam”.
E’ anche vero che mentre lo stile di Hong Kong sapeva esaltare i combattimenti con le donne (anche con l’uso di stunt maschi travestiti) il “realismo” americano le penalizzava. Cynthia non è una combattente, la sua specialità sono i kata in solitaria, mentre vere lottatrici americane del ring (come appunto Kathy Long e la Sheperd) non avevano il senso del cinema, non aiutate poi dai registi.
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Lo sai vero che “Undefeatable” è per la scatola della videotortura… quando riuscirò a mettere le mani su una copia VHS saranno acidissimi cavoli per qualcuno.
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Guarda, stavolta Petar ti uccide in diretta… ed avrà la giusta causa 😀
Essendo io recidivo, dopo aver duplicato la VHS da videoteca, ho anche registrato “Undefeatable” quando passò sulla prima La7: non ho più nessuna delle due copie, avendo conservato solo i combattimenti. Tanto per allungare la lista del mare di roba marziale che ho perso…
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Ma come, sembra così divertente! Secondo me se la spassa.
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MI manca purtroppo, ma ora abbiamo capito perché Catwoman spaccava così tanto 😉 Questo viaggio nel Kung-Future continua a migliorare, non ho capito però perché in locandina Lance Henriksen sia diventato Lance Henrikson, sarà suo cugino? 😉 Cheers
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Sai che i distributori italiani sono sempre molto attenti al momento di creare locandine nostrane 😀
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Il guaio di molti registi (anche non di serie Z) è che non si immedesimano negli spettatori. O meglio, partono dal presupposto che, se una cosa piace a loro, piacerà anche al pubblico. Non è affatto così, ovviamente, e la tua recensione lo prova in modo molto chiaro: al regista (evidentemente appassionatissimo di arti marziali) sarà piaciuto imbastire una scena di combattimento lunga 20 minuti, ma per la stragrande maggioranza degli spettatori 5 sarebbero stati già troppi.
Come avrai intuito, preferisco i registi che cercano di compiacere il pubblico a quelli che cercano di compiacere se stessi. Tuttavia, detesto anche quelli che corteggiano il pubblico in maniera troppo spudorata: ad esempio, se noto che in un film è presente una love story totalmente inutile ai fini della trama mi incazzo, perché vuol dire che è stata inserita soltanto per compiacere il pubblico femminile e attirare in sala qualche spettatrice in più.
Prendiamo ad esempio Di nuovo in gioco: è un film sul baseball, quindi le possibilità di intercettare il pubblico femminile erano pressoché nulle. Conscio di questo, cosa ha fatto lo sceneggiatore? Si è inventato un personaggio totalmente inutile ai fini della trama (quello di Justin Timberlake), e l’ha piazzato a forza dentro la storia al solo scopo di farlo accoppiare con Amy Adams. Intendiamoci, Di nuovo in gioco resta comunque un buon film (l’ho anche recensito positivamente nel mio blog), ma questa è stata un’operazione di marketing davvero becera.
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Devi però tenere conto dell’epoca: nei primi anni Novanta le videoteche e i canali televisivi sciabordavano di film con almeno metà storia dedicata ad incontri marziali: era esattamente quello che voleva il pubblico di allora.
Pyun non ha mai dimostrato di amare le arti marziali, lo prova il fatto che il Director’s Cut di “Cyborg” taglia gli unici motivi per vedere il film, cioè le tecniche spettacolari di Van Damme.
Pyun si rivolgeva al pubblico delle videoteche, quello che premiava film di gente che si mena dall’inizio alla fine. Solamente sul finire degli anni Novanta il pubblico è cambiato e considera “film d’azione” un film senza azione e “film di arti marziali” un film con mezzo pugno, invece il problema di Pyun è l’esatto contrario: lui voleva raccontare una favola futuristica ma doveva riempirla di combattimenti per sperare di venderla.
Il problema del film non sono i combattimenti, è la mancanza dello stile di Pyun. La forza di questi film era la perizia nelle scene marziali, che Pyun non ha mai avuto, sopperendo però con una regia illuminata, che qui purtroppo manca.
Il problema delle donne non è certo nuovo: il primo genere americano, il western, non è mai stato pensato per le donne, e al di là di qualche divo belloccio in panni western non si è mai andati. Non ce n’era bisogno, esistevano i generi: gli uomini guardavano film per uomini, e le donne li accompagnavano perché così si faceva, consolandosi poi coi film per donne (drammoni romanticoni) a cui trascinavano i mariti.
Poi dal Duemila le ragazzine sono diventate una fetta vitale di un cinema senza più generi, privo di film per uomini e donne ma con esclusivamente filmetti-amalgama.
Però il baseball è fra gli sport più amati d’America quindi lo si può ancora fare – molti non arrivano da noi, ma ogni anno ne escono parecchi di film su quello sport- quindi non c’è bisogno di pensare alle ragazzine, che però essendo una fetta rilevante di pubblico tocca comunque allisciare, e via il divetto belloccio.
Come in “Un dollaro d’onore” (1959) c’era il belloccio Ricky Nelson a consolare le mogli annoiate che dovevano sopportare i western che piacevano ai mariti, così Justin 😛
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Tra i film sul baseball rimasti inediti in Italia mi è piaciuto molto Bottom of the 9th. L’ho recuperato acquistando il dvd americano su Amazon: quando sarà passata l’epidemia ti consiglio di comprarlo anche tu. Grazie per aver risposto ad entrambi i miei commenti! 🙂
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P.S.: Giusto pochi giorni fa leggevo una pagina del librone “Guida al cinema western” in cui si parlava di Kris Kristofferson, descrivendolo come un astro nascente che fu stroncato dalla sua partecipazione al superflop I cancelli del cielo: considerato che già negli anni 90 si era ridotto a recitare in film come questo, direi che questa sintesi della sua carriera gli calza a pennello… 🙂
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Rimarrà un mistero la sua rovinosa caduta dopo essere stato un divo titanico.
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Immagino e concordo sul fatto che Pyun e il cinema marziale offrano di meglio, ma tra il regista suddetto, l’action no-stop, i vampyborg e il cast…a me ‘sto film ispira assai! Peccato sia reperibile quanto il Graal! 🙂
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All’epoca lo noleggiai in videoteca pieno di speranza, ma ero circondata da roba di così alto livello marziale che Knights mi deluse parecchio.
Rivisto oggi, dopo Cyborg Terminator, la differenza di stile si avverte profondamente: è come se Pyun nella foga di ritagliare su Kathy Long un film avesse sospeso il proprio stile.
Aggiungi poi che come suo solito le scene marziali sono inquadrate maluccio, capisci che per gli standard dell’epoca siamo bassini 😉
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Le tue delucidazioni abbassano ulteriormente, un pochetto, le aspettative ma la fiammella Z che mi sibila “vediloooo” resta, pur con la consapevolezza di un’impresa difficilmente realizzabile! 🙂
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Se riesci a trovare il film in italiano, il monumento equestre non te lo toglie nessuno 😀
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Ci proviamo…seppur con poche speranze di successo! 🙂
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Come avrai capito conoscendomi da alcuni anni, nel caso di questi film “poco densi” vengo a chiederti il perché di dettagli marginali.
Perché il campione dei vampyborg dovrebbe essere un umano che di protesico non ha nemmeno le extension?
Se ‘sti vampiri incrociati col minipimer hanno tirato giù valanghe di umani, perché uno di loro dovrebbe essere abbastanza forte da proteggerli? Tralasciando perché dovrebbe farlo, abbiamo già chiarito che la trama è poco curata, il che “giustifica” la plot armor della protagonista che falcia chiunque con un calcio solo 😛
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Hai già capito cosa c’è dietro: zero trama, in favore di un film cucito addosso a Kathy Long 😛
In ogni storia di invasione c’è l’infame che tradisce la propria razza, da una parte e dall’altra, quindi Pyun da bravo narratore l’ha infilato anche qui, anche se certo gli è venuto proprio male male male. Diciamo che era un modo per far lavorare il suo amicone Vincent Klyn.
Alla tua domanda aggiungo: come fa una decina di vampyborg a governare il mondo? La risposta è facile: è inutile farsi domande 😀
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Erano così pochi? Pensavo fossero una nazione, come minimo XD
Così possono conquistare al massimo un condominio!
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Sono meno di una decina di cyborg e un centinaio di umani-schiavi, che Nea mena uno alla volta. Capisci che le ambizioni di questa favola non sono molto alte…
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È un mondo un po’ piccolo, da conquistare 😛
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Molto meglio questa Kathy Long di quell’altra bombata di steroidi di cyborg Terminator 2. Peccato per la carriera di Kris Kristofferson, la vera incarnazione del Rambo di Morrell era lui altro che Stallone.
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Ciao, io il film ce l’ho, se vuoi posso fartene molto volentieri una copia
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Ma… in italiano?????
Saresti nominato Santo Patrono Zinefilo ^_^
Scrivimi pure a lucius.etruscus@gmail.com, sperando che con “copia” intendi “copia digitale”, visti i tempi di quarantena che stiamo vivendo 😉
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In italiano sarebbe un autentico colpaccio! Io ricordo di aver trovato qualche tempo fa solo questa versione in inglese (finita ovviamente nelle visioni in arretrato, visto che ho sempre dato la precedenza ai due primi capitoli di Nemesis):
http://www.myduckisdead.org/2015/06/knights-1993-albert-pyun.html
Pur essendo un Pyun minore, devo ammettere che Kathy Long costretta a vivere in un mondo dominato da una NON moltitudine di bizzarri vampyborg (hai coniato un termine azzeccatissimo 😉 ) è un qualcosa che mi aveva catturato da subito, nonostante l’esecuzione del tutto alla fine si sia rivelata ben poca -e incompiuta- cosa anche rispetto agli standard di Albertone nostro…
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Speriamo che Phil si attivi, sono in attesa di risposta 😉
Malgrado la delusione nel rivederlo oggi, rimane un caro ricordo di un’epoca ormai perduta, in cui potevi trovare cyborg, Lance Henriksen, Gary Daniels e donne toste nello stesso film 😛
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COSA E’ STA’ ROBA???
QUANDO E’ SUCCESSO TUTTO QUESTO?
E DOVE ERO IO, FORTUNATAMENTE, PER NON SAPERLO XDD??
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Pyun ha fatto tutto alle tue spalle 😀
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XDDDD
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T’ho scritto 😉 tutto in italiano ovviamente
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MITICO!
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