Robot Jox (1989) Il Robojox che uccise la Empire

Visto che negli ultimi giorni il mio lettore SAM si è lamentato che non ci sono abbastanza film di Charles Band nel blog, visto che il 24 marzo scorso ci ha lasciati Stuart Gordon e visto che per puro caso ho ritrovato il DVD di RoboJox che con mia grande disperazione avevo dato per perso (ma la casa nasconde, non ruba!), mi sembra il momento giusto per unire questi puntini e parlare di quello che Gordon stesso ai giornalisti dell’epoca descrisse come “il primo film di robot giganti” («This is the first time giant robots will appear in a live-action, realistic film»). E qui devo fare una premessa.


Ma gli americani
sognano robot giapponesi?

Aggiungo un “visto” a quelli citati sopra, perché sabato scorso (23 maggio) il mio lettore James Goldsmith (credo uno pseudonimo!) mi ha scritto in merito alla colonna sonora di Pacific Rim (2013) sottolineando come anche dal punto di vista musicale Del Toro abbia «voluto omaggiare i mecha-anime classici». Non sono sceso nella questione perché detesto tutto ciò che crea Del Toro quindi non mi interessa scoprire se davvero fosse questo il pensiero dell’autore, ma nel commento sollevavo ben altra questione.

A Goldsmith (qualunque sia il suo vero nome) sollevavo lo stesso dubbio che cerco di sollevare dal 2013 a tutti quelli che gridano per le strade e si strappano i vestiti, conquistati dalla divina gioia di aver visto Pacific Rim adducendo come unica ed esclusiva motivazione di tanta orgasmica allegrezza il vedere omaggiati in un film i robot giganti dei cartoni animati giapponesi: tutto qua? Quindi il film di Mazinga l’avrete adorato… No, quello fa schifo. Boh, io i fan non li capisco.
Comunque il succo della mia obiezione è: siete sicuri che gli americani abbiano passato la vostra stessa identica infanzia? Siete sicuri che gli americani abbiano passato gli anni Ottanta circondati da emittenti televisive che facevano a botte per presentare cartoni animati giapponesi pieni di robot giganti? Siete sicuri che Jeeg Robot e Goldrake, che in Italia sono molto amati perché hanno fatto crescere un’intera generazione, siano altrettanto venerati dagli americani? Nessuno mi risponde, perché è ovvio che la risposta è una sola: a Del Toro e agli americani non frega una stra-mazza di niente delle decine e decine e decine di robottoni con cui noi italiani siamo cresciuti negli anni Ottanta, perché prima degli anni Novanta – con il boom dei manga anche negli USA – probabilmente non avevano neanche idea della loro esistenza.

Mi sa che questa introduzione non finirà mai…

Mentre i più accorti fra i recensori di Del Toro hanno trovato la scappatoia giusta parlando di “omaggio ai kaiju giapponesi”, cioè quei film di mostroni gommosi che agli italiani facevano schifo finché non sono tornati di moda e allora tutti ad adorarli, tutti continuano a pensare che le trasmissioni televisive italiane degli anni Ottanta fossero universali, e che in America – il Paese che dagli anni Cinquanta ricrea in patria i successi stranieri, invece di importarli – fossero tutti lì ad impazzire per i mecha, che negli anni Ottanta nessuno chiamava così ma oggi va di moda farlo. In realtà negli anni Ottanta i robot giganti erano stupidate per ragazzini, e infatti io che ero ragazzino li adoravo, iniziando la mia carriera già probabilmente nel 1978.
Negli anni Ottanta a scuola si parlava di Carmen Russo, Nadia Cassini e di tutte le dottoresse alle grandi manovre: il primo che avesse anche solo vagamente citato un qualsiasi robot gigante sarebbe stato preso a scoppole e considerato uno sfigato. La prima volta che ho potuto confessare pubblicamente di aver visto i cartoni animati per la mia intera infanzia è stato a 17 anni! Quindi tutti quelli che oggi si riempiono la bocca di mecha, dovrebbero ricordare che è un fenomeno legato agli anni Novanta, quando sono arrivate le videocassette Yamato, le fumetterie si sono riempite di manga ed è cominciato il culto condiviso di qualcosa che prima era privato.

Se introduzione non finisce… botte!

Il dubbio che dal 2013 tento di instillare e che non trova mai risposta nei fan di Del Toro, trova risposta in Stuart Gordon, che nel 1989 deve spiegare alla stampa quanto sia grandiosa la sua operazione: è il primo film con i robot giganti, finora visti solamente in forma animata. Cosa citerà Gordon per farsi capire dai giornalisti e quindi dai lettori? Jeeg Robot, Goldrake e Mazinga? Quelli solo gli italiani li conoscono, agli americani sono un popolo xenofobo che non ammette l’esistenza di vita oltre il confine del loro continente, non puoi citare produzioni di quei giapponesi che proprio in quegli anni li stanno invadendo economicamente, comprando le grandi aziende.
Cosa fa Gordon? Cita due titoli che evidentemente i suoi connazionali del tempo conoscono molto bene: Transformers e Robotech, cioè due prodotti praticamente autoctoni. (Il primo era una co-produzione nippo-americana ma percepita come yankee e  il secondo era un rimaneggiamento di vari anime curato da Carl Macek, quindi un prodotto locale creato tagliando storie straniere.)

Mi spiace per gli italiani cresciuti con i robot giganti che ancora oggi credono siano patrimonio dell’umanità: non fregano niente a nessuno, se non ai giapponesi e agli italiani. Sicuramente ci saranno fan di Mazinga anche in America, ma quel tipo di cartone animato non è entrato in profondità nell’immaginario collettivo come è successo a noi che siamo cresciuti negli anni Ottanta.


La nascita
e la problematica creazione

Al giornalista Kris Gilpin di “Starlog” n. 145 (agosto 1989) Stuart Gordon racconta che un giorno si ritrovò in un negozio di giocattoli della grande catena Toys-R-Us e si innamorò della serie dei Transformers.

«Ne divenni un fan. In particolare mi piacevano le illustrazioni sulle scatole, che mostravano le squadre di manutenzione che si arrampicavano su questi robot giganti. Mi resi conto che con gli effetti speciali disponibili oggi quel tipo di idea fantastica era perfetta per il cinema.»

Nello stesso identico periodo a “HorrorFan” dirà che era a Roma per le riprese di Dolls – un film uscito due anni dopo l’inizio della lavorazione di Robot Jox – non sapendo poi che nella Capitale non esisteva un Toys-R-Us prima degli anni Novanta.

Facciamo finta di credere a Gardon. Ha l’illuminazione guardando dei giocattoli e corre a casa a scrivere una sorta di racconto epico con protagonista Achille, poi lo passa al suo fedele collaboratore Dennis Paoli che cura varie stesure della sceneggiatura, finché i due decidono che è il caso di chiamare qualcuno che ci capisca. A Chicago Gordon ha curato la regia di una rappresentazione teatrale del celebre romanzo di fantascienza militare Guerra eterna (Forever War, 1975): perché non chiamare quel romanziere che sembra capirci di fanta-guerre? Entra così in scena Joe Haldeman.
Mi sarebbe piaciuto trovare dichiarazioni del romanziere su Robot Jox, ma non ne ho trovate: temo che gli infiniti casini del film e l’odissea della sua (pessima) distribuzione abbiano fatto subito allontanare Haldeman dal progetto. Probabilmente quando il film alla fine è uscito, manco l’avrà visto. (E ha fatto bene!)

Robotti coi botti!

Sappiamo da Gordon che il romanziere ha scritto addirittura undici stesure diverse del copione. «L’esperienza di Joe in Vietnam è stata utilissima, visto che il soggetto parla dell’umanità cinquant’anni dopo una guerra atomica». Il regista ci tiene a precisare che malgrado la presenza di robottoni, legati al mondo dell’animazione per l’infanzia, questo non è un film per bambini. «Robot Jox è pensato per tutti, è un film che i bambini possono vedere capendolo, ma piacerà anche ai relativi genitori. Ho voluto creare questi robot il più reali possibile e renderli credibili per il pubblico. Sapevo che Joe Haldeman poteva riuscirci, perché è un esperto di armamenti futuri: ora è entrato in un gruppo di consulenti per l’Aeronautica.»

Il passo successivo di Gordon è stato chiamare un altro che se ne intende parecchio, il nostro amico Ron Cobb che da Alien (1979) in poi ci regala sempre oro. Ed è un artista noto per l’assoluta plausibilità di ogni oggetto fantascientifico che disegna.
«Era nel mio stile concettuale», racconta Cobb nello stesso numero di “Starlog”, «quindi ho deciso di accettare la sfida. Io e Steve Burg volevamo creare una sorta di versione non-giapponese di un robot Transformer, il che è davvero difficile. Non volevamo che si trasformassero in camion o roba del genere, ma che si potessero separare in sezioni funzionanti indipendentemente le une dalle altre. Mi è sempre piaciuta l’idea che la testa potesse diventare un piccolo velivolo, ma credo che quell’idea sia stata accantonata: ora l’intero robot può volare.»

Costruiti i robottoni, si va tutti a girare per mesi nel deserto del Mojave (in California): «Quando la troupe è tornata sembravano tutti Lawrence d’Arabia!»
Intanto in Italia viene girata la parte “umana” del film, con l’attrice protagonista che evidentemente corrisponde ai canoni di bellezza dell’epoca, visto che Gordon racconta come nel Belpaese addirittura bloccasse il traffico quando camminava per strada, dato che tutti si fermavano a guardarla. Quando poi si andava al ristorante, «il pranzo poteva finire con lei che andava in cucina a mostrare ai cuochi come preparare un gelato hot fudge sundae». Si sa che i cuochi italiani sono contentissimi quando entrano i clienti a spiegar loro come fare una roba americana da McDonald.

Vi giuro che nella Roma degli anni Ottanta giravano donne molto più belle

Stuart Gordon ha avuto l’idea del film nei primi anni Ottanta e l’accordo con la Empire risale al 4 ottobre 1985, come fanno sapere i giornali dell’epoca; ci vogliono sei mesi perché le riprese di prova ottengano l’approvazione e Charles Band predisponga un budget di dieci milioni di dollari (un boato, per un film Empire); le riprese in totale sono durate addirittura due anni – tempo sprecato, visto che il film sembra infinitamente più piccolo di quanto non sia in realtà – dopo di che la Empire crolla sotto il peso di iniziative troppo dispendiose, bisogna aspettare l’arrivo della Trans World Entertainment (una delle tante figlie di Roger Corman) che, visionata la pellicola già girata, decide che vale la pena finire Robot Jox, quindi di nuovo tutti nel deserto del Mojave. Però il tempo è pessimo e le tempeste di sabbia fanno durare altri mesi la lavorazione. Quanta fatica sprecata…

Tutto questo casino per roba che i giapponesi ti facevano in dieci minuti!

Quando finalmente nell’estate del 1989 si lancia il Robot Jox (che originariamente era RoboJox, tutto attaccato, ma si temeva fosse confuso con la versione Z di RoboCop), è inevitabile che giornalisti come Kyle Counts di “HorrorFan” n. 2 (estate 1989) lo considerino «il film che ha spezzato la schiena alla Empire: il più ambizioso e costoso della carriera di Charles Band alla guida di una casa finora specializzata in piccoli film a basso budget». Sicuramente è un’esagerazione, la Empire ha chiuso i battenti con 46 milioni di debiti non certo ascrivibili a Robot Jox, ma il passare da filmetti minuscoli ai robottoni giganti ha probabilmente dato l’idea di un “passo più lungo della gamba”.

Stando al citato giornalista Kyle Counts, la Trans World avrebbe portato Robot Jox nei cinema americani nell’aprile 1989, ma non esistono tracce che lo confermino. IMDb ci dice che è stato presentato allo spagnolo Sitges Film Festival nell’ottobre 1989 e una vera distribuzione in patria americana pare ci sia stata solo dall’ottobre 1990.
Intanto dal gennaio 1987 gli italiani sanno del film perché Gordon lo sta girando negli studi cinematografici della Empire vicino Roma, quelli che un tempo erano stati di Dino De Laurentiis. Già che sono lì, la RAI usa i robottoni giganti per girare la sigla di un’imminente nuova trasmissione di Mino Damato, “Esplorando“.
Il risultato così è Annie Chaplin che cammina fra i robottoni di un film che nessuno ha ancora visto e con in sottofondo Eye in the Sky (1982) di Alan Parsons Project.

Sebbene gli italiani siano stati i primi al mondo a vedere i robottoni di Gordon, a loro insaputa, e sebbene dai 6 ai 16 anni Charles Band abbia vissuto in Italia («frequentando l’Overseas School della Via Cassia e imparando il romanesco dai compagni di scuola», racconta il “Radiocorriere TV” n. 34 del 1987), il film in questione ha una pessima vita nel nostro Paese.
La Skorpion lo porta in VHS in data ignota con il titolo Robojox e con lo stesso titolo appare di nascosto dal 1994 su piccoli canali locali. L’8 maggio 2002 Tele+ lo trasmette a notte fonda con il titolo Robot Jox e sicuramente ci sarà stato qualche successivo passaggio su Duel TV, dopo credo d’averlo visto la prima volta, traendone un sonoro «Bah!».
Per fortuna la Stormovie nel 2006 lo presenta in un DVD preso su bancarella (o forse in un lotto su eBay, non ricordo bene) con un’ottima resa del video. Peccato solo che non abbia la “S” sulla costa come i DVD che colleziono di questa collana.


Ma i RoboJox
sognano sceneggiature robotiche?

Siamo in un mondo futuro dove americani e russi si odiano e la gente è costretta a girare con le mascherine… Sicuri che siamo nel futuro?

Evviva la Fase Due!

Con veloci frasette buttate qua e là ci viene spiegato sbrigativamente che c’è stata una guerra nucleare e che ora le dispute internazionali si risolvono a suon di botte robotiche.
Si costruiscono enormi robot dotati di armi straordinariamente inefficaci e dei piloti umani, considerati eroi della patria, li guidano contro gli avversari. Che poi lo sappiamo che di avversario ce n’è solo uno: il russoski cattivoski, qui incarnato da Alexander (Paul Koslo).

Ehi, Jeffrey Combs, mettiti la mascherina che ci sono i droni in giro

Per motivi non chiari, si è deciso che i piloti umani non bastano più, serve creare in laboratorio una razza superiore di umani addestrati unicamente a combattere all’interno dei robot. Infatti sanno fare tutto tranne che combattere all’interno dei robot.
Questa generazione di buffoni è chiamata GenJox ma i piloti umani li disprezzano e li chiamano “provette” (tubie), considerandoli men che umani. Peccato che questa sia l’unica idea innovativa della storia e sia subito buttata nel cesso, visto che non ha alcun peso nella vicenda.

Dài, che finito qui te ne vai sulla strade… con Sam Francisco!

All’insegna di “colpisci e spara” (crash and burn) il campione Achille (Gary Graham, prima di entrare nell’Universo di Alien Nation) si appresta a disputare il suo decimo ed ultimo incontro: peccato che finisca in parità. Finisce anche con un massacro involontario che viene subito dimenticato dalla sceneggiatura. Ma siamo sicuri che l’abbia scritta Joe Haldeman? Boh.
Achille c’ha il senso di colpa a mille e dice “No, non combatto più”, e così viene dato spazio alla “provetta” Athena (Anne-Marie Johnson, quella che fermava il traffico di Roma), così Achille ora dice “Va be’, combatto”. In nessun punto della storia viene specificato che lo fa perché teme per la vita dell’amata: sembra invece lo faccia perché non vuole che una donna guidi il suo robot. Ma siamo sicuri che ’sta roba l’abbia scritta Joe Haldeman? Boh.

Vedo laggiù accuse di sessismo: alzare gli scudi!

Intanto cose stupide succedono, roba scritta al volo che dubito fortemente abbia la firma di Haldeman, il tempo passa, la noia cresce e lo sbadiglio è potente. Come fa un filmettino di 80 minuti ad essere noioso è un mistero: prodigi della Empire!
Per far passare il tempo facciamo che i robot volano. Così si parte per lo spazio in una scena palesemente figlia di qualche sostanza psicotropa: tornati dallo spazio, nessuno si chiede che cazzo ci siamo andati a fare. Così, a fare due passi e sgranchirsi gli ingranaggi.
Due botte e fine del film. Volemose bbene. E il pubblico che ha scommesso ogni avere su un incontro senza vincitori? Ma siamo sicuri che ’sta roba l’abbia scritta Joe Haldeman? Boh.

Non è il pollice, il dito che sto mostrando

«Sono compiaciuto di com’è uscito fuori il film: non c’è davvero niente che cambierei», dichiara Gordon a “Starlog”, e spero di cuore avesse una pistola puntata alla testa mentre diceva queste cose.
Ho visto la prima volta il film intorno ai primi del Duemila, la mia memoria mi dice su DuelTV ma non ne sono sicuro. Di sicuro ricordo che mi sembrò una minchiata triste d’altri tempi: sembrava una di quelle robette che vedevo da ragazzino sui canali regionali, coi cartoni animati alternati a dinosauri ripresi in stop motion. Solo che quelli avevano una sceneggiatura, che qui manca.
75 minuti di storiellina banalotta come riempitivo per cinque minuti totali di scontri robotici: possibile abbiano messo davvero tre anni a produrre ’sta roba? Sembra un cortometraggio brutto di quelli che piacciono ai festival.

Uno che ci mette la faccia, soprattutto quando non dovrebbe

Personaggi che sono solo sfocati involucri di cattivo gusto di stereotipi vuoti ci guidano in una storia che è scontata in ogni suo fotogramma, per lo più con un protagonista inetto totalmente implausibile. Che tenerezza vederlo lanciare la sua “frase maschia”:

«Adesso vado dentro quell’affare e ti rompo il sedere. Anzi, il culo!»
(I’m gonna get in this thing, and I’m gonna kick your ass!)

Va bene che è un tiro mancino del doppiaggio italiano, ma è perfettamente in linea con il personaggio: un orsacchiottino che fa il duro.

La mia idea è che a forza di lavorare in Italia Gordon abbia percepito che quella roba giapponese aveva del potenziale e del mercato, così ha fatto quello che il cinema americano fa sempre dagli anni Cinquanta: copiare dai migliori – che siano sovietici o giapponesi – per offrire al proprio pubblico xenofobo un prodotto autoctono. Non è l’operazione in sé che è sbagliata, è l’averla fatta male che dispiace. Quello che è uscito anni dopo è una congerie di asinini luoghi comuni sullo sfondo di robot giganti a cui nel 1989 non frega niente a nessuno, visto che lo stesso anno Albert Pyun ha creato i “cyborg di menare” che domineranno gli anni a venire.

Per fortuna Gordon l’abbiamo visto impegnato in film decisamente migliori di questo.

L.

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48 risposte a Robot Jox (1989) Il Robojox che uccise la Empire

  1. Zio Portillo ha detto:

    Momento, momento, momento! Vuoi forse dirmi che il culo della Cassini non è patrimonio universale dell’Unesco? E le zinne della Fenech piacciono solo a noi italiani e a Eli Roth?

    Scherzi a parte, da ragazzino guardavo un canale locale (Tele Regione? Boh!) Che per un tot di ore al giorno si trasformava in “Junior Tv” con cartoni animati giapponesi, film per bambini, Tokusatsu (Megaloman, Ultralion, Ultraman,…), programmi contenitore che provavano a imitare “Bim Bum Bam”, canzoni per bambini della Baby Records-Bimbo Mix (tipo l’immortale hit “Rosvita”),… Tra le altre cose trasmesse c’erano degli, non so come definirli, “inserti” del tutto slegati dal resto della programmazione tipo questo:

    Quando lo vedevo uscivo pazzo! Non ci capivo ovviamente nulla di nulla ma so solo che era la roba più figa mai vista. Immaginati quando, un po’ più grandicello, per caso e senza sapere che cavolo fosse beccai “Robojox” in un altro canalaccio regionale. Nonostante la mia bocca buona, la poverata era evidente. Eppure in quella mia unica visione televisiva rimasi incantato. Rapito. Un fascino perverso, come se i miei pomeriggi passati incollato alla tv a vedere roba giapponese avessero preso vita in un film.

    Possibile che nessuno parlava mai di quel film di robottoni che combattono e sparano laser? Poi da cresciuto capii… Comunque non pensavo a “Robojox” da… Boh! 20 anni? Tolta ovviamente la riesumazione post uscita di “Pacific Rim”.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Adoravo violentemente gli Zoids, le cui pubblicità su “Topolino” infiammavano il mio desiderio. Con sicurezza sono riuscito a farmene comprare solo due, e ricordo ancora quando con un mio compagno di banco delle medie sognavamo di comprarci il Zoids gigante, quello a forma di King Kong. Un bulletto della classe ci sentì e ci prese in giro, tanto per ricordare che una volta non si poteva parlare apertamente di ciò che oggi si dà per scontato.

      Rivisto oggi, “Robot Jox” anticipa molte idee sfruttate poi da “Pacific Rim”, a riprova che Del Toro non ha mai pensato agli anime tanto cari agli italiani.
      E’ un film piccolo però costato come un film grande, senza sceneggiatura malgrado abbia un nome illustre alla sceneggiatura, con personaggi vuoti e mille altri difetti. Davvero un’occasione mancata.

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    • SAM ha detto:

      Indovina chi è il tizio che ha caricato quel video sul Tubo , dopo averlo cercato come un matto, basandosi su i suoi ridordi di infanzia ?
      Dai indovina … 😛

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  2. Cassidy ha detto:

    Vuoi la chiusura del cerchio per la tua premessa? Quando uscì “Pacific Rim” e agli altri entusiasti come me citavo “RoboJox”, ricevevo come risposta solo lo sguardo del vitello che vede passare il treno (storia vera), anche perché le prime immagini del film di Del Toro sono state anticipate da cori di «Ma è uguale a Neon Genesis evangelion», quando invece il riferimento al massimo era Stuart Gordon 😉
    Bellissimo post, severo ma giusto, hai ripercorso i veri anni ’80 Italiani, non quella edulcorati dalla memoria popolare, anche perché se il film di Gordon è ricordato da pochissimi, ci sarà anche una ragione no? Ammiro il regista per averci messo la faccia e buona parte di cuore, ma i robot giganti non sono roba per gli americani 😉 Cheers!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      A quanto pare molti sono convinti che in America prendessero le reti di Berlusconi o i canali regionali dove mandavano robottoni a pioggia, e soprattutto che siano tutti ben disposti verso prodotti stranieri come lo siamo noi: mi aspetto che il nuovo film di Del Toro sia “Wolf Albert” 😀
      Scherzi a parte, alcune scene di RoboJox – soprattutto quelle di preparazione del combattente all’interno del robot – sono troppo simili a Pacific Rim perché il film di Gordon non fosse presente nella mente di Del Toro, ma è anche vero che non è che ci siano tanti modi perché un omino guidi un robottone.
      Comunque Gordon ci credeva con tutto il cuore, malgrado sia uscito fuori il più debole dei suoi film.

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    • Conte Gracula ha detto:

      Ma cosa ci avranno visto, di Evangelion? XD

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  3. Sam Simon ha detto:

    A me piaceva tanto il Daitarn III, ma erano tutte uguali quelle storie… E non mi sono mai piaciuti i Transformers né Pacific Rim, lo ammetto, per me il film peggiore di Del Toro (che invece mi piaceva tanto coi suoi El espinazo del diablo, Cronos e El labirinto del fauno). Anche Blade 2 tanto osannato… Mah…
    Di Robojox avevo visto l’apposito Best of the Worst di RedLetterMedia e mi era bastato! X–D

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Negli anni Ottanta avevo troppe passioni da seguire per dar retta ai Transformers, che se poi non sbaglio erano trasmessi da canali che non seguivo. Ne avevo uno a forma di dinosauro che adoravo, credo regalato da (o rubato a!) qualcuno, per il resto mai coperti. Ma capisco che in America, dove non arrivavano i milioni di robot giapponesi, erano sicuramente più pompati, tanto da spingere Gordon a fare il colpaccio, che poi gli è venuto decisamente male.
      Di Del Toro non mi piace niente, ci ho provato ma proprio non rientra nelle mie corde.

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      • Sam Simon ha detto:

        Povero Del Toro! :–(

        Il fatto che i Transformers piacciano tanto negli USA è dimostrato dal successo dei film omonimi di quello zozzone (nel senso zozzone del cinema) di Michael Bay. E nonostante le tante Z, non merita l’attenzione del Zinefilo! :–D

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Posso sopportare tanta Z, ma non le robe di Bay 😀

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      • Conte Gracula ha detto:

        A me i Transformers piacciono, ma si parla più che altro delle primissime serie animate (e alcune delle più recenti avevano qualcosa di carino, anche se perdevano sul lato epico. Ma non le ho viste tutte).
        Il primo film di Bay, però, è un atto di lesa maestà, per me – e gli altri non li ho visti, che se va come sempre coi seguiti, è la fine XD

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Con a disposizione le storie giapponesi, onestamente quando mi è capitato di vedere qualche puntata dei Transformers cartoni li ho trovati… troppo americani 😛
        I film li ho visti pure tutti, che ci sono giorni in cui mi trasformo in secchio dell’indifferenziata, ma non saprei dirti se i seguiti sono peggio: a me sembrano tutti peggio…

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      • Sam Simon ha detto:

        Bay è proprio lo zero cinematografico (torna la Z), oltre che mentale e politico. Ma se la bellezza di un film si misura col numero di esplosioni in esso contenute, allora siamo di fronte ad uno dei massimi esponenti della settima arte!

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        E’ uno che esplode le cose 😛
        Per carità, bella fotografia, inquadrature rotanti, senso dell’azione, non si discute: il problema è che troppo spesso è roba patinata da copertina, priva di spessore, ma a tanti piace e buon per lui 😛

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  4. Lorenzo ha detto:

    Ti ho letto così acrimonioso solo nei post sul Corvo 😀
    Ebbene, io posseggo la VHS originale di Robot Jox, presa nei primi anni ’90. L’unica cosa che mi piaceva erano i robot, tutto il resto, come hai detto tu, è una poverata (pure noiosa). Il tono farsesco mi irritava. Comunque la cassetta è ancora lì, l’unica sopravvissuta tra tutte quelle che comprai.
    Non sarei però così granitico nel sostenere che negli USA non abbiano mai visto i robot giapponesi: Goldrake & company negli anni ’80 sono stati trasmessi pure lì, forse non saranno stati popolari come in altre nazioni ma li hanno trasmessi.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Quand’anche fossero stato trasmessi, pensare che abbiano avuto anche solo una minima parte del successo che hanno avuto in Italia è davvero difficile (oltre che non riscontrabile), visto poi che non sono mai citati in alcun modo nelle riviste di cinema degli anni Ottanta e Novanta, che parlano esclusivamente di prodotti locali. Un Paese così allergico all’estero come l’America mi riesce difficile credere abbia reagito come noi italiani, che al contrario amiamo solo ciò che è estero.
      Quando nei Novanta c’è stato il boom dei manga, la Dark Horse portò in America molti autori, ma parliamo di briciole in confronto agli oceani di fumetti giapponesi che hanno sommerso le fumetterie italiane, ricordando a tutti cose che avevano visto da ragazzini e già dimenticate.
      In fondo sono gli anni in cui la paura del Giappone – che nel 1987 si comprò la Columbia facendo impazzire tutto il mondo dell’intrattenimento – ha portato all’apparizione di nipponicità ovunque e quindi era un attimo che diventassero il tema principale. Ecco così storie alla “Sol Levante” (romanzo 1992, film 1993) e orrori come “Il ritorno di Kenshiro” (1995), a cui per fortuna l’Europa risponde con capolavori come “Crying Freeman” (1995).
      Non c’è alcuna prova che i robottoni cari agli italiani degli anni Ottanta siano di un pur minimo interesse al di fuori del territorio nostrano: avranno le loro nicchie come qualsiasi altra cosa, ma mi sembra chiaro che un amore sconfinato come quello italiano non sia riscontrabile al di là del Giappone.

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      • Lorenzo ha detto:

        Trasmisero Goldrake negli USA nel 1980, all’interno della serie Force Five (gli altri quattro cartoni erano altri robot). Sicuramente non ha avuto l’impatto che ha avuto qui. In America pare fosse molto popolare Voltron, oltre a Robotech.
        Però non mi interessa, l’unico robot di cui sono appassionato è BALDIOS.

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Da noi ne avevamo a frotte fra cui scegliere – io adoravo Jet Robot, che però veniva sempre secondo dopo Jeeg – mentre non so quanti robottoni siano arrivati nelle TV americane… e se anche loro avevano le sigle fichissime 😛
        Ce li avranno avuti i Cavalieri del Re e Nico Fidenco? Ne dubito 😀

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  5. Il Moro ha detto:

    Sono conscio da tempo dell’esistenza di questo film, ma non ho mai avuto il coraggio di guardarlo! Non me lo farò venire, comunque.

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  6. Vasquez ha detto:

    Mio fratello è l’esperto degli AutoRobot Tranformers (quelli di Commander per capirci, che comunque non dispiacevano nemmeno a me), e a lui Pacific Rim non è piaciuto per niente.
    Io ancora canto “Ha la mente di Tetsuya, ma tutto il resto fa da sé!”, e Pacific Rim mi è piaciuto un botto e tre quarti! Però adesso ho capito la logica secondo cui Gipsy è nucleare e di conseguenza analogico, mentre Cherno Alpha siccome è diesel allora è pure digitale e quindi deve essere costantemente on line: è che Del Toro voleva omaggiare i godzilloni, ma quelli io non riesco a farmeli piacere, e non capisce niente di robottoni! XD

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  7. Willy l'Orbo ha detto:

    …e questo da dove spunta? Mi stupisco di non averne mai sentito novellare, tuttavia, quando sorge la disputa se ciò (il fatto di non averlo visto) sia da considerarsi una sciagura o una manna, mi par di capire decisamente…la seconda!!! 🙂

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      E’ paradossale che un film sui robottoni sia stato distribuito malissimo nel Paese che più di tutti ama i robottoni!
      Comunque non te lo consiglio, è davvero miserello, sebbene abbia Stuart Gordon alla regia.

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  8. SAM ha detto:

    Uao grazie , per il regalo.
    E ricambio con un bel pò di informazioni.
    Premessa: io sono un appassionato di animazione nipponica fin dai tempi di Goldrake , e ritengo di avere una conoscenza di un certo livello su di essa da parlarne con cognizione di causa ( il video degli Zoid di YT l’ho caricato io)
    Partiamo agli USA
    Negli anni 80 gli yankee avevano visto un numero discreto di serie robotiche, anche se spesso rimaneggiate così tanto da renderle la pallida imitazione delle versioni originali ( cerca “ force five” se hai tempo)
    Solo due serie entreranno nell’ immaginario americano di quegli anni : Voltron e Robotech ( che guardacaso, sono serie con zero riferimenti alla cultura e ambientazioni nipponiche )
    I Transformer sono una serie autoctona e non la considereremo.
    I robottoni verranno cmq ricordati con nostalgia da molti appassionati : nel libro generazionale Ready Player One, , il capitolo della battaglia finale è dedicato a loro e tra questi c’è Yuusha Raideen.
    Raideen è particolare, perché oltre ad essere l’unico robot degli anni 70 a rimanere inedito in Italia per decenni ( è stato doppiato solo pochi anni fa), diventerà modello di ispirazione per la Marvel per crearne un clone autoctono, tale Red Ronin, che si menerà pure con gli Avenger.
    Ma Raideen, insieme a Combattler e Danguard, era stato protagonista di una altra serie a fumetti della Marvel , 1979 , Shogun Warriors (1979) , dove questi robottoni si menavano contro Kaju giganti ( ti ricorda niente ? Ora sai cosa del Toro ha omaggiato !)
    Sempre Combattler, verrà pilotato dal conte Orloff che lo userà contro Martin Miystere trasformatosi in Gundam ( albo n 26, “ Il mostro d’acciaio “)
    Povero Combattler, se lo passano tutti come una p+ttana !
    In compenso, nelle recenti ristampe , Combattler verrà cancellato e sostituito con un mech del manga/anime Patlabor.
    Già,, quel Patlabor, che Yuzna avrebbe dovuto fare negli anni 90 dopo Crying Freeman ( circolarono pure immagini promozionali) ma che non venne mai fatto ( almeno che io sappia).
    Dimentico qualcosa ?
    Ah si, che Toys R US da noi arriverà solo negli anni 00’ ( Gordon lo avrà confuso con i negozi Giocheria ,di cui forse non ricordava il nome, che erano la stessa cosa ) e che l’idea delle battaglie tra robot per risolvere le diatribe internazionali, verrà copiata dai giapponesi per la serie animata di “G Gundam” .
    Nulla si crea, nulla si distrugge.
    Uff, che fatica.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Grazie per le informazioni, che confermano quanto i robottoni americani siano minuscoli in confronto all’amore e al culto che hanno ricevuto in Italia dagli anni Novanta.
      A trovare citazioni e rimandi e omaggi possiamo fare notte, e Del Toro è come Tarantino: i fan ci vedono tutto ciò che NON c’è. Ma mi importa così poco di Del Toro che per me può pure citare Candy Candy, e anzi avrebbe fatto meglio 😀

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      • Giuseppe ha detto:

        A dire il vero, il buon Guillermo aveva ammesso di amare particolarmente Mazinga Z nel mazzo di serie (tipo Astroboy e Ultraman) da lui viste e che andavamo piuttosto forte in Messico quand’era un ragazzino, mentre non considerava l’assai più recente Evangelion una fonte d’ispirazione di pari livello, tutt’altro… cosa che lo sfortunato Robot Jox, invece, quasi certamente dev’essere stato. E a me non dispiacerebbe affatto, visto che il film di Gordon è un mio piccolo cult personale da decenni: non solo, di primo acchito nemmeno avevo pensato soltanto alla sua matrice “robottonica” (si trattasse di Macross, Robotech o quant’altro) ma anche, principalmente per il gradevole effetto da miniature e modellini vintage, alle vecchie serie tv di Gerry e Sylvia Anderson come ad esempio “Thunderbirds”, con i suoi fantasiosi e articolati mezzi di soccorso (e che in terra nipponica poteva contare un più che discreto seguito, così come altri prodotti dei coniugi Anderson) 😉

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Ecco, come omaggio alle atmosfere di Thunderbirds ci starebbe bene, “RoboJox”, con quella differenza di inquadrature ed atmosfera fra gli interni e gli esterni. Le miniature poi sono splendide, non si discute, dispiace anche che siano state usate fin troppo poco rispetto all’impegno nel crearle: forse maggiori scene incentrate sui combattimenti e meno interni avrebbero fatto sembrare il film più grande.
        Magari in Messico la cultura popolare era più ricca, aveva cioè maggiori inserti dall’estero.

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      • Conte Gracula ha detto:

        Di Thunderbirds ricordo anche una serie animata, e se la memoria mi assiste, sembrava giapponese…

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      • Giuseppe ha detto:

        Penso proprio si sia trattato di questo: del resto, essendo io andato per anni in giro per il web alla ricerca di serie ancora inedite o già edite ma censurate dalle nostre parti, ho avuto modo di verificare quanto sia diffusa la comunità dei fan di anime (sia classici che contemporanei) e tokusatsu (idem) anche in altri paesi latino-americani come Argentina, Cile e Brasile…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        In fondo condividiamo con loro un “sangue latino” che non è acqua 😛
        Sicuramente ci saranno tantissimi fan anche negli Stati Uniti, difficile che le centinaia di robottoni non abbiano conquistato il cuore dei giovani negli anni Ottanta, ma sulla successiva esplosione dei Novanta in Italia mi sento di dubitarne.

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      • Giuseppe ha detto:

        In effetti, pare anche a me difficile poter parlare di “nuova” esplosione italica negli anni novanta, principalmente per il fatto che a quei tempi semmai erano robot giganti di nuova concezione come Evangelion ad affacciarsi prepotentemente sulla scena, relegando quasi tutti i precedenti classici a poco più che una nicchia (magari solidissima, ma pur sempre nicchia) per appassionati. Riguardo a Mazinga Z Infinity, poi, devo dire di essere rimasto un tantino perplesso riguardo alla pesante stroncatura da parte dei fan, non essendo in fondo poi così diverso da quei film “fuori continuity” degli anni d’oro che vedevano Mazinger/Goldrake/Getter Robot all’opera contro mostri e alieni mai visti nelle serie televisive (come, ad esempio, il Dragosauro o il misterioso UFO accompagnatore del gigantesco divoratore di metalli Girgirgan)…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Di sicuro l’arrivo nelle nostre videoteche – ma anche a volte su Tele+ – di un nuovo tipo di anime (non più storie seriali per l’infanzia ma prodotti per adulti con tematiche adulte, da Ghost in the Shell ad Akira, per citare titoli che anche uno come me conosceva) è stata una “fase inedita”, visto che prima quel tipo di intrattenimento per “giovani adulti” non esisteva in Italia (a parte il Signore degli Anelli credo che cartoni animati per adulti in Italia fossero una realtà così rara da non essere molto considerata).
        Però insieme all’arrivo di inediti c’è stata un’invasione di informazioni totalmente inesistenti nei dieci anni precedenti: informazioni su quegli anime con cui eravamo cresciuti ma che nessuno citava, perché era roba da ragazzini. Ho comprato “Topolino” ogni settimana per tutti gli anni Ottanta, e ritagliavo ogni immagine relativa ai tantissimi anime che vedevo: dire che alla fine di quei ritagli ne avevo una decina non è esagerato. Ogni settimana “Topolino” mi raccontava cos’aveva mangiato a pranzo ogni giocatore di calcio della Nazionale, ma dei cartoni animati che riempivano tutti i palinsesti non gliene fregava niente a nessuno. Si parlava del film al cinema, il fenomeno dell’home video è stato ampiamente coperto, ma della “concorrenza giapponese” la Disney giustamente non trattava. Purtroppo non è che ci fosse molta altra concorrenza sul fronte dell’informazione per ragazzini. Mia madre comprava il “Radiocorriere TV”, che non è che smaniasse per approfondire quel fenomeno giapponese che dieci anni dopo sarebbe stato analizzato in mille modi.
        Se dunque sono arrivati prodotti inediti, con tanto di riviste in edicola, sono arrivati anche quintali di manga di eroi finora visti solo a cartoni, con relativi approfondimenti delle loro storie, quintali di cassette Yamato che promettevano di farci vedere ciò che la censura italiana ci aveva negato (giuro che ai miei tempi in Lupin non si vedevano capezzoli!), sono arrivati ridoppiaggi e film televisivi: tutto materiale non nuovo bensì legato a filo doppio con cose già ampiamente replicate negli Ottanta, così che quei ragazzi nei Novanta erano adolescenti e hanno potuto vivere una “nuova fase” di quanto già conoscevano ed amavano, creandosi però l’idea che quell’interesse ci fosse sempre stato, mentre era un prodotto tipico dei Novanta. Ecco perché parlo di “nuova fase”.

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      • Giuseppe ha detto:

        Quel poco materiale ritagliato da pubblicazioni per ragazzi- devo aver ancora la vecchia recensione del 1977 di “Mazinga contro gli UFO Robot”, con tanto di foto in bianco e nero e nomi dei protagonisti sbagliati!- era una nostra iniziativa, che andava ad aggiungersi alle discutibili versioni italiche a fumetti dei vari robottoni (e non solo) con l’unica possibile eccezione del Grande Mazinga, forse il primo vero manga robotico arrivato in Italia (con foliazione ridotta da albo regolare e impaginazione all’occidentale, però) tra fine ’79/inizio ’80 grazie al successo della serie in tv e sparito dopo pochi numeri: un’autentica rarità, al pari dei quasi contemporanei volumi della Giunti- Marzocco dedicati a Goldrake. Semplici gocce rispetto al mare che sarebbe arrivato di lì a due lustri, ovviamente… Ecco, in questo senso si può dire che il solco tracciato negli anni ’70/’80 abbia dovuto aspettare quella “nuova fase” anni ’90 per essere difeso 😉

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Purtroppo io sono arrivato tardi. Probabilmente intorno al ’78 ho iniziato a seguire i robottoni, stando alla data dei 45 giri che conservo ancora e del paio di pupazzetti che sono riuscito a conservare, ma avevo 4 anni e non ricordo nulla. Quando è iniziata l’età cosciente ormai nelle edicole era sparito quasi tutto. Al massimo erano rimasti gli album delle figurine che nessuno faceva, così dopo aver raccolto un mare di doppioni mi sono rimasti quasi completamente vuoti. Anche lì, almeno a Roma il Dio Calcio impediva a qualsiasi bambino di interessarsi ai robottoni: li vedevano tutti, di nascosto a casa, ma parlarne pubblicamente o fare gli album delle figurine era tabù.
        Compravo la rivista dei Masters e il Corriere dei Piccoli lo sfogliavo a sbafo da mio cugino, mentre come detto “Topolino” era un acquisto settimanale fisso: trovare una pur vaga informazione sugli anime era impossibile. Tutta la storia di Mazinga, con o senza Z, i tagli di Lupin e tutto il resto è roba arrivata in Italia negli anni Ottanta, quando cominciarono ad apparire nelle fumetterie pubblicazioni specialistiche molto dettagliate. Comprai la guida a Lupin e rimasi allibito: sin da quando ero in culla veneravo Lupin e sapevo a memoria ogni episodio… e dalla guida è uscito fuori un personaggio a me totalmente ignoto!
        Quei fumetti che citi li ho riscoperti “a dorso di mulo”, e da ragazzino avrei venduto mia madre per averli conosciuti: purtroppo temo di aver iniziato a frequentare l’edicola quando ormai erano tutti spariti.
        Pensa che negli anni Ottanta l’unica foto stampata di Lamù che ho visto è stato su un quaderno di un compagno di elementari: malgrado mille pressioni, non mi ha voluto dire dove l’avesse trovata una rarità simile.
        Invece ricordo di aver trovato un giorno un albetto dedicato a Creamy, altra mia grande passione, segno che ogni tanto qualcosa in edicola è arrivato, ma sono davvero briciole in confronto alla tempesta perfetta che sarebbe arrivata nei Novanta, quando le informazioni sugli anime dovevo tapparmi le orecchie per non riceverle! 😛

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    • James Goldsmith ha detto:

      Grazie della citazione in rece che leggo solo ora! Per rifarmi al mio personale immaginario (sono, colgo, un po’ più grandicello), il culto degli anime nei 70 non era affatto privato: i giocattoli dilagavano e se ne era gelosissimi portandoseli dietro ai giardinetti; album e fumetti idem a scuola; poi negli 80 è passata. Ma al primo arrivo semplicemente non erano anime, erano un loro “adattamento” italico (e europeo) degli anime con vaste gamme di merchandise autoctoni conseguenti al culto che ne era derivato. Quello che è accaduto dai primi 90 è stata una loro riscoperta ufficiale, più che opportuna. Vidi “Robotjox” in anteprima al Fantafestival a Roma, con tifo calcistico: all’epoca fu una manna per i (pochi) “vecchi” fan di robottoni come me che ci arrivarono, ma è oggettivamente una poracciata con il budget del tutto investito in effetti, unico aspetto del film invecchiato meglio (cioè più tardi). Parrebbe, a posteriori, il frutto di una rappresentazione yankee dei “robottoni” analoga a quella locale, solo immaginaria, fatta a suo tempo dagli europei al loro primo arrivo, che non ha nulla degli anime (qualche citazione qua e la magari): credo che Del Toro avesse maggior consapevolezza della materia, e non per difenderlo, che “Pacific Rim” personalmente non lo trovo affatto un capolavoro, ma non è serie b come questo.

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Che Pacific Rim sia di serie A non lo metto in dubbio, ci mancherebbe 😛

        Ho ancora conservato qualche merchandise dei primi robottoni arrivati in Italia, con data 1978 stampigliato dietro: il problema è che per ragioni anagrafiche la mia passione per i “cartoni giapponesi” è diventata cosciente dal 1980 in poi, quando cioè il fenomeno non era più “la novità del momento”, quella che scomodava addirittura Mamma RAI (che se sarai buono, il tuo Mazinga vedrai, come cantava Renato Zero ^_^)
        I fumetti autoctoni sono scomparsi immediatamente, e la Mondadori – che dominava le edicole degli Ottanta – non aveva alcun interesse a ricordarli o a citare anche solo di sfuggita i cartoni giapponesi: questo ha fatto sì che la “seconda ondata” di cui io ho fatto parte non era più di moda e non poteva contare su un immaginario collettivo condiviso.
        Di pupazzi erano pieni i negozi, così come c’era Cicciobello: era però difficile a scuola o fra simili intavolare discussioni su Cicciobello 😀
        Quando c’è stata la riscoperta nei Novanta, d’un tratto il Decennio dell’Oblio è stato cancellato ed è passata l’errata tesi che dal 1978 in poi, continuativamente, tutti abbiano amato insieme i robottoni, come fosse stata una passione comune, quando invece finito l’entusiasmo del 1978, si è dovuti aspettare i primi Novanta perché uscissero fuori riviste che parlassero del fenomeno. Ognuno a casa si vedeva i robot su canali locali tipo ReteQuattroAmiciAlBar o CanaleSottoCasa, ma lo stesso non era un fenomeno condiviso come quando era l’emittente nazionale a portarlo nelle case di tutti nello stesso momento.
        Il calcio era un fenomeno condiviso, perché qualsiasi rivista in edicola ne parlava e qualunque tuo coetaneo ne parlava e qualunque adulto ne parlava: i robottoni erano una passione molto meno “pubblica”, dal 1980 in poi.

        Sicuramente Del Toro sarà un’autorità internazionale sull’argomento, ma quello che metto in discussione non è la sua conoscenza dei robottoni, bensì la conoscenza dei fan della conoscenza di Del Toro dei robottoni.
        E’ il Paradigma Shakespeare: siccome la maggior parte delle opere si svolge in Italia, allora Shakespeare ha viaggiato spesso in Italia. E’ contro questa mentalità che io obietto, contro questo sillogismo fallato: A) Io seguivo i robottoni da ragazzino; B) Del Toro ha fatto un film su dei robottoni; C) Del Toro seguiva gli stessi miei robottoni. È contro questo ragionamento che mi scaglio.
        A meno che qualcuno non mi segnali un’intervista in cui Del Toro affermi pubblicamente di aver visto i cartoni giapponesi negli anni Ottanta – cosa che Del Toro non mi sembra abbia mai affermato – semplicemente non mi fido dei suoi solerti fan che affermano, senza alcuna prova, che Del Toro avesse anche solo una vaga consapevolezza di quel fenomeno.
        Non è per Del Toro, di cui mi importa poco, è per il procedimento logico: è così che nascono quelle fake news che scandalizzano tanto, soprattutto quelli che ne creano ogni giorno.

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  9. SAM ha detto:

    Cmq si , il film era miserrimo, ma hai tempi , arrivato proprio quando stava (ri)scoppiando la japan-mania in Italia , aveva giù un che di mitico ( allo Yamato shop di Milano lo vendevano, ovviamente).
    Persino la rivista Kappa Magazine fu abbastanza indulgente nel parlarne.
    Io cmq non mi fidavo , e aspettai la trasmissione su Lombardia / TV nel 1994 per giudicarne la bontà.
    Un film dalle idee interessanti, ma che per essere valorizzate, aveva bisogno di capitali maggiori ( e gente più capace )

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      “(ri)scoppiare” non mi sembra il termine corretto, visto che in realtà le due ondate sono diverse: negli Ottanta i “cartoni animati giapponesi” era roba per bambini, indegna anche solo di citazione. Nei Novanta i bambini sono cresciuti e sono diventati un mercato ricchissimo e (fino a un certo punto) adulto, da sfruttare perché la nostalgia vende sempre: le dieci miliardi di serie dei Masters lo confermano 😀

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  10. SAM ha detto:

    Qui devo contraddirti : negli anni 80 gli anime none rano affatto considerati per bambini, tanto che psicologi e moralisti vari volevano eliminarli dalle tv perché pericolosi per la psiche del fanciullo.
    Nei fatti, erano viti da molti adulti dell’ epoca : chi non guardava Goldrake, Daitarn, Lamù, Ken, Lupin, ecc… ?
    Semmai, è da quando si impose Mediaset, che comprando quasi solamente serie per bambine con le siglette della d’Avena, che gli anime sono diventati qualcosa di infantile e stupido nell’ immaginario collettivo ( tanto che avrai sentito dire più volte ” i cartoni di una volta erano meglio..” )
    Inoltre, all’ inizio , il mercato home video di Yamato e co. era molto di nicchia , ed è dovuto passare molto tempo perché il fenomeno si allagasse.
    Si è dovuto aspettare che gli anime diventassero famosi negli USA, vincessero premi ai vari festival e omaggiati da registi americani perché avessero un patente di dignità da noi ( un pò come quando Tarantino ha detto di amare molti film italiani schifati dalla critica , c’è stata una rivalutazione del genere ).
    E infine, in quel periodo sono arrivati i Pokemon, Yugh oh, Digimon, che non saranno dei capolavori, ma erano dei successi commerciali mostruosi , e si sa, è quello che ha bisogno un genere per imporsi : farsi la fama di fabbrica-soldi, poi i distributori arriveranno come cavallette.
    Poi la pacchia è finita , e ora arriva pochissimo, di materiale inedito .
    Non so quanto gli yankee avessero fatto Pacific Rim pensando al pubblico USA.
    Di sicuro pensavano ai mercati orientali ( dove ha sbancato) ed europei dove i robot godono di maggiore credito ( almeno in Italia e Spagna ).
    Però avranno pensato anche ” se vendono i TF, venderanno anche questi”.
    Solo che i TF li conoscono in tutto il Mondo, i robot di Pacific Rim chi caspita sono ?
    Se ci mettevano Mazinga ( che Cameron pare volesse fare secoli fa , ispirandosi alla graphic novel di Mazinga realizzata da Nagai per il mercato USA negli anni 80 ), forse avrebbe avuto ben altro successo.
    Ma ottenere i diritti è dura , perché Nagai ha detto che non li cederebbe mai a una azienda occidentale, a meno di non avere l’ultima parola su tutto ( a proposito, il film di Mazinga Infinity al cinema ha fatto schifo a tutti i fan della saga )

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Abbiamo esperienze diverse, e proprio perché si pensava che quei cartoni facessero male ai bambini vuol dire che erano prodotti per bambini. Gli anni Ottanta sono stati l’ultimo decennio in cui gli adulti vedevano film per adulti, temo che il numero di quelli che si sia messo a guardare Goldrake sarà stato decisamente basso, di certo non erano loro il mercato di quei fumetti. Poi quei bambini sono cresciuti e hanno comprato i manga e le cassette Yamato, che dubito fortemente fossero comprate dai quarantenni, a meno che non fossero regali per figli/nipoti.
      Il valore di narrativa “serie” l’avevano ben pochi prodotti, negli Ottanta, poi il problema non si è più posto perché è scomparsa la narrativa serie, visto che poi a comandare è stata la generazione cresciuta coi cartoni. I nerd hanno vinto, come disse qualcuno 😀

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  11. SAM ha detto:

    se mi dici che, se parlavi alle medie di Goldrake ti prendevano in giro , ok , hai ragione.
    Ma se parlavi di altri cartoni, tipo Ken il guerriero o i Cavalieri dello Zodiaco o Lupin , invece no .
    C’erano cartoni che superata una certa età, si potevano vedere senza passare per scemo, e altri no .
    E’ accaduto anche in tempi più recenti, tipi o Simpson, i Griffin o Dragon Ball.
    Ma cmq, gli anime non sono mai stati considerati per bambini , semmai sono i cartoni in sè ad essere considerati esclusivamente per bambini.
    E come al solito, si è dovuto aspettare gli americani ( con i Simpson ) per rinnegare questa scemenza di concetto .
    Giusto per ribadire come siamo colonizzati culturalmente dagli yankee.
    Goldrake in quel del 78, era visto da moltissimi adulti , che lo apprezzavano .
    Un pò meno quando divenne l’apripista dell’ invasione dei robot in tv, con relativa prole che faceva i capricci per avere i costossimi giocattoli che invasero i negozi .
    Il doppiatore di Goldrake, Romano Malaspina, ha sempre raccontato divertito alcuni anedotti su come il cartone fosse “cult” pure tra gli adulti ( tra cui un amico medico che ogni volta che faceva l’amore con la sua ragazza, gridava ” alabarda spaziale”!).
    Le costosissime vhs di Yamato video e soci ( 40.000 lire degli anni 90 !) , venivano comprate da ventenni/trentenni che lavoravano: gli squattrinati adolescenti dell’ epoca , dubito potessero stare dietro a tutte le uscite del mercato .
    Forse il boom di vendite sia di manga che di vhs che ci fu a fine secolo, fu dovuto anche al fatto che la seconda generazione di anime fan italiani ( di cui facevo parte ) era anche essa cresciuta e pronta a spendere i soldi guadagnati lavorando , e una terza era da lì a poco a venire.

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