Torno a parlare di Stuart Gordon, l’amato regista che ci ha recentemente lasciato e ora è a girare filmacci nel Paradiso della Z.
«Si parla di camionisti nello spazio», esordisce Gordon parlando del suo Space Truckers a “Starlog” n. 241 (agosto 1997): «non sono astronauti o cavalieri Jedi, sono solo dei normali tizi che lavorano nello spazio». Curioso che il regista poi specifichi che la vicenda si svolge 200 anni nel futuro: stessa cifra che condivide con un altro film del 1997, ma lo vedremo più avanti.
Girato in Irlanda nell’estate del 1996 e presentato allo spagnolo Sitges Film Festival nell’ottobre successivo, esce in patria americana solo nell’aprile 1997. Il 18 dello stesso mese riceve il visto della censura italiana, anche se è già uscito il giorno prima nelle sale nostrane.
Dopo il 1998, finita la vita al cinema, il film scompare nel nulla. Stando a FilmTV.it riappare su Italia1 il 24 luglio 2010, riapparendo qualche volta negli anni successivi.
Esiste una rarissima VHS Medusa Video, dal titolo Space Truckers. Camionisi dello spazio, di datazione ignota. Grazie ai Santi Pirati Custodi ho trovato una trasmissione di Italia1 che presenta la splendida pellicola italiana d’annata.
Troverete dappertutto il giudizio per cui l’equipaggio visto in Alien (1979) è composto da camionisti spaziali, idea in netto contrasto con gli scienziati pulitini e fighetti che fino a quel momento il cinema di fantascienza ci aveva regalato: in realtà quelli della Nostromo sono dei fotomodelli in confronto a John Canyon (Dennis Hopper), un ruspante camionista che a bordo del Pachiderma 2000 trasporta i migliori maiali quadrati di Marte della galassia!
Siamo in un Sistema solare intasato di segnaletiche e cartelloni pubblicitari: dov’è finita la poetica del vuoto?
Canyon sta lavorando per la Inter Pork e il suo superiore Keller ha il fisico giusto per il mestiere giusto, interpretato poi dal mitico George Wendt.
Visto che la consegna di maiali quadrati è andata a rotoli, Canyon si va a consolare all’Hub Diner, trattoria spaziale deliziosa che prende il noto gioco ottico di 2001 (1968) – un piano inclinato ripreso in modo da dare l’impressione di trovarci in un tunnel circolare – per mostrarci il locale più otticamente destabilizzante del cinema.
Peccato che la pausa duri poco: uno screzio con Keller finisce in tragedia. Qualcuno spara, un oblò esplode, lo spazio risucchia tutti… e George Wendt anticipa di un anno la morte del mostro finale di Alien Resurrection (1997)! E sì che Jean-Pierre Jeunet nell’audio-commento del film alieno specifica che è stata una sua trovata originale.
Potrei stare a sottolineare come l’intelligenza artificiale del camion di Canyon si chiami Bitchin’ Betty (“Bella Betty” nel doppiaggio italiano), e la nave dei pirati spaziali di Alien Resurrection si chiama Betty, ma soprassediamo. Il nostro Canyon si ritrova in urgenza di lasciare la zona, e l’incidente del locale ha messo nei guai anche il giovane camionista Mike Pucci (Stephen Dorff) e Cindy (gli occhi ipnotici di Debi Mazar), che Canyon considera la propria fidanzata.
I tre accettano al volo il primo lavoro che trovano, anche perché ci sarebbe da andare sulla Terra così Cindy potrà andare a visitare la madre in ospedale, e non stanno certo a chiedere cosa ci sia nel carico misterioso che non dovranno mai aprire. Sappiamo già che finirà male.
Nello spazio non ci sono mica solo i pirati di Elgyn di Alien Resurrection, che sono rudi e caciaroni ma in fondo bonaccioni: molto più pericolosi sono i pirati spaziali guidati dal Macanudo interpretato da uno spettacolare ed autoironico Charles Dance. Toh, un altro collegamento alieno, visto che il bravo attore era già stato il medico di prigione di Alien 3 (1992).
Macanudo è un pirata recente, qualche tempo prima si chiamava Nabel ed era un valido scienziato, tanto da essere consultato dal Re del Mondo per costruire androidi da guerra spietati ed inarrestabili: peccato non vengano mai chiamati con un nome, perché sono davvero intriganti.
Al massimo il loro creatore li chiama «Bio-chemical super warriors» o «I miei bambini» (My babies), malgrado siano in grado di distruggere la razza umana.
Finiti nelle mani dei pirati spaziali, che senza saperlo aprono la stiva e attivano i robbottacci cattivi, inizia una serie di rocambolesche avventure che fanno di tutto per risparmiare set e location, visto che in pratica mezzo film si svolge o sul ponte dei pirati o su quello del Pachiderma. Diciamo che è un film costoso fra quelli economici.
Il momento più alto è quando Charles Dance, attore serissimo impegnato di solito in ruoli drammatici, a parte qualche parentesi frivola, nell’approfittare di Cindy non riesce a far partire il motore a strappo della sua “protesi penale”: Dance sta al gioco e dalle sue espressioni credo si sia anche divertito un mondo.

Tu mi accendi, cara, ma una parte di me devo accenderla io
(foto presa da “Femme Fatales”, novembre 1998)
Che Space Truckers sia una caciarata spernacchiona è più che evidente, né il film tenta mai di nascondersi o di fingersi altro, e questo è un pregio. È un film onesto ma soprattutto uno di quei prodotti che appartiene alla cara vecchia scuola del “riempi l’inquadratura di oggetti di scena gagliardi”.
Ogni inquadratura di questo film è un capolavoro di arte pop, una dovizia di particolari impensabile dal Duemila in poi, una ricchezza di oggetti di scena inventati (o riciclati) a cui va aggiunta l’idea geniale dell’assenza di gravità: vediamo scatole fluttuare quando è più che palese che c’è lì dietro un tizio che le sta facendo ondeggiare a favore di camera, e questo è divertentissimo.
Gordon adotta una serie di trucchi vecchia scuola per rendere l’assenza di gravità da applauso a scena aperta, segno che non servono i milioni a fare un film nello spazio, basta avere un po’ di inventiva.
Non va dimenticato che alla lavorazione hanno partecipato pezzi da novanta, come Ron Cobb che ha disegnato il vecchio scassone Pachiderma che guida il protagonista. Bruce McCall del “National Lampoon’s” ha disegnato gli interni mentre un mostro sacro come Berni Wrightson ha creato dei bozzetti dei mostri che valgono come opera d’arte a sé stante.
Gli splendidi androidi letali sono disegnati nientemeno che da Hajime Sorayama, il grande autore giapponese di quelle illustrazioni di donne robotiche intitolate “Gynoid”: ci voleva un giapponese per usare un nome inglese che nessun inglese usa! Su quei disegni, poi, i costumi sono stati costruiti da Screaming Mad George, un altro giapponese che faceva parte della squadra degli effetti speciali di Predator (1987), ha curato gli effetti dello scarafaggio di Nightmare 4 (1988) e il mostro di Children of the Corn 3 (1995): insomma, un tipetto in gamba. Il truccatore premio Oscar Greg Cannom, che lavora di solito per la serie A, ha creato quel mischione tecnologico del capo dei pirati.
Insomma, Stuart Gordon ha speso nel modo giusto i 25 milioni di dollari che si è ritrovato in mano.
Immancabile un piccolo ruolo per Carolyn Purdy-Gordon, la moglie del regista il cui destino è morire in tutti i film del marito. «Muore in così tanti dei miei film perché è una regola di vita: devi sempre uccidere le cose che ami», racconta divertito Gordon nella citata intervista.
Altra degna di nota è la battutona del capo di pirati morente, che si ritrova tagliato in due alla Bishop (ah, vai con le citazioni aliene!):
«Ho una paura che me la farei addosso… se solamente avessi il culo.»
Roba di alta classe! Quando Charles Dance prende il tè con i suoi connazionali inglesi, dubito che racconti loro di questo film.
Space Truckers è divertente e ricco di grandi artisti che si sono divertiti a infilare qualcosa di loro in questo minestrone spaziale: non sarà un piatto di alta cucina, ma è buono e sazia.
L.
– Ultimi film di fantascienza:
- UFO della mente 4 – Il talento della signora Hill
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- Dead Calm [1962-2022] 8 – supernova
- Dead Calm [1962-2022] 7 – All’Inferno con H.R. Giger
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- Children of Men (2006) I figli degli uomini
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- Predagosto! – Tutti i Predator di agosto 2022
A mani basse uno dei miei film preferiti del compianto Stuart, si perché i suoi horror sono sempre ricordati, ma questa adorabile follia resta a suo modo unico, anche se “Alien – la clonazione” ha cercato di clonarlo 😉 Hai riassunto alla grande una caratteristica chiave del film, ricordo dopo averlo noleggiato la prima volta da ragazzetto che mi colpi il quantitativo di dettagli, un modo perfetto per creare e caratterizzare il mondo dove vivono e si muovono i protagonisti, senza vere bisogno di cento location. Nel cinema moderno è rimasto solo l’uso di un paio di set, ma il più delle volte spogli e anonimi, perché il futuro deve essere sempre pulitino, asettico e perfettino, per fortuna abbiamo avuto gente de core e de panza come Gordon a ricordarci che il più delle volte non è affatto così ora, figuriamoci nel futuro 😉 Cheers!
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Non capisco come mai gli autori del Duemila non si accorgano di quanto gli oggetti di scena siano uno scheletro portante di un film di fantascienza. Questo avrà forse tre location in tutto eppure è tutto talmente ricco, pieno di colori e di idee geniali che non te ne accorgi, perché sei distratto a notare tutti i fantastici oggetti di scena e ti sembra che Gordon abbia costruito un intero nuovo universo.
Per fortuna l’hanno capito le serie del Duemila: “Andromeda” prima e “Battlestar Galactica” dopo sono piene di oggetti di scena all’apparenza secondari ma fondamentali per farti entrare nel loro mondo e mascherare budget non certo enormi.
Mi piace pensare che i primi fautori della Poetica dell’Oggetto di Scena siano stati quelli della Hammer, che negli anni Sessanta intasavano le proprie inquadrature: nessun dottore pazzo, vampiro o licantropo della Hammer veniva ripreso in una stanza vuota, era sempre circondato da così tanti oggetti di scena che tutto ne risultava molto più ricco.
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In quarantena ho visto un mini-speciale di Sky su Sergio Leone con Verdone che in una sorta di percorso-gioco dell’oca passava in rassegna i suoi film e ne citava aneddoti e storie legata alla realizzazione.
Verdone ha raccontato che Leone era un maniaco dei dettagli, che passava in rassegna mercatini e negozietti alla ricerca di pezzi da poter usare nelle inquadrature. E a chi osava obbiettare e sosteneva che (ad esempio) un orologio valeva l’altro, Leone, burbero a modo suo (Lucius, perdona il mio romanesco sicuramente errato): “Aho! Stamo a fà er cinema non er circo! Se vede tutto!”.
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ahahah aveva ragione! Molti, anche registi, non ci pensano, credono che se fanno un’inquadratura ampia nessuno noterà i particolari, invece – come diceva Totò – è la somma che fa il totale!
Si dice che Visconti scegliesse accuratamente anche gli abiti da tenere negli armadi di scena… ed erano armadi chiusi!!!
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“Verdone racconta Sergio Leone” testo sacro, non ho mai amato il Verdone nazionale ma in quello speciale ci ha regalato pepite di oro massiccio. Sui dettagli di “Battlestar galactica” confermo tutto, mi mancano una manciata di episodi alla fine e sono esaltato da tutto. Per assurdo uno dei pochi che ha capito che i dettagli contano è Guillermo Del Toro, lo so che non è tra i tuoi preferiti, però questo chiude il cerchio con il tuo post su Robo Jox, il messicano ha studiato i film di Gordon, poco ma sicuro e almeno questa lezione l’ha imparata. Cheers!
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Sempre più autori dovrebbero riempire a dismisura le loro scene ^_^
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“Che Space Truckers sia una caciarata spernacchiona è più che evidente, né il film tenta mai di nascondersi o di fingersi altro, e questo è un pregio. È un film onesto ma soprattutto uno di quei prodotti che appartiene alla cara vecchia scuola del riempi l’inquadratura di oggetti di scena gagliardi”…amen! Non ho potuto fare a meno di riportare un tuo commento che inquadra alla perfezione il film.
Per il resto dico solo…che ricordi! Grazie di avermeli rievocati dal nulla un’assolata mattina di giugno, me la fare sotto dall’emozione…se solamente avessi il culo!!! 🙂 🙂
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Dispiace che i distributori italiani si siano persi questo film per strada: se non ci fossero i Santi Pirati Conservatori il suo doppiaggio italiano sarebbe un lontano ricordo.
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E infatti io ho solo un’edizione in lingua inglese, visto che la versione doppiata purtroppo non l’ho mai registrata… Comunque, caciarata spernacchiona e divertentissima saggiamente piena di “magici” oggetti di scena, arricchita da contributi di grandi artisti e con interpreti che fanno faville (compreso Charles “senza culo” Dance): sempre apprezzata poi la presenza di Shane Rimmer, attore canadese apparso in una marea di produzioni televisive (incluse quelle della compianta coppia Gerry e Syvia Anderson) e cinematografiche. Ulteriore perla, il supervisore degli effetti speciali è il medesimo Brian Johnson di “Spazio 1999”, “l’Impero colpisce ancora”, “Alien”, “Aliens” e altra bella roba 😉
Un Gordon fantascientifico, quello di “Space Truckers”, che andrebbe ricordato molto più spesso…
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Anche perché ci ricorda quanto siano “pulitini” i membri della Nostromo in confronto ai “veri” camionisti dello spazio 😛
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Mi manca! E sì che ho nominato Yuzna l’amichetto di Gordon giusto ieri recensendo Darkness prodotto dal primo dei due… :–D
Lo cercherò!
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Yuzna è sempre con noi, anche quando non lo nominiamo ^_^
Piuttosto mi sono perso Darkness, vado a recuperare…
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Grande Stuart Gordon, che viene sempre ricordato come un maestro dell’horror, ma tra regie e sceneggiature ha dimostrato di essere pure uno spregiudicato della fantascienza. Peccato che di gente così, non ne fanno più.
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Purtroppo i fan dell’horror sono molti di più di quelli della fantascienza, o di qualsiasi altro genere. Nel blog nelle ultime cinque settimane ho raccontato i film d’azione di David A. Prior che alla sua morte è stato ricordato esclusivamente come autore horror, perché dei film action non frega niente a nessuno.
Non sono un fan del suo Robojox, progetto troppo sfortunato, fuori tempo e carente di storia perché riesca a salvarlo, ma prodotti come questo Space Truckers – con alle spalle fior fiore di grandi artisti a creare le sue varie parti – sono tutti da gustare 😉
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Mhmmm… Non lo so… Da un lato mi pare di averlo visto perché vagamente il tuo post ha risvegliato qualcosa nella mia mente. Ma sotto sotto mi pare che mi manchi sto titolo. Indagherò…
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Ma è un film pieno di chiccone questo!
Povera moglie del regista! Gli va meglio a Christopher Walken che balla in tutti i film.
Lo spazio pieno di pubblicità è una scelta molto azzeccata, il futuro non è vuoto asettico ma pieno di ciarpame pubblicitario.
Infine credo sia poesia pura la tua frase sulla consegna di maiali quadrati andati a rotoli
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ahahah dici che data la natura quadrata è un affare che tecnicamente non può… rotolare? 😀
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Esatto! È una specie di meraviglioso ossimoro! 😀
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bello quel film l’ho visto un pò di anni fa
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Gordon e Yuzna sono stati due grandi del cinema che zitti zitti, hanno rivoluzionato ( o almeno, rivitalizzato ) tutti i generi che hanno toccato influenzando un sacco di opere posteriori .
Ma davvero Mad George è giapponese ?
Pensavo fosse americano .
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Anch’io, ma cercando sue info è uscito fuori che è solo uno pseudonimo 😛
Magari invece si è inventato le sue origini giapponesi perché fa figo, chi lo sa…
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Ho amato questa tamarrata spaziale, rivisto più volte con piacere.
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Ci sono arrivato tardi, ma mi sento subito uno dei fan del film 😉
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