Morti viventi 2. Tutti voi zombie

Ripeto per comodità la legenda delle abbreviazioni:

  • Notte = 1. La notte dei morti viventi (Night of the Living Dead, 1968)
  • Alba = 2. Zombi (Dawn of the Dead, 1978)
  • Giorno = 3. Il giorno degli zombi (Day of the Dead, 1985)
  • Ritorno = Il ritorno dei morti viventi (The Return of the Living Dead, 1985)

I film al di fuori di questo elenco saranno citati per esteso.


Come prosegue la Notte

Come abbiamo visto, John Russo nel 1974 trasforma in romanzo la sceneggiatura della Notte, scritta nel 1968 con George A. Romero per il film omonimo, e visto che il libro vende bene inizia una carriera da romanziere che dura tutt’ora. Nel 1978, come detto, si mette d’accordo con l’amico ex socio e mentre al cinema esce Alba in libreria Russo presenta sotto forma di romanzo una sceneggiatura del ’72 che continuava le vicende della Notte: una storia originale dal titolo The Return of the Living Dead. Di cosa parla? Ce lo spiega Russo stesso nel 2011:

«Mi venne un’idea. Se esistessero i morti viventi e accadesse quello che abbiamo rappresentato nella Notte, sorgerebbe una o più religioni legate al fenomeno. Alcune persone penserebbero che succederebbe di nuovo. La nostra sceneggiatura iniziava con il funerale di una bambina: sembra un funerale normale, finché il prete non consegna al padre un martello e una punta, che il padre deve conficcare nel cranio della sua bambina. Così apprendiamo con stupore che c’è una setta o più di una setta che sopravvivono e per le quali i morti devono essere trafitti o bruciati, altrimenti possono ritornare: da lì prende il via la storia.

In seguito Rudy Ricci ha raccolto tutte le varie idee, a lui è toccato il compito di stendere la prima bozza della sceneggiatura: lui la trasformò in una specie di avventura leggera. Io avevo in mente di parlare di come le persone diventino il proprio peggior nemico.»

Stando a queste dichiarazioni, dal documentario More Brains! (2011), Russo si è limitato a scrivere il romanzo del 1978 partendo da una sceneggiatura scritta anni prima a quattro mani con il socio Russell Streiner, della New American Films. Una volta venduti i diritti del libro a Tom Fox, nel 1980, ci pensa Rudy Ricci a trasformarlo in sceneggiatura, con risultati decisamente insoddisfacenti, visto che il produttore Graham Henderson nel citato documentario la definisce «horrible screenplay», e con “orribile” non intende che mette paura, ma che fa paura.

John Russo nel documentario More Brains (2011)

Perché non è stato proposto a Russo di gestire la sceneggiatura? In fondo lui e Streiner l’hanno concepita dieci anni prima proprio come testo da portare al cinema, perché ora che il progetto finalmente prende forma non ne approfittano? Un’ipotesi è che Russo dovrebbe essere il regista del Ritorno, il che però non gli avrebbe impedito di curarne anche la sceneggiatura, ma forse è proprio un problema autoriale: Russo vuole rispettare l’atmosfera cupa dei morti viventi, quella creata con Romero nel 1968, mentre per motivi del tutto inspiegabili i produttori sono convinti che il genere horror “serio” sia finito e vogliono qualcosa di diverso. Il fatto che Carpenter abbia appena portato lo slasher ad alti livelli e Cunningham abbia in pratica inventato lo splatter non sembra essere stato notato dai produttori.

Quale che sia la ragione, serve uno sceneggiatore nuovo per il film. Ed è qui che entra in scena Dan O’Bannon.


Tutti voi zombie

«Io so da dove vengo…
ma da dove venite tutti voi zombie?»

Così nel 1959 il geniale Robert A. Heinlein chiudeva il suo ancor più geniale racconto All You Zombies, portato recentemente al cinema con Predestination (2014). Un uomo solo al centro di un universo che non percepisce se non come emanazione di sé: come altro definire Dan O’Bannon?

Dan O’Bannon sa da dove viene: ma da dove venite tutti voi zombie?

Università della California, 1969. Uno studente presenta al professore una sceneggiatura scritta come compito, The Devil in Mexico, la storia di Ambrose Bierce che si reca in Messico ad incontrare Pancho Villa. Vent’anni dopo quella storia diventerà un romanzo (Old Gringo, 1985) e poi un film (1989): in nessuno dei due casi è coinvolto quello studente di nome Dan O’Bannon. Uno che è sempre arrivato troppo presto o troppo tardi, nel mondo. Ma qualche volta i multiversi coincidono, e l’universo personale di O’Bannon, che conosce solo lui, coincide con il nostro. E allora si assistono a grandi prodigi. Come i morti che escono dalle tombe.

Della nascita di Dark Star (1974) di John Carpenter, del lavoro al folle Dune (1975) di Jodorowsky e della dolorosa lavorazione di Alien (1979) ho già parlato in abbondanza. Il succo è che la realtà è troppo stretta per Dan, che non perde mai occasione di ricordare la sua grandezza a chi lavora con lui: curiosamente questo modo di fare non è apprezzato.

Dan O’Bannon e le sue “creature”, da “Starlog” n. 71 (giugno 1983).

«Hollywood è un pessimo affare. Sono stufo. Se non ottengo presto qualcosa da dirigere, me ne vado da questo mondo e divento un romanziere, o qualcos’altro»: così Dan si lamentava con il giornalista Lee Goldberg per “Starlog”, nel 1983, riguardo al fatto che non era ancora riuscito a raggiungere la sedia da regista. Perché mai avesse queste pretese si può spiegare solo con l’elevata considerazione che ha sempre avuto dei propri meriti, tutti auto-assegnati. L’intervista precede l’uscita del film Tuono Blu (1983) di John Badham, ispirato ad una sceneggiatura di O’Bannon pesantemente rimaneggiata: proprio questo caso ci permette di dare uno sguardo sull’O’Bannon-pensiero dell’epoca.

«Nel copione originale, tutti gli atti criminosi erano compiuti dalla polizia, dal distretto di Los Angeles: al momento di iniziare la produzione, quelle persone coraggiose [Badham e la Columbia Pictures] hanno trasformato i poliziotti in eroi e i crimini commessi sono tutti colpa del Governo federale. L’idea di ritrarre i poliziotti di Los Angeles come campioni delle libertà contro il Governo federale è davvero strana.»

Quando nel 1979 Dan viveva ad Hollywood, probabilmente per sfruttare il successo di Alien (1979) spacciandolo per suo, la notte non riusciva a dormire per via degli elicotteri della polizia che passavano di ronda.

«Mi stavano facendo impazzire. Una notte ero con Don Jakoby a casa mia e passò uno di quegli elicotteri. Mi seccai sul serio e disse che avremmo dovuto farci un film, su questa cosa. Don fu d’accordo e anche emozionato all’idea: è così che tutto è iniziato.»

«Mi piacciono gli elicotteri, di per sé. Non mi piace che vadano in giro a guardare tutto ciò che facciamo. La polizia dice che lo fa per prevenire il crimine. Sono apparecchi molto maneggevoli. Il problema è che la polizia non si cura particolarmente se questi fanno uscire di testa la popolazione o violano i diritti di tutti per dare la caccia ad un criminale. Non si preoccupano di prevenire il crimine, ma solo di acchiappare i criminali. E per questo farebbero di tutto ai cittadini, fregandosene. È di questo che doveva parlare il film.»

Dan e Don buttano giù la storia che poi sarà pesantemente rimaneggiata per il film del 1983, ma questo testimonia una voglia di O’Bannon di “combattere il potere”. Pensare per il cinema un film che criminalizzi i poliziotti di Los Angeles è pura follia, così come stupirsi del rimaneggiamento è pura ingenuità, ma questi due sentimenti testimoniano del cuore puro dell’autore: Dan O’Bannon guarda il Potere dal basso e lo maledice, scrivendo storie graffianti. Già in quel periodo aveva buttato giù alcune idee per Total Recall (1990), in cui la piramidologia esoterica che lo aveva animato già ai tempi delle prime stesure di Alien è “contaminata” con la denuncia politica: Quaid è un paladino del popolo in cui si riversano le memorie della razza marziana, oppressa dall’arrivo degli umani, almeno nella versione di Dan del film.

Le persone affette da un caratteraccio difficilmente riescono a tirare fuori con successo il buono che è in loro, quindi per capire il buono che c’era in Dan O’Bannon dobbiamo rivolgerci a qualcuno che è riuscito a vedere al di là del suo caratteraccio.


Confessioni da ospedale

In Dark Star (1974) il personaggio interpretato da O’Bannon si chiama Pinback ma ad un certo punto rivela che il suo vero nome è Bill Froug: così l’autore-attore omaggia il suo professore dell’Università della California.

Quando nel 1987 William Froug si ritira dall’insegnamento, comincia a scrivere saggi fra cui libri di interviste con sceneggiatori molto in voga al momento: quando The New Screenwriter looks at the New Screenwriter esce, nel 1991, fra le prime interviste c’è quel Joe Eszterhas che sarà una delle più potenti comete che attraverseranno il cielo di Hollywood ad una velocità mai vista. Ma prima di lui, c’è Dan O’Bannon, con parole introduttive che non nascondono il legame fra ex professore ed ex allievo:

«Pensando ai vent’anni di insegnamento sia alla USC [University of Southern California] che alla UCLA [University of California, Los Angeles], penso che Dan O’Bannon sia stato lo studente più originale ed unico che io abbia mai incontrato. Era un giovane pacato e modesto, anche un po’ denutrito, gentile e buon parlatore. Era un solitario, si capiva che aveva una propria visione ed era la visione di un iconoclasta: rimasi colpito da lui sin dalla prima volta che ci siamo incontrati, in una delle mie classi.»

Probabilmente Froug è l’unico che abbia saputo descrivere un autore che voleva vivere in un mondo palesemente inadatto a lui: la razza umana non capiva Dan O’Bannon, né lui era disposto a scendere a compromessi.

Vent’anni dopo essere stato il suo professore, Froug va a trovare Dan all’ospedale: due giorni prima del loro appuntamento per l’intervista lo scrittore è stato ricoverato per quei problemi intestinali che lo hanno attanagliato per tutta la vita. Però non vuole rinunciare all’incontro con Froug e quindi l’intervista concordata si svolge nei corridoi di un ospedale, con Dan che trascina la macchina della flebo mentre cammina. Il rapporto fra i due esula da certe scomodità: anni prima Dan si era presentato alla porta di Froug dicendogli che erano tre giorni che non mangiava, così il professore lo fece entrare e il giovane gli svuotò il frigo. Inghiottire hot dog freddi tutti interi probabilmente non ha aiutato la sua situazione intestinale. Per ripagarlo, una volta iniziato a scrivere per il cinema, Dan ha invitato l’ex professore sulla sua nuova Cadillac, portandolo a pasteggiare con aragosta e champagne. «Tutto ciò che Dan ha fatto, l’ha fatto con stile».

Dan O’Bannon sul set del Ritorno dei morti viventi (da More Brains, 2011)

In quella corsia d’ospedale del 1991 Froug chiede ad O’Bannon se può fargli una foto da mettere nel libro, ma ovviamente non è proprio la situazione adatta. «Preferirei di no, Bill», gli risponde, «lasciamo un po’ di mistero, vuoi?» Nelle successive due ore non sono un professore universitario ed uno sceneggiatore cinematografico che parlano: sono due anime legate da amicizia e stima.

FROUG: Una delle cose più divertenti che hai fatto è stato Ritorno, così pieno di umorismo nero. L’hai diretto oltre che scritto, giusto?

O’BANNON: È stata la mia prima regia.

FROUG: Hai fatto un lavoro splendido, selvaggio e divertente. È stato ben accolto dal pubblico?

O’BANNON: Sì, anche meglio di quanto meritasse.

FROUG: Perché?

O’BANNON: È stato un lavoro minore.

FROUG: Be’, era una commedia.

O’BANNON: La domanda che mi facevo era: il mondo ha bisogno di questo film? E la risposta era “no”, quindi poteva andare molto peggio di com’è andata.

Neanche il suo amato professore è riuscito a scalfire il carattere di Dan, che non ha altre parole da spendere per l’unico film in cui è riuscito a comunicare alcuni brandelli della sua “poetica”: l’umorismo nero e sarcastico con cui attacca il Potere dal basso.

(continua)


Fonti

  • Lee Goldberg, Dan O’Bannon. Mio figlio, l’assassino, da “Starlog” n. 71 (giugno 1983)
  • William Froug, The New Screenwriter looks at the New Screenwriter (1991)
  • More Brains! A Return of the Living Dead (2011), documentario presente nel cofanetto Midnight Classics Limited Edizion, 3 DVD o 3 Blu-ray.

L.

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14 risposte a Morti viventi 2. Tutti voi zombie

  1. Willy l'Orbo ha detto:

    Post interessante come sempre, ricco di dettagli e aneddoti, sperando che qualche problema intestinale non attanagli anche noi (nel caso rimediamo con aragosta e champagne 🙂 ), e in attesa…(off topic) di vedere Streets of blood! 🙂

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  2. Cassidy ha detto:

    Meraviglioso, Dan O’Bannon in vita sua ha amato tanto parlare di se stesso, ma tu nei hai colto lo spirito chiudendo il cerchio alla grande con le parole di Heinlein, si vede che lo stai “studiando” da diverse settimane 😉 Detto questo, io “Tuono Blu” lo volevo rivedere già da prima del tuo post, ora dovrò farlo per forza! Cheers

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Giuro che non era mia intenzione, mesi fa, iniziare lo studio della vita e l’opera di O’Bannon, ma caso vuole che abbia messo lo zampino in tutti i film che ci piacciono, dal 1979 al 1990, quindi sbuca sempre fuori 😀
      “Tuono blu” non lo rivedo da quand’ero ragazzino, prima o poi toccherà anche a me rivederlo.

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  3. Zio Portillo ha detto:

    Commento telegrafico perché il venerdì per me è un giorno particolare e non riesco mai a essere presente:
    ottima rubrica Lucius! 😀

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  4. jenapistol ha detto:

    Ammazza che colpo di scena,un lavoro minore ? Ero straconvinto si mettesse a tesserne le lodi e quindi a vantarsi. Io l’ho visto una sola volta e ne ho un buonissimo ricordo,ma se penso alla trama mi sa non reggo la conversazione,urge rivederlo.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Il carattere di Dan è quello, difficile ottenere di più, però la settimana prossima vedremo come quella dichiarazione probabilmente è più veritiera di quel che sembra. 😛
      Comunque urge sì una nuova visione, soprattutto nel periodo estivo che è fatto apposta per i morti viventi 😀

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  5. Giuseppe ha detto:

    Sì, c’è da stupirsi non poco dell’auto-sottovalutazione di uno dei migliori film sui morti viventi mai girati (obiettivamente, Dan qui è l’unico a poter tenere testa a Romero) ma, avendo imparato a conoscere il suo buon carattere, in fondo potevo aspettarmi pure qualcosa di simile… e adesso aspetto pazientemente le novità dell settimana prossima a riguardo 😉

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Il mistero è come mai i produttori non abbiano sfruttato anche l’idea dell’umorismo nero nei film zombie: la serietà di Romero è stata imitata (e scimmiottata) decine e decine di volte, lo stile di O’Bannon rimane unico, malgrado ci siano casi di commedie zombie. Però Dan non ha fatto una commedia, è più un’opera parossistica, che mostra cose terribili, drammatiche, corpi mutilati, sangue e dolore… eppure riesce ad essere divertente. Forse questo dosaggio è troppo difficile perché i produttori interessati in copie in serie potessero prenderlo in considerazione.

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      • Giuseppe ha detto:

        In effetti, lo stesso prosieguo della saga starebbe a dimostrarlo, visto che ogni capitolo successivo se ne va per i fatti suoi (con gli ultimi due ridotti addirittura ad essere pessime imitazioni di Resident Evil). L’unico a voler rimanere ancora sul versante divertente è giusto Ken Wiederhorn, ma con uno stile assai diverso (perché esplicitamente comico) da quello di Dan …

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Quello del 1985 rimane un unicum assoluto, segno che nessuno impara niente dall’esperienza 😀

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  6. Pingback: Morti viventi 3. Zombie alternativi | Il Zinefilo

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