Strambi sbirri di menare 2: Poliziotto privato (1977)

La definizione l’ho presa da Cassidy e la trovo geniale, perché “Strambi sbirri” rappresenta perfettamente quel sotto-genere poliziesco la cui forza non è la trama in sé ma i protagonisti malassortiti: una coppia di poliziotti così diversi tra di loro da creare frizioni e scontri che rappresentano il succo del racconto. Finendo inesorabilmente con il capire che ci si può rispettare ed addirittura apprezzare malgrado le proprie differenze.
Ancora più “sotto” questo sotto-genere ce n’è un altro: quello dove uno dei due strambi sbirri… è un cinese che mena.

Visto che questa settimana la storia di Jackie Chan affronterà la sua prima avventura in questo sotto-sotto-genere, penso sia il momento giusto per fare il punto della situazione filmica dei suoi predecessori.

Le coppie di sbirri malassortiti spaccano, non a caso in questi anni esce Una strana coppia di sbirri (1974) con Alan Arkin e James Caan. Bud Spencer ed Enzo Cannavale in Piedone a Hong Kong (1975) sono la parte comica, ma ci sono anche prodotti serissimi come Uomini si nasce poliziotti si muore (1976) di Ruggero Deodato, con Marc Porel e Ray Lovelock contro il perfido Adolfo Celi.
Se in Una 44 magnum per l’ispettore Callaghan (1974) l’eroe di Clint Eastwood è costretto a lavorare con un collega nero, e addirittura in Cielo di piombo, ispettore Callaghan (1976) è costretto a lavorare con una donna, è chiaro che gli “Strambi sbirri” stanno vivendo un momento d’oro, e quindi Hong Kong ne approfitta.

Nel raccontare le avventure di Jackie Chan abbiamo già incontrato la Golden Harvest americana, quel distaccamento della casa di Hong Kong il cui compito era girare film brutti in America da vendere agli americani: dubito fortemente che questi titoli siano mai piaciuti a qualcuno, all’epoca o in seguito, ma di sicuro vendevano bene. (Probabilmente perché economici.)

Andre Morgan, l’uomo di Raymond Chow in America, in qualche modo riesce ad ingaggiare Robert Mitchum, che comunque già non era il Mitchum di una volta. Nello stesso 1975 con cui la Golden Harvest ha provato a sdoganare il Callaghan cinese, Mitchum vestiva i panni del più celebre degli investigatori e sfornava Marlowe, il poliziotto privato, il cui farlocco titolo italiano nasconde il remake di uno storico film del 1944, ovviamente tratto da un romanzo di Raymond Chandler.

Visto che l’attore nell’agosto 1977 (secondo la rivista “Box” dell’epoca) inizierà a girare Marlowe indaga (1978), remake dello storico Marlowe di Bogart, è il momento perfetto per sfruttare il personaggio: non più ispettore manesco che spara a tutti ma investigatore stropicciato e disincantato. Ecco The Amsterdam Kill, fatto girare dall’ottobre 1977, presentato ad Hong Kong il 23 febbraio 1978 e a New York il 3 marzo 1978 (secondo IMDb).

Ricevuto il visto italiano il 27 gennaio 1978, arriva in sala il 23 febbraio successivo, destinato a rimanerci un paio d’anni, con il titolo Poliziotto privato: un mestiere difficile. Proprio quel “poliziotto privato” che troviamo nel Marlowe del 1975.
Il primo passaggio televisivo sicuro risale a domenica 28 aprile 1985 in seconda serata su Italia1, mentre Futurama lo porta in VHS in data ignota.
La Sinister Film lo recupera in DVD nel luglio 2019, ma io già dal 2016 l’ho beccato in un ciclo di passaggi notturni sulla mitica ReteCapri: non sarà alta qualità digitale, ma è la splendida pellicola italiana d’annata.

Vi sfido a capire che questo NON è un film con Marlowe…

Mi immagino Andre Morgan camminare agitato per gli studi della Golden Harvest, quel 1976: a chi la affidiamo una grande star americana come Robert Mitchum? Per un nome così serve un regista noto, ma chi? E come il contemporaneo avvocato di Febbre da cavallo (1976), d’un tratto grida: «Basterebbe il primo stronzo che passa…» Robert Clouse alza la mano: «Eccolo! C’ho ancora il patentino!»

Dai racconti di Richard Harrison degli anni Ottanta sappiamo che quando dei produttori di Hong Kong ingaggiavano un occidentale ci sono tanti modi per costringerlo a continuare a lavorare per loro, volente o nolente. Non so se sia questo il caso o se Robert Clouse sia recidivo e abbia passato metà della sua carriera a rovinare film cinesi che forse in altre mani sarebbero diventati gioiellini, sta di fatto che ogni volta che ad Hong Kong qualcuno alza un sasso, sbuca fuori Clouse.
E quando sbuca fuori Clouse, il film è registicamente inguardabile.

Splendido titolo da pellicola italiana: grazie, Retecapri!

Cacciato dalla Narcotici per “indegnità morale”, l’ubriacone Larry Quinlan (Robert Mitchum) si è dato all’affascinante e stropicciato mondo del poliziotto privato ad Amsterdam. Perché Amsterdam? Non lo so.

Quinlan cerca risposte sul fondo di una marchetta alla J&B

Viene contattato da Ching Wei (Keye Luke, il maestro cieco di Carradine nella serie “Kung Fu” nonché il vecchio cinese di Gremlins), potente boss della droga che però vuole uscirne. C’è infatti in corso una guerra spietata per cui trafficanti cinesi in ogni angolo del mondo si stanno massacrando per stabilire i nuovi capi, e Ching Wei ha deciso che non vale la pena prendersi una coltellata: meglio andare in pensione con quota cento.

Se girate per Amsterdam, facile che incontriate tipi come questi

Quinlan viene anche contattato dai pezzi grossi americani per indagare sugli omicidi e non può fare tutto da solo, così chiama ad Amsterdam l’amicone Jimmy Wong: quel George Cheung destinato a luminoso futuro da caratterista in America, che già avevamo intravisto fra i “ninja aeroportuali” di Killer Elite (1975).
Qualcuno potrebbe chiedersi perché un investigatore privato americano e un boss della mala di Hong Kong si trovino ad Amsterdam, in mezzo ad una faida criminale cinese, ma quando si tratta di film scritti e diretti da Robert Clouse è meglio non farsi domande: si soffre di meno.

Bella Jimmy, molla tutto e vieni ad Amsterdam, che c’è da divertirsi

Grazie alla protezione di altissima qualità offertagli da Quinlan, il boss viene accoppato in un lampo, così ora Quinlan e Wong hanno le mani libere per indagare in maniera più “efficace”, cioè sparando a tutto ciò che si muove. Anche perché Cheung deve fare il “salto sparante” che diventerà prerogativa della Golden Harvest americana. Dieci anni dopo Jackie farà una figura decisamente migliore.

George Cheung, l’eroe cinese americano degli anni Settanta (glie piacerebbe!)

Il film procede stancamente, con le scene d’azione tristi che solo Clouse sa creare. Nel finale esplosivo abbiamo anche una scavatrice che fa scempio di una coltivazione di tulipani – ma quanto gli sarà costata quella scena? – e solamente un Maestro del Male come Clouse può rendere anonima e vuota una scena del genere.
Intanto in parata passano tutti gli uomini della casa. C’è il giovane Yuen Biao che era partito per l’America speranzoso di sfondare, e c’è pure suo “fratello” dell’Opera Yuen Wah, storico caratterista baffuto nonché ex controfigura di Bruce Lee. In piccoli ruoli appena inquadrati passano tutti quelli che diventeranno poi cascatori di fiducia di Jackie Chan, ma la parata di volti noti non aiuta a salvare un film insalvabile.

«Volevo solo augurati buona fortuna, Quinlan: contiamo tutti su di te» (cit.)

Sul fronte americano c’è solo un piccolo ruolo in cui si può mostrare un volto noto locale, Leslie Nielsen, ancora molto lontano dalla deriva comica con cui ha chiuso la carriera e quindi può ancora permettersi ruoli da cattivo spietato. Che peraltro gli vengono dannatamente bene.

Avete mai visto una coppia più male assortita di “strambi sbirri”?

Non saprei dire se il cambio totale di registro dopo Il drago di Hong Kong (1975) sia voluto o se semplicemente la Golden Harvest spara a casaccio, non saprei cioè se dopo l’esagerato protagonismo del “poliziotto cinese” di quel film si sia deciso di rendere più defilato la controparte di questo film, lasciando più spazio alla star americana che magari si vende meglio in quel mercato. Sta di fatto che sebbene siano una coppia in realtà è Quinlan a fare tutto e Wong sembra più il contemporaneo Cato de La pantera rosa sfida l’ispettore Clouseau (1976): cioè la spalla cinese di contorno.

Per fortuna non solo la Golden Harvest studia la strada degli “Strambi sbirri di menare”, altri autori stanno per entrare in gioco, e ne vedremo davvero delle belle… anzi, delle brutte!

L.

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22 risposte a Strambi sbirri di menare 2: Poliziotto privato (1977)

  1. Cassidy ha detto:

    Robert Clouse era davvero un cagnaccio che si è trovato al posto giusto nel momento giusto, quindi il tuo paragone mi sembra impeccabile 😉 Bisogna dire che a Charles Bronson è andata meglio, in vecchiaia ha scelto film di genere che per lo meno sono diventati mitici, a Robert Mitchum non è riuscito lo stesso colpo, in ogni caso sono scoppiato a ridere sulla didascalia di Leslie Nielsen, grazie per le citazioni! Cheers

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Ogni volta che Leslie Nielsen entra in scena si battono le mani, anche in piccoli ruoli come questo.
      Comunque è vero, malgrado abbia lavorato tantissimo anche in tarda età, Mitchum non è riuscito più ad azzeccare ruoli mitici come in gioventù, e i suoi personaggi più iconici sono quasi sempre in bianco e nero.
      L’essere poliziotto privato americano in una faida cinese ad Amsterdam rende questo suo ruolo un capolavoro di ignominia 😀

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  2. wwayne ha detto:

    Le marchette alla J&B erano frequentissime anche nei gialli all’italiana degli anni 70. Purtroppo sono astemio, altrimenti comprerei volentieri qualche bottiglia di quel whisky in segno di gratitudine per aver finanziato tutti quei capolavori. 🙂

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Mi sa che non esiste film italiano anni Settanta-Ottanta senza una bottiglia di J&B o un pacchetto di Marlboro 😀
      Era decisamente meglio così, almeno non erano le nostre tasse a finanziare film!

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      • wwayne ha detto:

        Ricordo che quand’ero alle superiori i finanziamenti alla cultura (e quindi anche al cinema) furono drasticamente tagliati, e curiosamente una mia professoressa disse di essere contentissima di questo, perché spesso le nostre tasse andavano a finanziare dei film che poi restavano totalmente inediti, senza venire distribuiti neanche nel giro dei direct – to – video. Se le cose stavano come diceva lei, effettivamente non posso darle torto. Grazie per la risposta! 🙂

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Purtroppo la quasi totalità dei film italiani, quelli che non incassano un euro manco per sbaglio, sono sovvenzionati con contributi statali (cioè soldi noi pochissimi che paghiamo le tasse perché non possiamo evaderle) semplicemente inventandosi che sono “di interesse nazionale”. Basta che il film passi qualche minuto a mostrare una bellezza panoramica italiana, e zac: film di interesse nazionale e becca soldi che butterà nel cesso, perché nessun film italiano guadagna. Non sono fatti per guadagnare, solo per spillare soldi allo Stato.
        Quando a pagare erano privati, non esistevano film che andavano male: si faceva di tutto perché andassero bene, perché se no si pagava di tasca propria. Ora a pagare siamo solo noi che paghiamo le tasse, e vediamo soldi buttati nel cesso in film che non vanno bene manco come carta igienica: di quella già siamo pieni, con il nome di “stampa italiana”, sempre sovvenzionata dallo Stato.
        E sento ancora parlare di “capitalismo”, in un Paese che campa esclusivamente ciucciando soldi allo Stato…

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      • Giuseppe ha detto:

        Tagli alla cultura? E quale “cultura”? Forse quella che ha ucciso i film di genere riducendoci allo sterile panorama fatto da cinema (finto, presunto, molto raramente autentico) realistico/impegnato e ennesima commedia non sempre brillante o, ancora peggio, ennesimo ripetitivo cinepanettone di merda? Quella “cultura” che relega in un ghetto chiunque osi far qualcosa di diverso (il cosiddetto “interesse nazionale” e gli indignati anti-tagli si mettono forse in gioco quando si tratta di sostenere talenti non allineati come, che so, Lorenzo Bianchini?) e fa di tutto perché i rarissimi ritorni di genere nelle sale grazie a gente come Rovere e Mainetti, giusto per fare un paio di esempi, rimangano eccezioni soffocate nel mare magno dei “capolavori” sovvenzionati per annoiare il pubblico (che, chissà perché, poi NON li premia al botteghino)? Sentitamente: ma vaffanculo, va 😠👎
        Tornando a “Poliziotto privato” (un Mitchum già avviato sul viale del tramonto), forse capisco il perché dell’inusuale ambientazione ad Amsterdam: quando sai per certo di dover venire diretto da Robert Clouse, non è cosa che tu possa sopportare senza fumare almeno un po’ di roba buona 😀

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Amen sulla cultura! ^_^
        E Mitchum tra J&B e produzioni locali sicuramente è riuscito a passare indenne per le riprese di Clouse 😛

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    • Kukuviza ha detto:

      è vero: che nervoso quando al termine di film del menga (anzi forse lo scrivono all’inizio) ti scrivono “film di interesse nazionale”. E sono veramente film che se si potessero incendiare sarebbero buoni solo per il camino e invece manco per quello sono buoni.

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Se fossero due o tre, sarebbe un male comunque accettabile: il problema è che quel maledetto cartello lo si trova sempre!
        Ricordo che addirittura il TG vent’anni fa fece un servizio indignato sul film “E adesso sesso” (2001) di Carlo Vanzina, che prese tipo 500 milioni di lire “per interesse nazionale” ma il film guadagnò qualcosa come 50 milioni: mezzo miliardo di soldi nostri buttato nel cesso per far recitare quattro attorini? E ancora devo sentire attori che si lamentano per i “tagli alla cultura”? Fare film di merda che non incassano un soldo sarebbe “cultura”? Oggi non ne parlano più, perché il fenomeno è esteso e perché gli organi di informazione sono i primi a dover stare muti, viste le montagne di soldi che spillano allo Stato, dato che non sono in grado di stare da soli sul mercato.

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  3. Kukuviza ha detto:

    forse ad Amsterdam sono andati tutti a fumare qualcosa e poi hanno fatto questo film.

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  4. Willy l'Orbo ha detto:

    Il film sarà insalvabile (mi associo tra l’altro a quanto detto sopra, saranno andati ad Amsterdam a fumare, poi quartiere a luci rosse e poi la mattina dopo, tra i postumi, avranno girato il film) ma questo ciclo degli strambi sbirri non solo è da salvare ma pure da conservare e tramandare: in ordine sparso, tra Retecapri, il primo stronzo che passa, la mitica locandina acchiappacitrulli (con Robert che…”esplode”!), la scavatrice che fa scempio di tulipani e il finale che annuncia che ne vedremo delle brutte…un vero spettacolo ad uso e consumo di noi zinefili! 🙂

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  5. Zio Portillo ha detto:

    Investigatore americano e boss della mala di Hong Kong nel bel mezzo di una faida mafiosa cinese… Ad Amsterdam! Perfetto. Ora capisco che con Clouse al timone è inutile porsi troppe domande, ma anche a chi ha scritto sta cosa non suonava un po’ forzata sta cosa? Se era una scusa per diverirsi nel Red Light District e nei Coffee Shop è un conto e possiamo chiudere un occhio, ma se ci credevano veramente io qualche domanda me la farei.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Clouse, come sempre, scrive anche i film che dirige, perché così ha l’effetto “doppia follia”. Tanto la Golden Harvest gli dà sempre carta bianca, quindi fa quello che vuole: possiamo solo immaginare come abbia impiegato il suo tempo ad Amsterdam, durante la lavorazione del film 😀

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      • Zio Portillo ha detto:

        Fai finta che al posto di questo commento ho messo una gif di Maccio. O quella che urla “Scopare!” o quella che dice “E a me che cazzo me ne frega a me!”. Fai tu.

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  6. Sam Simon ha detto:

    Nielsen fu davvero geniale a reinventarsi dopo una carriera che di comico non aveva nulla. Geniale lui o geniali gli Zucker bros, naturalmente!

    Splendida recensione, ho riso non poco a leggere del talento di Clouse… X–D

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