Jackie Chan Story 23. Terremoto nel Bronx

Continua il viaggio agli albori della carriera di Jackie Chan, mediante la sua corposa autobiografia I am Jackie Chan. My Life in Action (1998), eventualmente integrata con l’altra autobiografia Never Grow Up (2015). Sono entrambe inedite in Italia, quindi ogni estratto del testo riportato va intendersi tradotto da me.

Siamo arrivati al film che sancisce il successo occidentale di Jackie Chan: il terremoto che permette alla star dell’Asia di essere notato dalla distratta America, e di conseguenza anche dagli altri Paesi. L’Italia lo conosceva da tempo, ma l’ha sempre distribuito così poco e male che è come se non lo avesse mai fatto.


Indice:


Tutti lo vogliono…

Nella sua autobiografia del 1998 Jackie ci racconta – senza specificare date – che Hollywood si è interessata a lui già negli anni Ottanta. «Michael Douglas, per esempio, mi ha invitato a recitare il ruolo dell’assassino giapponese nel film Black Rain. Be’, non solo il film mette gli asiatici in cattiva luce, ma perché i miei spettatori vorrebbero vedermi fare il cattivo?» Visto che le riprese del film di Ridley Scott si sono svolte nell’ottobre 1988 ad Osaka, possiamo immaginare che nella seconda metà degli anni Ottanta Jackie fosse un nome ben noto negli ambienti del cinema statunitense.

«Non ha senso essere un eroe in Asia e andare a fare il cattivo in America. Se devo fare un film ad Hollywood dev’essere uno che possa piacere anche ai miei spettatori in Cina, Giappone, Thailandia e nel resto del mondo. Gli asiatici possono voler vedere me, Mel Gibson e Tom Cruise, ma non questi due che prendono a calci un loro idolo. Non sarebbe una specie di insulto? Specialmente visto che sappiamo tutti come una star marziale di Hong Kong potrebbe avere facilmente ragione di un attore hollywodiano, in uno scontro. Non è un vanto, è un fatto.»

Insomma, Jackie non ci sta a pagare il “biglietto d’entrata” ad Hollywood, cioè a fare il burattino cinese a favore dei gweilo, i “diavoli bianchi”: se lo vogliono, devono prenderlo per quello che è, non per trasformarlo in qualcos’altro. In questo Jackie ha battuto alla grande i suoi due concorrenti citati la scorsa settimana: Jet Li nel 1998 dovrà piegarsi al volere di Hollywood per fare il “cinese cattivo”, senza mai ottenere poi un ruolo vagamente simile a quelli per cui era famoso in Asia; Donnie Yen dal cinema americano otterrà solo piccoli ruoli umilianti. Se avessero seguito il “Modello Jackie” forse avrebbero avuto occasioni migliori.

Scopriamo che Sylvester Stallone e Jackie erano diventati amici (non ci viene detto altro) e un giorno Sly gli propone il ruolo di un trafficante di droga che dopo un trapianto di cuore diventa buono: ancora nel 1998 il nostro eroe specifica che proprio non gli piaceva questo soggetto. Stallone torna alla carica proponendogli di interpretare il super-cattivo di Demolition Man (1993), rendendo chiaro come non abbia proprio capito che Jackie non vuole fare il cattivo. Bruce Willis lo chiama spesso per lavorare insieme ma non riescono a trovare un copione che rispetti a pieno le loro personalità; Wesley Snipes lo chiama per interpretare due fratelli in un film dal geniale titolo Confucius Brown, che poi non si farà mai per via di altri impegni. Ammettiamolo, questo paragrafo di Jackie sembra scritto dal Manuel Fantoni di Borotalco (1982), che butta lì con disinvoltura nomi di grandi star che lo pregano di lavorare con loro.

Il massimo che nascerà da tutte queste amicizie sarà il film Hollywood brucia (1997), dove nel suo minuscolo ruolo Jackie ricorda a tutti che lui non muore nei film, visto che non fanno altro che proporgli quel tipo di ruoli.

Mentre Stallone, Willis e Snipes inseguono Jackie e lui fa il ritroso, e magari Richard Burton gli vomita sul tappeto (cit.), intanto la carriera va avanti. Il nostro gira Crime Story (1993), Drunken Master II (1994) e progetta Rumble in the Bronx (1995) con Stanley Tong, giovane regista che ai tempi di Supercop (1992) gli è stato imposto per “arginarlo” ma con cui ha trovato subito sintonia, e nelle sue memorie non esita a definirlo «un mio buon amico e uno dei miei migliori collaboratori». Con lui organizza un film diverso dal solito, cioè uguale al solito ma con piccoli particolari che possano piacere anche ad un pubblico internazionale. E per questo bisogna uscire da Hong Kong.


La lingua del Bronx

Come abbiamo visto, Jackie ha già tentato la strada di assumere attrici straniere per i film della Golden Harvest, interpretati però da attori cinesi (per lo più amici di Jackie e suoi fidati collaboratori), ma stavolta si vuole tentare un piccolo ma fondamentale cambiamento: i protagonisti saranno cinesi… ma tutto il resto del cast sarà occidentale. E per di più la maggior parte dei dialoghi sarà in inglese: in pratica Jackie sarà l’unico attore a parlare cantonese sul set.

Un film molto attento alle regionalizzazioni

Noi italiani siamo un caso unico al mondo quindi potremmo rischiare di non capire la scelta di questo film. Come ho già raccontato, sin dai suoi primordi il cinema marziale asiatico ha ricevuto in Italia un trattamento di così alta classe che diamo per scontato l’effetto che una voce può fare sugli spettatori: le nostre voci calde e professionali miglioravano anche i titoli peggiori, mentre negli Stati Uniti era l’esatto contrario. Il cinema marziale diventava materiale per scherzi e barzellette, perché i doppiatori erano i primi a prendere in giro i film stessi: tipo come hanno fatto gli italiani per Shaolin Soccer (2001), cioè infilandosi il microfono nello sfintere. Quel modo insultante e vergognoso di doppiare un film straniero, prendendolo in giro in modo non professionale e cialtrone, era esattamente la firma americana dei titoli di Hong Kong degli anni Settanta.

I fan marziali duri e puri hanno metabolizzato quello stile di doppiaggio, il comico da palco Michael Winslow nei suoi spettacoli (come questo) si diverte a ricreare le voci buffe e i labiali fuori sincrono del cinema marziale, e un titanico amante del cinema marziale come RZA negli album musicali dei Wu-Tang Clan inserisce spesso campionature da doppiaggi americani di famosi film cinesi, pieni di voci esagerate e farsesche. (Intitolare i propri album Enter the Wu-Tang o Once Upon a Time in Shaolin la dice lunga sulla passione marziale del gruppo.)

Il cinema marziale negli Stati Uniti è roba da ghetto, da piccoli cinema di Chinatown – tipo quello dove si allena Seann William Scott ne Il monaco (2003) – quindi al pubblico generico non importa che sia doppiato male, anzi: è la “lettera scarlatta” che contraddistingue i film buoni dalle porcate “di menare”. Se la Golden Harvest vuole che i propri film vengano presi sul serio, è importante che li distribuisca recitati in lingua inglese. (Anche se Jackie continua a parlare cantonese e quindi comunque dopo dovrà essere doppiato.)


La distribuzione del Bronx

Girato a Vancouver (Canada), come in pratica la maggior parte dei film americani, Rumble in the Bronx è un film di Jackie al cento per cento ma recitato in inglese e pieno di attori occidentali, così Leonard Ho riesce a venderlo alla Dimension Films: proprio loro, i fratelloni Weinstein che sbucano fuori nei punti più impensati di questo blog. Non è il colpaccio dell’anno, stando a quanto ricorda Jackie l’accordo è stato di soli due milioni di dollari, che per una casa americana è davvero una cifra bassina, ma Ho era abbastanza furbo da sapere che in quel momento i soldi non contavano niente: l’affare grosso, impossibile per i mezzi della Golden Harvest, era la campagna pubblicitaria.

La Dimension Films decide di non puntare sul film in sé: la campagna pubblicitaria che invaderà gli Stati Uniti a tamburo battente punterà su Jackie Chan. Il nostro eroe non capisce, è dal 1980 che fa avanti e indietro da quel Paese, è apparso pure sulla TV nazionale, che senso ha “presentarlo”? Gli americani già lo conoscono. Povero Jackie, gli viene spiegato che in America ci vuole un attimo ad essere dimenticati, semmai lui è stato davvero ricordato al di fuori di una ristrettissima cerchia di appassionati marziali.

Dopo un terremoto mediatico con cui la Dimension Films ha tappezzato il Paese – sapendo che ciò che vende un film non è il film, bensì la pubblicità – Rumble in the Bronx esce nei cinema americani il 23 febbraio 1996, incassando quasi dieci milioni di dollari nel primo fine-settimana di programmazione. Sembra poco, ma – ci dice Jackie – finisce al primo posto al botteghino: il primo film di Hong Kong a raggiungere questo risultato. Comunque era già andato molto bene in patria l’anno precedente: il 21 gennaio 1995 ad Hong Kong incassa 56 milioni di dollari locali, cioè quasi il doppio del film medio di Jackie.

In Italia arriverà il 30 agosto 1996, e si sa come la distribuzione nostrana dedichi il mese di agosto solamente ai film che vuole seppellire nell’indifferenza. Probabilmente quello stesso 1996 la Cecchi Gori lo porta in VHS, poi in DVD dal 2003, in attesa che nel 2015 la Eagle Pictures lo ristampi.
Arriva su Tele+ (a pagamento) nel settembre 1997 e l’anno successivo appare addirittura su TMC. Sarà più volte replicato ma di sicuro non quanto altri film più recenti di Jackie.


Il terremoto del (finto) Bronx

Al contrario del suo solito, per questa trasferta americana Jackie non può portarsi dietro l’esercito personale di amici e collaboratori: quanto sarebbe costato alla Golden Harvest il biglietto d’aereo per quelle decine di volti che riempiono tutti i film di Hong Kong del nostro? Stavolta la maggior parte dei volti sarà occidentale, quindi Jackie riduce al minimo gli amici: due buoni e uno cattivo.

Grazie a Jackie, Anita Mui si affaccia sul mercato occidentale

Abbiamo dunque il protagonista Kwong che sbarca a New York (che si vedrà solo nei secondi iniziali) per trovare suo zio Bill, cioè il consueto Bill Tung Biu, che da Police Story (1985) appare quasi sempre nei film di Jackie nel piccolo ruolo di figura paterna del protagonista. (Da allora l’attore recita in moltissimi ruoli in cui si chiama Bill.) Questi vuole vendere il proprio piccolo supermercato per ritirarsi a vita privata con la nuova moglie, e a comprare l’attività arriva Elaine, cioè la compianta attrice marziale e pop star Anita Mui. Dopo questi due ruoli positivi, arriva il cattivo: Ailen Sit, che fa capolino spesso nei film di Jackie di questo periodo, nel ruolo di teppista.

Questi insieme ad altri variopinti teppisti locali sono la banda di Tony, pericolosi guerrieri del Bronx che ricalcano gli omonimi personaggi di Enzo G. Castellari: sto solo scherzando, ma mi diverte pensare che al momento di immaginare dei teppisti americani la Golden Harvest abbia passato a Jackie e Stanley Tong una videocassetta del nostrano 1990: I guerrieri del Bronx (1982). A parità di totale e folle implausibilità dei vestiari, volti devastati da espressioni disumanamente esagerate e comportamento estremo, non c’è alcuna differenza fra i teppisti di Terremoto nel Bronx e un qualsiasi film postapocalittico italiano degli anni Ottanta. Solo che nei film nostrani quei personaggi erano scusati perché vivevano nel futuro del post-olocausto, mentre i pittoreschi “guerrieri del giorno” di Jackie non hanno alcuna scusante, se non il noto cattivo gusto asiatico nel ritrarre gli occidentali come tutti pagliacci. (Gusto pienamente giustificato dal fatto che noi occidentali ritraiamo gli asiatici tutti coglioni.)

Con la voglia di redimersi nel cuore, si allontana dalla banda proprio la donna del boss, Nancy, interpretata dalla giovane ma già affermata eroina d’azione Françoise Yip, che ha sempre un posto speciale nel mio cuore. Dopo alcuni intensi anni di gavetta ad Hong Kong, sul finire dei Novanta l’attrice marziale passa in America dove però non troverà mai l’occasione di brillare, sebbene riesca ad affrontare alcuni nomi importanti (come Jet Li e Gary Daniels).

L’esordio esplosivo di un’attrice marziale che porto nel cuore

Quello che secondo me rimane il suo miglior ruolo in assoluto… dura solo uno o due secondi. Quando cioè nell’ultima scena di Aliens vs Predator 2: Requiem (2008) appare nei panni della signora Yutani: la socia di Weyland, spietata padrona della più crudele Compagnia dell’universo. Quanto odio i fan alieni che non apprezzano questi geniali particolari…

Françoise Yip nel ruolo della signora Yutani

Per questo film che sin dall’inizio è pensato per far bella figura con gli americani Jackie si mostra come mai prima: coi muscoli all’aria. Lo stile di Hong Kong è molto meno “rambesco” di quello americano, ma all’estero bisogna fare un po’ di scena e così, mentre tutto il cast è vestito e si comporta come i pagliacci del circo Togni, Jackie fa il figo in canotta coi bicipiti in mostra.

Bicipiti in mostra per Jackie l’americano

È solamente un piccolo strappo alla regola, perché il resto è all’insegna del menu delle grandi occasioni: tutte le spettacolari scene d’azione sono un “ripassone” del Jackie Style, una proposta del meglio del repertorio d’azione per far vedere ai gweilo americani che cosa si sono persi fino a questo punto. E che l’etichetta “più grande star dell’Asia” non è per finta.

Una splendida scena iniziale per mettere in chiaro che non si sta giocando

La prima volta che ho visto il film ho adorato la scena del combattimento di Jackie nella tana dei teppisti, perché era un classico “combattimento con suppellettili” alla Jackie, ma poi onestamente il film non l’ho più rivisto: la voglia di “fare l’americano” lo accomuna alla sterminata produzione italiana con cui siamo tutti cresciuti, che cercava senza mezzi di rifare le grandi produzioni d’oltre oceano. Le scene d’azione sono buone perché sono tipiche dello stile del nostro, ma il film non lo annovero tra i memorabili di Jackie.


Gara mortale

Come si può vedere nei titoli di coda di Rumble in the Bronx, durante le riprese Jackie si ferisce ad una caviglia e dev’essere ingessato. Per fortuna il progetto successivo prevede che per la maggior parte del tempo stia seduto, alla guida del bolide di Thunderbolt. Il film esce il 5 agosto 1995 ad Hong Kong, sette mesi dopo Rumble in the Bronx, e la Dimension se lo prende subito per alimentare l’esplosiva “fame” da Jackie Chan americana.

In Italia questo titolo avrà un destino sfortunato. La consueta Cecchi Gori lo porta in VHS nel 2000 ma se lo pappa Mediaset, mandandolo (pochissimo) in onda sul suo canale a pagamento Stream e di fatto seppellendolo vivo, visto che i film d’azione trasmessi da quel canale sono per lo più scomparsi per sempre dall’Italia. Per fortuna riappare su Italia2 nel 2012 e conosce qualche sparuta replica, ma in generale rimane sicuramente fra i film di Jackie più sconosciuti in Italia.

È nota da sempre la grande passione di Jackie per i motori rombanti, e qui può usare il suo forte ascendente alla Mitsubishi – casa che sin dai primi anni Ottanta esaudisce ogni suo desiderio – per mettere in campo macchine da corsa d’ogni tipo e fare un enorme spot pubblicitario, mascherato da film d’azione. La storia parlerebbe del perfido criminale Kaugman (Thorsten Nickel), grande pilota, che rischia di finire in galera perché Jackie testimonia contro di lui: tutto si risolverà con una sfida automobilistica con più d’una vita in gioco. Però in realtà si sente che la trama è solo una scusa per mostrare Jackie tra i suoi amati motori.

Le poche scene d’azione (in pratica solo due di combattimento) sono dirette da Sammo Hung, e si vede. Niente gigionerie, anzi qui Jackie è molto serio per tutto il film, e soprattutto con uno stile che all’epoca si può incontrare nei film di Tsui Hark. È chiaro come un vulcano di idee in fermento come Hong Kong non possa limitarsi a ripetere sempre le stesse cose – come Jackie fa dagli anni Ottanta – quindi è più che visibile l’evoluzione degli altri maestri del cinema. Tsui Hark è ormai re in città e una delle sue firme è quella sorta di “rallentatore a scatti” che qui troviamo nel combattimento della sala giochi, chiaro segno che Sammo ha gusto per le novità del settore. (Nel 1998 Tsui Hark lo adotterà anche in un combattimento di Van Damme per Hong Kong colpo su colpo.)

Jackie con la sua seconda grande passione

I combattimenti sono “seri”, niente più “parentesi americane”, e per quel che poco che durano sono sicuramente la parte migliore del film. A meno che non vi piacciano le corse automobilistiche, allora apprezzerete altre scene.

(continua)


L.

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26 risposte a Jackie Chan Story 23. Terremoto nel Bronx

  1. Cassidy ha detto:

    Attenta ad essere il film più replicato da Italia 1 tra quelli interpretati da Jackie Chan, penso che prima o poi nella vita tutti abbiano visto “Terremoto nel Bronx”, per altro confesso che ancora oggi ogni tanto, da solo e in maniera completamente estemporanea mi canticchio da solo “Come on Jackie Chan oh oh oh oh” direttamente dal pezzo che si sente sui titoli di coda di questo film, “Kung Fu” degli Ash, un pasticcio brutto che nel testo mescola tutta la confusione occidentale per i film di arti marziali, ma resta orecchiabile lo stesso 😉 Cheers!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      La prima volta che ho visto il film (una ventina d’anni fa) ignoravo il pezzo ma era chiaro che citasse Jackie, e mi chiedevo: quant’è diventato famoso per finire così velocemente in una canzone? 😛

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      • Cassidy ha detto:

        Sospettavo una canzone “istantanea”, con Jackie infilato nel testo al volo, ma l’inizio del pezzo campiona l’audio di un combattimento di un film di Sammo Hung, forse il gruppo era composto da appassionati anche se nel testo vengono citati un po’ tutti, da Bruce Lee agli X-Men. Cheers

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Probabilmente sono frequentatori di cinema marziale entusiasti, e quindi li sento già come miei fratelli ^_^

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  2. Il Moro ha detto:

    i wu-tang produssero anche un videogioco per playstation, un gioco di combattimento due contro due con fatality in stile mortal Kombat con loro stessi come protagonisti. Ce l’avevo, abbastanza divertente.

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  3. Charlie Chan Spenser ha detto:

    Thunderbolt è inguardabile proprio perché mi piacciono le corse automobilistiche. È uno scempio, e di solito ho sempre apprezzato i film a tema sul motor sport o anche i film nei quali c’era semplicemente una certa dose di motor sport.. 🤣

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Magari lo stile “motor sport cinese” mette a dura prova anche gli appassionati 😛
      Il fatto che Jackie non sia tornato più sull’argomento potrebbe voler dire che il responso dei produttori è stato: “Sì, va be’, mo’ basta motori” 😀

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      • Charlie Chan Spenser ha detto:

        Beh sia chiaro non mi riferivo a merdate tipo fust and furios o nere for speed. a sto punto 100 volte meglio Jackie.. mi riferivo a docufilm tipo Rush, quello sulla 24 ore, indian, la grande sfida… o al limite a film tipo driven con Stallone.. in un certo senso si potrebbe considerare come film sui motori death race di Tarantino.

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Avendo noi due gusti diametralmente opposti, non saprei che dirti. Di sicuro la parte “motori” di questo “Thunderbolg” non mi ha preso, visto che non spiega nulla, in nessun punto vuol essere un film di motori e si limita a fare spot pubblicitari per le varie marche. Temo che già nelle intenzioni non ci fosse alcun desiderio di fare un “film di motori” ma semplicemente uno spottone facile così da riposarsi con un film meno impegnativo del solito.

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    • Charlie Chan Spenser ha detto:

      E si è esattamente quello che penso anch’io.

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  4. loscalzo1979 ha detto:

    Terremoto nel Bronx lo porto nel cuore, mi ha sempre divertito un sacco (la scena dell’Hovercraft è sempre spassosa)
    Thunderbolt invece mai visto

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    • Charlie Chan Spenser ha detto:

      Sembrerebbe che il finale sull’hobercraft sia nato solamente a causa dell infortunio alla caviglia. Ci doveva essere un più classico combattimento finale ma Jackie era infortunato e non si voleva sprecare altro tempo e denaro per aspettare che si rimettesse in sesto ne tanto meno affidare un intero combattimento finale ad una controfigura a discapito delle inquadrature.
      Tuttavia il finale ha reso bene e L idea è stata un po’ ripresa con mr nice guy credo… nel senso il prendere un grosso macchinario per distruggere tutto e risolvere i conti in sospeso!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      E’ un ottimo spettacolo del meglio delle tecniche di Jackie, sebbene lo stile ricordi più il nostrano “Guerrieri del Bronx” 😀

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  5. Willy l'Orbo ha detto:

    Divertente il film in oggetto (non conosco invece quello motoristico trattato in coda all’articolo), interessante il post, stuzzicante l’aneddoto su Jackie ricercato da Stallone, Willis, Snipes, a proposito di ciò non mi dispiace che non se ne sia fatto nulla per il cattivo in Demolition Man, in quel ruolo nessuno mi tocchi Wesley!!! 🙂

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Te l’immagini Sorrisone Jackie a fare il super-cattivo come Wesley? Non avrebbe mai funzionato, ed è incredibile come tutti proponessero a Jackie di fare il cattivo!

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      • Willy l'Orbo ha detto:

        Mai rifiuti furono più sensati! (e tali proposte un tantinello folli) 🙂

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      • Giuseppe ha detto:

        Tutti lo cercavano, ma ben pochi lo capivano (o ci provavano, come Willis e Snipes): accettando quel tipo di ruoli, sarebbe stato destinato di certo a quella stessa strada senza uscita poi imboccata da Jet Li e Donnie Yen. Molto meglio “Terremoto nel Bronx” dove, dovendo fare l’americano per venire incontro al (dubbio) gusto occidentale, perlomeno c’è riuscito continuando a dettare lui le regole del gioco (e, magari, pure mutuando davvero qualcosina dal nostro Enzo G. Castellari) 😉
        Su “Thunderbolt” non mi pronuncio, essendomi del tutto sconosciuto…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Visti i precedenti tentativi della Golden Harvest, stupisce sia nata un’idea ispirata come quella di “Terremoto”, cioè un film in tutto e per tutto di Hong Kong ma girato in America e con attori americani, invece di cercare di fare un film americano con attori cinesi. Sicuramente è stata l’idea migliore per farsi accettare da quel pubblico.

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