Psycho (1998) Un esperimento fallito

Ero indeciso se affrontare questo film nel mio psico-viaggio, e una volta visto – perché l’avevo sempre ignorato in questi decenni – il dubbio è aumentato: che senso ha parlare di un film dichiaratamente fotocopia? Soprattutto di un film che sembra essere stato visto decisamente più del suo originale, e tanti hanno già detto la propria sull’argomento.
Come sempre, invece di ripetere quanto già detto ovunque nel web cerco di risalire alla fonte, di ascoltare la voce degli autori invece di quella dei “ripetitori”.

Scopro che al contrario delle testate italiane, quelle americane hanno platealmente ignorato questo titolo, l’unico giornalista che ha trattato l’argomento – o comunque l’unico che ho trovato – è Douglas Eby, che per la rivista specialistica “Cinefantastique” nel dicembre 1998 intervista Gus Van Sant per capire cos’abbia spinto un regista ad affrontare una prova così atipica.

da “Cinefantastique” (dicembre 1998)

«Lo studio era interessato a rifare film famosi del proprio catalogo. In origine l’idea è nata da me, che ho chiesto alla Universal se si potessero fare film di alto profilo rifacendosi alla tradizione d’epoca. Alla casa piaceva l’idea di rifare alcuni noir anni Cinquanta, e io ho fatto notare che rifare Psycho sarebbe stato grandioso, ed è un’opera così ben fatta che non c’è bisogno di cambiare nulla: scegli degli attori e lo rifai a colori. Meglio quello che un qualche oscuro titolo di cui nessuno ha più memoria, cercando di tirarci fuori una storia moderna. Sembrava una scelta difficile ed anche votata all’insuccesso.»

Van Sant ci ha azzeccato in pieno: l’insuccesso è stato totale e tombale. Costato la cifra del tutto ingiustificata di 60 milioni di dollari, stando ad IMDb ne ha incassati solo dieci nel primo finesettimana di programmazione, raggiungendo i venti totali su territorio nazionale. Sul dizionario alla voce “fallimento” c’è la foto di Gus Van Sant davanti al manifesto del suo Psycho. Ti credo che dopo due anni in frigo ha dovuto dirigere quella minestra riscaldata di Scoprendo Forrester (2000) per la Columbia, un piatto pronto di sicuro successo che comunque per puzza è riuscito a rientrare delle spese. Non stupisce che sia un regista poco prolifico, temo che le case di produzione non lo facciano neanche entrare nel loro parcheggio.

Non sono riuscito a trovare altri noir anni Cinquanta rispolverati dalla Universal, in quel periodo: il primo che hanno fatto deve aver bruciato tutta l’iniziativa. Tipo quel madornale errore di The Mummy (2017) che ha distrutto la rinascita dei mostri Universal.

Il film che ha ucciso l’iniziativa Universal con una coltellata al cuore

Se da un lato Van Sant non aveva capito che è proprio rifacendo film sconosciuti o dimenticati che il gioco delle major è andato avanti per decenni, dall’altra aveva intuito che Psycho (1960) è sì un classico ma solo tra i cinefili: la “generazione X”, cioè i giovani degli anni Novanta, molto probabilmente non sono così ferrati sull’argomento.

da “Femme Fatales” (gennaio 1999)

Questa ipotesi trova una prova inaspettata, perché quando lo stesso citato Douglas Eby per “Femme Fatales” (gennaio 1999) – rivista-appendice di “Cinefantastique” dedicata alle donne nel cinema fanta-horror – va ad intervistare la 29enne Anne Heche, protagonista del nuovo Psycho, scopre che la donna ignorava completamente il film di Hitchcock, e l’ha visto con la fidanzata dell’epoca – una certa Ellen DeGeneres – solamente la notte prima di incontrare il regista. Quando gli ha fatto sapere che era davvero un bel film, Van Sant le ha mostrato i quintali di libri di cinema che sono stati scritti solo su quell’opera, per sottolineare la responsabilità che gravava su tutti.

Nei suoi pezzi il giornalista più volte sottolinea come il film sia stato pesantemente criticato nell’ambiente già molto prima della sua uscita, ed è chiaro come in seguito il silenzio sia stata l’unica recensione da parte delle riviste specializzate, per qualcosa che veniva definita “un clone a colori” (colorized Doppelgänger) di un film di culto molto (forse troppo) amato dai cinefili.

Mi spiace, Norman, hai fatto un buco nell’acqua

Finite le riprese, alla Universal si presenta Stephen Rebello, l’autore di Hitchcock. L’incredibile storia di Psycho (1990), celebre saggio che in tempi recenti è diventato anche un film. Rebello è un saggista esperto dell’originale del 1960 e si presenta a Van San chiedendo spiegazioni sul suo lavoro, per un articolo che sarà pubblicato in italiano da “l’Unità” del 1° aprile 1999.
A Rebello Van Sant mette subito le cose in chiaro: questo non è un remake.

«È una riproduzione. È questa la differenza. Abbiamo praticamente riprodotto ogni ripresa del film di Hitchcock e utilizzato la sceneggiatura originale, con pochi cambiamenti. Il nostro concetto è stato: “Non dobbiamo cambiare nulla. Tutto dev’essere uguale”. Non era mai stato fatto prima».

Se non è mai stato fatto prima, ci sarà un motivo…

Ma… cos’è questa casa? E la Psycho House?

Visto che il film è la fedele “riproduzione” dell’originale… perché diamine non usare la mitica Psycho House?

«Ci siamo resi conto che dovevamo cambiarla per un motivo filosofico, perché la casa non è quella originale. E, come ho detto, è un’icona.»

Invece l’albergo è quello originale? Cosa c’è di originale nel film, se non forse i gufi impagliati?

Manco l’insegna, Gus, manco l’insegna!

Uscito in patria americana il 4 dicembre 1998, il 20 aprile 1999 riceve il visto della censura italiana con il divieto ai minori di 14 anni «per le scene di violenza che possono turbare la sensibilità dei predetti minori»: ma dove le hanno viste queste scene? Arriva nelle nostre sale dal 23 aprile successivo e ci resta davvero poco.
Non sono riuscito a scovare il primo passaggio televisivo, ma curiosamente il sito di FilmTV ospita decine e decine di recensioni stroncanti firmate dai lettori: mi sa che questo film moderno è stato visto molto di più dell’originale, anche solo per parlarne male! La Universal lo porta in VHS dal dicembre 1999 e in DVD dal 2000.

Tranquilla, bionda, per te la stanza con doccia c’è sempre!

Un cast stellare da rifarsi gli occhi mette in scena la storia originale, che però sembra molto più minuscola rispetto ai seguiti degli anni Ottanta, al cui confronto brillano di luce propria. Marion Crane (Anne Heche) fugge col malloppo rubato al suo datore di lavoro, e durante la fuga si ferma a dormire al Bates Motel gestito da Norman Bates (Vince Vaughn) e questo gli è fatale.

Giuro, per almeno dieci anni ho usato lo stesso identico modello di cuffia al collo di Julianne!

Non avendo più sue notizie, il suo fidanzato Sam Loomis (Viggo Mortensen) e sua sorella Lila Crane (Julianne Moore) ingaggiano l’investigatore Milton Arbogast (William H. Macy) di indagare, ma fa una brutta fine pure lui.

Sono abbastanza anni Cinquanta o mi serve anche lo spolverino?

Non fa molto lo sceriffo locale (Philip Baker Hall) mentre a farci lo spiegone finale arriva Robert Forster in persona.

Ora vi spiego cose che non si sa come io faccia a sapere

Una secchiata di volti notissimi, forse non così noti all’epoca, per non parlare dei ruoli minori e delle comparse, altri volti molto noti: da James Remar a Flea, il bassista dei Red Hot Chili Peppers.

Il bassista che appare in almeno cento film!

«L’effetto è curioso, il film non brutto, ma chi lo andrà a vedere?» si chiede Michele Anselmi su “l’Unità” del 24 aprile 1999, ed è chiaro che abbia ragione. Che senso ha vedere un film identico all’originale, solo a colori e con altri attori? Qui arriva la risposta di Gus Van Sant, che nessuno ha ripreso e forse nessuno ha capito.

Nella citata intervista a “Cinefantastique” il regista fa un appunto molto intrigante. Che senso ha vedere l’Amleto di Shakespeare a teatro? Da centinaia di anni va in scena pressoché identico, il testo è sempre quello, «Essere o non essere» e tutto il resto viene ripetuto uguale, cosa cambia? Ovvio: le scene e gli attori. Ed è esattamente questo lo Psycho del 1998, un allestimento classico con nuove scene (a colori) e nuovi attori, come avviene da sempre in ogni teatro del mondo, dove il testo dei classici non cambia mai: ciò che si va a vedere sono le scene e gli attori.

Ferma la tua mano, nobile principe! (cit.)

Sebbene sia totalmente fallito, l’esperimento di Van Sant è però decisamente sorprendente, un’idea di cinema-teatro completamente inedita, che fa crollare quel falso velo da “novità” dietro cui si nasconde ogni film – che è sempre vecchiume mascherato da novità – e la dichiarazione di totale onestà per cui un’opera è identica a una precedente, cambia solo l’allestimento. In fondo abbiamo film classici rifatti due, tre, anche quattro volte, nel corso dei decenni: perché fingere che siano tutti film “nuovi”? Sono tutti nuovi allestimenti di un copione classico.

E mica solo Giulietta muore uguale da quattrocento anni!

In un gioco in cui film vengono rifatti regolarmente, chiamandoli remake perché sembrino nuove reinterpretazioni (invece spesso sono solo copie senza spessore), Van Sant credeva di poter cambiare le regole, e portare l’onestà nel cinema come esiste nel teatro: nessuno si chiede che senso abbia rivedere Romeo e Giulietta, o La Traviata, con altre scene e altri attori, ma chiunque avesse voce dal 1998 ad oggi si sta chiedendo che senso abbia avuto rivedere Psycho, semplicemente con altre scene e con altri attori. Van Sant ha compiuto un esperimento così ovvio che nessuno potrà mai apprezzarlo.

No, Vince, lascia stare, non provarci nemmeno…

Nell’episodio 5×06 della serie TV “Bates Motel” vengono rimessi in scena gli eventi di Psycho (1960) ma completamente reinterpretati, con la cantante Rihanna nel ruolo di Marion Crane: la genialità dell’episodio sta nel fatto che lo spettatore sa già cosa succederà… così che gli autori possono giocare con lui e trascinarlo dove vogliono. Inutile dire che quell’episodio è decisamente migliore dell’esperimento di Van Sant, segno che i “rifacimenti” sono sempre meglio degli “allestimenti”, e che non bastano nuove scene e nuovi attori, serve anche un nuovo gusto e possibilmente nuove trovate. Non è facile, ma basta poco per ottenere molto più di quanto abbia ottenuto lo Psycho di Van Sant.

Però è comunque un peccato che il primo esperimento di cinema-teatro sia così miseramente fallito.

L.

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19 risposte a Psycho (1998) Un esperimento fallito

  1. Evit ha detto:

    Gus se la può giustificare come vuole, rimane sempre un’idea stronza che aggiunge solo la scena della masturbazione, perché è pur sempre Gus e non poteva mancare qualcosa del genere.
    L’ho visto solo una volta e lo detesto dal profondo. Poi Norman Bates con la faccia da fesso di Vince Vaughn non si può proprio vedere. Causa di innumerevoli delusoni quando nel palinsesto televisivo vedo “PSYCHO!!! Ah, 1998…”

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Se aspetti un film Universal d’annata sulla TV italiana temo rimarrai sempre deluso, sono più rari di un quadrifoglio.
      Non si poteva mostrare il Bates del 1960 in autoerotismo ma era ovvio che quella foss3 la ragione del dare la stanza n. 1 alle belle donne, come meglio spiegato nella serie “Bates Motel”.
      Sebbene siano indiscutibili i difetti che citi rimane comunque strano che accettiamo milioni di repliche di testi noti a teatro eppure disprezziamo lo stesso procedimento al cinema, e sì che una mole enorme di film viene regolarmente “remakata”. Gus è stato troppo onesto, se l’avesse chiamato “remake” nessuno si sarebbe lamentato, visto poi che l’originale è più citato che visto.

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      • Evit ha detto:

        Sono tradizioni e mezzi diversi, non ha molto senso metterli a confronto come ha fatto Gus per giustificarsi. Il teatro esiste in quella forma proprio perché la prima esperienza non è riproducibile come invece lo è nel cinema. Non è così strano che lo si accetti per il teatro ma non per il cinema.

        Nella scena dello spionicno, sì, è chiaro che fosse quello l’intento del buco nella parete nella stanza 1, ma che si masturbasse in quel preciso momento non sembra l’intenzione dell’originale visto che Norman dà un’occhiata abbastanza veloce e poi ha un ripensamento. Insomma non sarebbe stato necessario neanche nell’originale pure se avesse potuto farlo all’epoca. Peccato che non abbiamo visto Norman Bates/Vince Vaughn che va a cagare, anche quello avrà fatto nella sua vita di tutti i giorni. Invece il pubblico c’è corso dopo aver visto questo film.

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  2. Cassidy ha detto:

    Per usare un giovanilismo, questo film è una “trollata”. Alla sua uscita tutti ne hanno preso le distanze, perché la vittoria ha molti padre l’insuccesso invece è figlio unico, in questo caso fa Van Sant di cognome. Oggi rifanno i film identici, lo fa la Disney, lo fa GIEI GIEI, Van Sant qui ha detto: inutile provarci, l’originale è il film cinefilo per eccellenza, il preferito dei registi, quindi ha fatto questo colpo gobbo. Ma Hollywood è finzione, va bene fare rifacimenti identici ma non bisogna dichiararlo in maniera spudorata al pubblico, altrimenti poi mangerà la foglia 😉 Cheers

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Infatti se nelle interviste avesse detto che questa era la sua personale versione non avrebbe riscosso tutto l’odio che si è attirato, ha sbagliato a chiamare le cose con i loro nomi e a fare apertamente quello che di solito si finge di non fare.
      Purtroppo poi lo slasher nato da Psycho si è sviluppato così tanto che non puoi uscire con lo stesso film nel 1998, che sembra una storia parrocchiale, tanto è minuscola e innocua, con Scream ancora in giro.

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      • Giuseppe ha detto:

        E infatti la mia prima e, a tutt’oggi, ancora unica visione non mi ha provocato altro che una noia profonda (i sequel di Psycho, pur nei loro risultati diseguali, hanno molto più senso di questa riproposizione filologicamente quasi del tutto corretta)… Francamente, poi, anche se Gus l’avesse definito un suo personale remake io mi sarei annoiato comunque: di uno “Psycho” a colori fuori tempo massimo non ne sentivo proprio il bisogno 👎

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Il problema di questo film è che già solo l’idea fa impazzire, mentre tutti i remake di solito sono accolti bene da chi non conosce gli originali e male di chi li conosce, generando un entusiasmo che dura quanto il film: due minuti.
        Quello che Gus ha sbagliato è stato scegliere un’icona, un film non visto ma amato: se avesse preso un qualsiasi altro film meno noto di Hitchcock non ci sarebbero stati problemi, nessuno se lo sarebbe filato e avrebbe guadagnato quanto guadagna ogni remake.
        Lo sbaglio di Gus è stato l’obiettivo scelto, non la sua azione, che credo avrebbe funzionato meglio con qualsiasi altro film, visto che già Psycho era del tutto ignoto alla generazione a cui Gus si rivolgeva. Bastava prenderne uno meno famoso e i giovani l’avrebbero accolto come tutti i remake fatti negli anni Novanta.

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      • Giuseppe ha detto:

        Ah, sì, e in quel caso avrebbero pure parlato tutti di un nuovo cult-movie, ci scommetto…

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  3. Willy l'Orbo ha detto:

    Interessante articolo, non mi pare di averlo mai visto e al termine della lettura mi lascia una sensazione di incertezza circa la possibilità, nonostante tutto, di vederlo…
    Una cosa però è certa: i seguiti mi hanno fatto molto più gola quindi hanno un diritto di prelazione! 🙂

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      La questione è davvero spinosa, perché questo film è odiato da tutti è visto da tutti, al contrario dei seguiti che non li conosce nessuno ma sono odiati a prescindere, perché sono seguiti. Dunque il sillogismo è stringente:
      A) I seguiti si odiano perché sono seguiti
      B) Il remake si odia perché è un remake
      C) L’originale non lo vede nessuno perché non è mai trasmesso in Italia
      D) Nessuno conosce l’universo di Psycho ma tutti ne parlano 😀

      Scherzi a parte, non mi sento di consigliartelo perché purtroppo l’idea di Gus, molto intrigante nella sua geniale onestà intellettuale, purtroppo si scontra con la realtà dei fatti: è un film insoddisfacente perché oggi Psycho non funziona come nel 1960, quando era così innovativo da andare contro tutte le regole, quindi ripeterlo in mezzo a tutti i suoi figli ipertrofici fa fare solo una figura barbina alla storia originale.

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  4. Kukuviza ha detto:

    Non ci avevo pensato al paragone col teatro. Potrebbe anche avere un senso, se non fosse che è più difficile vedere una rappresentazione teatrale specifica, con degli attori specifici, magari del passato. Anche se e’ vero che tante rappresentazioni vengono/venivano filmate.
    E delle volte mi sono chiesta come sarebbe stato un film se al posto di un attore ce ne fosse stato un altro.
    Il film di Van Sant non l’ho visto e non sono nemmeno una fan dell’opera originale; riconosco certamente dei meriti, anche di rottura, ma non mi ha mai troppo appassionato,sinceramente. Forse è per quello che non ho guardato quello di Van Sant, per disinteresse. Magari guarderei la riproposizione esplicita di un film di cui mi è piaciuta di più la storia.
    Mi ricordo che per il blog avevo guardato due film, anni fa, che in effetti sembravano la copia uno dell’altro. Erano “il Pensionante” del ’44 e “La mano nell’ombra”. Erano proprio similissimi nelle scene, nei dialoghi, ma la recitazione degli attori era molto diversa ed era curioso vedere questa diversità di interpretazione. I personaggi sembravano diversi.
    Però appunto, ci deve essere molta differenza recitativa, altrimenti riproporre due film paro-paro non so quanto abbia senso. Nei film di Hitchcock e Van Sant c’è molta differenza da questo punto di vista? Differenza che non dipenda solo dal fattore tempo, intendo, poiché negli anni ’50 c’era certamente un altro modo di recitare. Intendo una differenza recitativa che dia proprio un’impressione diversa del personaggio.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      La fama di Psycho è molto “italiana”, cioè la si dà per onorificenza. E’ come quelli che definiscono Mina la più grande cantante italiana: conoscono solo una sua canzone di cinquant’anni prima, da dove nasce questa stima? Onorificenza: un “cavaliere” o un “commendatore” non si nega a nessuno 😀
      Quando nel 1960 è uscito Psycho è stato epocale perché Hitchcock da solo distruggeva ogni regola del cinema americano, ma ogni onorificenza finisce nel 1960: qualche anno dopo non aveva più senso, perché le regole erano cambiate ancora e quindi Psycho non distruggeva nulla.
      Anche “Venerdì 13” è stato un film epocale nell’anno in cui è uscito, l’anno dopo era solo un film come tanti. Solo che Cunningham non è nessuno, Hitchcock è Hitchcock, perciò ancora oggi Psycho è venerato, soprattutto da chi non l’ha mai visto 😀

      La questione che solleva Gus è molto intrigante: che differenza c’è tra l’Amleto cinematografico di Laurence Olivier, di Mel Gibson e di Kenneth Branagh? All’epoca nessuno vomitò critiche com’è stato fatto per Psycho, eppure in quei casi la trama è completamente identica, identiche le battute, identici i personaggi, identici sviluppo e finale. Cosa cambia? Scene e attori: solo su quelli si giudicano le centinaia di film tratti da Shakespeare, tutti con la stessa identica sceneggiatura.
      Semplicemente Gus Van Sant ha voluto fare un esperimento e ricreare anche i movimenti della macchina da presa, tutto qua: mi sento di dubitare profondamente che tutti quelli che odiano questo film lo facciano perché si sentono offesi dall’aver imitato lo stile di Hitchcock. Semplicemente Gus ha fatto un remake da un film che certi critici parrucconi hanno definito “intoccabile” (massima offesa per un’arte che invece è puro cambiamento) e si arrabbiano per questo.
      Psycho del 1998 non è da odiare, è semplicemente un esperimento venuto male, che ha dimostrato come oltre a scene e attori una messa in scena forse ha bisogno anche di uno stile proprio. Forse.
      Quando hanno rifatto “Ghostbusters” gli hanno dato uno stile personale: non mi sembra sia stato apprezzato dagli odiatori.

      Togliendo di mezzo gli odiatori, che tanto odiano a prescindere, rimane da capire la differenza tra rifacimento e allestimento: nel cinema ci sono più rifacimenti che stelle nel cielo, ma esiste un solo allestimento. Quello di Gus Van Sant. Anche se è andata male, comunque c’è una bella soddisfazione ad essere unici al mondo ^_^

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      • Kukuviza ha detto:

        sì, poi quando si citano i grandi nomi, per molti, tutto quello che fanno è intoccabile, capolavoro, irriproducibile… e via giù di peana esagerati. Ma dunque io capisco che il film di Van Sant in definitiva non è sto granché perché alla fine nemmeno quello di hitchcock era sto granché, solo che quello di hitch è venuto prima (rompendo delle regole) e poi perché se dici hitchcock non puoi criticare…
        Forse van sant doveva scegliere un altro film. Comunque recuperare film sconosciuti e rifarli sarebbe senza dubbio stato meglio. Se non altro per lui, avrebbe avuto meno critiche!
        A proposito, viggo mortenses non aveva recitato anche nel rifacimento di Delitto perfetto? è abbonato ai rifacimenti hitchcockiani? comunque neanche quello ho visto, solo qualche spezzone.

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Psycho è impossibile giudicarlo oggi, affonda troppo le radici in argomenti che erano scabrosi per il 1960 e acqua fresca per noi. Sicuramente la tecnica regista è una bomba, ma sempre considerata nel 1960, perché nel frattempo si è andati parecchio avanti.
        Ecco perché rifare identico un film datato non lo svecchia, come forse invece farebbe un remake, fermo restando che sono davvero pochi i remake che fanno davvero successo. Di solito sono quelli che la maggior parte degli spettatori non sa essere un remake 😛

        Wes Craven è proprio con un remake – anzi, nel suo caso un plagio – ha infranto le regole e sconvolto il cinema nel 1972: quando nel 2009 hanno fatto quello stupido remake del suo film nessuno si è lamentato che Wes Craven fosse intoccabile, semplicemente ci si è comportati come per tutti i remake, a chi piace e a chi no. Cunningham nel 1980, Craven ancora nel 1984, per non citare l’ignoto Bava del 1971, tutti registi che hanno spezzato le regole dell’epoca per creare cose nuove che poi hanno “figliato”, però poi è ovvio che a vederli oggi sono prodotti datati, molto lontani dall’intoccabilità.

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  5. Zio Portillo ha detto:

    Arrivo con un giorno di ritardo ma arrivo. Ricordo che lo vidi (non credo al cinema… Probabilmente in VHS in qualche collana presa in edicola) ma più che come PSYCHO (rifatto paro paro), era strombazzato come il nuovo film di Van Sant che dopo aver fatto il botto (“Will Hunting”) tutti aspettavano al varco.
    Il discorso che ha fatto il regista sul rivedere un’opera uguale ma con interpreti differenti, me lo fece paro paro una mia ex prof delle superiori. A naso o lesse l’intervista a Van Sant (e l’anno 1998 potrebbe pure coincidere visto che è il mio anno del diploma) oppure ci aveva visto lungo lei.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Credo che Gus cercasse di spiegare la sua operazione in ogni intervista, e mi fa piacere che qualcuno – come la tua prof – abbia colto l’innovatività di qualcosa che paradossalmente sembra non innovativa! 😛
      Che poi non sia venuta bene è un altro discorso, sono sicuro che se invece di Psycho avesse preso un qualsiasi altro film tutti l’avrebbero lodato, ma siccome ha toccato l’intoccabile tutti l’hanno crocefisso.

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