Sharon Stone racconta 17. Sliver

Immagine che un famoso cuoco pubblichi un libro di memorie, dove parla degli abiti che ha indossato, i luoghi che ha visitato, i suoi parenti, amici e conoscenti. Sbaglio nel dire che saremmo autorizzati a pretendere che parli anche un po’ di cucina, visto che è un fottuto cuoco? Sharon Stone non è di questa idea, perciò sebbene l’unico motivo per cui un editore abbia accettato di pubblicare un suo libro di memorie è solo, unicamente ed esclusivamente perché è un attrice un tempo famosa, nota solo, unicamente ed esclusivamente per la smutandata di Basic Instinct, l’attrice non si sente in dovere di parlare di cinema, quindi il suo libro è un chiacchiericcio di ogni argomento possibile e immaginabile tranne che di cinema. Due righe vengono spese per la smutandata e basta. A parte un paio di film, secondo questo libro Sharon Stone è diventata famosa per gli abiti che ha indossato, visto che è l’unico argomento di cui si parli.

Dunque siamo di nuovo in solitaria, perché la nostra eroina probabilmente trovava troppo doloroso raccontare che da più “calda” e famosa attrice di Hollywood si è ritrovata a recitare in stupidate di rara bruttezza: possibile non sia riuscita a trovare qualcosa di meglio? Anche un film studentesco muto e in bianco e nero sarebbe stato più apprezzabile. Invece no.

Prima però ringrazio il nostro amico Zio Portillo che ha “paparazzato” la Stone, in Italia per una sfilata di Dolce & Gabbana: lo dicevo che lei pensa solo ai vestiti…

Sharon Stone fotografata il 27 agosto 2021 dal nostro Zio Portillo


Il ritorno di Ira Levin

Nell’estate del 1990 i giornali impazziscono: Ira Levin è tornato a scrivere. Non so oggi quanto sia ancora noto il celebre romanziere newyorkese, ma c’è stata un’epoca d’oro in cui il suo nome decretava il successo sia in libreria che la cinema, semplicemente perché scriveva storie dannatamente buone.

Non è da tutti esordire con un romanzo di successo, Un bacio prima di morire (1953), che diventa subito il film Giovani senza domani (1956) e poi la splendida versione moderna Un bacio prima di morire (1991) con Matt Dillon e Sean Young. Dieci anni dopo sforna Nastro rosso a New York (1967) che Roman Polanski rende immortale con il film Rosemary’s Baby (1968).

Levin è una macchina sforna capolavori, e continua con La fabbrica delle mogli (1972) da cui il film omonimo (1975) e il dimenticabilissimo rifacimento moderno La donna perfetta (2004); poi tocca a I ragazzi venuti dal Brasile (1976), da cui il mitico film del 1978 con Gregory Peck e Laurence Olivier. Poi… e poi basta, Ira Levin si ferma. Forse il peso della responsabilità di sfornare capolavori epocali si fa pesante. Prova a limitarsi solo alle rappresentazioni teatrali… e sforna il capolavoro Deathtrap (1978), da cui il mitologico film Trappola mortale (1982) con Michael Caine e Christopher Reeve in stato di grazia.

Lo scrittore si ferma per dieci anni, poi però qualcosa lo spinge a tornare in azione, con tutti i giornali lì pronti a salutare il nuovo capolavoro… e pubblica Sliver nel marzo 1991, per Bantam.

Mi sento di dire che il “tocco” di Levin si è esaurito, così come quando nel 1997 presenta Son of Rosemary: ciao Ira, per tutti noi hai smesso di scrivere negli anni Settanta.

Per una congiunzione astrale proprio nel 1991 Robert Evans torna alla Paramount Pictures: era fra i produttori esecutivi di Rosemary’s Baby nel 1968, quindi si fida ciecamente di Levin. Forse era meglio se apriva gli occhi…


La costruzione del palazzo-scheggia

La Paramount comincia a muovere i suoi passi. Si pensa a Stephen Frears come regista ma poi si sceglie Phillip Noyce che era già sotto contratto e aveva appena finito Giochi di potere (1992); poi si passa a proporre il ruolo da protagonista a qualche attrice di grido: Michelle Pfeiffer, Julia Roberts, Meryl Streep e Sharon Stone. Tutte rifiutano. Il “Daily Variety” del 18 agosto 1992 invece ci informa che la Stone ci ha ripensato, perché a quanto pare una seconda bozza della sceneggiatura è stata scritta appositamente per lei, e così è salita a bordo del progetto. Ma “Entertainment Weekly” del 21 maggio 1993 è molto più maligno, perché racconta di come il produttore Evans abbia teso un “trappolone” all’attrice, dicendole all’inizio che il ruolo da protagonista era stato offerto a Geena Davis, che il giornale vorrebbe essere stata in competizione con la Stone per il ruolo di Basic Instinct. Sharon cade nella trappola e, invidiosa, accetta il ruolo in Sliver convinta di sottrarlo alla Davis. È vero che a pensar male ci si azzecca sempre, come diceva zio Giulio, ma sapendo che nessuna attrice voleva fare Basic Instinct è difficile credere a posteriori che Geena invece fosse in lizza. Comunque Sharon per questo ingaggio si becca 2,5 milioni di dollari e una percentuale sui profitti. (Che non ci saranno!)

Il ruolo protagonista viene offerto Tom Cruise, Jack Nicholson e Brad Pitt, ma regista, sceneggiatore e attrice si sono impuntati: volevano William Baldwin a tutti i costi. Va be’, a questa non ci crede proprio nessuno.

Ma quale Brad Pitt, il film si fa solo se c’è William Baldwin!

A proposito, ma chi è lo sceneggiatore? Chi ha osato mettere le mani su un testo di Ira Levin, il divin scrittore? Di nuovo lui, Joe Eszterhas, ancora sulla cresta dell’onda per Basic Instinct (1992) e riverginato da tutte le polemiche, dimenticate come ogni altra polemica sterile. (Che poi è un pleonasmo: ogni polemica è sterile!) Joe stavolta non solo si è fatto furbo, entrando anche come co-produttore del film così da assicurarsi voce in capitolo, ma è anche fomentato, ha capito la lezione di Paul Verhoeven e quindi ogni sua remora è crollata: vai con tette e culi, che più si tromba più si vende! Che fine ha fatto lo sceneggiatore che si turbava per una pallidissima scena di pseudo-lesbismo? Verhoeven l’ha “guarito”.

Il risultato del nuovo stile di Eszterhas ce lo racconta il “Los Angeles Times” del 6 maggio 1993: la censura americana ha imposto ben 110 tagli nel film, se la Paramount vuole limitare il divieto solo ai minori di 17 anni, e per correre ai ripari via, si va tutti a rigirare delle scene per farle più “morbide”, rispetto alle porcellonate originali. Addirittura le scene per la campagna pubblicitaria del film si sono dovute alleggerire, perché le emittenti televisive si rifiutavano di mandarle in onda per quanto erano spinte.

«E ora si tromba!» (cit.)

Con la pellicola ancora fresca d’impressione, il 19 maggio 1993 Sliver viene proiettato e passa come una “scheggia” fra i botteghini, deludendo su tutta la linea.

Il 30 settembre 1993 riceve il visto della censura italiana con il divieto ai minori di 14 anni. Uscito in sala ad ottobre di quell’anno, a sorpresa rimane parecchi mesi, almeno fino a giugno del 1994, dopo di che esce la VHS CIC Video che si posiziona subito ai primi posti nelle classifiche delle videoteche: su “La Stampa” del 1° luglio 1994 Sliver è al secondo posto fra i più noleggiati di quella settimana, battendo Il fuggitivo, Cliffhanger e altri grandi film.


La Scheggiona

La redattrice Carly Norris (Sharon Stone) lavorando nel campo dell’editoria è ovviamente impaccata di soldi – sono ancora anni in cui si crede a queste cose – e si trasferisce a vivere in un esclusivo grattacielo di New York, un pirellone di rara bruttezza ma che fa tanto “in”. Proprio come se fosse una novella Rosemary nella sua nuova casa di New York, Carly incontra gente strana e le accadono cose strane.

Il pirellone dell’orrore!

Leggendo il romanzo Slevin si arriva a due tristi rivelazioni al prezzo di una: Ira Levin ha palesemente sbagliato a tornare a scrivere, e l’errore è stato ripetuto da Joe Eszterhas. Il romanziere si era fermato giusto in tempo, aveva lasciato il tavolo da gioco della narrativa da vincente, e cosa fa dopo un decennio di silenzio in libreria? Torna a mostrare a tutti che è completamente rincoglionito, infatti dopo altri anni se ne esce con l’immancabile seguito del suo primo successo, così da sputtanarsi completamente a fine carriera.

Lo segue a ruota Joe Eszterhas, che probabilmente a forza di mentire nelle interviste si è auto-convinto di essere lui l’autore di Basic Instinct, cioè di quelle trovate che hanno donato il successo al film, non avendo capito che è solo grazie a Paul Verhoeven che una fotocopia di altri film migliori ha potuto sbancare i botteghini. Joe invece è tutto arzillo e cala sul tavolo il suo grande lavoro di sceneggiatura: ha ricopiato parola per parola, scena per scena il romanzo di Levin, riassumendolo e riducendo i personaggi. Cioè il lavoro che potrebbe fare chiunque, non c’era bisogno del più pagato sceneggiatore di Hollywood del periodo. Ma ovviamente Joe ha un asso nella manica.

Lo vuoi vedere l’asso nella manica?

Mi immagino come Eszterhas abbia presentato la sua sceneggiatura al produttore Robert Evans:

JOE: Il protagonista indaga su robe scottanti e ci sono due donne fra le sospettate, una delle quali è una ricca scrittrice di successo dal carattere forte. Aggiungere sesso a caso.

ROBERT: Joe, ma questa è la trama di Basic Instinct, ti sei incantato?

JOE: Ah… Va be’, nessun problema, invertiamo i ruoli. C’è una protagonista che indaga su robe scottanti e ci sono due uomini fra i sospettati, uno dei quali è un ricco scrittore di successo dal carattere forte. Aggiungere sesso a caso.

ROBERT: Oh, ora sì che ci siamo.

Qualcuno alla Paramount deve aver pensato che tutte quelle polemiche per il sesso al cinema funzionassero sempre, così in pratica sono andati là dove nessun Paul Verhoeven è mai stato prima: Basic Instinct è un film di chiesa, in confronto a Sliver, che è il “Porky’s” dei thriller. Mai la Stone si è smutandata così tante volte come in questo film, e tutto sempre e rigorosamente senza alcun motivo, solo per cercare di replicare la formula “sesso e morte” che aveva così ben funzionato con Verhoeven alla guida. Ma qui non c’è Verhoeven, e soprattutto la formula è già bella che arrivata al capolinea.

La vispa Sharon in uno dei momenti del film in cui è vestita

«Allora è vero che ti sei fatta scopare a morte», «Mi sa che tu passi troppo tempo con il tuo vibratore». Si sa che tutte le colleghe d’ufficio parlano così, fra di loro! Sliver è come quei filmetti dozzinali che cercano di parlare di sesso risultando solo volgari e di cattivo gusto. Tipo Quasi incinta (1992): si buttano lì dei volti noti e la trama è solo una scusa per scene pruriginose a raffica. Diciamo che Sliver faceva in serie A quello che era già inflazionato fare in serie B. «Hai qualche parte del corpo dolorante?» Ah, quanto romanticismo!

Leggendo il romanzo è chiaro che Eszterhas ha ricopiato la prima parte, para para, poi quando il rincoglionimento totale di Levin si è fatto intollerabile il nostro Joe ha avuto l’idea geniale: ricopiare identico, ma proprio uguale, Basic Instinct adottando il consiglio all’epoca dato da alcune associazioni femministe: rendere donna il protagonista così da privarlo di quel maschilismo oppressivo e sessualmente aggressivo che ormai non andava più di moda. Così lo stesso Joe Eszterhas – non un omonimo, proprio lui! – che si era così schifato dalle scene di sesso aggiunte da Verhoeven tanto da ritirarsi subito dalla produzione di Basic Instinct, ora fa ammucchiare Stone e Baldwin come l’olandese non avrebbe mai fatto.

Non guardarmi con quegli occhi da Baldwin porcello…

Dopo dieci anni passati a fare la monaca e a vestirsi da profuga somala, la Stone ora diventa l’Edwgice Fenech degli anni Novanta, vestita (in quelle poche scene in cui è vestita) con abiti di classe e intenta a fare la faccia da porca con il suo toy boy: la vicenda infatti si basa su una torbida relazione ammucchiona tra la protagonista e un aitante giovanotto che potrebbe essere suo figlio, con complesso di Edipo a palate, ma fra la Stone e Baldwin ci sono solo cinque anni di differenza, il che rende ancora più stupida la trama.

Prima edizione italiana
Interno giallo 1991

Il problema principale è che all’inizio dei Novanta Ira Levin ha fatto una scoperta che l’ha spaventato più delle messe nere, delle donne artificiali e degli Hitler clonati che aveva trattato in precedenza: ha scoperto l’uso eccessivo del video, con le telecamere che ci spiano, l’ossessione per i videogiochi e la cultura per quelli che di solito sono chiamati con il termine giapponese hikikomori, gli isolati che vivono esclusivamente davanti a un monitor. Tutto vero, con la differenza che i giovani dell’epoca stanno accogliendo con favore questa rivoluzione e la stanno cavalcando, Levin invece – ultrasessantente all’epoca – l’ha vista come una roba peggio del Diavolo di Rosemary e ha scritto un thriller che definire fiacco con punte di stupidità è fargli un complimento.

Il suo Pete Henderson, proprietario del grattacielo che si erge come una “scheggia” (sliver) nel centro di New York, è un giovane figlio di un’attrice di soap opera (quindi è un figlio della TV) che programma videogiochi ed è pieno di miliardi. Levin capisce che l’ha sparata grossa, con un personaggio che vive da nababbo, così butta lì che ha ereditato un qualcosa. Fine delle spiegazioni. Dunque la madre lavorava ogni giorno in soap opera televisive malgrado fosse ricca? Non si sa, come dicevo Levin ha decisamente perso il suo tocco. Facciamo dunque che Pete Henderson è super-mega-ricco tanto da aver comprato un intero grattacielo, eppure lavora nel mondo dei videogiochi, perché si deve capire che è un perverso del video: non a caso ha installato telecamere ovunque e dalla sua stanzetta spia la gente. Ohhh che thriller, uno che spia la gente, avete mai sentito qualcosa che metta più terrore e raccapriccio?

Martin Landau credo sia stato inquadrato a sua insaputa, visto che sparisce subito

Il fu Levin butta lì una secchiata di personaggi scritti malissimo per farli morire uno alla volta, in un grattacielo al numero 1300 della sua via con il proprietario che vive al 13° piano: capito? Occhiolino occhiolino, il numero 13, capito la sottigliezza del grande romanziere? Preferendo la versione video della protagonista alla protagonista stessa – che gli ricorda tanto la mamma – ecco che cerca di ucciderla. Per fortuna arriva il gatto di casa a cavargli gli occhi. Mio Dio, Levin, come sei caduto in basso…

Un momento, ma non è mica così che finisce il film!


E alla fine arriva un finale a caso

Il 3 maggio 1993 il quotidiano “La Stampa” riporta:

«La storia […] si concludeva con lei che resta con lui anche dopo aver scoperto che è un assassino. Gli spettatori delle proiezioni di prova non hanno gradito il finale. Il produttore Bob Evans, oltre a praticare 30 fra cambiamenti e tagli per alleggerire la vicenda, ha fatto girare altri due finali del tutto diversi che vengono ora sottoposti a test col pubblico.»

Come detto, Eszterhas prende il romanzo e dopo averne ricopiato la metà si limita a trasformarlo in Basic Instinct con protagonista femminile. Invece di tanti condòmini ne conosciamo solo due: il proprietario ossessionato dal video Zeke Hawkins (William Baldwin), bello, delicato e scopedelico, e il ricco romanziere dal carattere forte Jack Landsford (Tom Berenger), cioè la versione maschile di Catherine Tramell del film di Verhoeven. (Anche nel romanzo c’è un personaggio vagamente simile ma esce subito di scena.)

Salve, sono uno scrittore e quindi pieno di soldi, e quindi stronzo senza motivo

Seguendo le orme dell’olandese, Joe lascia lo spettatore indeciso fino alla fine su chi fra i due uomini sia colpevole dell’omicidio avvenuto nel condominio, e sebbene sullo scrittore cadano diversi sospetti è chiaro che sono stati costruiti ad arte, così come è chiaro che lo scopedelico abbia parecchio da nascondere. Infatti nel romanzo è lui il colpevole, ma a questo punto il film riesce ad essere peggiore del romanzo, ed era davvero difficile.

Una volta che la protagonista scopre come Baldwin abbia una stanza da cui spia tutti, cosa fa? In una versione alternativa si unisce a lui – e come abbiamo visto non è piaciuta al pubblico di prova – nella versione definitiva no, e per ricollegarsi col pessimo romanzo considera da pervertiti stare tutto il giorno davanti a un monitor, quindi spara la “frase maschia”: «E ora vivi!» Come a dire che chi sta troppo tempo a guardare un video non sta vivendo, in un inutile moralismo spicciolo perfettamente in linea con Ira Levin. Ma alla fine, chi è il colpevole dell’omicidio del film?

Chiunque sia l’assassino, noi spettatori siamo le vittime

SPOILER Dopo che Berenger esce di scena, la situazione sembra risolta ma è chiaro che Baldwin abbia la faccia di chi nasconda qualcosa, così d’un tratto diventa minaccioso e in un tesissimo confronto finale fra i due protagonisti… esce fuori una cassetta che mostra Berenger compiere l’omicidio. Ma che cazzo c’entra? L’intero film crolla come un sacco di patate: è talmente chiaro che è una scena ridicola girata al volo dopo le prime proiezioni di prova che fa male agli occhi. FINE SPOILER


Conclusione

Il film è la perfetta versione cinematografica del romanzo, perché è stupido e moralista esattamente come il tristissimo lavoro di Ira Levin, che se si fosse dedicato al collezionismo di francobolli invece di tornare a scrivere avrebbe fatto decisamente meglio. Però il film è anche una compilation di chiappe che sembra una commedia anni Ottanta: la monaca Stone, che in Basic Instinct concede solo vaghe inquadrature veloci di sé, si smutanda allegramente ad ogni piè sospinto e si lancia in un “Porky’s Instinct” totalmente privo di gusto, fatto apposta perché si era convinti che bastasse qualche scena spinta in video per vendere un film: se così fosse, i tanti cloni di Basic Instinct avrebbero avuto molto più successo, invece erano animali da videoteca dei bassifondi.

Di lì a qualche anno l’attrice dichiarerà che ha chiuso con le scene di nudo, ma avrebbe dovuto specificare che non ha mai “aperto” a questo genere: solo in Sliver la Stone si spoglia sul serio, ed è stato un disastro: l’eroina sexy che sbaglia quando è ancora più sexy. È chiaro serva un decisivo cambio di carriera.

Quindi del film non c’è nulla da salvare? No, perché gli UB40 per l’occasione hanno sfornato una loro versione di un classico di Elvis Presley e il videoclip all’epoca mi ha ossessionato: potete vederlo qua sotto, e vi assicuro che è mille volte meglio del film!

L.

amazon– Ultimi post su Sharon Stone:

Pubblicità

Informazioni su Lucius Etruscus

Saggista, blogger, scrittore e lettore: cos'altro volete sapere di più? Mi trovate nei principali social forum (tranne facebook) e, se non vi basta, scrivetemi a lucius.etruscus@gmail.com
Questa voce è stata pubblicata in Thriller e contrassegnata con , , , , . Contrassegna il permalink.

13 risposte a Sharon Stone racconta 17. Sliver

  1. Cassidy ha detto:

    “Sliver” mi è sempre sembrato, oltre che un film che ha visto Verhoeven e non l’ha capito, una di quelle storie scritte e pensate per sconvolgere il pubblico, risultando invece scema e basta, sanguinoso ritorno in scena per Ira Levin che avrebbe fatto meglio a godersi una felice pensione anticipata. Pensa se avessero scelto Brad Pitt, sarebbe diventato il film feticcio da riscoprire, ancora oggi tanto pubblico guarda “Thelma & Louise” solo per gli addominali di Pitt, il film avrebbe avuto tutto un altro destino, almeno nel mercato dell’home video, invece se a questo casino aggiungi il fattore Baldwin, il disastro è completo 😉 Cheers

    Piace a 1 persona

    • Lucius Etruscus ha detto:

      Tra Sharon che cerca di fare la sècsi oltraggiosa e Baldwin che fa il mollicone è tutto un ridere 😀
      “Sliver” è la prova provata che non erano le trame di Paul Verhoeven a funzionare, ma lui stesso: se prendi la stessa identica trama e la fai senza di lui, come in questo caso, sono solo mani in faccia.
      Malgrado abbia la stessa età di Baldwin (incredibile!) Brad Pitt all’epoca sembrava un ragazzino quindi sarebbe stato perfetto per il ruolo, visto che il personaggio si innamora delle donne che gli ricordano sua madre. Baldwin invece sembra coetaneo della Stone quindi la trama non ha senso, invece con Pitt avrebbe funzionato meglio, e di sicuro ora sarebbe un film da riscoprire per le scene bollenti fra i due.

      "Mi piace"

  2. Lorenzo ha detto:

    A me non era dispiaciuto, in chiave thrillerino Z of course 😀
    PS: Tom Berenger, me ne rendo conto solo ora, è il sosia di Walter Novellino, allenatore di calcio. No, nemmeno io sono appassionato di sport, infatti ci ho messo un po’ a ricordarmi il nome. 😛

    Piace a 1 persona

  3. Pingback: Sliver (1993) | IPMP – Italian Pulp Movie Posters

  4. Giuseppe ha detto:

    Che gli UB40 in un semplice video abbiano fatto un lavoro mille volte migliore dell’intero “Sliver” non ci piove… infatti di “(I Can’t Help) Falling In Love With You” ho un ottimo ricordo, del film invece ho a malapena il ricordo 😉

    Piace a 1 persona

  5. Pingback: [Pseudobiblia] Sliver (1993) | nonquelmarlowe

  6. Pingback: Sharon Stone racconta 18. Caduta libera | Il Zinefilo

  7. Pingback: Sharon Stone racconta 19. Stone e Raimi pronti a morire | Il Zinefilo

  8. Pingback: Dead Calm [1962-2022] 6 – Ore 10, calma piatta | Il Zinefilo

Rispondi

Inserisci i tuoi dati qui sotto o clicca su un'icona per effettuare l'accesso:

Logo di WordPress.com

Stai commentando usando il tuo account WordPress.com. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto Twitter

Stai commentando usando il tuo account Twitter. Chiudi sessione /  Modifica )

Foto di Facebook

Stai commentando usando il tuo account Facebook. Chiudi sessione /  Modifica )

Connessione a %s...

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.