Nel 1972 la narrativa d’intrattenimento dà voce alla rabbia popolare e testimonia il crollo rovinoso delle istituzioni: polizia e politica sono colluse con quei criminali che fingono di combattere, quindi la giustizia vera può arrivare solo… da un Punitore.
«Un giorno l’uomo della strada, il signor Rossi, sarà stufo di questa merda.»
Grazie al consiglio di Andrea del blog Malastrana VHS è il momento di recuperare un altro “giustiziere italiano”, anche se in realtà come vedremo questa deriva nostrana del genere va fuori dai binari originali: parliamo sempre di vendette personali, ben poco di giustizia in generale.
Presentato alla commissione di censura il 12 aprile 1975, L’uomo della strada fa giustizia ottiene il “parere favorevole” il 23 aprile successivo, senza problemi. È il 1975, ormai la violenza al cinema è acqua fresca.
Poi succede qualcosa di incredibile. Come abbiamo visto più volte qui nel blog, all’inizio degli anni Novanta l’esplosione delle VHS economiche ha spinto tutte le case a farsi cancellare i divieti così da sfruttare quel nuovo mondo, invece questo film fa al contrario: l’8 giugno 1992 si becca un divieto ai minori di 18 anni. Addirittura? E sì che il censore, il sottosegretario Carmelo Rocca, dai necrologi sembra essere stato molto vicino al mondo del cinema italiano: perché ha spezzato le gambe a questo film, che infatti risulta inedito in VHS?
Solamente nel giugno 2009 – probabilmente in vista del DVD 01 Distribution 2010 – il divieto viene cancellato.
Appare nei cinema della Capitale dal 5 giugno 1975 ma in pratica sembra essere distribuito di nascosto, con molta discrezione. Finché dura lo trovate su RaiPlay.
«Delinquenti, assassini:
bisognerebbe ammazzarli tutti quanti.»
Scatta la viuleeeeenz’
La violenza cittadina contemporanea ha conquistato il pubblico, non si discute, per cui gli altri generi cinematografici in cui l’Italia andava forte devono essere pian piano accantonati. Compreso il thrilling che tanto piaceva all’estero e tanto verrà riesumato in tempi recenti. Se Mario Bava, dopo aver inventato il genere slasher e il genere splatter con dieci anni d’anticipo sugli americani, grazie al film Reazione a catena (1971), poi ha fatto in tempo a fare il suo “film di violenza criminale”, Cani arrabbiati (1974), il collega Umberto Lenzi è costretto di nuovo a un cambio di regime.
Se con l’inizio dei Settanta aveva dovuto dire addio ai generi tipici dei ’60, come peplum (L’ultimo gladiatore, 1964), avventura (I pirati della Malesia, 1964) western (Una pistola per cento bare, 1968), spionaggio (A 008 operazione sterminio, 1965) e guerra (La legione dei dannati, 1969), in favore di più sottili storie nere (Sette orchidee macchiate di rosso, 1972), con l’arrivo della moda della violenza cittadina non ha potuto fare altro che abbracciare il nuovo genere, firmando Milano rovente (1973).
Dopo una lunga gavetta in piccoli ruoli da cattivo, ad Henry Silva dev’essere piaciuto fare il rude protagonista per il nostro Emilio Miraglia, in occasione di Quella carogna dell’ispettore Sterling (1968), dove ovviamente la “carogna” protagonista è Silva. Da quel momento inizia a collaborare spesso con gli italiani e al momento di creare un genere “violento” era la scelta perfetta: con quella faccia, Silva è un insostituibile animale da cinema a tinte forti.
— Se ti ammazzassero tua figlia, tu che faresti?
— Un massacro, dotto’, un massacro.
L’elemento scatenante della vicenda è la povera figlioletta del protagonista (Susanna Melandri), esattamente come nel precedente titolo il motore della vicenda era l’omicidio del figlioletto. Ritrovatasi in mezzo ad una rapina in gioielleria, la bambina riceve un colpo immotivato: per nessuna ragiona plausibile il rapinatore, una volta fuggito con il malloppo, rientra in negozio espressamente per sparare alla ragazzina. Diciamo che è una roba un po’ posticcia sia per scandalizzare la platea sia per giustificare la furia dell’eroe.
A vedere la bambina colpita al petto da un colpo di pistola viene naturale pensare che Lenzi sicuramente si è visto con attenzione Distretto 13: le brigate della morte di John Carpenter… aspetta… ma il film del Maestro è del 1976, un anno dopo questo di Lenzi! Vuoi vedere che Carpenter era un fan del cinema di genere italiano?
Il terribile evento manda all’aria la bella vita borghese dell’architetto Davide Vannucchi (Henry Silva), e l’essere stato un padre assente aggiunge il senso di colpa al dolore per il lutto.
Ricalcando tanto il giustiziere americano che quello italiano, Vannucchi ha uno scambio di opinioni acceso con il commissario Bertone (Raymond Pellegrin) e l’argomento è sempre quello: la totale incapacità delle istituzioni di garantire al cittadino sia la sicurezza che la giustizia.
— Anch’io ho una figlia.
— Già, ma la mia è morta.
I due, come sempre, sfoggiano argomentazioni perfettamente condivisibili, quindi la situazione è di stallo.
Inizia per Vannucchi una discesa all’inferno, ma invece di trasformarsi in giustiziere della notte segue l’esempio del suo predecessore Franco Nero: le sue “indagini private” sono votate unicamente alla vendetta personale. Vannucchi si riempie la bocca di giustizia, Stato, Governo e di cittadino qualunque, ma il suo discorso in realtà è tutt’altro che generale: non cerca giustizia per tutti, bensì vendetta solo per lui.
Alla ricetta di Charles Bronson in versione Franco Nero si aggiunge un ingrediente. Non so se gli autori abbiano voluto inserirlo perché era un vero fenomeno dell’epoca o una semplice “aggiunta narrativa”, ma il disperato Vannucchi viene avvicinato da un losco figuro: l’avvocato Ludovico Mieli (Claudio Gora), a capo di un gruppo di cittadini colpiti dalla criminalità che non credono più nella giustizia.
Tutti i personaggi del film disprezzano e sputano su questo gruppo di “vigilanti”, quelli che invece erano personaggi positivi in Foxy Brown (in totale assenza di istituzione, i neri devono proteggersi da soli), e anzi viene suggerito che questi “giustizieri” abbiano fedine penali ben poco pulite, come se questo annullasse la malagiustizia che denunciano: già all’epoca esisteva la terribile character assassination che piace tanto ai politici odierni. Non potendo smentire la verità, si smerda chi la dice.
Il mio primo contatto narrativo con organizzazioni simili è stato all’epoca di Condannato a morte per mancanza di indizi (1983) di Peter Hyams, in cui al frustrato giudice Michael Douglas chiedevano di entrare in un’organizzazione che faceva “giustizia vera” (leggasi: “sommaria”), ma a quanto pare di nuovo gli italiani sono arrivati prima di dieci anni.
Ignoro se all’epoca esistessero davvero queste organizzazioni, anche perché ovviamente non si pubblicizzavano, ma che fossero “cattive” Lenzi ce lo illustra con una scena di pochi secondi: l’ufficio del bieco avvocato Mieli… è in una palestra di karate! Cosa c’è di più fascista, secondo gli intellettuali dell’epoca?
Come abbiamo visto, persino gli innocui film cinesi di kung fu – scambiato per karate – venivano tacciati di aderenze con le organizzazioni fasciste italiane che controllavano le palestre del territorio, secondo la delirante analisi di cui ho già parlato, quindi è chiaro che qui la “giustizia fai da te” viene accostata al fascismo. Dispiace che oggi, cinquant’anni dopo, sia ancora tutto drammaticamente identico, giusto per notare quanto sia stata pari a zero l’evoluzione culturale italiana.
Gli sceneggiatori Umberto Lenzi e Dardano Sacchetti non hanno la benché minima voglia di seguire l’esempio di Bronson o di Franco Nero, non vogliono ritrarre un “giustiziere della notte” né un “punitore”, questo film infatti non appartiene ad alcuna delle categorie che stiamo vedendo in questo ciclo: è un film a tesi. E la tesi è che chi si sostituisce alle istituzioni è un fascista di merda. E con la stessa sottilissima delicatezza viene curata la sceneggiatura.
Henry Silva non è certo un attore di fino, conosce solo due facce (cattivo e più cattivo), ma per fortuna il suo personaggio è scritto col pennello Cinghiale. Nessuna evoluzione nella “caduta del buono”, nessun tentennamento emotivo in un borghese pacifico che d’un tratto ha a che fare con la malavita locale e trova cadaveri sventrati che non gli fanno né caldo né freddo, anzi comincia a produrne lui stesso; nessun senso di giustizia, visto che a parte le vuote chiacchiere iniziali Vannucchi pensa solo ai cacchi suoi ed è disposto a fare una strage per una vendetta personale. Compiuta la quale… be’, a posto così, pace e amici come prima. E gli altri cittadini colpiti da ingiustizia impunita? Che si arrangino.
Da questo punto di vista L’uomo della strada fa giustizia appare legato in ben altro modo al cinema della violenza nato nel 1972: è molto forte la tentazione di vederlo come risposta a L’ultimo treno della notte (marzo 1975) di Aldo Lado… cioè il plagio italiano de L’ultima casa a sinistra (1972) di Wes Craven, a sua volta plagio de La fontana della Vergine (1960) di Bergman. Plagiare un plagio annulla la colpa?
L’uso del fucile nel confronto finale con i cattivi sembra proprio un modo con cui Lenzi finga di parlare di giustizia ma in realtà racconti la furia di un padre per la morte della figlia, a cui risponde infrangendo ogni criterio sociale per farsi vendetta con le proprie mani.
La critica alle istituzioni è fortissima e gridata a pieni polmoni da ogni dialogo del film di Lenzi, ma poi c’è anche la critica alla soverchiante criminalità che rende le strade invivibili e “bisognerebbe ammazzarli tutti”, ma chi lo dice è un fascista di merda. E quindi? E quindi niente: riportate tutte le tesi, il temino scolastico è finito.
Almeno Castellari per Il cittadino si ribella ha costruito un gioiellino di film, con scene strazianti, personaggi “umani” (non semplici elementi da tema di scuola) e un prodotto finale assolutamente godibile anche a cinquant’anni di distanza. Lenzi qui o non aveva voglia o aveva attriti personali con il tema, così ha girato un film scarno, ridotto all’osso, che non concede nulla né all’aspetto cinematografico né a quello della tesi “giustiziere sì o no”.
Dispiace, perché da Lenzi mi aspettavo molto di più, questo invece sembra un film frettoloso, che non concede nulla alla messa in scena e si basa su una sceneggiatura fatta di mezze frasi sparate qua e là, con Silva che non muove un muscolo per l’intera vicenda. Per assurdo nello stesso ruolo recita meglio Bronson… e ho detto tutto!!!
L.
- [Death Wish] L’angelo con la pistola (1992) Nikitalia!
- [Death Wish] La prossima vittima (1996)
- [Death Wish] Il giustiziere della notte 5 (1994)
- [Death Wish] Dirty Weekend (1993)
- [Death Wish] Out for Blood (1992)
- [Death Wish] The Owl (1991) Il grido del gufo
- [Death Wish] Altre punitrici anni Ottanta
- [Death Wish] Outlaw Force (1987)
- [Death Wish] Pazze come api punitrici (1981-85)
- [Death Wish] Vendicatrici di nome Rose (1985-88)
Gli squadristi esperti di Karate sembrano quelli che di norma finiscono menati in un film di Bud Spencer e Terence Hill, in compenso ghiotto parallelismo con Carpenter, lui ha detto che dopo essere diventato padre, una scena così non sarebbe più riuscito a girarla, chissà se Lenzi resta dello stesso parere. Cheers
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Non era specificato, ma la mia idea è che la censura italiana abbia ucciso questo film – vietandolo ai minori di 18 anni e quindi spezzandogli le gambe nella grande esplosione dell’home video – proprio per colpa di una scena così forte.
Ricordo male o nei primi montaggi di “Distretto 13” avevano tagliato la scena della ragazzina, riattaccata solo in edizioni più recenti? Temo che sia stata una scelta troppo forte per la censura.
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ma non fai più i cicli sugli slasher? avevi promesso atchet 💔
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E’ pieno di siti e blog che parlano di slasher, dubito si senta la mancanza del Zinefilo…
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a me piaceva leggerti^^
ti leggevo sulle grandi saghe (l’ultima che ricordo era il demone vendicatore tramite rituale) in treno mentre andavo in uni 🙂
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Be’, sei nel bel mezzo di una saga sicuramente meno nota degli slasher: quella violenza giustizialista nata al cinema nell’estate del 1972, di cui festeggiamo il cinquantenario. Di Hatchet puoi leggere ovunque, di Lenzi che anticipa John Carpenter solo sul Zinefilo 😛
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Letto il post, capisco le motivazioni che ti inducono a valutare il film come un po’ deludente ma…mi presenti il “mio” Lenzi, con un film visibile sia su youtube che su RaiPlay…come faccio a resistere??? Mi devo fare giustizia, guardandolo! 🙂
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“Lo spettatore del web fa giustizia!” ^_^
Qui non mi sembra un Lenzi in piena forma, ma sono curioso di sapere che ne pensa un appassionato lenziano come te 😉
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Ennesima declinazione sulla vendetta del cittadino normale, con annessa scena fortissima che giustifica la sua deriva morale. Visto che c’è la possibilità, vedo se riesco a recuperarlo su RaiPlay prima che si accorgano di averlo messo e lo rinchiudano in una cassaforte per i prossimi 20a nni.
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Per ora non è fra i film “a scadenza”, è da parecchio che sta lì, ma come dici bene appena se ne accorgono lo cancellano 😀
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Che colpo sarebbe se un giorno Zio John ammettesse di essersi ispirato a Lenzi 😉
Quanto a Umberto nostro forse sì, si poteva fare qualcosina di meglio anche di livello di denuncia: è pur vero che critichi le istituzioni, coerentemente al contesto dell’epoca, ma contemporaneamente critichi chi si sostituisce alle istituzioni bollandolo come fascista di merda… è un “gioco” sterile e inconcludente, un continuo gettare il sasso e nascondere la mano senza far mai capire dove vuoi arrivare,
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La “morale” è poi uguale a “Il cittadino si ribella”, cioè che le istituzioni sono carenti ma sono tutto ciò che abbiamo, però in quel caso c’era anche un’ottima regia, ottimi personaggi e un’emozione che ti trascina fino alla fine. Qui con Lenzi purtroppo si ha la sensazione di un tema scolastico.
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