Nel 1972 la narrativa d’intrattenimento dà voce alla rabbia popolare e testimonia il crollo rovinoso delle istituzioni: polizia e politica sono colluse con quei criminali che fingono di combattere, quindi la giustizia vera può arrivare solo… da un Punitore.
Come abbiamo visto la settimana scorsa, l’entrata in scena delle violenze del Vietnam come evento traumatico arricchisce la “narrativa dei punitori”, che da semplici reduci diventano mine vaganti, affetti da quel PTSD (post-traumatic stress disorder) che proprio in quegli anni veniva citato a bocca stretta: solo nel 1980 la terza edizione del Manual of Mental Disorders riconosce ufficialmente lo stress post-traumatico, ma come sempre l’immagine arriva prima del reale: la narrativa arriva sempre prima della realtà.
Dalla Z alla B di lusso
Grazie a John Gallagher e alla sua raccolta di interviste Film directors on directing (1989) conosciamo James Glickenhaus direttamente dalla sua stessa voce.
Amante sin da giovane età del cinema di serie B – ve li ricordate i tempi della B? Oggi è tutto serie Z… – nel 1977 Glickenhaus è un giovane esordiente di 27 anni che grazie a produttori e familiari riesce a racimolare 65 mila dollari per girare il suo primo grande film: The Astrologer. «Fondamentalmente era un film inguardabile»: e a dirlo è il suo stesso autore! Però dalla sua il regista ha la testardaggine del giovane ardimentoso, così una volta capito che nessun distributore si sarebbe interessato a lui si è messo la pizza del film sotto il braccio e ha cominciato a girarsi tutto il sud degli Stati Uniti, piazzandola a tutti i drive in e postriboli vari dove si proiettavano filmetti senza pretese per un pubblico di bocca buona. Cioè il corrispettivo di quello che saranno le videoteche anni dopo.
Mi piace sottolineare come tutto questo avvenga proprio mentre Chuck Norris sta facendo lo stesso con i suoi primi film, come Commando Black Tigers (1978), in cui nessun distributore crede e lui deve girare di città in città a pubblicizzare, riscuotendo così un successo che ha fatto cambiare idea agli “esperti”. Quello che anche Glickenhaus lascia intendere, è che i grandi distributori ragionano su grafici e tabelle, mentre i piccoli cineasti hanno la possibilità di tastare direttamente il polso del pubblico. «Ho parlato con tantissimi gestori di cinema – racconta Glickenhaus nella citata intervista – e così ho pensato di scrivere un copione molto più commerciale, che poi divenne The Exterminator». Da questo dobbiamo desumere che gli spettatori del ’79 adorassero vedere punitori armati fino ai denti che sventagliano di piombo i criminali. In fondo, piace ancora oggi.
«Sono andato al Festival di Cannes a presentare The Astrologer e ho avuto la spiacevole esperienza di non venderne neanche una copia, giusto una in Canada. Parlando coi distributori stranieri e guardando i loro film ho avuto un’idea di cosa vendesse sul mercato estero. Qui servivano film che non avessero bisogno di molta traduzione, alla gente non piace leggere sottotitoli o ascoltare voci doppiate, e le sfumature e i giochi di parole che piacciono al pubblico americano non vanno bene: il mercato estero vuole azione visiva [visual action].»
La soluzione ideata da Glickenhaus la rivela lui stesso: «Il copione originale di The Exterminator in pratica non aveva dialoghi. Il film finito ha qualcosa come 22 righe di dialogo in totale, più qualche improvvisazione e cose del genere». Glickenhaus ha rilanciato il film muto! E se fosse stato ato, avrebbe rilanciato il filmato! (Scusa Elio, non ho resistito!)
Creazione di uno sterminatore
Quel 1979 il giovane regista è lanciatissimo, ha in mano un budget di 850 mila dollari per andare a girare per le strade di New York, ma alla fine della corsa di dollari ne ha spesi due milioni, grazie a continue iniezioni da parte di produttori che evidentemente avevano capito dove tirasse il vento. Solo la scena del Vietnam, girata a film finito, è costata 400 mila dollari. «Più guardavamo il girato più volevamo migliorarlo, e più spendevamo soldi su soldi». Riescono pure ad avere il compositore Joseph Renzetti, Premio Oscar per The Buddy Holly Story (1979), e vai a comporre pure canzoni inedite: insomma, Glickenhaus da piccolo cineasta di filmetti per campagnoli di bocca buona s’è trasformato in spendaccione hollywoodiano.
Per lo stesso principio vuole degli attori che siano almeno vivi, che magari respirino invece di essere dei cartonati come nel film precedente, così riesce ad ingaggiare professionisti come Samantha Eggar e Christopher George, con cui afferma di essersi molto divertito sul set, ma adora raccontare del magnetico Steve James, il compianto caratterista nero che qualche anno dopo avrebbe potuto sfoggiare le sue doti marziali.
«Steve è un caso interessante, perché si è presentato all’audizione per il ruolo di barista. Nel copione l’amico del protagonista è portoricano, non nero, così stavamo cercando attori portoricani ma poi si è presentato Steve e ci è piaciuto subito, a tal punto che ho riscritto il copione perché il personaggio fosse nero […]. Ha dato umanità al personaggio, in quell’audizione, ed è per questo che gli abbiamo cucito addosso il ruolo.»
Intervistato da Paul Talbot per la rivista “Screem” (n. 23, 2011), il produttore Mark Buntzman ricorda quanto fosse “artigianale” la lavorazione del film:
«C?è una scena in cui Steve James viene aggredito e un randello da giardino gli viene conficcato nella schiena. Toccava a me gestire quell’effetto speciale, così sono andato in macelleria a comprare una grossa bistecca da infilare nella camicia dell’attore, poi dal giardino di mia madre ho preso un randello e con quello l’ho “pugnalato” dove aveva la bistecca.»
Per il ruolo di protagonista all’inizio viene scelto Joseph Bottoms, che stava per uscire con una grande produzione Disney che prometteva di stracciare i botteghini, The Black Hole (1979), e questo avrebbe di sicuro aiutato The Exterminator, film per il quale Glickenhaus pensava ad un eroe più “americano”, rispetto a Charles Bronson, nome espressamente citato nell’intervista.
L’ingaggio è ricco perché tutti sanno che Bottoms sta per esplodere e tocca tenerselo stretto, ma il problema è che lo sa anche l’attore. Il primo giorno in cui dovrebbe presentarsi, per la prova costume, al suo posto arriva una telefonata del suo agente: l’imminente enorme successo del film Disney sicuramente sarà seguito da altri film simili e Bottoms non vuole rovinarsi l’immagine con un ruolo da “giustiziere della notte”. Quindi il problema è il soggetto del film? No, perché l’agente chiede diecimila dollari in più rispetto al pattuito, quindi il problema sono i soldi.
Glickenhaus e i produttori sono ovviamente allibiti e non vogliono sottostare al ricatto, anche perché l’agente è così spregiudicato da sottolineare come manchi solo una settimana all’inizio delle riprese quindi sono obbligati ad accettare l’aumento del prezzo, visto che non possono certo trovare un nuovo protagonista in una settimana. Sfida accettata: Glickenhaus prende il primo stronzo che passa (anche se non lo dice con queste parole) e lo fa protagonista del film. Quel giorno passava di lì Robert Ginty a portare il caffè e si è ritrovato “eroe americano”.
Alla sua uscita The Black Hole è stato tutto tranne che il grande successo che la Disney si aspettava, e Bottoms lo trovate nei più minuscoli e sconosciuti film degli anni Ottanta e Novanta. Comunque, sempre meglio di ’sta porcata di Glickenhous.
Campagna pubblicitaria esplosiva
Siamo nel 1979 e Glickenhaus fa quello che fanno altri suoi colleghi con regolarità: compra un paginone della rivista “Variety” per pubblicizzare il film. (A volte qualcuno lo fa anche quando il film ancora neanche esiste, vero Cunningham?) Quando si presenta a Cannes lo stesso nessun distributore lo conosce né si fida di lui, anzi: c’è qualcuno convinto che le scene di battaglia in Vietnam siano rubate da Apocalypse Now!
Glickenhaus già ha fatto questa esperienza, quindi sa come muoversi: affitta un cinema, si mette per strada e comincia a regalare biglietti a ogni giovane passante. Il risultato è che il cinema ha seicento posti e si presentano in mille! Quando arrivano i distributori che dovranno decidere se comprare il film per i propri Paesi, non c’è spazio per farli entrare.
Siamo nella primavera del 1980, vedere battaglie del Vietnam su grande schermo non è assolutamente una cosa comune, tutt’altro, quindi ad inizio proiezione la sala viene giù: i poveri distributori, che storcevano il naso e non volevano comprare un prodotto che non sarebbe interessato alla gente, si ritrovano in un carnaio di giovani che strillano e applaudono entusiasti. Più gente muore male, più applaudono.
Glickenhaus racconta che a un certo punto arriva la scena della testa mozzata (che vedremo più sotto) e uno del pubblico si alza per uscire, che gli viene da vomitare. Scatta il panico e qualcuno comincia a strillare che ha un attacco di cuore, qualcuno chiama l’ambulanza e arrivano pure un paio di vigili, ma il regista ha chiuso le porte e ordinato di non accendere le luci, continuando a proiettare il film: il Vietnam sembra niente, in confronto alla prima proiezione di The Exterminator.
Il regista si era fatto dire quale sarebbe stato un buon prezzo per vendere il film all’estero, ricevendo come risposta 150 mila dollari. La mattina dopo la prima proiezione Glickenhaus non fa in tempo a sedersi per fare colazione che il distributore giapponese lo ferma… e gli offre 500 mila dollari. Peraltro, stando al regista, il Giappone è l’unico Paese in cui il film sia stato proiettato senza alcun taglio né censure.
«Nel giro di quattro ore avevamo venduto il film ad ogni Paese del mondo, tranne gli Stati Uniti. Alla fine se lo comprò la Avco Embassy.»
Per la prima di New York (10 settembre 1980) la creatività pubblicitaria non è da meno: all’entrata del cinema c’è un “video box” che mostra immagini del film, e grazie alla grande campagna messa in piedi dalla Avco un piccolo film cialtrone di uno pseudo-regista esordiente diventa campione di incassi, al primo posto nelle classifiche per ben due settimane. Non in un drive-in sperduto nel sud, ma a New York.
«Credo che incassammo un milione di dollari, quella prima settimana a New York City», ricorda il produttore Buntzman.
Distribuzione italiana
Il 13 febbraio 1981 riceve il visto della censura italiana con un bel divieto ai minori di 18 anni, che evidentemente dispiace ai produttori, visto che per anni cercheranno di farselo togliere. Ancora nel dicembre 1985 la commissione di censura conferma il divieto, finché il 28 febbraio 1986 concede di scendere a un divieto ai minori di 14 anni, per via del taglio di quasi cinque metri di pellicola, contenente un’unica scena: quella dell’«episodio di sadismo», specifica ItaliaTaglia.it. Il confronto fra l’edizione italiana e il Blu-ray americano del 2011 dimostra che in realtà sono tantissime le parti tagliate, più di dieci minuti di sforbiciate orripilanti.
Il 19 febbraio 1981 il cinema Astor di Torino lo presenta in «anteprima gratuita»: davvero non hanno fatto pagare il biglietto?

da “La Stampa” del 19 febbraio 1981
Esce ufficialmente in sala il 23 febbraio successivo, e l’impressione della critica non è positiva. Scrive “La Stampa” il 25 successivo:
«Per quanto condotta con mano svelta, la storiella appare del tutto squinternata […]. Il film è di quelli che fanno venire l’acquolina in bocca alla sedicente maggioranza silenziosa.»
Dopo aver notato il chiaro richiamo a Il giustiziere della notte (1974), il recensore dunque considera questo film adatto ai “giustizieri”, quelli che amano vedere punite le storture della società su grande schermo, gioendo della violenza gratuita e truculenta. In effetti, credo sia stato proprio l’intento del regista.

da “l’Unità” dell’8 aprile 1981
Quando il film arriva nella Capitale, l’8 aprile 1981, Luciano Pini su “l’Unità” del 3 aprile si lamenta che il mondo del lavoro non è ben rappresentato nei film americani, e «di problemi sociali poi non se ne parla»: ma che c’entra? Dopo un inutile pippone ingiustificato, il giornalista si stupisce che invece questo Exterminator abbia per protagonisti due proletari, cosa mai vista prima al cinema. Chissà, magari è anche vero…
«Macabro nei particolari, minuzioso nelle descrizioni, superficiale nelle pur elementari psicologie, ma essenziale nei fatti e nelle azioni, il film sembra voler insegnare qualcosa: che la vita nelle grandi città è oggi tesa e assurda come in guerra.»
In realtà era dal 1972 dei Punitori che questa verità è esplosa potente nella narrativa, ma ovviamente da noi è rimasto un tema vago. Comunque l’astio del giornalista del film nasce chiaramente da una scena che cita, quella in cui i biechi teppisti drogati hanno una foto del Che Guevara alla parete: basta questo a renderceli simpatici? Una bestia in divisa resta una bestia (Frankie docet) mentre una bestia col Che diventa un “compagno”?
La Warner Home Video lo porta in VHS nell’aprile del 1989, e bisogna aspettare vent’anni perché finalmente questa nota casa oscurantista lasci andare i diritti, così che la StormVideo (MHE) possa presentarlo in DVD nel 2008, con l’aggiunta dell’ammiccante sottotitolo Strade di piombo.
L’unico passaggio televisivo noto risale a domenica 10 luglio 1988, in prima serata su Videolina, che credo sia un canale minuscolo ma lo stesso era coperto dal mitico “Radiocorriere TV”, grazie ai cui archivi si può dire che questo film è passato almeno una volta in TV.
Sterminatore, Esecutore, Punitore
Vietnam. Elicotteri, esplosioni. Tante esplosioni. In seguito si dirà che gli attori si sono feriti durante alcune delle tante esplosioni. Giusto per dire quante esplosioni ci sono.
La prima immagine del primo fotogramma del film è un’immane esplosione che catapulta in aria un tizio: e Francis Ford Coppola… muto!
I soldati Eastland (Robert Ginty), Jefferson (Steve James) e un altro tizio, che non conosciamo tanto muore subito, finiscono in mano al perfido e spietato George Cheung, all’epoca il più noto attore marziale asiatico della TV americana.
Eastland si rifiuta di parlare sotto tortura, protetto dalla forza dei suoi baffi, sapendo bene che fra quattro anni la scena sarà ripetuta in Missing in Action 2 (1985). E Chuck Norris… muto!
Il bieco Viet Cong per far parlare i due soldati americani ammazza il terzo, tagliandogli la testa con un machete, anticipando la saga Venerdì 13: e Jason… muto!
L’immagine che mostro viene dal Blu-ray del 2011 del film, con un’edizione molto più completa di quella italiana, la cui qualità è demenziale – si vede peggio che in VHS! – e che dura parecchio meno, quindi l’etichetta in copertina “Director’s Cut” è palesemente una presa in giro.
La censura di tutti i Paesi si è avventata sulla scena della testa che viene mozzata al rallentatore, mentre con un’espressione di stupore stampata in volto crolla all’indietro strappando la pelle rimasta attaccata: detta così sembra chissà che, ma parliamo di una testa finta, molto finta, che si comporta in modo finto, ma è chiaro che in un periodo pre-Venerdì 13 certe scene non fossero gradite ai censori.
Ad occuparsi della testa, quel 1979, c’era un giovane tecnico che magari un giorno sarebbe diventato un po’ famoso: un certo Stan Winston, futuro compianto maestro di questa arte. Per due mesi ha lavorato a quegli effetti delle “torture Viet Cong”, per 25 mila dollari, ci rivela il produttore Buntzman, per poi vedersi tutto cancellato dalla censura: son soddisfazioni…
Tutta gavetta per il futuro artefice del T-800, della Regina Aliena, del Predator e via dicendo, che curiosamente con la nascita dello splatter si è specializzato nella fantascienza, più che nell’horror.
I nostri eroi riescono a liberarsi e prima di scappare dal campo Eastland spara al perfido Viet Cong. Finito il prologo bellico, possiamo tornare al presente. Quando gli eroici soldati che sono andati ad ammazzare gente dall’altra parte del mondo per salvare la libertà in patria poi ci tornano, in patria, e vengono presi a pernacchie. Sono però fortunati, perché trovano un lavoro di fatica per i grandi magazzini, degna coronazione del loro impegno bellico.
Siamo in un periodo in cui New York non viene ritratta tutta scintillante e i neri non sono tutti ricchi e modaioli: qui New York è una città di potenti corrotti, criminali e bianchi, con i neri che vivono in ghetti nuclearizzati. (Eastland è bianco ma è povero, quindi per gli americani equivale a un nero!)
Sventata una rapina ad opera della banda dei Boia… aspetta, che devo aprire una parentesi. Il doppiaggio italiano s’è divertito parecchio con questo film, forse perché è così palesemente cialtrone che non valeva la pena rimanere seri.
Così abbiamo espressioni colorite un po’ troppo colorite, bande dei Boia ma poi arriva il capolavoro dei capolavori. Quando un poliziotto arresta una prostituta, questa esclama:
«Porca me stessa!»
Applausi a scena aperta per il miglior doppiaggio del mondo! Comunque Eastland e Jefferson sventano una rapina e ci guadagnano che i rapinatori se la legano al dito: trovano Jefferson (ovviamente se la prendono con il nero, mica con il bianco) e gli spezzano la spina dorsale.
Come questo faccia sentire Eastland non si capisce, visto che abbiamo un non-attore diretto da un non-regista: diciamo che l’intero film è una gara serratissima nello stabilire se siano più cani gli attori o chi li dirige.
Qualsiasi cosa accada nella testa di Eastland, due o tre fotogrammi dopo il ferimento di Jefferson ecco che è diventato il Punitore: armato di M16 fa irruzione nella tana dei Boia e ne ammazza un paio.
Scoperto per caso che c’è un mafioso in città – uno solo, eh? – lo minaccia di morte e si fa dare le chiavi di casa, da cui preleverà dei soldi. Visto che a casa trova un cane feroce, si vendica triturando il mafioso. Ma chi l’ha scritta ’sta roba?
Questa sequenza immotivata e cialtronesca ci regala però un divertente aneddoto.
Racconta il produttore che il giorno delle riprese si è presentato un addestratore con il cane più mansueto mai visto: un cucciolone giocoso che era impossibile spacciare per spietata macchina di morte. Girano un po’ di scene con l’attore che gioca col cagnolone, poi in sala di montaggio rendono tutto veloce e confuso, aggiungono rumori di cane feroce e la buttano un po’ via così: di meglio non si può fare.
Tanto è stato lo stupore degli autori quando scoprono che la censura americana si è scagliata contro la scena del cane, che giudicava troppo violenta! Segno che il montaggio serrato era riuscito a trasformare un cucciolone in una belva feroce.
Senza alcun ragionamento né altro, Eastland gira per New York minacciando e facendo cose squinternate, traumatizzando giovani teppisti che subito dopo cambiano vita… e diventano psichiatri! Come il giovane Dennis Boutsikaris che qui, imberbe, vediamo giovanissimo mentre in seguito farà spesso la parte dello psichiatra barbuto, come nella più grande commedia degli anni Ottanta nota come 4 pazzi in libertà (1989).
In mezzo al delirio più delirante, c’è il detective Dalton (Christopher George) che sembra cattivo poi è buono, che inizia a dare la caccia allo sterminatore ma poi capisce la sua Crociata e lo aiuta, e allora perché lo cercava col mitra spianato?
Mettiamola così, il personaggio di Dalton è un buco di sceneggiature, un madornale errore che però occupa quasi metà film, giusto per dire la qualità dell’opera di Glickenhaus.
Esattamente come Il giustiziere della notte (1974), il nostro eroe viene tollerato dalla polizia perché fa fuori i cattivi ma gli viene consigliato di sparire, pronto a nuove avventure. Rigorosamente girate con le chiappe come questa.
L’anticipatore
Basta vedere un suo film per capire che James Glickenhaus non è un regista: nella citata intervista scomoda Roger Corman per dimostrare che si possono fare piccoli film che però piacciono al pubblico, ma Corman era un regista vero, con un mare d’esperienza, Glickenhaus è un passante occasionale. Invece è un ottimo pubblicitario, e ha preso questo The Exterminator, cioè pura spazzatura, e gli ha fatto dominare le classifiche di New York.
È come se Alex l’ariete (2000) avesse sbancato il botteghino: rimane un filmaccio assurdo, ma venduto bene.
Mentre si finge sceneggiatore e regista, due mansioni in cui è palesemente incapace, Glickenhaus ha successo come pubblicitario ma soprattutto ha doti divinatorie ai confini della realtà: con questo suo film riesce ad anticipare così tanti elementi che fa paura.
Lui e Coppola – è assurdo metterli nella stessa frase! – hanno portato al cinema nello stesso momento i due modi di parlare del Vietnam che poi dureranno per tutti gli anni Ottanta: lo sguardo critico d’autore e la cafonata caciarona. Indovinate a quale categoria appartiene questo film…
Glickenhaus conosce molto bene i gusti del suo pubblico, infatti al suo protagonista mette in mano una 44 Magnum, come l’altro reduce leggermente più famoso, Rober De Niro in Taxi Driver (1976). La pistola di Callaghan è ormai passata al suo “lato oscuro” del giustiziere della notte.
Questo film anticipa machete e teste mozzate alla Jason, e sicuramente è un caso ma è curioso notare come a tutte le sue vittime lo “sterminatore” Eastland – con la voce afona da non-attore di Ginty – ripeta la stessa frase:
«Se mi hai mentito, tornerò». (If you’re lying, I’ll be back)
Quasi dieci anni prima che Schwarzenegger dica la stessa frase ne I gemelli (1988). È vero, è quello che Arnie dice sempre – come gli rimprovera il ragazzino di Last Action Hero (1993) – ma è per dire quanto Glickenhaus abbia una visione molto chiara e veritiera di ciò che fa presa in un film d’intrattenimento. Il problema è che poi vuole scriverlo e dirigerlo lui, e questo è un guaio.
Di nuovo, sicuramente è un caso e gli eventi non sono concatenati, ma è chiaro che più passano gli anni più i “punitori” si fanno strada nella narrativa.
«Un giorno, Uomo Ragno, capirai che è un errore avere pietà con certa gentaglia.»
A parlare è proprio lui, il titolare, Frank Castle il Punitore, il personaggio che dal 1974 appare saltuariamente sulle pagine a fumetti di “Amazing Spider-Man” e uccide gente anche in una pubblicazione buonista, diretta esclusivamente ai giovani.
Sul numero di febbraio 1980, pochi mesi prima dell’uscita di The Exterminator, Castle (che ancora non si chiama così) torna a trovare l’arrampicamuri, dopo un’assenza di tre anni, e sul n. 201 di “Amazing Spider-Man” (in Italia, “L’Uomo Ragno” Corno n. 1, marzo 1982) si lancia in un’azione congiunta: è nato come nemico, ma ben presto è diventato alleato di Spider-Man. Perché bisogna tenersi stretti gli amici, ma ancor di più i punitori.
Se il titolare a fumetti è tornato per reclamare il suo peso, è tempo che anche il titolare al cinema torni a rivendicare il suo posto d’onore nella “narrativa dei punitori”.
L.
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Anch’io trovo assurdo stroncare un film perché non rappresenta in maniera dettagliata il mondo del lavoro americano e non parla di problemi sociali: è un film (peraltro di genere), non un documentario sulla società americana.
Comunque anch’io ho un poster alla parete, solo che al posto di Che Guevara ci ho messo questa strafiga: https://wwayne.wordpress.com/2022/04/01/vi-racconto-tutto/
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«Porca me stessa!» sarà la frase del giorno 😉 Il paragone con “Alex l’ariete mi sembra sensatissimo, la storia produttiva di questo film è migliore del film stesso, grazie per averla raccontata 😉 Cheers!
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Glickenhaus doveva fare il pubblicitario, le sue idee hanno dimostrato di essere esplosive e di funzionare alla grande: tutto al contrario del suo film, che brucia gli occhi a guardarlo. Mi immagino la faccia dei critici di New York dell’epoca, che vedevano in vetta alle classifiche una roba del genere 😀
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Questo, pur conoscendolo, credo di non essere mai riuscito a vederlo, però mi piacerebbe colmare la lacuna 😉
Robert Ginty un mito, dico solo “I Predatori dell’anno Omega”… 😛
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Dieci anni dopo riprenderà un po’ il ruolo, con “Il cacciatore di taglie”, ma tutto quel tempo non è riuscito a diventare un attore anche solo vagamente credibile 😀
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Finalmente l’ho visto, è su Prime Video: come hai scritto, Glickenhaus sa quello che il suo pubblico vuole: io sono il suo pubblico, gente di bocca buona che si accontenta di spari, botti e morti ammazzati male. Ho messo in cantina il cervello e mi sono divertito un mondo: quelli che, per altri, possono sembrare difetti, per me sono pregi di una pellicola che entra di diritto nel mito 😛
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Citi tutti elementi che piacciono anche a me, e pienamente d’accordo di mettere il cervello in cantina, ma ho una soglia sotto la quale non riesco a scendere, perché non mi godo più il film: Glickenhaus sta così sotto quella soglia che non la vede neanche 😀
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Bah, francamente si capiva fin da subito che questa era la versione MOLTO exploitation de “Il giustiziere della notte” dove a trionfare e farla da padrone sono l’azione spicciola e la violenza brutale, e infondo non è quello cvhe vogliamo di siffatte pellicole… ?! Bravissimo Glickenhaus a promuovere quello che era un tipico filmetto da Drive-In e salette Grindhouse per una pellicola da grandi sale, da ammirare…
Comunque, per me, gli effetti speciali di Winston (qui al suo esordio) sono stati più che ottimi (quella testa mozzata è ancora da brividi; meraviglie dell’artigianato); quello che non convinceva erano le location californiane delle Indian Dunes presso la Contea di Ventura spacciate per Vietnam, troppo rocciose pere poter passare per una giungla.
Geniale poi il doppiaggio italiano ad eggiungere magior ironia al tutto.
Ora aspetto la recensione di Dominator!
PS. Mi confermi che davvero la versione che circola attualmente in Italia è (sfortunatamente) CUT delle parti più violente e sanguinarie… ? perchè io ho dato un occhiata su wikipedia, e riporta 104 minuti sia su quella italiana che su quella inglese.
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Glickenhaus nella lunga intervista citata non fa menzione di Death Wish, e sebbene i due film siano simili partono comunque da basi molto diverse: quello del 1974 è un film che parla del cittadino ligio alle regole che scopre come il mondo sia cambiato e la sua città non sia più sicura; questo del 1980 parla di reduci con stress post-traumatico delusi dal mondo per cui hanno rischiato la vita, cedendo alla violenza come reazione alla criminalità soverchiante.
Anche il personaggio di Bronson era stato in guerra, ma non in situazione di combattimento: è un uomo pacifico che passa alla violenza e si sostituisce al Sistema; lo sterminator è un uomo addestrato alla violenza che invece non ce la fa più a contenerla, per tornare civile, e la usa per un suo personale senso di giustizia, del tutto discutibile. (il protagonista per esempio non ha problemi ad andare a prostitute, quindi poi non può lamentarsi che i marciapiedi sono pieni di prostitute, visto che ha attivamente partecipato alla loro realtà.)
L’edizione italiana in DVD StormVideo 2008 dura esattamente 94 minuti mentre l’edizione digitale americana dura 102 minuti: tutti i minuti tagliati sono intorno a scene violente, che dunque in italiano risultano tagliate con l’accetta. Per non parlare della qualità demenziale del video nostrano, che sembra di guardare una VHS.
Non ho la VHS Warner dell’89, ma sulla copertina c’è scritto 100 minuti: se fosse vera la scritta, nel riversamento da VHS a DVD il film si è perso sei minuti per strada, tutti di scene violente.
Nel caso però sarebbero minuti persi per decisione arbitraria: ItaliaTaglia attesta tagli solo nel 1986, quindi sulla carta VHS e DVD dovrebbero presentare lo stesso film.
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Che post Lucius! Ci sono così tanti spunti che dovrò rileggermelo: dal cast alla storia, da articoli/locandine alla Z (anzi, alla B) che pervade il tutto, senza dimenticare efferatezze, esplosioni, mi gira la testa…dal piacere! 🙂
Comunque, su tutto, la frase “Porca me stessa” resterà a imperitura memoria come emblema del genio e della poesia! 🙂
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Quando i film sono di questo genere, il doppiaggio italiano riesce addirittura a migliorare la situazione 😀
Comunque il grave errore di Glickenhaus è non aver dato più spazio a Steve James e aver puntato tutto su quel carciofone di Ginty: James sarebbe stato uno “sterminatore” mille volte più convincente.
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Concordo, errore madornale nello scegliere i ruoli, ma in questi film non sono rari tali errori di valutazione sul cast…porca me stessa! 🙂
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Ah, James Glickenhaus, gran pubblicitario di sé stesso ma non regista altrettanto grande… anche se ammetto di aver amato senza riserve almeno uno dei suoi film e cioè “The Soldier” che, pur non essendo una pietra miliare del cinema, sta almeno una rampa di scale sopra questo raffazzonato “The exterminator”, dove tra l’altro si dà spazio allo sterminatore sbagliato: con James al posto di Ginty sarebbe stata davvero tutt’altra musica (e magari tutt’altri difetti, ma si sarebbero comunque potuti digerire meglio)… pazienza, ormai tocca accontentarci di una storia produttiva sulla quale sì, eccome, ci sarebbe stato da girare un film 😉
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Dovrebbero esistere più documentari che raccontino le lavorazioni di film di varie qualità, perché davvero sono più interessanti dei film stessi 😛
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