40 anni di caccia agli androidi (guest post)

Torna la nostra amica Vasquez, impegnata in una nuova missione da Colonial Marine. Nel 1982 Philip K. Dick abbandonava questa realtà e in attesa di festeggiarlo tutti insieme il 30 maggio prossimo, Vasquez ha cominciato ad aprire per noi i Bastioni di Orione, per divertirsi a cacciare androidi.
Le lascio subito la parola.
L.


40 anni di caccia agli androidi

di Vasquez

40 anni da Blade Runner.
40 anni senza Philip K. Dick.
Se n’è andato sulla soglia di quel riconoscimento che il mondo ha stentato a concedergli. E anche il film che ormai tutti conoscono, anche quelli che non l’hanno visto, ha dovuto sudarsela, la sua notorietà. Poter giudicare se questa notorietà è meritata o meno non è cosa per me. Di certo il premio Hugo vinto nel 1963 per La svastica sul sole diede un bell’incentivo alla produzione dickiana, fantascientifica e non, ed era risaputo che Dick ambiva ad essere considerato uno scrittore vero. «Si vergognava di dichiarare in pubblico di scrivere di fantascienza. Odiava il ghetto della sf, non lo sopportava. Voleva uscirne» (Vittorio Curtoni, introduzione a Le presenze invisibili – Tutti i racconti, Vol. 3 Mondadori 1996).

Per fortuna mi viene da dire, non ne uscì, dando così modo di essere conosciuto e apprezzato e ristampato, anche se tardivamente, e anche a volte per opere che forse non lo meritavano fino in fondo. Personalmente mi trovo ad apprezzare molto di più la sua narrativa breve rispetto ai suoi romanzi. Certo economicamente i romanzi rendevano di più, ma per lo stile dell’autore risultano troppo dispersivi, come se una volta impostato il mondo e l’idea di fondo, l’autore non sapesse come proseguire. Ma potrebbe essere semplicemente una questione di gusti.

Il bellissimo fumetto tratto dal libro di Dick

Do Androids Dream Of Electric Sheep? (1968), pur non essendo perfetto, è uno dei suoi romanzi più completi, dove si riesce a seguire la trama senza difficoltà, le motivazioni dei personaggi sono chiare, e il mondo creato al suo interno rimane coerente fino alla fine. Come accade quasi sempre nei suoi scritti, ci si muove in un’ambientazione post «Ultima Guerra Mondiale» (non si sa contro chi, per che cosa, e se qualcuno ha vinto, ammesso che qualcuno abbia vinto) che ha lasciato strascichi profondi sulla cara vecchia Terra.

La maggior parte della popolazione è emigrata sulle colonie, principalmente sul pianeta Marte, con il diritto di avere al seguito un androide organico, che dovrebbe fungere da incentivo alla partenza (forse perché la vita sulle colonie non è poi così rosea…).

Tale “accessorio” dovrebbe servire ad agevolare il processo di colonizzazione, aiutando gli umani ad ambientarsi sui nuovi mondi. Di fatto vengono considerati schiavi, e sono stati proprio gli umani a volerli sempre più simili a noi.

«Un’arma da guerra – il Combattente per la Libertà Sintetico – era stata modificata;
[…] l’androide organico era divenuto il fattore trainante del programma di colonizzazione.»

La superficie del pianeta è rimasta contaminata dalla polvere, che per prima cosa ha fatto morire le civette. A seguire, tutti gli altri tipi di uccelli, poi il resto degli animali. Rimanere sulla Terra vuol dire correre il rischio di contaminarsi, e di trovarsi classificato come biologicamente inaccettabile, uno “speciale”, quindi sterilizzato.
Ma nonostante questo rischio diverse migliaia di irriducibili rifiutano di lasciare il pianeta natìo, forse nella speranza che la coltre di polvere prima o poi si dissolva, forse proprio incapaci di abbandonare qualcosa di famigliare. Si cerca quindi in ogni modo di convincere la popolazione ad abbandonare un pianeta morente, ad esempio tramite il programma della TV di stato, la quale trasmette ininterrottamente, 23 ore su 24, il programma di Buster Friendly: una continua tele-promozione sui vantaggi della colonizzazione e sulla vita nelle colonie, infinitamente più gratificante di quella sulla Terra. Buster Friendly è in onda 23 ore su 24 anche alla radio, però con un programma differente da quello trasmesso in TV. Anche se non ci viene detto, Buster Friendly non può che essere un androide, probabilmente più di uno, tutti dello stesso modello, a servizio dell’umanità.

Chi non si farebbe convincere a emigrare da una faccia così?

Rick Deckard è un cacciatore di taglie: recupera androidi sfuggiti al controllo dietro lauta ricompensa. «Un assassino al soldo degli sbirri» lo chiama sua moglie. Il fatto è che il denaro fornito da quelle taglie dà loro di che vivere. Solo che Deckard vorrebbe riuscire a mettere da parte il necessario per acquistare un animale vero. Per adesso posseggono solo una pecora elettrica, un surrogato che “bruca” simulando soddisfazione nel pascolo allestito sul terrazzo, dove ognuno degli abitanti del palazzo ha il proprio appezzamento e il proprio animale, vivo o elettrico che sia (anche se niente avrebbe potuto essere più indiscreto che chiedere a qualcuno se l’animale in suo possesso fosse vero oppure no).

Il negozio di animali davanti al quale passa ogni mattina, “Cane Contento”, ha messo in vetrina uno struzzo, uno struzzo vero, nuovo, non usato, maschio, giovane, sano. Prezzo secondo il listino Sidney: trentamila dollari. Per uno struzzo elettrico ne vogliono invece solo ottocento. Un animale vero è ciò che Deckard desidera di più al mondo. Una volta la sua pecora era vera, si chiamava Groucho. Poi una mattina l’ha trovata adagiata su un fianco senza che riuscisse più ad alzarsi. Mostrando una foto di Groucho ad una ditta che costruisce animali artificiali, si è procurato la pecora che adesso “bruca” nel suo appezzamento sul terrazzo.

Il tetto di ogni «condapp» ancora abitato

Leggendo non riuscivo a capire se i personaggi davvero desiderassero avere un animale vivo, o fossero indotti a volerlo per seguire la strana religione inserita nel romanzo: il Mercerianesimo, nato dopo l’avvento della polvere radioattiva e la morìa degli animali. Religione che tra l’altro gli androidi non riescono a seguire, incapaci di entrare in empatia con Mercer, al quale ci si collega tutti, sulla Terra e sulle colonie, tramite una scatola a tubo catodico, condividendo i propri stati d’animo…

Ma l’autore è più sottile di così, infatti ad un certo punto ci dice che Deckard in realtà prova una sorta di risentimento verso il suo animale finto. Accudirlo è quasi come prendersi cura di un animale vero, ma quel quasi fa tutta la differenza del mondo. La pecora elettrica è un oggetto che è diventato il suo tiranno, che lui deve curare e accudire come se fosse vivo ma che non si accorge della presenza dell’umano al suo fianco.

«Come gli androidi, non è in grado di rendersi conto dell’esistenza di un altro.»

La percezione di Deckard riguardo gli organismi sintetici però sta cambiando. Comincia ad essere stanco del suo lavoro. All’Associazione Rosen, Rachael gli viene presentata come un’umana, nipote del titolare, cosa che lo spinge inizialmente a dubitare del Test Voigt-Kampff che misura le reazioni empatiche, unico strumento per differenziare un umano da un androide (a parte un’analisi del midollo osseo, ma per quello ci vuole un mandato apposito). Questo lo induce a dubitare del Test stesso, perché viene persuaso a credere che Rachael sia una donna, anche piuttosto attraente.

È impossibile immaginare Rachael Rosen in altro modo

Più avanti si trova a dover «ritirare», cioè uccidere un’umanoide, Luba Luft, magnifica cantante lirica, con rammarico e rincrescimento. Tra sé pensa che tutta l’umanità avrebbe potuto beneficiare delle straordinarie doti canore di Luba, dimenticando che faceva parte di un gruppo di androidi che per scappare sulla Terra ha ucciso delle persone. Degli umani. Così comprende che il Test è a posto, è di sé stesso che deve dubitare. Ha iniziato a provare empatia nei confronti di quegli esseri che dovrebbe «ritirare», in special modo se hanno forma femminile.

Anche noi lettori ad un certo punto ci troviamo a dubitare di tutto in questo romanzo. Deckard è un vero cacciatore di androidi, o siamo stati portati a crederlo? Gli androidi meritano una possibilità in quanto esseri viventi, o sono solo delle macchine incapaci di provare sentimenti a meno che non siano indotti? Esistono davvero i sei androidi modello Nexus a cui Deckard sta dando la caccia, o sono invece dei pazzi allucinati con disfunzioni emozionali in fuga da un manicomio? La civetta alla Rosen è viva, o è elettrica?

Vera o falsa?

Questi sono i temi che Dick porta avanti, riuscendo a rendere l’umanità più simile alle macchine di quanto si creda, e lo fa quasi distrattamente, in una scena domestica che presumibilmente si svolge in ogni abitazione con più di un inquilino.
Visto che rimanere sulla Terra è deprimente, piena com’è di palazzi vuoti e di «palta» (termine usato dal traduttore Riccardo Duranti per rendere il neologismo di Dick kipple) ossia il processo di disordine entropico che sta avendo il sopravvento sulla civiltà, si è escogitato un sistema per non affondare nel malessere di vivere. Esiste il «modulatore dell’umore» Penfield, con radiosveglia incorporata, dove basta digitare un codice per entrare nello stato d’animo giusto per ogni momento, ad esempio:

481: consapevolezza delle molteplici possibilità che si aprono nel futuro;
888: desiderio di guardare la TV, qualsiasi cosa trasmetta;
3, il peggiore di tutti: desiderio di comporre un codice sul modulatore d’umore.

Emozioni simulate anche per gli umani

Rileggere questo libro dopo tanti anni conferma il mio ricordo: mi trovo a dover constatare l’inferiorità del romanzo rispetto al film. L’autore tende ad essere dispersivo, tante questioni sono appena abbozzate. Ad esempio, bisogna stare attenti ad uscire sempre con indosso delle apposite braghe per proteggersi dalle radiazioni, ma non si sa perché sembra che lo facciano solo gli uomini. Nessuno porta una maschera o filtri nasali o che so io per evitare di inalare la polvere radioattiva. È polvere: com’è possibile che non ci sia bisogno di proteggere le vie respiratorie?

Lo stesso Mercerianesimo, per quanto sia chiaro
il riferimento al cristianesimo, rimane un culto incomprensibile

Nella città di San Francisco (anche se la quarta di copertina della mia copia riporta Los Angeles, va be’…) esiste una stazione di polizia molto più moderna ed efficiente di quella in cui lavora Deckard, dove però gli umani sono stati gradualmente sostituiti dagli androidi. Un corpo di polizia parallelo a quello ufficiale – di cui quello ufficiale è completamente all’oscuro – usato dagli esseri artificiali per difendere sé stessi. Hanno addirittura un diverso Test di misurazione dell’empatia: il Test di Bonelli. Un risvolto intrigante, che però viene lasciato morire. L’autore non ci dice se qualcuno si degna di fare rapporto su questo fantomatico Palazzo di Giustizia, o se vi sarà un’irruzione per smantellare questa organizzazione di androidi, o se i pochi agenti umani rimasti verranno poi integrati nella vera polizia di San Francisco. Gran begli agenti, fra l’altro: cacciatori di androidi che non si accorgono di lavorarci in mezzo!
Ma non sono queste le cose che interessano a Dick.

Agente Phil Resch: umano o androide?

Rachael, che alla sua creazione era stata indotta a credere di essere davvero la nipote di Eldon Rosen, accetta senza alcun trauma la consapevolezza di essere artificiale – come se se ne fosse semplicemente dimenticata per un attimo – e nessuno degli androidi ha lo spessore che il film di Ridley Scott è riuscito a infondere loro. Nonostante le capacità superiori del Nexus 6, in grado di operare selezioni in un campo di due miliardi di miliardi di elementi, questi rimangono personaggi monodimensionali, sullo sfondo del cambiamento che sta avvenendo nell’atteggiamento del cacciatore di taglie. La disillusione di Deckard, il suo tormento, la rovina verso cui sta derivando la Terra, la «palta» che sta prendendo il sopravvento, un senso di generale pessimismo, sono i temi che rimangono addosso al lettore.

Quando la «palta» ha il sopravvento, tutto è grigio e opaco

Il più pericoloso fra gli umanoidi a cui Deckard dà la caccia è davvero Roy Baty? Cioè quello che sembra essere il loro capo? È incline a riflessioni misticheggianti, ha cercato di favorire, tramite la sperimentazione con diversi farmaci, la fusione mentale con Mercer anche per gli androidi, e come tutti loro ha un’intelligenza superiore a quella del loro cacciatore.
O forse il più pericoloso ha forma di donna? Costruito dalla Rosen appositamente per destabilizzare i cacciatori di taglie, sa fare il suo giochetto molto bene. Infatti è andata a segno già diverse volte prima di incontrare Deckard. Dopo di lei, in tanti sono stati costretti a cambiare lavoro.
La domanda: “Ma gli androidi sognano le pecore elettriche?” ha la sua risposta tra le pagine scritte, e quella risposta è “No”. Non solo non sognano le pecore elettriche, ma nemmeno quelle organiche.

Confronto con il film

Sicuramente c’è qualcosa che ancora non è stato scritto su questo film, ma non credo di essere la persona più adatta per colmare questa lacuna, per cui mi limiterò a poche (pochissime) considerazioni personali.
Il film di Ridley Scott è visivamente magnifico, pieno, ricco di dettagli e di alta tecnologia data per scontata, quasi buttata lì senza cercare di esaltarla in alcun modo, e per questo ancora più evidente: le aeromobili, i videofoni, l’ingegneria genetica per imprimere un numero di serie su una minuscola squama di serpente, il dispositivo per analizzare le foto:

«Esalta 22-41-76 … ascissa 45 a destra … esalta da 15 a 23 …»
(desidero giocarci dalla prima volta in cui ho visto il film)

Sostenuto da una colonna sonora irripetibile, con degli interpreti ispirati, un regista in possesso di un occhio per la fantascienza che non ha nessun altro, ha alla base un impianto noir immediatamente riconoscibile. Deckard è l’investigatore tormentato e di poche parole, in grado «con la sua magia» di portare a termine il compito, di risolvere l’arcano: trovare la verità, distinguere il vero dal falso, l’umano dall’umanoide. E lo fa solo perché costretto.
Sul suo cammino incontra la femme fatale, irresistibile ma irraggiungibile in quanto estranea. O forse no…

Immagini con colonna sonora incorporata

La “mia” versione di Blade Runner (1982) è quella con cui ho avuto l’imprinting in quel 3 novembre 1992, quando il film fu trasmesso da Italia 1, con la voce fuori campo di Deckard e il finale sulle scene rubate da un altro film. Quella è la storia che mi piace vedere e rivedere, come ho fatto diverse volte nel corso degli anni. C’entra poco col romanzo di Philip K. Dick, il quale come ho detto, porta avanti altri argomenti – pressocché in tutti i suoi scritti – ma ritengo che quel tipo di tematiche, per quanto possa sembrare una contraddizione, l’autore sia riuscito a svilupparle meglio nei suoi racconti piuttosto che nei suoi romanzi.

Confronto con il radiosceneggiato

Quello che non è riuscito alla mia versione preferita del film di Ridley Scott, riesce invece alla perfezione all’audio-sceneggiato di Radio 2. Con un sapiente lavoro di riduzione delle pagine del romanzo, e l’uso delle voci originali italiane del film del 1982, questo, che si può considerare in tutto e per tutto un nuovo adattamento del lavoro di Dick, riuscirà ad accontentare tutti. Qualsiasi sia la versione del film che amiate, che abbiate apprezzato o meno il romanzo del 1968, Emma Caggiano riuscirà a mettere tutti d’accordo. Non so che tipo di giudizio potranno esprimere coloro che sono totalmente digiuni dell’opera, ma magari per loro potrebbe essere un modo per fare la sua conoscenza.

Qui non serve l’occhio di Scott per la fantascienza, basterà avere orecchio

L’adattatrice riesce, in quindici puntate audio di dodici minuti scarsi l’una, a fondere le parti migliori del romanzo e del film, in un prodotto il cui ascolto fila via liscio come l’olio.

Dal romanzo è stato estrapolato quel continuo ribaltamento della realtà tipico dell’autore: realtà/allucinazione, vero/falso, vivo/elettrico. Manca in continuazione il terreno sotto i piedi. Un momento siamo portati a credere che Mercer non sia mai esistito, il momento dopo Mercer si materializza, forse. O forse era un’allucinazione… Né nel romanzo né in questo radiosceneggiato viene mai meno questo senso di spiazzamento, che il film di Ridley Scott ha cercato di mantenere presentando la versione Final Cut del 2007, dove viene messa in dubbio l’umanità di Rick Deckard.
Sempre dal libro viene recuperata la vera identità di Pris, nel film interpretata da Daryl Hannah.

La Pris del film

«Il quarto lavoro in pelle è “Pris”, modello base di piacere. Un’articolo standard per i circoli militari nelle colonie spaziali, progettati come copie degli esseri umani in ogni senso fatta eccezione per le emozioni»

Questa è la cinica descrizione gentilmente fornita dal capitano Bryant, con la voce di Renato Mori, mentre sullo schermo vediamo il volto di Daryl Hannah da tutte le angolazioni. Ma avremmo dovuto vedere un’altro volto, perché il «modello base di piacere» ha come base un altro modello

La Pris del libro e dello sceneggiato di Radio2

Dal film sono state prese quasi per intero le voci di uno dei migliori cast di doppiaggio che abbiamo nel nostro bel paese, ma non solo.
C’è, riconoscibilissima, la base sonora del film, dalle musiche di Vangelis agli effetti audio. C’è la voce fuori campo ossessiva (di Laura Lenghi) che invita tutti ad iniziare «una nuova vita nelle colonie extra mondo», felice traduzione italiana dell’inglese off world, espressione usata nelle due versioni del film – quella italiana e quella originale – ma assente nel libro. Gli altri riferimenti al film lascio che vengano scoperti nel piacere dell’ascolto.

Pubblicità in ogni dove

Un paio di scene Emma Caggiano le ha costruite dal nulla. La prima riguarda un evento che sappiamo essere accaduto ma senza che a noi fosse data la possibilità di assistervi. Si tratta dell’assalto compiuto dai Nexus sulla nave proveniente da Marte, con relativi omicidi. I nuovi dialoghi si integrano alla perfezione, e tutto sembrano tranne che un’aggiunta ex novo.

Il secondo elemento originale che esiste solo in versione audio è una sorta di nuovo monologo dalla voce di Sandro Iovino – inserito per chiudere un inedito scontro finale tra Deckard e Baty – che non va a disturbare né i bastioni di Orione né le porte di Tannhäuser, ma di nuovo calza come un guanto alla situazione e all’impianto narrativo.

Sì.

Proprio le parole finali di Roy Baty mi danno l’occasione di parlare della profondità degli esseri artificiali di cui parla questo nuovo adattamento. Qui gli androidi amano, odiano, provano risentimento, curiosità, astio. Sono ansiosi di fare esperienze, di riempirsi di vita, di apprendere quante più cose possibili. E questa caratteristica proviene dal film, perché nel libro fanno semplicemente ciò per cui sono stati creati, con una freddezza di fondo, e forse un vago istinto di sopravvivenza il quale però svanisce non appena il loro formidabile cervello capisce di non avere più scelta. Come dice Deckard: «Un’accettazione meccanica, a livello intellettuale, una cosa a cui un vero organismo – con alle spalle miliardi di anni di pressione a vivere e a evolversi – non si sarebbe mai rassegnato».

Chissà perché un androide non ce la fa

Avendo a disposizione voci differenti per differenti personaggi si può fare a meno della voce del narratore presente in un semplice audiolibro, e agli stessi personaggi è affidato il compito di descrivere quello che accade scena per scena. Grazie anche agli effetti sonori e ai rumori in sottofondo il tutto risulta molto armonico e per nulla forzato. I rapporti di Deckard al capitano Bryant ricapitolano gli avvenimenti, facilitando il raccordo tra una puntata e l’altra in modo molto naturale.

Di nuovo, con queste voci nelle orecchie mi sono divertita ad immaginare i possibili interpreti. Per i quelli già presenti nel film (o almeno quelli con un ruolo corrispondente a quello del film, anche se i nomi sono stati cambiati rispetto al romanzo) ho messo ho vicino un asterisco. Certe scelte sono state obbligate in quanto trattasi voci stra-note in Italia, per certe altre sono andata a sensazione. Mi preme far notare come anche in ruoli minuscoli – a volte anche solo un paio di battute – ci sia il meglio del meglio del nostro doppiaggio.

Personaggi principali:

Rick Deckard, interpretato da Harrison Ford* (doppiato da Michele Gammino);
Iran Deckard, interpretata da Jodie Foster (doppiata da Laura Boccanera);
Buster Friendly, interpretato da Brent Spiner (doppiato da Marco Mete);
Rachael Rosen, interpretata da Sean Young* (doppiata da Emanuela Rossi);
Eldon Rosen, interpretato da Joe Turkel* (doppiato da Renato Cortesi);
Harry Bryant, interpretato da M. Emmet Walsh* (doppiato da Renato Mori);
Dave Holden, interpretato da Morgan Paull* (doppiato da Pierluigi Astori);
J.R. Isidore, interpretato da William Sanderson* (doppiato da Mino Caprio);
Roy Baty, interpretato da Rutger Hauer* (doppiato da Sandro Iovino);
Irmgard Baty, compagna di Roy, interpretata da Stockard Channing (doppiata da Laura Mercatali);
Max Polokov, interpretato da Brion James* (doppiato da Francesco Meoni);
Luba Luft, la cantante lirica, interpretata da Rose McGowan (doppiata da Emanuela D’Amico);
Pris Stratton, interpretata da Sean Young (doppiata da Chiara Colizzi);
Cram, interpretato da Mads Mikkelsen (doppiato da Loris Loddi);
Phil Resch, interpretato da Jason Statham (doppiato da Massimo Rossi);
Garland, interpretato Ian McShane (doppiato da Rodolfo Bianchi);
Hannibal Sloat, titolare della Clinica per Animali Van Ness, interpretato da Keanu Reeves (doppiato da Francesco Prando);
Milt Borogrove, collega di J.R. Isidore alla Clinica per Animali, interpretato da Alex Winter (doppiato da Massimiliano Manfredi);

Personaggi secondari e comparse:

Bill Barbour, vicino di casa di Deckard Sergio Pierattini
Wilbur Mercer Albero Rossatti
Anne Marsten, segretaria di Deckard Francesca Gatto
Signora Klugman, intervistata da Buster Friendly Dina Braschi;
Signora Pilsen proprietaria del gatto,
e la hostess sulla nave proveniente da Marte
Carolina Zaccarini
Signor Acker, capo del personale
alla Bay Area Scavenger Company
Michele Carli
Maschera a teatro Valentina Tomada
Funzionario in borghese
all’ingresso della stazione di polizia
Stefano Miceli
Commesso al negozio di animali Luca Della Bianca
L’annunciatrice alla Rosen,
e la segretaria alla Bay Area Scavenger Company
Nadia Ferrero
L’addetto alla torre di controllo,
e l’agente che risponde all’interfono
Roberto Gammino
Amanda Werner,
ospite prezzemolina da Buster Friendly
Cristina Fessler

Tutti su Marte: offre Olivia Wilde

Come ho detto, la voce dell’annunciatrice che ci invita tutti a emigrare sulle colonie extra mondo è di Laura Lenghi, e sua è la voce che mi ha introdotto in ogni puntata e “dettato” l’elenco delle voci di questo bellissimo sceneggiato, diretto da Armando Traverso, con la consulenza musicale di Marco Ponce De Leon. E visto che l’ha doppiata, ho immaginato Laura Lenghi con il volto di Olivia Wilde.

Voglio chiudere con le note che annunciano la fine di ogni puntata, che ho ben imparato a riconoscere. Le ho ascoltate con una punta di rimpianto ogni volta, perché appunto la puntata era finita, ma anche con piacere, perché solo così si può ascoltare questa canzone: chi potrebbe mai rifiutare un ultimo bacio?

V.


Ringrazio di cuore Vasquez per il primo dei suoi viaggi negli universi dickiani.
L.

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46 risposte a 40 anni di caccia agli androidi (guest post)

  1. Vasquez ha detto:

    Sono io che devo ringraziare di cuore te Lucius, per avermi consigliato lo sceneggiato di Radio 2, e in pratica ispirato questo post. Che esce a ridosso della dipartita di Vangelis. Spero che quello che ha trovato al di là delle porte di Tannhäuser gli permetta di continuare a comporre la sua musica straordinaria

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Scopro ora di Vangelis, ma a questo punto non può essere un caso: mi dispiacevo di non aver festeggiato a marzo l’anniversario della dipartita di Dick ma è chiaro che il Grande Sceneggiatore voleva spostare tutto alla seconda metà di maggio 😛
      Grazie per l’appassionato viaggio multimediale: voglio vedere quanti altri si sono letti romanzo e fumetto, visti il film e ascoltato lo sceneggiato ^_^

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      • Vasquez ha detto:

        Il Grande Sceneggiatore fa di noi quello che vuole 😀

        Credo mi manchino le novelization del film. So che ce n’è una a fumetti, non so se esiste il romanzo del film, ma non mi stupirebbe…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Dick nei suoi ultimi giorni di vita venne pressato pesantemente per scrivere lui stesso una novelization, per cui sarebbe stato pagato molto bene, e se avesse rifiutato non avrebbe beccato un centesimo. Alla fine sono scesi al compromesso di ristampare le pecore elettriche fingendo fosse “il romanzo del film” 😛
        Il fumetto ufficiale del film era davvero miserello, una semplice riproposizione di scene della pellicola a forma di fumetto, senza particolare impegno o enfasi. Non stupisce che la novelization a fumetti abbia goduto di pessima fama fino agli anni Novanta, quando si iniziò a metterci pure un po’ di fumetto in quello che fino ad allora era un semplice “volantino pubblicitario”.

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      • Vasquez ha detto:

        Ahahhaha! Per citare il grande Ian Malcom che torna sempre buono: “È previsto che si vedano i fumetti nel vostro albo a fumetti?” 😀

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  2. Me ha detto:

    Riguardo alla questione romanzi/narrativa, Dick era più o meno d’accordo con te (ed anch’io):

    “Il vantaggio del racconto sul romanzo è che nel primo si coglie il protagonista nel momento culminante della sua vita, mentre nel secondo bisogna seguirlo dal giorno della nascita a quello della morte (o quasi). Aprite un qualsiasi romanzo a caso e, di solito, quello che sta accadendo è noioso o irrilevante. L’unico modo per riscattare questo difetto è lo stile. Non si tratta di ciò che succede, ma di come viene raccontato. Ben presto il romanziere professionista acquisisce l’abilità di descrivere ogni cosa con stile, ed il contenuto scompare. In un racconto, invece, non è possibile cavarsela così. Deve succedere qualcosa di importante. Credo sia per questo che gli scrittori professionisti di fantascienza più dotati finiscono con lo scrivere romanzi. Una volta perfezionato il loro stile, è fatta. Virginia Woolf, per esempio, finì con lo scrivere senza dire assolutamente nulla.

    …Se l’essenza della SF è l’idea (come afferma il dottor Willis McNelly), se l’idea è il vero «eroe», allora il racconto di SF rimane probabilmente la forma fantascientifica per eccellenza, ed il romanzo ne è solo un allargamento, un’espansione in tutte le sue ramificazioni. Gran parte dei miei stessi romanzi sono ampliamenti di racconti precedenti, o fusioni di più racconti… sovrimpressioni. Il germe giace nel racconto; nel senso più reale, ne è il suo vero distillato. Ed alcune delle mie migliori idee, che per me significavano di più, non riuscirei mai ad ampliarle fino alla forma di un romanzo. Esistono soltanto come racconti, malgrado tutti i miei sforzi.”

    Invece, per quanto riguarda l’analizzatore con il quale vorresti giocare, mai sentito parlare del videogioco di Blade Runner? Data la tua passione per il film DEVI giocarci, ed avrai modo di utilizzarlo 🙂

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    • Vasquez ha detto:

      Ti ringrazio per il bellissimo commento. Da che mi ricordi, ho sempre preferito la fantascienza “concentrata”, ed è un onore sapere di essere allineata ai pensieri di queste grandi menti, e anche dei tuoi.

      Sono stata una discreta videogiocatrice, ormai più di vent’anni fa, e ho lasciato il mio cuore tra i dischetti con il lato lettura nero e l’apertura a bocca della PS1 (“Non comprate Play Station!” diceva la pubblicità), e mi sono resa conto già da un po’ che non ho più la testa (e il tempo!) per ri-piazzarmi davanti a un videogioco. Però forse…per l’analizzatore di Blade Runner un tentativo si potrebbe fare 😉

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  3. Cassidy ha detto:

    Gran post per aprire le celebrazioni per Dick, mi hai fatto venire voglia di ascoltare lo sceneggiato, conosco le altre versioni della storia, ma quello mi manca. Cheers

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  4. redbavon ha detto:

    Grazie per questo esaustivo excursus. Mi sono letteralmente perso, nel senso buono del termine. Adoro Blade Runner, è il primo DVD che ho acquistato (copertina in cartone con apertura a libro). Visto anche io in TV per la prima volta, andai a cinema a vedere la versione Director’s Cut (cinema vuoto, ci contavano sulle dita di una mano). Ho letto il libro e mi trovo essenzialmente d’accordo con te. Il film è uno dei rari casi in cui “espande” l’universo, si prende delle libertà dall’opera originale migliorandone l’esperienza complessiva. Musica di Vangelis irripetibile, attori in stato di grazia e sceneggiatura scritta da Dio. Tale stato di grazia del film crea delle aspettative altissime in chi non ha ancora letto il romanzo di Dick. Lo stile di Dick – mi è piaciuto di più Ubik – è unico, non subito accessibile, ma credo che sia proprio qui la “magia” che rende il film eccezionale. Se il racconto di Dick fosse stato perfetto – come Tolkien per Il Signore degli Anelli – difficilmente un qualsiasi regista e sceneggiatura sarebbe riuscito a superarlo per via anche della sintesi della media di due ore di una proiezione al cinema.
    Jackson ha fatto un magnifico lavoro, ma il libro è una spanna sopra.
    Ciò detto e rinnovati i complimenti, come Ill precedente commento di Me, se hai un minimo interesse nei videogiochi, suggerisco caldamente di recuperare Blade Runner il videogioco del 1997 di Westwood Studios, un’avventura punta e clicca magnifica, che coglie lo spirito del film senza tentare di scimmiottarlo. Lo trovi a meno di dieci euro su GOG.com per PC, Mac e Linux. Blade Runner sebbene abbia ispirato un gozziliardo di videogiochi, ha avuto solo due giochi con licenza ufficiale: quello pubblicato originariamente per PC nel 1997 e un gioco d’azione per Commodore 64 (al quale sto giocando in questi giorni e mi hai fatto venire voglia di buttare giù qualche riga)

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    • redbavon ha detto:

      Rettifica al mio ultimo commento: ho rispolverato l’emulatore di C64 ed effettivamente ci sto giocando e in effetti avevo trovato dei salvataggi precedenti. Perciò mi è ora balzato in mente che forse ne avevo anche già scritto…e infatti ne avevo fatto un post qualche anno fa. La vecchiaia galoppa. Il videogioco è stato pubblicato anche per ZX Spectrum e Amstrad CPC. Non è su licenza del film, ma su licenza della colonna sonora. Quindi esiste solo il videogioco di Westwood Studios come licenza dal film. Pardon, ma a una certa età succedono cose che voi giovani…

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      • Vasquez ha detto:

        È vero: il film crea aspettative riguardo il libro, che invece parla di altro. O forse parla delle stesse cose, ma non come vorrebbe il lettore. Lo stile di Dick nei romanzi mi è sempre stato arduo da digerire, invariabilmente dopo la prima metà lo scrittore perde la mia attenzione: lui continua a parlare ma la mia mente è altrove – sì anche in “Ubik” – ma almeno “Do Android…” si segue segue tranquillamente.

        Come dicevo sopra a Me forse per Blade Runner potrei fare un’eccezione e riprendere in mano un joypad (o ri-puntare il cursore su schermo per vedere se cambia forma da qualche parte 😛).
        Ti ringrazio dei complimenti (e dei consigli!) e …butta giù lo stesso qualche riga, che ti si legge sempre volentieri 😉 (“Non sono gli anni, sono i chilometri” 😀).

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  5. redbavon ha detto:

    Grazie per l’invito a scrivere, magari rispolvero l’avventura punta e clicca. Ahimè il tempo è tiranno davvero e ti capisco: ieri notte a ore in cui incontreresti solo vampiri e “migranti di discoteche”, era un mese che non toccavo tastiera e joystick. Sono finito in un loop di emulatori alla ricerca della configurazione perduta (roba esoterica che ricorda i tempi del 486 e MS-DOS) passando dal Commodore 64 all’Amiga Ho ripercorso dieci anni di storia, un viaggio nel tempo fatto di pixel e le immancabili bestemmie per la difficoltà media dei giochi di quel tempo, i comandi all’osso e l’interfaccia astrusi, la configurazione dell’emulazione (che è assai migliorata ma è ancora del tipo “plug & pRay”). Ascoltare al TG il tema di BR di Vangelis quando ne ha dato la notizia della sua morte, mi ha indotto a ripercorrere il tempo di quando ho visto il film. I videogiochi sono la mia macchina del tempo che funziona meglio. L’album delle fotografie di famiglia al confronto è una collezione di immagini sbiadite e statiche.
    Per i tuoi propositi videoludici mi sento di darti un ultimo suggerimento. L’avventura dei Westwood non è tra quelle ostiche: la finii io ai tempi e non mi sono mai piaciute le avventure troppo infarcite di enigmi e giochi del “trova l’ago di pixel nello schermo”.
    Di certo ci vuole un po’ di tempo e sessioni non troppo rarefatte. Se è la “testa” che non hai più per i videogiochi, evita pure: le avventure punta e clicca vanno approcciate come un libro o un film: disposti a lasciarsi trasportare. Se non c’è questa disposizione, si riduce a un cliccare su uno scenario, al primo enigma più elaborato mandi a pascere me, gli androidi e le pecore 😜

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    • Vasquez ha detto:

      🤣 Sì ma posso mandare a pascere solo le pecore elettriche che quelle vere costano uno sproposito!

      P.S. Esistono ancora i “migranti di discoteche”?!?

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      • redbavon ha detto:

        Non frequento discoteche da tempo immemore (e non ero un frequentatore assiduo nemmeno quando era il suo tempo), ma dato il recente “tana libera tutti” possiamo rispolverare 4 righe di codice del vecchio BASIC:
        10 Apertura delle discoteche dopo 2 anni
        20 vai in discoteca
        30 esci dalla discoteca
        40 goto 20
        Interrupt via comandi ALT-finiti-i-soldi o CTRL-6-della-mattina-dopo

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      • Vasquez ha detto:

        🤣🤣🤣

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  6. Willy l'Orbo ha detto:

    Gran bel post, concludere la settimana con Dick (tra anni ’90 e inizio 2000 “divorai” diversi suoi scritti e concordo con l’apprezzamento per la narrativa breve), Blade Runner (libro, film, radiosceneggiato), le citazioni, anche nei commenti, di Vangelis…grazie Vasquez, grazie Lucius e grazie al “crap artist” 🙂

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  7. Giuseppe ha detto:

    Un guest post che riesce in pieno 1) ad fare un’analisi più che esauriente del romanzo originale (Dick ti “fulmina” sui racconti brevi, vero, mentre eccezioni romanzesche come ad esempio il giovanile “Il disco di fiamma” sono un po’ meno frequenti), 2) a rendere edotti quanto basta circa i miglioramenti dell’adattamento cinematografico rispetto al testo scritto, 3) a ricordare bene a tutti sottoscritto compreso, che un audio-sceneggiato di tale livello ai tempi purtroppo se lo perse, come la RAI sia ancora in grado di fare alcune cose buone sul versante fantascientifico, quando le gira bene (perlomeno sul versante radiofonico: la TV ce la sia giocata per sempre, temo)… per non parlare delle eccellenti scelte di casting “immaginario” finale! 😉
    P.S. Altri audio-sceneggiati degni di nota sono stati quelli tratti da tre romanzi del Ciclo di Eymerich (“Picatrix – La scala per l’inferno”, “Il castello di Eymerich”, “La furia di Eymerich”) tra il 1998 e il 2001, sempre su Radio 2: in uno di questi c’era proprio Sandro Iovino a prestare la voce al terribile inquisitore, tra l’altro…

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    • Vasquez ha detto:

      Grazie Giuseppe. Un commento che mi dà modo di:
      1) ricordarmi che devo assolutamente recuperare “Il disco di fiamma”, me l’ha citato anche Lucius sull’altro suo blog Non Quel Marlowe ed è ora che mi ci dedichi;
      2) citare Lucius: “spargiamo canoscenza e virtude” (come dico io: “per oggi spargiamo la canoscenza, la virtude la lasciamo per un altro giorno” 😛);
      3) parlare di questi sceneggiati Rai che sono fa-vo-lo-si! Per cast vocale, per come sono adattati, ed è davvero un peccato che ci siamo persi per per sempre la Rai TV per quanto riguarda non solo il lato fantascientifico, ma soprannaturale tutto; ho finito di ascoltare tutti e nove quelli tratti da Dylan Dog (che all’epoca mi ero persa pure quelli, io) e… non trovo le parole… posso dire solo che sono riusciti a farmi dimenticare quella schifezza di film (quale film?);
      4) ricordarmi che voglio recuperare – non ce la farò mai a finire di recuperare tutto! – Evangelisti da tipo, sempre! e questi sceneggiati sono una ghiotta occasione… Autore tra l’altro scomparso questo aprile, e ricordato dalla trasmissione Wonderland con una replica di una sua intervista del 2012; la trascrizione dell’intervista si trova qui https://www.carmillaonline.com/2022/05/21/io-sono-quella-cosa-li-unintervista-a-valerio-evangelisti-su-wonderland/ e spazia ovunque: da Dick a Lovecraft a Spielberg, “Lost”, “Zardoz” (!), con un punto di vista ravvicinato su tanti cattedratici bacchettoni che hanno contribuito ad allontanare la fantascienza dalla cultura popolare italiana; addirittura lui era costretto a nascondere in casa la sua raccolta di Urania…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Davvero Evangelisti ha citato “Zardoz”? Devo assolutamente recuperare quell’intervista già solo per vedere la faccia del giornalista 😀
        Il mio miglior amico del liceo era un fan talebano di Sean Connery, ma se gli citavo “Zardoz” piangeva 😀
        Ah, non ho capito quel passo dove accenni a un film su Dylan Dog: era uno scherzo, vero? Non è stato mai fatto un film su Dylan Dog! Neanche due!

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      • Vasquez ha detto:

        C’è sicuramente su Raiplay ma io non sono riuscita a ritrovarla, e comunque è inquadrato sempre e solo Valerio, l’intervistatore rimane fuori campo 😀 (e non so nemmeno se è andata in onda tutta).
        Se riesci prenditi dieci minuti per leggerla eventualmente, perché non è che citi “Zardoz” così, “en passant”, come a dire: sì c’è anche quello, e ciao. No no: “Zarzoz” era il suo film di fantascienza preferito!

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Davvero???? Quello col faccione volante e gli uomini vestiti da Borat? 😀 Allora Valerio sicuramente non era uno che se la tirava con la fantascienza fighetta, quella da rappresentanza, ma andava a ravanare nel torbido. Devo approfondire.

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      • Vasquez ha detto:

        No decisamente non se la tirava, e merita il tuo approfondimento 😉

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      • Giuseppe ha detto:

        Gli audio-sceneggiati su Dylan, che mi hai ricordato! A proposito, ma non c’era nessun film su Dylan Dog da dimenticare, Vasquez, visto che un film su di lui NON è mai esistito (nel 2011 NON l’hanno girato, proprio per niente) 😛
        E Evangelisti merita di essere recuperato, di sicuro (Il Ciclo di Eymerich, Magus e Metallo Urlante sono fondamentali)! Se non ricordo male, poi, in un’intervista di molto precedente a questa aveva citato anche alcune serie storiche degli anni ’60 e ’70 come “Il prigioniero”, da lui particolarmente apprezzato, e i prodotti di casa Anderson come “Spazio 1999” e “U.F.O” con parole non esattamente benevole verso quest’ultimo in particolare: va detto che la serie completa e senza censure da noi passò per la prima volta solo nel 2000, mentre lui si riferiva agli episodi trasmessi all’epoca, ancora del tutto ignari di un colpo di scena ribaltante la premesse iniziali che forse gli sarebbe persino piaciuto… e “Zardoz” piacque pure al sottoscritto, pur senza arrivare a definirlo il mio preferito 😉

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      • Vasquez ha detto:

        Sinceramente “Zardoz” dovrei rivederlo per poter esprimere un giudizio oggettivo oggi.
        Adoravo “Spazio 1999” (ce n’era un’altra che passava più o meno nello stesso periodo che pure mi piaceva: “Zaffiro e Acciaio” ma la ricordo veramante poco), solo che non so che effetto potrebbe farmi rivederla adesso. La cosa veramente importante di quello che dice Evangelisti secondo me non sono i suoi gusti, ma il fatto che parli con cognizione: non esclude a prescindere ciò che altri non si degnerebbero neanche di nominare; può dire tranquillamente che “Spazio 1999” non gli è piaciuta perché l’ha vista; ha visto “Zardoz” e gli è piaciuto, e pure parecchio, e questo forse è più emblematico 😛
        Ancora non ho letto niente di suo ma mi piace a prescindere 😜

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      • Giuseppe ha detto:

        E se già ti piace a prescindere vedrai quando comincerai a leggerlo 😉
        “Spazio 1999” l’ho rivisto di recente e, ti dirò, mi ha fatto piacevolmente tornare indietro nel tempo (tra l’altro lo stesso Evangelisti affermava che, se non altro, la serie “aveva episodi certo più intelligenti di quelli di U.F.O”, citando fra gli esempi positivi “Sole nero”)… peccato però per la seconda stagione, non proprio riuscita quanto la prima.
        “Zaffiro e Acciaio”? Affascinante, enigmatica e capace di inquietarmi assai, ai tempi. Ma pure oggi, a dirla tutta…
        http://www.vicolostretto.net/zaffiro__acciaio.html
        https://wwwwelcometonocturnia.blogspot.com/2013/02/zaffiro-e-acciaio.html

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        E pensa che la seconda stagione di “Spazio 1999” è quella che ricordo maggiormente, quand’ero un piccolo Etrusco sensibile alle trasformazioni della mutaforma ^_^

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Ah, ottima dritta! Vista la recente scomparsa dai Evangelisti sarebbe l’occasione giusta per riprendere in ordine la saga del suo Eymerich, che ho iniziato una ventina d’anni fa fermandomi credo a metà del secondo.

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  8. Sam Simon ha detto:

    Wow, che viaggio! Una meraviglia multimediale, grazie Vasquez!

    Io vorrei spezzare una lancia a favore del Dick romanziere. Posto che pure lui preferiva i racconti brevi, secondo me Dick è uno di quegli autori che più leggi e più ti piace perché con tutti i suoi scritti crea un mondo narrativo coerente e in continua espansione. Per esempio prendi i precog: ci sono in moltissimi suoi lavori, ma non è che ogni volta ne spieghi per filo e per segno chi siano e cosa facciano. Grazie anche a questo secondo me nei racconti riusciva ad essere più ficcante, poteva appoggiarsi sul resto della sua letteratura e andare al sodo!
    E siccome nei romanzi espandeva ancora di più questo suo mondo (magari in modo dispersivo, come hai osservato) e io quel mondo lo adoro, a me piace leggere Dick in ogni suo scritto. :–)
    Di sicuro Scott è riuscito a scovare un nucleo affascinante nel romanzo di Dicl, se avesse riportato tutto sullo schermo probabilmente sarebbe uscito fuori un pastrocchio, gliene va dato atto.

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    • Vasquez ha detto:

      Sicuramente trasporre il romanzo mantenendo quei temi lì avrebbe reso il film troppo deprimente (già che non è che sia molto allegro pure così, ma comunque…); è stata raccontata più o meno la stessa storia ma, oh! in che modo! e Scott è stato fortunato perché aveva per le mani appunto una sceneggiatura che ha saputo cogliere il lato più intrigante del libro, lui poi ci ha messo il suo “occhio” per la fantascienza, che poi è quello che dovrebbe fare e si ostina a non fare: ossia girare film di fantascienza lasciandoli scrivere a chi sa farlo.
      Per quanto riguarda i romanzi di Dick, credo sia proprio una questione di gusti: ci ho provato tante volte e l’intenzione è di riprovarci, perché non mi arrendo, perché voglio capire, è tanto che non (ri-)prendo in mano un romanzo di Dick, perché in passato li ho letti più di una volta. Letti e dimenticati, mi perdo, letteralmente.
      Ma adoro i suoi precog, sapeva inventarsi facoltà extra-sensoriali fantastiche!
      Grazie mille a te, Sam Simon 😊

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        “La città sostituita”, non so perché ma ho avuto un flash, e qualche mia cella di memoria si è assestata: quello è il titolo di un altro romanzo di Dick che ho provato a leggere e ho mollato, che proprio non mi è piaciuto. Il bilancio dunque è negativo:
        – “Il disco di fiamma”, piaciucchiato
        – “La città sostituita”, abbandonato
        – “Noi marziani”, odioso, odiosissimo!
        Quindi per ora sono della fazione “solo racconti” 😛

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      • Sam Simon ha detto:

        Io ne lessi una quindicina tutti insieme nel giro di due o tre anni, e me ne innamorai. Ho recentemente riletto Ubik e mi ha confermato tutto il mio amore per questo autore, di fatto ho già voglia di leggerne altri.

        Comunque sì, Scott visivamente è nel suo, se poi ha delle buone sceneggiature su cui appoggiarsi può tirar fuori cose buone, come ha fatto con Blade Runner!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Nelle interviste del ’79-’82 Scott raccontava apertamente che la sua più grande passione era la costruzione di mondi futuri, mondi “altri”, per questo quando O’Bannon gli ha messo sotto gli occhi “Heavy Metal” (cioè la versione americana di “Métal Hurlant”) Scott è impazzito: disegnatori come Moebius e Foss condividevano con lui la stessa geniale visione dell’inquadratura che sapesse rendere non solo l’alterità degli ambienti ma anche la maestosità. (Quella che gli effetti speciali contemporanei hanno completamente spazzato via, perché anche l’ambiente più grande sembra un semplice sfondo del desktop.)
      Dalle sue interviste d’epoca – ma anche quelle seguenti – è chiaro che a Scott del contenuto interessa poco, ad esclusione del tema “incontrare il Padre”, che infatti in Blade Runner è presente. A lui interessava la costruzione di nuove realtà e anche i più forti detrattori e odiatori del film (come me!) non possono negare una visione cinematografica così potente da aver influenzato pesantemente tutto l’immaginario collettivo occidentale successivo. Semmai tirerei le orecchie ai registi che dal 1982 in poi sono stati totalmente incapaci di inventarsi qualcosa di diverso dal solito “futuro bbuio alla Blade Runner”. (A parte Cameron, che quando era Cameron è andato così oltre che i bastioni di Orione manco si vedevano più 😛 )

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      • Sam Simon ha detto:

        Eh si, però non si può recriminare a Scott di aver influenzato chi è venuto dopo di lui, mica è colpa sua. È un regista che non apprezzo, ma gli riconosco quei tre ottimi film a inizio carriera e un talento visivo unico. Cameron per me è mille volte superiore, questo è chiaro!

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Infatti le orecchie le tiro ai registi che non sono capaci di staccarsi dal solco lasciato da Scott 😛
        Dal punto di vista visivo faccio tanto di cappello a Scott, anche nei suoi film peggiori comunque la parte visiva è sempre molto ben curata e con scene che se non fosse per la sceneggiatura delirante sarebbero da applauso. Il problema è che sceglie sempre sceneggiatori pessimi, quindi è un lancio di dadi: alcune volte (pochissime) va bene, altre (quasi tutte) va male. Ma per fortuna dal ’79 ad oggi la Fox è sempre ben contenta di buttare via centinaia di milioni di dollari senza incassare niente, quindi Ridley sta tranquillo 😀

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      • Sam Simon ha detto:

        Ha dei protettori produttori potenti, che gli frega a lui del box office? :–D

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