La nostra amica Vasquez, la Colonial Marine del Zinefilo, parte per una nuova missione: all’inseguimento dei sogni elettrici di Philip K. Dick.
L.
I sogni elettrici di Philip K. Dick
(parte quinta ed ultima)
di Vasquez
Episodio 9
Safe and Sound
Il racconto: Foster, sei morto
(Tutti i racconti 1955-1963, Fanucci 2009)
Tutti ci tengono ad essere accettati, a conformarsi a tutti gli altri per poter far parte del gruppo. Specialmente se si è un ragazzino in età scolare. Mike Foster vorrebbe tanto avere un rifugio anti-atomico come tutti, ma suo padre non è registrato alla Difesa Civica, e lui non ha nemmeno il permesso per accedere al rifugio della scuola. In caso di guerra, tutte le vaccinazione che gli hanno fatto non servirebbero a nulla: nessun posto in superficie è sicuro, ed essere immune alle malattie è perfettamente inutile se non si possiede un rifugio.
Se avesse un rifugio Mike Foster ci andrebbe a dormire tutte le notti. Ci si sentirebbe perfettamente al sicuro. Ma suo padre dice che costano troppo, e che comunque è tutta una truffa. Hanno fatto in modo che la gente si senta costantemente in pericolo, che aleggi in continuazione un senso di insicurezza, trovando così il sistema di vendita perfetto con lo slogan perfetto: “Compra o muori”. Nuovi modelli di rifugi tutti gli anni, e poi adattatori: griglie metalliche che intercettano le pallottole a trivella (bore-pellets). O scudi contro i fiocchi a micropallini (grain-impregnation flakes). Le armi migliorano continuamente, il progresso non si ferma, e bisogna stare al passo. Comprare rifugi, comprare adattatori, comprare, comprare, comprare. E finalmente un bel giorno anche il papà di Mike Foster fa il suo bell’acquisto di un rifugio ultimo modello – serie 1972 anche se siamo ancora nel 1971 – alla modica cifra di ventimila dollari (col sovrapprezzo di duecento dollari per la consegna a domicilio).
Perfetta attualizzazione della storia dickiana, con il «DEX» al posto del rifugio. Senza un DEX ormai non si può fare più nulla: serve per scuola, serve per far sapere di essere al sicuro in caso di attentato terroristico, serve per comunicare. E Foster (qui un’adolescente rossa di capelli, interpretata da Annalise Basso) ne vuole assolutamente uno, a costo di rubare i soldi dal conto di sua madre Irene (Maura Tierney), che invece è decisamente contraria: è un dispositivo di monitoraggio continuo da parte di chi vuole far credere che ci sia un attentato tutti i giorni, quella è gente che manipola la realtà come gli fa più comodo. I DEX non servono per protezione come dicono, ma per localizzare le persone, che così barattano la loro libertà e indipendenza per una sicurezza di cui in realtà non c’è alcun bisogno.
Ma se un’adolescente si mette in testa qualcosa, non c’è molto da fare perché cambi idea. E così Foster riesce a procurarsi il suo primo DEX. Anche se non lo sa usare benissimo, e infatti deve ricorrere all’aiuto di un operatore umano. Solo che quando parla con lui sembra che stia parlando da sola. Va be’, ma lei ha l’ultimo modello: soltanto lei può sentire il suo operatore. Solo che… suo padre parlava da solo, sentiva le voci, e non si sa come, lei adesso si ritrova a parlare con le formiche, ma la cosa ha perfettamente senso perché le antenne delle formiche amplificano il segnale del suo DEX, e quello che le sta dicendo Ethan – il suo operatore – è logico e razionale.
Peccato per le sequenze finali di questo episodio, stavo quasi per eleggerlo a mio preferito.
Episodio 10
The Father Thing
Il racconto: La cosa-padre
(Tutti i racconti 1954, Fanucci 2008)
Questo racconto può essere riassunto nella frase: “L’invasione degli ultracorpi dal punto di vista di un bambino”. Charles è andato a chiamare suo padre in garage per avvertirlo che la cena è pronta, solo che si è trovato di fronte due papà, e non ha saputo decidersi su quale dei due chiamare, così è scappato in casa. Quando la famiglia si è ritrovata seduta a tavola, Charles è rimasto senza parole, bianco come un lenzuolo, perché quello di fronte a lui è l’altro. Non è suo padre: è una cosa-padre. E suo padre che fine ha fatto? E perché sua madre non si è accorta di nulla?
La cosa più spaventosa di tutte però, è che la cosa-padre sa che lui ha capito, e quindi Charles è costretto a scappare e a cercare aiuto. Ma cosa può fare un bambino contro una cosa come quella? E se un giorno arrivasse anche una cosa-madre?
The Father-Thing è la prova provata che non c’è bisogno di fare i nostalgici dei finti anni ’80 per mettere dei ragazzini in un contesto soprannaturale. La cosa si può fare anche con la generazione digitale che sta venendo su adesso. E a quanto pare oltre a Stephen King, anche Philip K. Dick aveva qualcosa da raccontare su come i bambini affrontano certe situazioni, che siano di questo o di altri mondi (e sono rimasta piacevolmente sorpresa di questa trasposizione del racconto). Io ho gradito “Stranger Things” (a cui purtroppo non si può fare a meno di pensare guardando questo episodio), e probabilmente vedrò anche le stagioni a seguire, ma si deve ammettere che con la sua mania citazionistica e l’effetto nostalgia acchiappona dopo un po’ ci si sente satolli, rimpinzati, saturi e anche un po’ nauseati. E infatti non rivedrei neanche un episodio di “Stranger Things”. A posto così, grazie. Invece rivedrei questo, anche solo per Greg Kinnear, che stagionandosi un po’ non solo è migliorato, ma ha preso a somigliare a Stephen King, tanto per rimanere in tema.
È impressionante come in poche pagine Dick riesca a mettere in piedi interi universi e a lasciar intuire quanto siano vasti. Si ha continuamente la percezione che, avendone la possibilità, ci sarebbe da esplorare per una vita intera. A parte gli ovvi progressi che ci sono stati nei dispositivi tecnologici (ma la cosa non pesa più di tanto, perché non è che Dick ne facesse un grande uso nei suoi scritti) rileggendo questi racconti ho apprezzato – di nuovo – la loro scorrevolezza, la loro attualità, e la loro freschezza: molti sembrano stati scritti ieri invece che oltre mezzo secolo fa. Inoltre non si può fare a meno di notare come in tanti cerchino ancora di pescare dai suoi mondi.
Questa serie può sembrare poco originale, perché uscita dopo “Black Mirror” ad esempio, visto che oltretutto alcuni dei temi sono simili. La sensazione che ho avuto io invece è che sia stata “Black Mirror” ad andare a spulciare tra gli scritti dickiani per vedere se c’era qualcosa d’interessante.
I racconti dello scrittore californiano sono inarrivabili. Sono condensati di mondi: con pochi tratteggi l’autore riesce a creare un immaginario che difficilmente lascia indifferenti, mantenendo però quello sfaldamento della realtà, quell’ambiguità di situazioni che lo caratterizzano: vero/falso, umano/non umano, realtà/allucinazione, apparenza/sostanza. E mi ha fatto molto piacere constatare che “Electric Dreams” in questo è perfettamente riuscita.
Senza cercare di arruffianarsi il pubblico con citazioni malinconiche, senza dover per forza stupire con grandiosi effetti speciali e colori ultra-vivaci, ma lasciando spazio all’immaginazione, e soprattutto riuscendo a mantenere quella sensazione di indefinito, di realtà offuscata, di straniamento, che Philip K. Dick metteva dappertutto, forse perché lui stesso si sentiva un po’ fuori posto in questa realtà, e quindi è andato ad esplorare altri mondi al posto nostro.
V.
Ringrazio di cuore Vasquez per questa sua “missione” e sono convinto che Phil avrebbe apprezzato.
L.
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“Black Mirror” ha sicuramente pescato a piene mani da Dick, concordo poi su “Strane Cose” e tutto il discorso, intanto vedrò di finire questa serie, grazie mille per l’ottima analisi con dovizia di argomentazioni 😉 Cheers
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Grazie a te, dei complimenti e per essere arrivato fin qui 😉
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Il merito è tutto tuo, siamo arrivati fin dove hai saputo egregiamente portarci 😉
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Sempre gentile Giuseppe, mille grazie! Che posso dire? Speriamo che prima o poi arrivi una seconda stagione, così da farci portare da Dick ancora più lontano 😉
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Ecco, il suggerimento glie l’abbiamo dato… adesso sta a loro pensare al resto 😉
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Esprimo il mio doppio piacere: in primis per gli episodi trattati oggi, che ho visto ed apprezzato (sul primo mi ero già pronunciato in un commento precedente) e in secundis sull’intero ciclo, il fatto che abbia iniziato a vedere la serie credo sia la miglior controprova di quanto affermato!!! 🙂
E concordo con le osservazioni finali: Dick, con pochi tratti, senza bisogno di effetti eclatanti, direi con la forze delle idee e della sapiente costruzione delle situazioni, apre le porte di mondi affascinanti (ed inquietanti) e al contempo hanno fatto un lavoro di trasposizione/attualizzazione davvero lodevole! 🙂
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Spingere Willy a vedere una serie TV è la più alta medaglia da appuntare al valor colonial militare di Vasquez ^_^
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Lietissima degli apprezzamenti, sia per la serie che per questo mio (piccolo) omaggio al grande Philip 😊
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