Missionary Man (2007) Don’t mess with Dolph Lundgren


Non vorrei che il deludente risultato di Castle Falls (2022) mettesse in discussione le qualità registiche di Dolph Lundgren, il nostro svedese preferito che invece da lungo tempo ha dimostrato che sa divertirsi davanti e dietro una cinepresa: inoltre è chiaramente un estimatore dei nostri Ciprì e Maresco, visto che palesemente cerca di ricrearne lo stile, come in questo film che rispolvero.

Oggi è un nome ben noto a chi bazzica i filmacci, ma all’epoca la Stage 6 Films (“figlia” di serie Z della Sony Pictures) apriva i battenti puntando proprio sul Dolph: ci sarà tempo nel 2008 per altri eroi appannati come Seagal e Van Damme, Val Kilmer e Robert Englund, Stephen Dorff e Casper Van Dien, Wesley Snipes e Cuba Gooding jr., per seguiti come Boogeyman 3 o Vacancy 2, prima di quell’esplosivo 2008 in cui la casa si è imposta come il meglio del peggio in circolazione, il 2007 è tutto per il nostro svedesone che fa malone.

La Stage 6 Films apre dunque l’attività distribuendo Missionary Man. “Mamma” Sony Pictures lo porta in DVD italiano nel 2008 con lo stesso titolo.

La grafica dei titoli di testa non è delle migliori

Un biondo di due metri entra in un bar e, mentre sfoglia la sua Bibbia, ordina una tequila, senza lime e senza sale: così, a pelo! E la Bibbia… muta!

Così gli svedesi ingollano tequila

Chi è questo “straniero senza nome” che arriva dal nulla sul suo cavallo di ferro e porta giustizia in un paesino in mano ai cattivi? È esattamente quanto appena descritto.

Lo straniero entra in città in groppa al suo cavallo

Non è facile trovare informazioni su Dolph, perché dal 1985 tutti gli chiedono solo di Rocky IV, ignorando le decine di altri suoi film, ma la mia idea è che una volta esordito come regista con The Defender (2004) il nostro Dolph ne abbia voluto sempre di più, volendo però anche “sperimentare”. Solo così mi spiego l’abissale differenza fra titoli come The Mechanik (2005) o Command Performance (2009), prodotti di tutto rispetto girati per la blasonata Millennium Films, e robe alla Ciprì e Maresco come questo Missionary Man.

Varando la sua casa “figlia”, la Sony non vuole spendere i soldi che invece spende la Millennium, e secondo me Dolph l’ha convinta facile facile: dammi due milioni di dollari, un budget che più basso non si può, e ti giro un film con quattro gatti in una cittadina.

Dolph ha mantenuto l’impegno e dall’anno dopo la Stage 6 Films ha alzato di parecchio i budget per i film: anche se, ingrata, non l’ha mica richiamato Dolphone nostro! Che però si è consolato con il budget da cinque milioni che la CineTelFilms gli ha dato per il delizioso Icarus (2010).

Avendo dunque in mano nient’altro che i soldi del Monopoli, Dolph deve fare di necessità virtù, e invece dei film d’azione “normali” a cui è abituato mi si fa “d’autore”, con immagini quasi del tutto prive di colori, una fotografia semi-amatoriale ma con inquadrature ardite.
Di nuovo, è solo un mio pensiero, ma magari Dolph ha voluto provare una via diversa di raccontare un canone che più canone non si può.

State tranquilli, Dolph la trova sempre una scusa per stare a torso nudo

La storia infatti è la solita, un western classico con lo straniero che arriva in paese per riparare dei torti, colpire il solito boss che vuole comprarsi la terra dei bravi contadini, scazzottate, sparatorie e cavalcata finale verso il tramonto. Dolph rifà tutto identico, ambientandolo a Waxahachie (Texas) con tanto di veri nativi americani nel ruolo delle brave vittime e con tanto di cavalcate, anche se a dorso di motociclette.
Qualcuno impugna anche una Colt, ma al momento opportuno il nostro eroe ricorre a fucili molto poco western.

Questo lo chiamerei un Missionary Standoff

La morte di un ex commilitone spinge l’eroe ad arrivare in paese, portando con sé un fucile Remington 870 a manico segato (mi spiega l’IMFDb): è l’arma con cui i cattivi gli hanno sparato, credendo di lasciarlo morto. Il “missionario” quindi porta con sé la Bibbia ma anche la vendetta.

— Allora, che hai intenzione di fare, eroe?
— Ti chiederò di implorare il perdono del Signore, ma non prima di aver spiaccicato questo ginocchio su quel brutto naso.

Secondo voi, Dolph che si scrive da solo un film può evitare di mostrarsi gagliardo e fico?

È impossibile per Dolph non mostrarsi gagliardo e fico

Divertendosi un mondo a gigioneggiare a favor di camera, nel ruolo dell’eroe invincibile arrivato a raddrizzare torti, Dolph dimostra che si può fare un filmaccio ma con velleità artistiche e tanto divertimento. E “frasi maschie”, ovviamente.

«Forse ne uscirà qualcosa di buono, dopo quello che farò qui.»

Sempre se rimarrà qualcuno vivo in città.

Io ti spiaro in due!!!

Di sicuro è un film anomalo, per via del suo stile visivo decisamente diverso da un prodotto d’azione dell’epoca (ma in realtà di tutte le epoche!), ma forse è proprio per questo che Missionary Man si distingue nella filmografia dello svedesone nostro, che magari con Castle Falls e i relativi problemi produttivi voleva tornare ad ottimizzare un basso budget con un prodotto più “d’autore”, secondo me fallendo il bersaglio.

Non posso che chiudere con Missionary Man (1986) degli Eurythmics, in cui una Annie Lennox mozzafiato ci mette in guardia: You can fool with your brother / But don’t mess with a missionary man.

«Black eyed looks from those Bible books
He’s a man with a mission, got a serious mind.
»

L.

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7 risposte a Missionary Man (2007) Don’t mess with Dolph Lundgren

  1. Cassidy ha detto:

    Lo avevo visto ai tempi, una bombetta mi aveva divertito molto, hai fatto bene a ripescarlo dopo il titolo della scorsa settimana ci voleva un po’ di Dolph giusto per compensare 😉 Cheers

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  2. Willy l'Orbo ha detto:

    La fotografia dai colori “smorti” e i toni western potrebbero scoraggiarmi ma, quando si parla di Dolph, non c’è kryptonite che tenga quindi, pur nella sua natura di prodotto minore, me lo vedrò con gioia, curiosità, aspettative…e voglia di gustarmi lo svedesone che “li spiara in due”!!! 🙂

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  3. Giuseppe ha detto:

    Un Dolph d’autore prima decade Duemila (che, tra l’altro, non ricordo di aver già visto o meno) e, contemporaneamente, l’esordio della famigerata Stage 6 Films: accoppiata esplosiva, direi… 😉

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  4. Pingback: Seagal 9. – L’ultimo killing point della notte | Il Zinefilo

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