Session 9 (2001) Benvenuti al Danvers Mental Hospital


Settembre è finito, con il suo omaggio al fumetto “Dampyr“, con un’avventura notturna in una vera misteriosa struttura abbandonata a caccia di paranormale: però ottobre è il mese dei fantasmi e dello spavento, quindi perché non continuare ad andare tutti… armanicomio?


Nascita e produzione

Nel luglio del 2016, in occasione dell’imminente uscita in Blu-ray di Session 9 per Scream Factory, il giornalista Michael Doyle di “Rue Morgue” (n. 168) va ad intervistare il regista e sceneggiatore Brad Anderson, il cui film è così apprezzato dalla rivista da meritare addirittura la copertina.

Doyle ci spiega che il film è girato al “leggendario” Danvers State Mental Hospital in Massachusetts, costruito nel 1871, chiuso dai tagli di Ronald Reagan nel 1985 e dopo decenni di abbandono dal 2006 è diventato un grande condominio. Immagino dopo lavori di restauro migliori di quelli mostrati nella vicenda.

Come ogni altro manicomio anche qui gira voce facessero un po’ troppe lobotomie e pare – secondo il giornalista – che Lovecraft si sia ispirato a questa struttura per il suo celebre Arkhyam Sanatorium del racconto La cosa sulla soglia (1937). In realtà in un frammento autobiografico del novembre 1934 (raccolto in “Lovecraft su Lovecraft”, mammut Newton Compton 2011), lo scrittore afferma chiaramente di essersi ispirato alla città di Salem (sempre nel Massachusetts ma molto più a sud) per la sua Arkham, città munita di università, di biblioteche piene di misteri e ovviamente del noto manicomio.

Il giornalista nota come i distributori americani abbiano gestito male l’opera – fra le prime ad essere girate in digitale e poi passate in pellicola 35 mm – e invece ci assicura che oggi è «uno dei più inquietanti e meglio creati horror d’atmosfera del nuovo millennio». Va be’, so’ gusti…

Anderson racconta che ha vissuto a Boston per diversi anni e ogni volta che passava davanti a quell’enorme manicomio abbandonato pensava sempre che sarebbe stata l’ambientazione perfetta per un film horror, finché un giorno insieme all’amico Steve Gevedon decide di realizzare questa fantasia. Contattati degli appassionati locali che organizzavano una sorta di “gita turistica” in luoghi abbandonati o “infestati”, i due aspiranti cineasti si ritrovano a visitare dall’interno, illegalmente, l’enorme struttura.

Aggirarsi fra i corridoi oscuri di un manicomio abbandonato fa subito venire tante idee ai due, che tornati a New York cominciano ad organizzare il film. Visto che non c’è un soldo a disposizione, chiaramente Anderson non può ricreare in studio le ambientazioni: «Danvers was the movie» specifica, il film poteva esistere solo se girato nel vero ospedale di Danvers: malgrado l’elevata quantità di amianto, i tetti traballanti e mille altri problemi, il regista riesce incredibilmente ad ottenere il permesso di girare in alcune parti della struttura, quelle meno pericolose.

Gli oggetti di scena portati sul set o costruiti sono pochissimi, rivela Anderson: la maggior parte di ciò che si vede in video è tutto materiale trovato sul posto. I pazienti sono stati tutti dimessi velocemente quindi c’erano diverse stanze con foto ancora attaccate alla parete: quella mostrata nel film è sì una composizione ma si basa su vero materiale. Così come è verissimo il cimitero al fianco del manicomio, in cui Anderson si è limitato ad aggiungere la tomba di Mary Hobbes.

Gli attori originali per il progetto erano altri, per esempio nel ruolo di Phil era stato ingaggiato Paul Giamatti ma all’ultimo non ha potuto partecipare e una settimana prima delle riprese hanno trovato David Caruso. Il protagonista avrebbe dovuto essere John C. Reilly o Vincent D’Onofrio, ma entrambi hanno rifiutato l’invito: comunque, dice Anderson, adora Peter Mullan sin da quando l’ha visto in My Name is Joe (1998) per cui è stato contento di averlo a bordo, malgrado sembri di capire sia proprio l’ultima scelta. Il progetto sin dall’inizio prevedeva un protagonista bostoniano, invece si sono ritrovati un attore scozzese!

Alla fine viene ben specificato che il film è “cresciuto” con il tempo, che cioè alla sua uscita è stato un tonfo – IMDb parla di 1,5 milioni di costo contro un ricavo in patria di neanche 400 mila dollari! – e solo molti anni dopo è stato maggiormente apprezzato dai fan, a posteriori. «Un esercizio davvero spaventoso di demenza filmica a basso costo» è il commento più “delicato” della stroncatura che “Deep Red” (inverno 2002) dedica al film, mentre sin da subito “Rue Morgue” gli dedica parole lusinghiere, e non è l’unica: Ray Garton su “Cemetery Dance” (n. 41, 2002) dà voto 3 su 4 al film che recensisce insieme (dandolo per simile) ad Audition (1999) di Takashi Miike: andiamoci piano, Ray, non esageriamo.

Ricevuto il visto italiano il 23 agosto 2001, il film esce nei nostri cinema nel momento peggiore in assoluto: settembre 2001. Con tutti gli occhi fissi sui TG che mostravano le Torri Gemelle crollare, con la paura di un’imminente guerra, temo che davvero pochi italiani siano andati in sala a farsi spaventare dai fantasmi.
Medusa lo porta in VHS e DVD dal gennaio 2002.


Cinque personaggi
in cerca di sceneggiatura

C’è un vecchio manicomio da smantellare, chiamato Dimora Kirkbride (Kirkbride Building) ma la descrizione è in tutto identica a quella del Danvers, con però un’informazione in più: è fatto a forma di pipistrello! Le “ali” sono i reparti maschile e femminile.

Il manicomio-pipistrello: quanti Batman ci saranno stati ricoverati?

Come al solito bisogna smantellarlo e l’appaltatore mostra la zona ai soliti quattro gatti che dovranno fare un lavoro titanico. La curiosità della premessa è che Paul Guilfoyle, appena entrato fisso in “C.S.I.: Scena del crimine”, spiega il lavoro a David Caruso, che l’anno successivo sarà protagonista di “C.S.I.: Miami”.

Una volta qui era tutto “C.S.I.”

Gordon (Peter Mullan) ha bisogno di questo lavoro e si mette d’accordo con l’appaltatore: sotto-banco gli garantisce che farà tutto in una sola settimana. A forza di vedere questi spunti dovrei esserci abituato, ma ancora non capisco come tre tizi possano gestire un lavoro così enorme, ma probabilmente è colpa mia che non ho mai lavorato nell’edilizia.

Gordon garantisce dunque che il lavoro verrà portato a termine in tempi record, non solo con i suoi colleghi fissi Phil (David Caruso) e Hank (Josh Lucas), due scansafatiche di caratura olimpica, visto che non sono MAI ritratti a lavoro, ma ora arrivano gli aiuti, quelli seri: il nipote di Gordon, un ragazzetto che ogni due cose che fa ne sbaglia tre, e Mike (il co-sceneggiatore Stephen Gevedon) che, pure lui, non lavora mai. Visto che neanche Gordon fa una mazza di niente se non stare seduto, guardare il vuoto e toccarsi la testa, sono sempre più convinto che questi appalti edilizi siano davvero una gran fregatura per chi li lancia.

Ecco Gordon al massimo del suo impegno lavorativo

Si parte, è lunedì e abbiamo tempo fino al lunedì successivo per smantellare un palazzo grande quando una città, e i nostri eroi sono già pronti: uno è sdraiato lì, uno fuma, uno legge, uno dorme, tutti parlottano, litigano, cazzeggiano. Insomma, è chiaro che in questo film non si lavora mai. Forse perché i protagonisti già lo sanno che nessuno arriverà vivo al lunedì successivo, perché affaticarsi?

Quello che i cinque scansafatiche non sanno, infatti, è che nelle buie profondità dell’edificio si aggira un’entità misteriosa e totalmente inconsistente: lo sceneggiatore! Paura, eh?
Questa entità aleggia ma non si concretizza mai, neanche per un secondo prende un foglio per scrivere un dialogo fra personaggi che abbia un minimo di senso, limitandosi a spingerli nei più oscuri e asfittici luoghi comuni, del tipo “Tu resta qui”, o “Io scendo un attimo in cantina”. Cioè quel tipo di sceneggiatura in cui nessuno può sentire urlare di dolore lo spettatore.

Si dice che qui aleggi uno sceneggiatore, ma nessuno l’ha mai visto all’opera

Mentre i lavoratori fanno tutto tranne che lavorare, Mike si apparta facendo la faccia di uno che ha un segreto dentro, che proprio gli preme per uscire: avete presente quando proprio vi sentite in pancia un peso che non vedete l’ora di sgravare? Ecco, quella faccia lì.

Non sappiamo chi sia Mike, perché sappia molte cose sull’edificio, sulle sue stanze e sul contenuto dei suoi archivi, non sappiamo perché stia cercando ciò che sta cercando, ma tranquilli: non sappiano neanche cosa stia cercando. Semplicemente un momento fa finta di fare il muratore, il momento dopo è negli archivi segreti su nastro che analizza le sessioni di uno psichiatra che interroga Mary Hobbes, donna dalla personalità multipla. Se tutto questo vi fa nascere delle domande – del tipo “E chi minchia è Mary Hobbes?” – tenetele dentro di voi, perché non avranno mai risposta alcuna.

Il mistero misterioso del titolo misterioso, come se invece tutto il resto fosse spiegato

Gordon con la faccia di un demente si aggira come un matto, fa cose prive di senso, anzi diciamola meglio: non fa proprio nulla. Guarda su, guarda giù, fa le facce strane… ah, ecco a chi si è ispirato Caruso per “C.S.I.: Miami”! Il suo era una cripto-citazione del demente protagonista di questo film!

Well, who are you? (Who are you? Who, who, who, who?) (cit.)

Intanto Phil litiga con tutti, fa cose misteriose, non sappiamo perché le faccia, poi Hank scompare e tutti gli spettatori si chiedono: ma Hank chi? Tanto è lo spessore della sceneggiatura. Mi pare quello coi baffi, è la risposta più sensata.
Intanto il film è quasi finito, e il regista-autore si rende conto che sarebbe ora di cominciare: via, tutti a correre al buio, soprattutto chi ha paura del buio. Perché è assolutamente plausibile che l’unico della comitiva con la nictofobia si lanci da solo nei più bui corridoi dell’edificio. Intanto altri vanno di qua, vanno di là, “Tu rimani qui”, “Io scendo in cantina”, colpo di scena ridicolo e inspiegabile e fine del film.
Ah, adoro il senso di liberazione quando finisce qualcosa che non è mai iniziato…

Il film che finisce molto prima di iniziare

Magari sarò matto, un ex paziente del Danvers che ha dimenticato di esserlo, ma non ho capito nulla del finale, il quale peraltro si prefigge (fallendo) di spiegare il mare di robe senza senso che avvengono durante tutto il noiosissimo film: cento minuti di niente perché tanto non c’erano soldi per mostrare altro. Il sedicente “colpo di scena finale” non spiega una mazza di niente quindi credo che Brad Anderson stesso in gioventù abbia passato del tempo in una struttura simile. E non da visitatore.

Come è ormai regola fissa di questo sotto-genere di film horror, la struttura abbandonata in cui si svolgono gli eventi è decisamente più intrigante e spaventosa del film in sé.

L.

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11 risposte a Session 9 (2001) Benvenuti al Danvers Mental Hospital

  1. Cassidy ha detto:

    Ho visto il film due volte, apprezzandolo giusto per l’atmosfera, anche se non me la sento di dire che mi sia proprio piaciuto, magari un giorno lo apprezzerò, forse per quando verrò rinchiuso anche io in qualche struttura 😉 Cheers

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  2. Lory ha detto:

    Ahhhhhh, ma no dai,non è possibile, questo film ce l’ho in lista da un po’ 🤔 pensavo di leggerti con un occhio solo, ma ti ho letto a occhi spalancati, tanto sei stato bravo a non spoilerare 😂
    La domanda è: Peter Mullan, tutta la mia stima, perché ha accettato? Credo proprio che lo depenno, via, che la mia lista è già abbastanza lunga.

    O.t: ieri sera seratona😁

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Non vorrei smontarti, ormai hai capito che i miei gusti sono particolari quindi magari il film non è vuoto come si è sembrato, ma certo se hai una lunga lista di film di sicuro di consiglio di tenere questo in fondo 😛
      Forse Mullan non aveva niente da fare e ha riempito il tempo fissando il vuoto, perché tanto in questo film non fa altro.

      Ieri purtroppo da me Rai4 non si vedeva, maledizione, quindi recupero tutto oggi da RaiPlay 😉

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      • Lory ha detto:

        Ho una lista lunghissima, diciamo che questo può non essere indispensabile 😂, la tua recensione SI.
        Leggo spesso delle bizze della tua TV, peccato 🙄

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        In terra etrusca (cioè nella provincia romana) la RAI dà mille problemi, quando invece un tempo era l’unico canale che si vedeva sempre, ovunque. E proprio Rai4 va a comprare robe a secchiate!

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  3. Willy l'Orbo ha detto:

    Che ricordi! Fu uno dei primi film che vidi quando, con amici, andammo a vivere in casa da soli per motivi universitari. Per “ragioni di contesto” ha un posticino nel mio cuore (che un po’ un manicomio è…ahahah!), tuttavia il fatto che poco mi ricordassi e il tuo giudizio poco lusinghiero mi fanno capire che faccio bene a tenermi stretto il suddetto contesto e a non tentare visioni “rinfrescatrici”! 🙂

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Quando un film acquista un valore sentimentale, legato a un ricordo caro, è sempre cosa buona non rivederlo, per evitare di rovinare il tutto: visto oggi per la prima volta l’ho trovato un film vuoto, ma magari vent’anni fa in altre condizioni avrebbe lasciato anche a me un buon ricordo, fermo restando la non-rivisione successiva 😛

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  4. Giuseppe ha detto:

    Mi sembra vagamente di capire, ma è giusto una leggera impressione, che “Session 9” (con quel finale a suggerire che forse in quelle mura c’è qualcosa di peggiore e più intangibile di una semplice e terrena personalità multipla) ti abbia entusiasmato giusto un tantino meno di quanto sia riuscito a fare con il sottoscritto… Magari sbaglio io, eh 😛 😂

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