Nel 1972 la narrativa d’intrattenimento dà voce alla rabbia popolare e testimonia il crollo rovinoso delle istituzioni: polizia e politica sono colluse con quei criminali che fingono di combattere, quindi la giustizia vera può arrivare solo… da un Punitore.
Visto che la settimana scorsa Warner TV ci ha ricordato la Nikita americana, a questo punto completiamo la panoramica sull’esplosione mondiale che è stato il film di Luc Besson, raccontando di questo strano connubio eseguito in Italia, con successo temo ben al di sotto delle aspettative.
Anticipando film come Sporco weekend (1993) e La prossima vittima (1996), Mario e Vittorio Cecchi Gori producono un curioso ibrido: che succede se il tema del “giustiziere della notte” si fonde con la neonata passione per le donne armate?
Prologo
Donne armate
Vedere personaggi femminili che impugnano una pistola è una consuetudine talmente consolidata che si rischia di dimenticare che non solo non è sempre stato così, ma che è una “invenzione” recentissima, esplosa negli anni Novanta grazie anche a Luc Besson.
Dopo la sua Nikita (1990) persino l’Italia inizia a cambiare sensibilità sul ruolo della donna su schermo, grande e piccolo, e così possono apparire prodotti come Donne armate, un film televisivo in due puntate del gennaio 1991 (ricordo infatti che dal 1990 su suolo italiano hanno successo esclusivamente prodotti televisivi) diretto da una vecchia gloria come Sergio Corbucci, che morirà di lì a poco (1° dicembre 1990).
Non era assolutamente consuetudine presentare sulla TV nazionale, in prima serata, due donne armate di pistola e non intente in storie drammatico-sentimentali: solamente l’esplosione di un’idea nuova poteva scuotere così dal profondo stereotipi arcaici. Un’idea nuova come quella che le donne potessero fare le stesse cose degli uomini: un concetto che per fortuna oggi è ovvio ma lo era decisamente meno nel 1990, quando Nikita di Besson ci ha conquistato tutti. Senza dimenticare la Ripley di Aliens (1986) e la Jamie Lee Curtis di Blue Steel (1990): il primo nel 1992 tornava in TV, il secondo usciva in VHS, proprio in quell’anno che ha visto la nascita della Nikita italiana.
L’angelo con la pistola
Forse memore dei poliziotteschi anni Settanta con cui ha esordito, Damiano Damiani nella sua fase crepuscolare da regista va a ripescare qualche atmosfera e tema d’annata per questo strano ibrido che si trova fra le mani.
Ricevuto il visto italiano il 23 dicembre 1991, nei primi mesi del 1992 esce nelle sale italiane L’angelo con la pistola, ma giusto perché è targato Penta Video (come Nikita): è chiaramente un filmucolo televisivo di nessuna pretesa, girato male e recitato peggio, quindi se fosse stato di qualsiasi altro marchio lo avremmo trovato direttamente negli angoli più bui delle videoteche.
Va in onda su Canale5 in prima visione lunedì 21 febbraio 1994 ed ha conosciuto sia un’edizione VHS che una DVD, ma temo non abbia lasciato molti segni del suo passaggio.
Le immagini di questa pagina sono tratte dal passaggio su IRIS del 30 aprile 2021.
Un esercito di sceneggiatori e soggettisti non è riuscito neanche a partorire un topolino, cioè il nome del protagonista. Va be’, c’è quindi ’sto commissario che chiameremo Commissario (Remo Girone) che vuole dare le dimissioni perché stanco della giustizia che non funziona, attenta agli interessi dei criminali potenti e invece sorda alle sofferenze della povera gente. Poi però succede qualcosa che lo fa ricredere: un famoso avvocato della mala viene trovato ucciso. Che ci sia un “giustiziere della notte” in giro?
Un impegno maggiore gli sceneggiatori l’hanno messo nel personaggio femminile protagonista, di cui sappiamo solo che si chiama Lisa (Tahnee Welch, figlia di Raquel), e basta. Da due o tre fotogrammi sembra di capire che faccia la cameriera, e da una scena di due secondi sappiamo che vive in convento. O forse è un albergo di suore, boh, non s’è capito e non s’è capito perché abbiano buttato lì a caso robe senza alcuna spiegazione.
Un giorno in metropolitana Lisa ruba la pistola di un criminale, va dall’avvocato della mala e lo uccide. Così, di punto in bianco. Come se ammazzare qualcuno a sangue freddo fosse uno scherzetto, senza parlare di tutto il piano che ha ordito, senza che negli anni precedenti la donna si fosse mai dedicata al crimine. Ammazza che sceneggiatura profonda!
La vicenda procede in modo veloce, superficiale e cialtronesco all’italiana, perché bisogna arrivare al succo del film: il Commissario con doti divinatorie da sciamano Navajo capisce in un secondo che è stata Lisa, di cui peraltro era amico da tempo, e le fa una proposta indecente. Perché invece di limitarsi ad aver ammazzato un tizio, non si sa perché, non inizia a farlo per professione? Il Commissario farà finta di indagare invece insabbierà tutto, mentre userà le sue informazioni per indicare a Lisa gli obiettivi da colpire.
Inizia un intenso addestramento di quattro fotogrammi, in cui Lisa con un fucile – che non si sa da dove arrivi – spara a tre sassi e fine dell’addestramento. La cameriera che vive in convento ha una mira che ti spacca il culo ai passeri, quindi può iniziare a fare la giustiziera della notte.
Sempre procedendo senza alcuna ombra di spiegazione, tanto che sembra un’opera astratta, futurista, nascondista (nel senso che la sceneggiatura gioca a nascondino con lo spettatore), Lisa comincia ad ammazzare la gente con una freddezza da Terminator, aiutata dalla totale incapacità facciale dell’attrice, ammettendo che quella sia davvero un essere vivente e non un manichino spostato di scena in scena.
Non sappiamo chi siano le sue vittime, dobbiamo solamente ipotizzare che siano cattivi, ma certo due parole le potevano pure spendere. Invece no, con strumentazione da professionista – tipo una pistola incastonata in una macchina fotografica! – Lisa procede ad eliminare uomini ignoti, fino ad uccidere Maurizio Crossa. Dài, davvero dobbiamo credere che Crozza interpreti un cattivo? Con quella faccia?

Non sono Crozza, lo giuro sui Broncoviz
Finalmente arriva il momento in cui anche Tahnee Welch può unirsi alla schiera di attrici coetanee che hanno indossato il “tubino nero alla Nikita”. (Un giorno dovrò approfondire e scoprire chi l’ha disegnato, perché non se ne parla mai ma è un’idea che ha segnato quegli anni!)
Usando curiose armi che non tengono conto di alcuna distanza, sempre con una mira che non sbaglia un colpo, Lisa fa fuori il cattivone di turno ma poi nasce un dilemma morale, perché l’uomo non era solo a casa, c’è anche la prostituta Teresa (Eva Grimaldi), che Lisa non ha il coraggio di uccidere.
Finalmente finiscono le uccisioni senza senso e inizia il dilemma morale. Uccidere la testimone avrebbe trasformato Lisa in uno di quei criminali che lei uccide, ma lasciando in vita la donna ora è in pericolo, anche se lei per riconoscenza depista le indagini.
Comincia una lunga parte in cui i personaggi usano le loro paresi facciali per veicolare il tormento interiore che li arrovella, perciò c’è solo da ridere amaramente, facendo finire tutto il film in pernacchia.
Ispirazioni e aspirazioni
Mi piacerebbe tantissimo che anche i fratelli Cecchi Gori, Damiani e gli altri autori di questo film all’epoca come me leggessero la testata a fumetti “Il Punitore”, con la coppia formata da Microchip, che trovava le informazioni sui cattivi, e Frank Castle che li ammazzava con apparecchiature sofisticate. Temo però che fosse un’attività propria dei giovani sfigati come me, visto che nei primi Novanta il fumetto era ancora considerato “roba da ragazzini” e molto poco dignitosa, in ogni sua forma.
Molto più facile invece che gli autori abbiano colto al balzo l’uscita di Nikita (1990), che loro stessi avevano distribuito in Italia e il cui tubino nero do per scontato trovi riscontro in quello indossato qui dalla Welch, e nel tentativo di replicare in salsa nostrana il successo francese abbiano fuso il soggetto con quei “punitori italiani” del poliziottesco anni Settanta, in cui c’erano appunto commissari che si dedicavano alla giustizia sommaria, per esempio proprio Confessione di un commissario di polizia al Procuratore della Repubblica (1971) di Damiano Damiani. Il tutto cucinato con il pessimo stile italiano, sia filmico che di scrittura, condito da una sceneggiatura assente ingiustificata.
Il personaggio del Commissario mi dà tanto l’idea di essere la reinterpretazione di quello francese di Tchéky Karyo (peraltro anche lui senza nome!), ma invece del responsabile di un misterioso ente para-statale di giustizia sommaria abbiamo un semplice tutore dell’ordine che decide di saltare la burocrazia e farsi giustizia da solo (come faceva il l’altro commissario di Damiani nel 1971), usando la giovane assassina insospettabile come arma. Per ricordare infatti in che anni siamo, più volte nel film viene sottolineato come sia assurdo che una ragazza possa uccidere un uomo, ci viene data come idea balzana e risibile, giusto per ricordare in che ambiente culturale è uscito il film.
Per finire, mi diverte pensare che la stupidata di far vivere Lisa in un convento, o dove accidenti viva, sia una strizzata d’occhio all’Angelo della vendetta (1981), con la sartina che nel finale si maschera da suora. Visto che entrambi i film hanno un “angelo” nel titolo sarei autorizzato a ventilare questo legame, ma in realtà è altamente improbabile: Abel Ferrara era ancora un nome totalmente indifferente, sebbene in quegli anni fosse distribuito dalla stessa Penta Video, e solo con l’uscita de Il cattivo tenente (1992) diventerà un regista di culto anche in Italia.
Le “ispirazioni” dunque sono buone, sia quelle probabili che quelle improbabili, e così le “aspirazioni”. Sulla carta infatti è ottima l’idea di rendere Nikita una giustiziera della notte, invece che un’assassina a comando priva di volontà propria, ma il problema è che il prodotto è italiano, e quindi è roba che non si alza mai dal suolo.
Se non altro questo pessimo, dimenticabile e dimenticato film – spacciato per cinematografico ma chiaramente un prodotto televisivo – ci ricorda quanto fosse forte la passione dell’epoca per le “donne che sparano” e per i “giustizieri della notte”. Poi purtroppo qualche mese dopo la sua uscita è scoppiata Mani pulite e d’un tratto… puf, i giustizieri sono scomparsi dall’immaginario italiano. Forse per paura che qualche cittadino iniziasse ad emularli…
L.
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Ci sarebbe anche un buon film in questo abbozzo di trama, però Crozza che fa il cattivo non è proprio credibile 😉 Penso che sia andata come hai ipotizzato, fine della prima repubblica e via, messi nel cassetto anche questo film, meglio evitare che dal lancio delle monetine si passasse agli spari. Cheers!
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ahahah appunto! Qui si dice apertamente che per certi criminali di alto livello (cioè ammanicati con la politica), serve solo un colpo di pistola: meglio togliere di mezzo tutto, prima che qualche spettatore si segni l’idea 😀
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Post molto interessante, che mi ha assai sollazzato! Poi Crozza e la Grimaldi certo abbassano il livello del film ma alzano il livello dello spernacchiamento, il che è sempre cosa buona e giusta! 🙂
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Oggi Remo Girone fa solo il vecchio mafioso, come anche nel recente “Io sono vendetta” con Gassman, ma ci sono stati tempi in cui invece lottava per la giustizia, anche in modo sporco.
Purtroppo è un prodotto drammaticamente televisivo, e italiano per di più, quindi siamo ben al di là di qualsiasi confine di buon gusto, ma se fatto meglio/peggio sarebbe una buona Z di gusto 😛
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Capisco e concordo ma aggiungo che per me non esiste confine di buon gusto! Ahahah! 🙂
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La mia impressione è che a Damiani non interessasse proprio nulla di questo filmetto televisivo su commissione: sulla giustizia privata che sopperisce all’impotenza della pubblica giustizia aveva già detto la sua negli anni ’70, senza più sentire chissà quale bisogno di riprendere e attualizzare la tematica solo per virarla a “La femme Nikita” versione italica… diversa nel background e nelle motivazioni, sì, ma purtroppo senza un regista e uno sceneggiatore (del Dardano Sacchetti migliore qui non c’è nemmeno l’ombra) che credessero nel personaggio abbastanza da renderlo credibile.
L’emulazione? Il clima all’epoca era già caldo a sufficienza da rischiar di passare dalle monetine ad altro senza nessun bisogno di “ispirarsi” a modelli fittizi, mi sa 😀
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Penso anch’io sia stato un lavoro su commissione, o comunque non una scelta “di cuore”. Magari i produttori nel loro volere una “Nikita italiana” hanno voluto chiamare Damiani a rifare una storia di commissari giustizieri, visto che gli era venuta così bene nel ’71, ma temo che sia stata una scelta davvero infelice.
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