Dopo aver conosciuto il geniale coreografo marziale Panna Rittikrai, è il momento di conoscere la prima e più fulgida stella uscita dalla sua scuola.
L’esperienza etrusca
14 agosto 2004, per fortuna Roma non è più come negli anni Ottanta, quando ancora si nuclearizzava a Ferragosto: da ragazzo ho vissuto estati in cui mi sembrava davvero di essere Vincent Price nel film L’ultimo uomo della Terra (1964), non a caso girato a Roma nell’estate del 1963. Con il Duemila tutto questo è finito, il termine “villeggiatura” è scomparso dal lessico capitolino e una delle tante crisi succedutesi negli anni ha drasticamente ridotto i giorni di ferie da poter passare fuori città.
Quella vigilia di Ferragosto 2004 Roma era piena di gente, ma nessuno entrava al cinema per vedere Ong Bak, nell’unica settimana in cui ha resistito su grande schermo.

da “La Stampa” del 15 agosto 2004
Avevo attraversato la provincia romana, masticando più di cento chilometri per raggiungere il cinema che lo aveva in programmazione, il mitico Royal nei pressi di San Giovanni dove ho visto la maggior parte dei film con Van Damme nei primi Novanta. E pure Jet Li in Kiss of the Dragon (2001): insomma, il Royal è il cinema marziale ufficiale della Capitale. Infatti ogni volta siamo sempre in quattro gatti, in sala.
Sono onesto, vedere il film su grande schermo non ha cambiato molo, la faticaccia di attraversare la provincia non è valsa la pena, se non per il bel ricordo. Decisamente era andata meglio con Hero (2002), quello sì che merita maledettamente di stare su grande schermo, ma all’epoca vivevo ancora all’Alberone e avevo il cinema dietro casa. Non sapevo che bastava uscire dal GRA perché i cinema scomparissero nel nulla. (Questo non lo dicono negli stupidi inviti a tornare in sala che mandano in TV: prima costruitele, ’ste cazzo di sale!)
Come dicevo, l’esperienza non è valsa la pena, perché Ong Bak è un film di pura marzialità, sicuramente ben curato ma ancora lontano dai fasti cinematografici che di lì a poco questi prodotti thailandesi avrebbero raggiunto: la mia esperienza con il film è stata molto più emozionante e profonda quando l’anno prima l’ho trovato in lingua originale con sottotitoli spagnoli. Non ricordo se l’ho scoperto per caso o se l’ho visto citare in qualche sito, so solo che sui 15 pollici dello schermo del mio PC dell’epoca mi ha dato emozioni molto più forti che su grande schermo in sala.
Fra poco saranno vent’anni da quel mio primo contatto con il film, interpretato da un portento dal nome impronunciabile, Panom Worawit: per fortuna di lì a poco, con il successo internazionale, si sono inventati il nome d’arte Tony Jaa decisamente più comodo da pronunciare.
Dal paesino verso la città
Mettiamo subito le carte in tavola: se il cinema thailandese è così famoso che persino la distratta Italia lo conosce è solo perché a questo film hanno dedicato un’attenzione distributrice ignota a qualsiasi altro prodotto marziale dei decenni precedenti. Se non fosse stato acquistato dalla EuropaCorp di Luc Besson in Europa non l’avremmo mai visto, e se il rapper RZA (da sempre grandissimo appassionato di cinema marziale) non lo avesse pompato e pubblicizzato in ogni dove, forse grandi case americane non sarebbero state interessate all’acquisto. Insomma, il film ha degli angeli custodi di prima grandezza, che purtroppo non hanno fatto lo stesso con altri prodotti asiatici. Quindi Ong Bak non è un film superiore, è solo uno dei pochi asiatici ad aver avuto una distribuzione occidentale di alto livello.
Presentato al Bangkok International Film Festival il 21 gennaio 2003 (stando all’IMDb), Ong Bak (องค์บาก) arriva in Italia nell’agosto 2004 e i distributori si spremono le meningi: come trovare un sottotitolo abbastanza stupido da far mantenere alta la fama di ignominia del nostro Paese? Ah ecco, ci siamo: Nato per combattere. Ah, la grande creatività italiana famosa in tutto il mondo…
Non so se nella Thailandia rurale esistano davvero competizioni del genere, ma la scena che apre il film mi sembra troppo un omaggio a quella che apre I due cugini (Dragon Lord, 1982) di Jackie Chan perché sia solo un caso.
Siamo nel piccolo villaggio di Nong Pradu e il giovane Ting (Tony Jaa) ha appena vinto questa strana versione cruenta di “ruba-bandiera”, tenutasi in occasione dell’imminente festa patronale per il Buddha locale, chiamato Ong Bak, che si tiene una volta ogni 24 anni: una trovata che molto probabilmente si deve proprio a Panna Rittikrai, qui co-soggettista.
Come abbiamo visto, Panna già nel 1994 aveva diretto un film ambientato in un villaggio rurale con tanto di ladri di reliquie, attività evidentemente comune in Thailandia. Qui, con più soldi, torna in un villaggio e per far partire gli eventi usa di nuovo il furto di reliquie: dei cattivoni rubano la testa del Buddha Ong Bak.
Al giovane Ting, allievo del monaco locale, viene affidato il compito di andare in città a recuperare la santa reliquia prima dell’inizio della festa paesana.
Una corsa illegale alla Fast & Furious con una Honda VFR 400 Repsol del 1989 (mi spiega l’IMCDb) ci fa subito capire il profondo contrasto fra campagna e città, soprattutto nel tessuto morale degli abitanti.
Chissà se è un omaggio a Bruce Lee, che nel suo unico film diretto – L’urlo di Chen… (Way of the Dragon, 1972) – si ritrae come contadino sempliciotto in una grande e rutilante città, con solo le proprie conoscenze marziali come punto di forza, o semplicemente è un collegamento a uno dei più classici temi della civiltà umana: lo scontro di cultura fra città e campagna. Comunque abbiamo il campagnolo Ting, ingenuo e sprovveduto per definizione, che si ritrova nelle maglie di una città moderna, piena di vizi e pericoli in ogni dove, e dove l’unico contatto è Humlae (interpretato dal comico Phetthai Vongkumlao), che però si fa chiamare George perché ha rinnegato le proprie origini contadine.
Il resto è una deliziosa storia che alterna commedia in pieno stile asiatico a scene d’azione rocambolesche, con un pizzico di “denuncia sociale” sulla vita di città, così lontana dai sani valori morali tanto da generare orde di criminali. Non so se davvero in Thailandia ci siano così tanti criminali o sia semplicemente un tipico elemento narrativo: in fondo il nostro eroe nelle tane scene d’azione non può mica sempre picchiare i soliti tre o quattro cascatori.
Oltre a ricordare la curiosa presenza di cappelli e parrucche palesemente finte – tutti trucchi per mascherare protezioni per i colpi inferti alla testa – da notare la multinazionalità dei cattivi: a parte un esercito di cascatori locali, è pieno di lottatori “etnici” da ogni parte del mondo. Non c’è bisogno di dire che i più sgradevoli sono americani.
Il bene trionfa e il male perde, ma nel mezzo c’è un divertente ed emozionante viaggio marziale, diretto da un regista che aveva ben poca esperienza ma tantissimo talento, con una visione filmica chiara, decisa, precisa e soprattutto maledettamente efficace. Come già detto in passato, il cinema marziale è come un’orchestra: per funzionare ha bisogno di un direttore, di un compositore e di bravi esecutori. Prachya Pinkaew è un direttore d’orchestra al bacio, ma è solo una parte della Trilogia Marziale.
Panna alza il tiro
Il “compositore” è ovviamente Panna Rittikrai, che dopo anni di filmetti marziali di grana grossa ha finalmente la possibilità di alzare il tiro, grazie anche a più soldi che permettono scene migliori (e magari una calibrazione del colore che Panna ha dimostrato di non conoscere!), e a questo punto fa di Ong Bak il “debutto in società” del suo pupillo Tony Jaa, il suo allievo più sorprendente.
Tony è efficace perché non ha il fisico pompato, né l’altezza né il carisma dell’eroe d’azione, quindi stupisce lo spettatore quando si lancia in tecniche acrobatiche da togliere il fiato. Come me l’hanno tolto quel 2003 in cui sono rimasto allibito a fissare lo schermo: ma davvero ’sto thailandesino riesce a fare ’ste robe?
Il premiato La Tigre e il Dragone (2001) aveva ricordato all’Occidente che tutti possono volare, con lo stile di Hong Kong, e gli spettatori americani sono abituati a quintali di computer grafica: perché dovremmo credere che Tony Jaa fa sul serio quello che si vede in scena? La geniale trovata della produzione è stata quella di organizzare una serie di spettacoli in giro per l’America dove Tony esegue tutte le tecniche più spettacolari del film… dal vivo!
Oggi trovate tutto su YouTube, ma già vent’anni fa giravano questi video, quindi siamo stati costretti a credere: è tutto vero!
Malgrado nel film venga spacciato per muay thai tradizionale, in realtà quel furbacchione di Panna Rittikrai studia per Tony uno stile cinematografico pieno di tecniche acrobatiche spettacolari, con coreografie che dubito fortemente anche solo assomiglino al muay thai degli antenati, ma servono per fornire uno spettacolo maledettamente efficace per lo schermo.
Con una maestria circense in cui è difficile non scorgerci tracce di Jackie Chan, Panna e Tony creano un canone che poi prodotti successivi – dall’indonesiano Merantau (2009) all’indiano Commando 2 (2017) – dovranno rifarsi fedelmente: la fuga dai malviventi fatta di capriole e una sorta di parkour marziale è ormai entrata nel novero dei canoni marziali.
Al contrario di molti film marziali, questo è delizioso da guardarsi anche al di là delle scene di lotta, essendo un vero film, non una scusa per siparietti acrobatici, che comunque si possono vedere estrapolati dalla vicenda per gustarsi le cose incredibili inventate da Panna, dirette da Prachya ed eseguite da Tony, in questa orchestra marziale di altissima qualità.
La totale inabilità di Tony a qualsiasi tipo di recitazione assicura da subito che non seguirà l’esempio americano, dove nel momento esatto in cui qualcuno diventa famoso per un ruolo d’azione passa subito al “cinema drammatico”, fallendo miseramente: Tony non può fare altro, e forse è per questo che dopo un’esplosione iniziale ha cominciato a ridurre sensibilmente il suo impegno filmico, fino ad arrivare a minuscole partecipazioni. Comunque, già solo per questo film meriterebbe un posto d’onore nel Gotha Marziale. E non ci sarebbe mai riuscito senza Panna Rittikrai.
L.
– Ultimi film marziali:
- Perfect Addiction (2023) Ammmòre e MMA
- Il castello dei gufi (1963) La nascita dei Ninja
- Project S (1993) Michelle Yeoh Superstar
- Shaolin Avengers (1994) La vendetta degli Shaolin
- L’uomo del kung fu (1973) guest post
- Heroes Two (1974) Quando Fong incontra Hong
- [Gli Archivi del Monte Song] Bruce Lee contro i Superman (1975)
- Shaolin Temple (1976) I giganti del karatè
- [Gli Archivi del Monte Song] The Dragon Lives Again (1977)
- Disciples of the 36th Chamber (1985) L’eroico Fong Sai-yuk
Talmente pubblicizzato che arrivò anche nel multisala più vicino al paesello dove vivevo allora, simile a quello di Tony Jaa. Lo proposi ai miei amici a digiuno di film marziali, gasò tutti perché le gomitate e le ginocchiate volanti di quel Thailandese provocano quella reazione, il film da vedere sul grande schermo però è il prossimo della coppia Panna/Jaa, quello uscì sempre ad agosto del 2007 ma ci andai da solo, ma tanto parleremo anche di quello 😉 Cheers!
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Se anche altri capolavori marziali avessero avuto la stessa distribuzione di questo, saremmo un Paese come qualsiasi altro in Occidente, cioè con un minimo di basi su questo genere. Invece rimane una passione per pochi. Ma una passione che picchia duro, è il caso di dirlo 😛
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Un bel film a cui equivale un bel post! 🙂
Che si apre con deliziosi aneddoti personali etruschi e nella parte conclusiva riporta un video con le acrobazie marziali di Tony, acrobazie che lasciano davvero a bocca aperta! 🙂
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Il giovane cuore etrusco è esploso di gioia, quel 2003 😛
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E noi ti stavamo vedendo tutti con gli occhi della mente là, in quella sala frequentata solo da quattro gatti appassionati di arti marziali, ad ammirare la spettacolare orchestra con Tony Jaa 😀
A proposito del suo video acrobatico, ecco, proprio quello è il modo in cui vorrei vedere SEMPRE calciato un pallone 😉 👍👏👏👏
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Ehhh se quello fosse lo sport più amato dagli italiani… 😀
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