Il 23 luglio del 1947, appena due mesi dopo l’avvistamento di UFO da parte di Kenneth Arnold, si tiene a New York la première del film E ora chi bacerà di Lloyd Bacon. La rivista “Boxoffice” del 19 luglio precedente ci informa che qualche giorno prima il film è stato presentato in un vago “Oriente”, e per l’occasione l’attrice protagonista June Haver si è presentata… con un cappello a forma di disco volante creato da Virginia Seguin, pubblicista della 20th Century Fox.
Questo aneddoto rende chiaro che il cinema si è immediatamente accorto del fenomeno flying saucer, ancora ritenuto risibile e poco serio ma indubbiamente caro agli spettatori.
«Sembrava che si fosse interessata delle ultime meraviglie della scienza; e c’erano appunto articoli sui dischi volanti, armi segrete, sieri della verità adoperati dai russi e proteste contro altre fantastiche droghe che si dicevano inventate dai medici americani. La magia del XX secolo, pensò l’ispettore.»
da Polvere negli occhi (1953) di Agatha Christie
Quando la narrazione
è troppo in anticipo
La narrazione ha dei tempi propri, se un’idea si affaccia al pubblico in un momento sbagliato rischia di essere un seme piantato nel cemento: non conta l’idea, conta il momento giusto in cui l’idea si affaccia.
È il caso di “(Science) Wonder Stories“, una di quelle rivistacce stampate su pessima carta che nella loro epoca godevano di ben misera fama, pochissimo rispetto, alcuna considerazione, salvo poi essere tutte rivalutate e santificate decenni dopo.
Nel numero di novembre del 1929 la neonata rivista, arrivata alla sua sesta uscita, presenta in copertina quello che a tutti gli effetti è un perfetto flying saucer come noi ancora oggi lo concepiamo, disegnato da un artista che si firma semplicemente Paul.
L’immagine è legata ad un concorso letterario, la rivista infatti mette in palio 300 dollari (una cifra molto sostanziosa, nel ’29 della Grande Depressione appena scoppiata) per chi invierà alla redazione un racconto di fantascienza ispirato a quell’immagine in copertina. Dato che gli acquirenti della rivista sono tutti appassionati del genere, ed è lecito pensare che in molti abbiano racconti chiusi nel cassetto da proporre un giorno a qualche editore, e dato l’alto numero di autori professionisti di genere in circolazione, sarebbe facile supporre che la redazione di “Wonder Stories” sia stata inondata da un fiume di racconti con protagonista un disco volante… e invece no, è avvenuto l’esatto contrario.
Nel numero di aprile 1930 viene pubblicato il racconto vincitore, The Flying Buzz-Saw di Harold McKay, autore che non ha saputo inventare altro se non una gigantesca “sega circolare” che solca i cieli distruggendo gli aerei e i dirigibili. Ah già, nel futuro 2014 della vicenda ci saranno ancora i dirigibili! Possibile nessuno abbia saputo immaginare un disco volante che solchi i cieli americani?
Tornando al numero del novembre 1929, nel testo che accompagna il bando di concorso ci viene detto che lo stesso editore della rivista, in merito all’illustrazione di copertina, ha confessato di «non avere la più remota idea di cosa si tratti». Cito queste parole perché l’editore della rivista è niente meno che il mitico Hugo Gernsback: ancora oggi, un secolo dopo, la più prestigiosa e ambita onorificenza del genere fantastico è il Premio Hugo, che porta il suo nome. Parliamo di uno dei padri fondatori di ciò che oggi chiamiamo “fantascienza”… e davanti a un flying saucer ante litteram non ha avuto la benché minima idea di cosa potesse nascere da quell’idea.
L’idea dei dischi volanti era troppo in anticipo e la narrazione non era pronta ad affrontarla, e persino nel 1947 in cui esplode potente in tutti gli Stati Uniti le riviste di fantascienza rimangono mute: né copertine né racconti interni vengono dedicati ai “piatti volanti” visti da Arnold. L’unica testimonianza che i relativi editori fossero a conoscenza della cosa arriva da Raymond A. Palmer, che curava la celeberrima rivista “Amazing Stories”. Nel suo editoriale del numero di novembre 1947 si complimenta con Kenneth Arnold «per aver avuto il coraggio di dire la verità. Quando quei dischi volanti torneranno, qualcuno dovrà essere ricordato con rispetto». L’editore infatti non solo afferma che «i dischi volanti sorvolano gli Stati Uniti», ma si scaglia contro gli scienziati che irridono chi sollevi questo argomento.
Prendere sul serio i dischi volanti, come fa Palmer, blocca la narrazione, lasciata ai dilettanti. Tranquilli, tutto questo sta per cambiare.
«Aveva letto un libro di Fort, alcuni fumetti di fantascienza, sentito parlare dei Dischi Volanti e di altri fenomeni attribuiti agli extraterrestri. Ma in quanto a credere era un’altra cosa.»
da La giada arcobaleno (“Weird Tales”, settembre 1949) di Gardner F. Fox, da “Sempre Weird Tales” (Fanucci 1985)
Arriva il cinema,
e tutto cambia per sempre
Il numero di novembre 1949 della rivista “American Cinematographer” è la prima prova della lavorazione di un film incredibile, la cui importanza è enorme eppure rimane semi-sconosciuto, sepolto dal peso dell’enorme cinematografia di fantascienza arrivata dopo.
Non si sa perché Mikel Conrad per la Colonial Productions abbia deciso di affrontare questo tema, passando un anno in Alaska (ci dice “Other Worlds” del marzo 1950) a girare un film che lui stesso ha scritto, prodotto, diretto e interpretato. Segno, ipotizzo, che ci credesse davvero. L’unica mia ipotesi è che Conrad nel febbraio di quel 1949 avesse seguito la prima avventura filmica di Bruce Gentry, eroe nato qualche anno prima a fumetti e che iniziava ad apparire in spettacoli a puntate su grande schermo. Gentry è un pilota e quindi è difficile non fargli rivivere le esperienze di Arnold: quel febbraio l’eroe dei cieli incontra un velivolo… che a raccontarlo non ci crederebbe nessuno!
Tranquilli, non è un UFO e non c’è alcun contatto alieno, è la nuova misteriosa arma messa a punto dal cattivone della storia. Chissà, magari Mikel Conrad si è detto che questa avventuretta per ragazzi poteva diventare un film vero.
Il risultato è una roba inguardabile e datatissima, eppure di un’anticipazione che fa paura: The Flying Saucer, uscito a New York il 4 gennaio 1950 e la prima apparizione di un disco volante in un prodotto cinematografico. Ecco perché dico che sebbene sia un filmetto ridicolo, avrebbe meritato molto più studio da parte degli storici del cinema.
Mikel Conrad, al contrario di tanti personaggi molto più famosi ma meno anticipatori, sa cogliere esattamente il momento giusto per l’uscita del suo film, battendo sul tempo persino l’editoria: quel 1950 che lui apre con i dischi volanti su grande schermo sta per vedere arrivare in libreria testi come The Riddle of the Flying Saucers: Is Another World Watching? di Gerald Heard (Carroll & Nicholson), I dischi volanti sono una realtà di Donald Keyhoe (Fawcett Publications / Mediterranee 1983), Behind the Flying Saucers di Frank Scully (Victor Gollancz) e via dicendo. Conrad li batte tutti e… li prende tutti in giro. Perché per l’autore è tutta una montatura: ecco forse perché nessuna storia cine-ufologica perde tempo con questo film.
In questa storia datatissima e un po’ ridicola, Conrad interpreta una sorta di James Bond yankee, un agente segreto sciupa-femmine, forte bevitore, stella sportiva e baggianate simili, che viene ingaggiato da Washington per una missione scottante: tutti questi avvistamenti UFO non possono essere solo frutto dell’immaginazione di gente sempliciotta, come ritiene l’agente Mike Trent (Conrad), vuoi vedere che c’entrano quegli zozzi dei russi?
Mike Trent è originario dell’Alaska, proprio la zona da cui sembrano partire gli avvistamenti, quindi dovrà fingere di tornare a casa per un esaurimento nervoso e indagare sul posto. Per l’occasione sarà affiancato dall’agente Vee (Pat Garrison) che si fingerà sua infermiera: metà film se ne andrà via con Trent che fa il mollicone con l’infermierina. E le “indagini” consistono in scampagnate per prati, bagni in mare, serate intorno al fuoco, paroline dolci e un novello amore sbocciato. Ammazza che agenti segreti!
Come dicevo, il film è sempre citato ma mai studiato, quindi non sappiamo chi abbia creato il disco volante che vediamo, forse è stato l’art director Charles D. Hall o magari un qualche tecnico di studio non citato nei crediti. Questo silenzio sull’argomento la dice lunga sul livello di ricerca in materia.
Tranquilli, però, anche stavolta non ci sono omini grigi o verdi, dopo aver passato il 90% della vicenda a limonare con l’infermierina, negli ultimi minuti di film l’agente Mike Trent scopre una caverna segreta fra i ghiacci con dentro il flying saucer, in realtà un velivolo costruito da un americano che ora vuole venderlo ai russi: è chiaro che tutto dovrà essere distrutto. Pronto a ritornare pari pari come soggetto di uno dei migliori romanzi d’azione che io abbia mai letto: Ice Station (1998) di Matthew Reilly.
Vi esorto a guardare di nuovo questa scena in cui Trent scopre il disco volante nella grotta fra i ghiacci. Lo so che un campanello vi è suonato in testa…
Quarant’anni dopo un’altra astronave rotondeggiante sarà trovata fra i ghiacci, dal protagonista de La Cosa (1982), in cui mi piace ardire di pensare che John Carpenter abbia omaggiato il primo film sui dischi volanti.
Sin da ragazzo ho sempre trovato assurda quella scena, perché mai Blair (anche ammettendo che avesse avuto il tempo per farlo) avrebbe costruito un’astronave con pezzi raccolti in giro, visto che sarebbe stato impossibile potesse volare? Perché per raccontarci la pazzia del personaggio viene imbastita una scena simile? Vista la rotondità del velivolo, ora credo di saperlo…
«E tutte le volte che qualcuno vedeva un faro su una montagna o le luci d’un pallone sonda, ecco, sì, doveva essere per forza un disco volante, e c’era sempre qualche battuta fritta e rifritta sui dischi volanti che rivelavano i loro segreti. Allora, per due o tre settimane di seguito, lei si teneva lontana dalle strade durante il giorno.»
da Disco di solitudine (“Galaxy”, febbraio 1953) di Theodore Sturgeon
I dischi volanti
invadono il cinema di serie A
Non sembra che The Flying Saucer di Mikel Conrad abbia avuto chissà che successo, ma è chiaro che l’eco dei dischi volanti sia giunto alle orecchie di Howard Hawks, regista celebre che coinvolge subito la propria casa produttrice Winchester Pictures e chiama Christian Nyby ad “affiancarlo nella regia” (modo gentile per dire che l’Hawks-produttore non ha resistito ad impicciarsi anche di questioni registiche) di un film leggermente famoso: The Thing from Another World, che nell’arrivare in Italia l’anno successivo diventa La “cosa” da un altro mondo.
Il film arriva sugli schermi americani il 5 aprile 1951, più di un anno dopo il film di Conrad, ma il “The Hollywood Reporter” già dall’agosto 1950 inizia a raccontarne la lavorazione, segno che la casa di Hawks voleva battere il ferro finché era caldo, anche se poi le riprese ci saranno solamente nel dicembre di quel 1950.
«Finalmente ne teniamo uno» (we finally got one) esclama estasiato un membro della spedizione artica mentre con i colleghi apprezza la rotondità del velivolo che hanno trovato sommerso dai ghiacci, forma geometrica che non lascia adito a dubbi sulla natura aliena. «Abbiamo trovato un disco volante!» (We found a flying saucer!) è l’entusiastica esclamazione del giornalista Ned Scott (Douglas Spencer), ansioso di rivelare al mondo che tutti quegli avvistamenti ritenuti sciocchi d’un tratto erano pura verità. È lui che nel finale si incarica del “monito”: «Dite al mondo, ditelo a tutti ovunque si trovino: attenzione al cielo. Dovunque, scrutate il cielo». Il monito è giusto, l’obiettivo è sbagliato: scrutare il cielo non serve a niente… è sul grande schermo che bisogna fissare gli occhi.
Se la casa di Hawks come ispirazione aveva preso il racconto Who Goes There? (“Astounding”, agosto 1938) di John W. Campbell jr. aggiungendoci apocrifamente un disco volante, può farlo anche la 20h Century Fox, in particolare prendendo il racconto Farewell to the Master (“Astounding”, ottobre 1940) di Harry Bates e aggiungendoci un disco volante: se il film di Hawks è famoso, quello della Fox ha scritto la storia della cultura popolare del Novecento.
New Orleans, domenica 2 settembre 1951, cinque mesi dopo The Thing. Durante lo svolgimento della nona edizione della World Science Fiction Convention i produttori della 20th Century Fox incantano tutti i partecipanti presentando in anteprima le scene del loro film di imminente uscita, The Day the Earth Stood Still. (Ce lo racconta Mira de Tastelero sulla rivista “Flying Saucers from Other Worlds”, giugno 1957.)
«Michael Rennie was ill
The day the Earth stood still
But he told us where we stand»
Così inizia il celebre “The Rocky Horror Show” di Richard O’Brien (1973 a teatro, 1975 al cinema), con una canzone che omaggia la fantascienza classica americana: se il primo “canone” citato è quello di Michael Rennie ferito che apre gli occhi alla Terra attonita, è chiaro che questo film – in Italia dal 1952 come Ultimatum alla Terra – ha forgiato le menti di generazioni di spettatori, fissando l’immagine del disco volante.
Dall’astronave esce Klaatu, un Michael Rennie pronto ad entrare nella storia del cinema.
Ma anche in quella politica: si sa che chi viene in pace… poi riposa in pace!
Essendo un prodotto Fox, in Italia ha avuto una distribuzione risibile in confronto a quella in patria, dove praticamente è impossibile che un qualsiasi americano non lo conosca, probabilmente viene proiettato già nelle classi di scuola materna. Quindi potete scommettere che nei decenni successivi alla sua uscita gli avvistamenti ufologici saranno parecchio simili alle efficacissime immagini di Robert Wise.
Riuscirà Klaatu a riabilitare la razza umana e a fermare la potenza devastatrice del robot Gort? Certo, in fondo basta pronunciare le parole… che ricordate tutti, vero?
L’iconografia degli UFO ormai è fissata: cosa abbia davvero visto Kenneth Arnold nel 1947 non importa più a nessuno, dal 1950 la forma delle navi aliene è quella fissata dal cinema, man mano che le varie grandi major si affiancano alle piccole case nello sfornare film sciabordanti dischi.
La Fox (solo distributrice) con Gli invasori spaziali (Invaders from Mars, 1953) di William C. Menzies.
La Universal con Cittadino dello spazio (This Island Earth, 1955) di Joseph M. Newman.
La Metro-Goldwyn-Mayer con Il pianeta proibito (Forbidden Planet, 1956) di Fred M. Wilcox.
La Sam Katzman Productions con La Terra contro i dischi volanti (Earth vs. the Flying Saucers, 1956) di Fred F. Sears.
La Romson Productions con I 27 giorni del pianeta Sigma (The 27th Day, 1957) di William Asher.
Persino i Looney Tunes della Warner Bros partecipano, con The Hasty Hare (1952) di Chuck Jones.
E se invece tutti gli avvistamenti UFO fossero colpa di Jerry Lewis? Le sue scorribande non autorizzate sul nostro pianeta, a bordo ovviamente di un disco volante, aprono Un marziano sulla Terra (Visit to a Small Planet, 1960) della Hal Wallis Productions.
Come dicevo, non guardate il cielo: per assistere ai prodigi alieni, guardate lo schermo.
«Adesso, dopo i piatti volanti si parla delle tazze volanti, le quali sarebbero nuove potenti armi russe realizzate da un gruppo di scienziati che lavorano sul monte Ararat.»
Giovannino Guareschi, 23 novembre 1947, dall’antologico “Mondo candido” (Rizzoli 1991)
Anticipazione: dopo più di dieci anni di febbre da UFO, con centinaia di avvistamenti e film su film, solamente una donna poteva riuscire a far passare l’ufologia al suo gradino successivo. Alla settimana prossima.
(continua)
L.
– Ultimi post sugli UFI:
- UFO della mente 7 – Bagliori a Genova
- UFO della mente 6 – Chi chiamerai? Hypnobusters!
- UFO della mente 5 – Chiamale, se vuoi, abduzioni
- UFO della mente 4 – Il talento della signora Hill
- UFO della mente 3 – La donna che fu abdotta
- UFO della mente 2 – Iconografia filmica
- UFO della mente 1 – Blue Tornado (1990)
In “Invasion USA” c’è una scena in cui Chuck Norris guarda “La Terra contro i dischi volanti” in TV 😀
"Mi piace"Piace a 1 persona
Grazie della chicca 😉
"Mi piace""Mi piace"
Noooo! Il cliffhanger finale no, mannaggia! Già ero pronta a visualizzare immagini di cucchiaini volanti, e magari pure caffettiere, così agli alieni magari gli si offre un bel caffè 😛
Bello! L’ho letto tutto d’un fiato. A parte che secondo me quella motosega volante è strepitosa, ma comunque… si vede che la massa non era ancora pronta per quell’immagine all’avanguardia (talmente avanti che nessuno l’ha ancora ripresa 😛)… C’era bisogno della cassa di risonanza offerta da Ken Arnold, e del cinema ovviamente, perché il tutto prendesse piede.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Come nessuno l’ha ripresa? In Goldrake non c’era mica un mostro che al posto delle braccia aveva ben due dischi con lame rotanti agganciati? 😀
"Mi piace"Piace a 2 people
ahahah buono a sapersi 😀
"Mi piace""Mi piace"
È davvero passato troppo tempo dall’ultima volta il cui ho visto Actarus❤ e il suo Goldrake, ricordo solo l’Alabarda Spaziale 😅 (i pugni atomici erano di Mazinga, ve’? e l’Attacco Solare del mitico Daitarn 😍 )
"Mi piace"Piace a 1 persona
Le poche memorie d’infanzia mi riportano uno dei mostri di Jeet Robot con i super-nunchaku 😀
Un giorno dovrò seriamente decidere cosa fare della collezione di robot di Go Nagai, pagata una fortuna in edicola ma decisamente impegnativa da tenere esposta in casa….
"Mi piace"Piace a 1 persona
Non ho resistito a fare come l riviste d’annata e lasciare un cliffhanger per fidelizzare il lettore 😛
La sega volante è spettacolare ed è un peccato che non sia stata ripresa da opere successive.
Ah, sin dal ’47 Arnold ha annunciato di volare sempre con una cinepresa a portata di mano, per fissare su pellicola i suoi “piatti”: peccato invece il suo sia stato un avvistamento unico e irripetibile.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Se non ricordo male, sempre a proposito di Goldrake, uno dei dischi/mostri di Vega possedeva proprio quel tipo di arma quando era in modalità “chiusa” (e allora la sega percorreva tutta la sua circonferenza)…
"Mi piace"Piace a 1 persona
Uno di quei casi in cui possiamo dire che i manga/anime non sono stati anticipatori bensì usufruitori di idee di altri 😛
"Mi piace""Mi piace"
Vasquez, se per caso vuoi darti una rinfrescata alla memoria robotica qui c’è tutto quello che serve 😉
https://www.encirobot.com/
"Mi piace"Piace a 2 people
Ricerca spettacolare come sempre.
"Mi piace"Piace a 2 people
Ti ringrazio, sono ormai infognato con l’argomento ed è tutta colpa di Vasquez e del suo contagio ufologico ^_^
"Mi piace"Piace a 2 people
Che dire, hai appena sfornato un’altra puntata appassionante e documentata sull’argomento, con tanto di chicca dimenticata e lista di celebri dischi volanti cinematografici (pure televisivi, mettendoci i Looney Tunes) a seguire 👍👏👏
Dopo Carpenter e Hawks, io ritorno in zona Hawke: possibile che i discoidali jet “silverfish” della Royal Space Force fossero un omaggio di Sydney Jordan ANCHE al poco noto prototipo di Conrad? E Carpenter, per quella scena del disco “artigianale” di Blair, aveva forse letto l’avventura – “Un Esame”- in cui il modesto fisico nucleare Raymond Parker, una volta indottrinato da un gruppetto di studenti alieni, riesce ad ottenere risultati avanzatissimi (oltre che potenzialmente letali) con pochi e raccogliticci scarti di primitiva tecnologia nostrana? Non scherzo, io ho sempre avuto in mente questo vedendo il disco di cui sopra 😉 Tra l’altro, i fumetti de “La Cosa” usciti nei primi ’90 mostrano quello che la creatura riesce a costruire con la nostra tecnologia a disposizione e che, se non sabotato in tempo, rischierebbe pure di funzionare… 😎
https://www.goodreads.com/review/show/1532489299
"Mi piace"Piace a 1 persona
Da anni mi riprometto di studiare quei fumetti, peraltro firmati da nomi illustri, ma intanto una ventina d’anni fa ho passato ore al videogioco-sequel ufficiale di “The Thing”, molto bello e che ti fa calare alla perfezione nelle atmosfere del film, ma non sono mai arrivato dalla alla Cosa Costruttrice 😛
"Mi piace""Mi piace"
In effetti in quello splendido videogioco le Cose non erano molto costruttive, no… e, poi, va sempre ricordato che c’era nientepopodimeno che Zio John in persona nei panni del dottor Faraday 😉
"Mi piace"Piace a 1 persona
Hawks, Carpenter, Ultimatum alla Terra, troppa roba buona per un post solo! Bellissima ricostruzione, di fatto una volta iniziato a rotolare il sassolino, si è trasformato in una valanga di UFO al cinema, altro giro, altro gran post 😉 Cheers
"Mi piace"Piace a 1 persona
La cosa incredibile è che tutto è nato da un equivoco, visto che Arnold in cielo non ha visto dei dischi volanti, ma velivoli che si muovevano “come” dischi, ma era una sottigliezza troppo tenue per i media, che hanno bisogno di roba semplice 😛
"Mi piace""Mi piace"
Se si segue il racconto di Campbell, ora stampato in una nuova edizione aggiornata, infatti non si fa cenno a un disco “gli strumenti magnetici indicano una forma affusolata lunga circa settantacinque metri… Potrebbe essere un sommergibile naufragato quando questa parte dell’Antartide era sommersa.”
Fra l’altro La Cosa di Carpenter compie quarant’anni, così come ET e Blade Runner, ma nella trasmissione Frontiere della Rai del 17/12, dedicato a ET e la fantascienza
il film di Carpenter non viene manco citato.
"Mi piace"Piace a 1 persona
Essere ignorato da trasmissioni RAI è il miglior complimento che si possa fare a Carpenter, che piace alla gente giusta e non ha bisogno d’altro 😛
Scherzi a parte, Campbell fa riferimento allo standard iconografico delle astronavi fino all’avvento dei dischi volanti, cioè in pratica a forma di missile, come si può trovare in tanti film di fantascienza: nell’atmosfera terrestre sicuramente il siluro è dinamicamente più ottimale per il volo rispetto al disco, ma penso che nello spazio questo non faccia differenza 😛
Ah, e come detto neanche nel racconto originale da cui “Ultimatum alla Terra” si parla di dischi volanti 😉
"Mi piace""Mi piace"
Bel post, bella ricerca, bell’approfondimento, poi ammetto che ho goduto particolarmente con la carrellata finale di dischi volanti! 🙂
"Mi piace"Piace a 1 persona
Se stanotte vedrai delle luci in cielo, sai già che figura geometrica aspettarti ^_^
"Mi piace""Mi piace"