Venerdì 13: la serie (1987) 10 – Il fumetto stregato


Continuiamo a parlare della serie TV “Friday the 13th: The Series“, quella senza Jason.

Ultimo appuntamento con quella mitica estate 1990, in cui la serie si è affacciata per la prima volta sui piccoli schermi italiani.


Che notte, quella notte…

Che notte, quella notte. Quella di venerdì 14 settembre 1990, in cui l’Italia1 dei tempi d’oro affida a Zio Tibia in persona il compito di infestare magicamente la serata.

Dal “Radiocorriere TV” di quel magico venerdì 14 settembre 1990

La tristezza di vedere distrutta l’iniziativa, infestata dal calcio televisivo, viene mitigata dalla messa in onda alle 20,35 del mitico Brivido (Maximum Overdrive, 1986), la prima prova cinematografica di Stephen King come regista, un’esperienza così devastante che rimarrà unica. Nel successivo settembre 1991 ho letto il racconto Camion (1973) nell’antologia “A volte ritornano” (1978) nella mia edizione Bompiani 1987 o giù di lì, ma nulla potrà mai eguagliare lo stupore e l’esaltazione che provai nel vedere il film con il giovane Emilio Estevez.

Per gli splendidi titoli di testa e coda italiani del film, introvabili, rimando all’amico Federico di Passoridotto.

Ciò che rimane delle mitiche sere di Zio Tibia è solo il nuovo episodio di “Venerdì 13”, alle 22,25, prima che “Calciomania” con Mosca-Cadeo-Perego distrugga tutto.


Episodio 1×10
Il fumetto stregato
(Tales of the Undead)

Andato in onda il 25 gennaio 1988, l’episodio è diretto da Lyndon Chubbuck, regista televisivo quasi esordiente che poi curerà un episodio di ogni serie dell’epoca: è venuto a mancare nel 2021, per cause ignote.

Forse, ma è solo un’ipotesi, questo episodio è stato raccolto nella terza VHS dedicata alla serie, Venerdì maledetto 3. Il terrore continua (CIC Video, marzo 1989) ma solo se ammettiamo che sia stato tradotto con il titolo “Storie di morti viventi”. Le informazioni sono comunque troppo scarse per poterlo dire con sicurezza.

Tutti noi abbiamo un fumetto che ci ha stregato, in qualche modo

L’oggetto infestato della settimana un fumetto molto particolare:

«Il primo fumetto di Ferrus l’Invincibile, I racconti dei morti viventi, edizione originale firmata dallo stesso Jay Star. Uno dei capolavori di tutti i tempi. Il suo valore è praticamente inestimabile: non ha prezzo. Penso che lo metterà all’asta per 25 mila dollari.»

Così ci spiega un fumettaro che viene ritratto come il tipico fumettaro televisivo: pingue, viscido e profittatore. I fumettari che ho conosciuto io non erano né pingui né viscidi… ma profittatori sì, fa proprio parte del mestiere.

Tipico “uomo-fumetto” televisivo

A chiedere informazioni sul fumetto di Ferrus the Invincible, che non ha prezzo ma guarda caso un prezzo invece ce l’ha, e pure alto, è il giovane Cal Rawitz che ha una faccia nota… e mi basta poco per capire chi sia il mitico attore appena ventenne che lo interpreta.

Vediamo quanto ci mettete a riconoscerlo…

Spero che abbiate riconosciuto il giovane canadese David Hewlett, l’indimenticato dottor McKay della serie “Stargate: Atlantis”, nonché spina dorsale dell’intera serie. Quanto mi manchi, McKay, non so perché non abbiano fatto uno spin-off con te solo (“Stargate: McKay”!) visto che hai illuminato tutte e cinque le stagioni della serie.

Lo riconoscete, al fianco di Jason Momoa?

Cliente del viscido fumettaro è anche il nostro Ryan (John D. LeMay), il quale afferma di leggere fumetti senza pagare, visto che li compra, li legge per farsi una cultura generale e poi li rivende. Questo mi conferma che gli autori non sono mai entrati in una fumetteria in vita loro, visto che quando compri un fumetto, pagato a peso d’oro perché è unico e in perfette condizioni, se lo rivendi un minuto dopo ti danno due spicci, perché è vecchio e rovinato: così campavano i fumettari negli anni Ottanta, e non mi sembra abbiano cambiato sistema in seguito. In quel 1988 frequentavo diverse fumetterie ed era chiaro che ridare indietro fumetti era utile quanto buttarli per la strada: anche ad avere il Sacro Graal dei fumettari, cioè “Dylan Dog” in quegli anni, lo stesso non avevi mai indietro se non una parte di ciò che avevi speso, quindi che Ryan legga a gratis, soprattutto fumetti generici, mi permetto di dubitarne.

Una scena triste, credo nata per ingraziarsi i nerd dell’epoca

Anche Ryan è appassionato di ’sto Ferrus, e il fumettaro cerca di intortarlo con quella rarissima e preziosissima copia del marzo 1947… Un momento, ma in copertina c’è scritto marzo 1938: perché il tizio sta svalutando il suo prezioso fumetto?

Chi è che non ha mai voluto rubare un fumetto prezioso?

Mentre Ryan finge di essere un appassionato di fumetti, Cal decide che non può più aspettare e ruba il prezioso Racconti dei morti viventi, scoprendo che a stringerlo a sé avviene… una strana magia. Niente di nuovo, visto che scopriamo essere in pratica la concretizzazione della trama del fumetto stesso:

«Il fumetto di Ferrus è preciso: un ragazzo che si appropria di questo libro magico grazie al quale diventa un robot, e mentre si trasforma il libro viene assorbito dal suo corpo.»

Cioè esattamente quanto vediamo accadere a Cal.

Come gli autori televisivi immaginano un fumetto…

Siamo in anni in cui il mondo dei fumetti è ancora considerato stupidaggini per ragazzini, infatti malgrado il pencolante tentativo di mostrare uno dei protagonisti interessato al medium sta alla co-protagonista Micki (Robey) ricordare l’opinione dello spettatore medio, così definisce i fumetti «robaccia» (tripe): giusto per non lasciare dubbi sulla questione. Persino zio Vendredi nel suo registro degli oggetti posseduti non ha pensato di inserire quel fumetto alla voce “fumetti”, come sarebbe stato logico, inserendolo invece sotto la voce “riviste”, medium molto più dignitoso e apprezzato.

Il tipico vecchio fumettista amareggiato

Scopriamo che al negozio “Curious Goods” il fumetto di Ferrus è stato portato personalmente da Jacob Staretzki, cioè quello che con il nome d’arte di Jay Star (Ray Walston) ha creato, scritto e disegnato il fumetto Storie di morti viventi: siamo ben al secondo nome ebraico nella vicenda, stanno cercando di dirci qualcosa?

Visto che Jay Star si riappropria dei poteri evocati dal giovane Cal, e in pratica usa il robot Ferrus per vendicarsi di antichi torti, è forte la sensazione che abbiano voluto creare una sorta di Golem aggiornato alla moda robotica, da qui i cognomi ebraici di entrambi i suoi evocatori.

Ryan si dice grande ammiratore di Jay Star e addirittura da ragazzo si è dato anche al disegno, ma come sempre conoscere il proprio idolo non è mai una buona idea, perché si potrebbe scoprire che usa un golem robotico per far fuori chi si è approfittato del proprio lavoro.

Mai incontrare i propri fumettisti preferiti

Nell’ottica del mio tentativo di non sparare sempre a zero sugli episodi cerco di trovare gli aspetti positivi di questo, perciò mi dico contento dello pseudo-fumetto e del gioco narrativo dei personaggi che prendono vita, oltre all’interrogarsi su chi sia veramente padrone di un lavoro narrativo, se lo scrittore, l’editore o il lettore. Invece non posso perdonare a Ryan l’inventarsi appassionato di fumetti solo per mostrare che la serie è “giovane”, dimenticandosi tutto dall’episodio successivo.

Qui finisce la vita della serie in quella mitica estate del 1990, ma il nostro viaggio prosegue.

L.

– Ultimi post su “Venerdì 13”:

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49 risposte a Venerdì 13: la serie (1987) 10 – Il fumetto stregato

  1. Cassidy ha detto:

    No, leggere fumetti e il concetto di “Gratis” sono due pianeti separati, anzi fa quasi tenerezza un’asta che parte da 25 dollari per un fumetto, visti i prezzi attuali degli stessi 😉 Cheers

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Sicuramente questo episodio è nato per cercare di ingraziarsi la fetta di pubblico costituita dai lettori di fumetti, ma è chiaro che gli autori li considerano dei nerd fuori di testa. E il nostro eroico protagonista è un dritto così dritto che legge a gratis: sì sì, davvero plausibile, come no? 😀

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      • Conte Gracula ha detto:

        Leggere gratis è ridicolo, uno non può pensare di ridare il fumetto usato e avere la stessa somma. Se avesse detto che lo leggeva gratis scroccando dagli scaffali, sarebbe stato più credibile 😀 specie perché gli spillati USA tendono ad avere una miseria di pagine

        Detto ciò, dato il bizzarro rapporto dell’editoria USA con le ristampe (non era una pratica molto comune, un tempo. Oggi forse è più comune, specie per raccogliere in volume saghe complete) se avesse detto “ogni tanto riesco a rivendere a buon prezzo albi specifici, anni dopo, soprattutto quelli disegnati da Pincopallo in prima edizione” sarebbe stato appena più plausibile.

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Non ho idea della politica delle ristampe americane ma di sicuro un gestore di attività commerciale che consenta l’uso gratuito dei propri prodotti non mi sembra plausibile 😀
        La lettura “a scrocco” era un classico, nei negozi dell’usato ci stavo così tanto tempo che in effetti mi sarei potuto benissimo leggere fumetti sul posto, il problema era la mia maledetta voglia di portarmeli a casa senza avere i soldi per farlo, che mi fregava 😛

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      • Conte Gracula ha detto:

        Credo che la speculazione sulle prime edizioni di certi albi nasca proprio dalla penuria di ristampe, oggi non so, ma un tempo non era molto comune e se volevi leggere un po’ di vecchiume, ti toccava essere come minimo benestante.
        Mi pare che gli albi originali con la prima storia di Superman e con quella di Batman abbiano superato di molto il milione di dollari, se conservati bene.

        Per fortuna non ho avuto mai un grosso interesse per quel tipo di collezionismo, preferisco limitarmi a garantirmi l’accesso alla storia, anche con una “miserabile” ristampa 😀

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Cosa facessero in America lo ignoro, in Italia i supereroi non li seguivo e comunque sono post-Novanta: sul finire degli Ottanta era pieno di ristampe in forma di raccolta, ma il problema era appunto che non erano certo gratuite. Visto che i negozi dell’usato sciabordavano di fumetti, paradossalmente c’era più possibilità di pagare meno il numero originale che la ristampa-raccolta. Non valeva per tutti, ovvio, ma come detto c’era un mare di testate e non tutte erano da collezione: se ti piacevano le strisce avevi accesso a fiumi di ristampe e raccolte a pochissimi spicci, nel reparto “usato”. Se invece volevi cose più “di moda” le cose si facevano costose.
        Proprio in quegli ultimi anni degli Ottanta presi l’intera collezione di “Topolino” (circa dieci anni di uscite) e pian piano la usai per scambiare in fumetteria albi di Tex, a cui mi ero appena appassionato, molto spesso originali o magari ristampe ma molto vecchie. Erano entrambi testate a tiratura enorme, non erano “da collezione” quindi non c’era la speculazione esagerata che colpiva altre testate.

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  2. wwayne ha detto:

    In che senso i venditori di fumetti da te incontrati si sono rivelati dei profittatori?

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Nel senso che speculavano in modo pesante sui fumetti venduti: per carità, è il loro lavoro, nessuno si aspettava che li dessero via a due spicci, ma a forza di frequentare negozi dell’usato cominci a notare i trucchetti che usano per spillarti soldi 😉

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      • wwayne ha detto:

        Un tempo i fumetti non venivano ristampati, quindi esisteva una sola edizione italiana per ogni fumetto che ti interessava. E se quell’edizione risaliva a vent’anni prima, allora un venditore di fumetti poteva effettivamente chiederti cifre astronomiche, soprattutto se l’albo era ben tenuto. Poi negli ultimi anni la Panini ha cominciato a ristampare praticamente ogni singolo fumetto mai uscito in Italia, e quindi questa speculazione è diventata impossibile da attuare.
        Tra l’altro noto che molti lettori preferiscono le ristampe alle prime edizioni, perché hanno meno valore dal punto di vista collezionistico, ma sono più eleganti e più nuove. E quindi paradossalmente diventa più difficile vendere una prima edizione di una ristampa, perché quest’ultima costa di meno ed è più bella esteticamente. Grazie per la risposta, e buona Domenica! 🙂

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        In realtà la consuetudine della ristampa esiste da sempre, il celebre formato “Bonellide” che oggi è regola un tempo è nato per ristampare le strisce singole, ma una cosa è comprare una ristampa a prezzo pieno in edicola, un’altra è trovare lo stesso albo, magari rovinato, a due spicci in fumetteria, per non parlare dei collezionisti che invece cercavano le prime uscite, un po’ più costose ma poi cambiava parecchio a seconda della testata. Ho comprato numeri di “Tex” degli anni Sessanta che te li tiravano nella schiena, mentre per un numero di “Dylan Dog” dovevi lasciargli un rene sul bancone 😀

        Nel 1988 di questo episodio penso che tutti i giovani italiani leggessero fumetti: oggi esiste solo un pallido fantasma di quel pubblico, infatti oggi quelle poche edicole rimaste aperte fanno fatica e vendono di tutto per integrare, mentre all’epoca le tante edicole di quartiere erano schiacciate dal peso di tonnellate di fumetti. La gran quantità di lettori garantiva grande smercio, quindi nei negozi dell’usato potevi trovare di tutto a prezzi bassi, mentre oggi persino il numero in edicola lo trovi su eBay usato a prezzo pieno se non addirittura maggiorato! Che “usato” è ?????
        Da ragazzo uscivo dai fumettari con buste piene di roba che non mi sarei mai potuto permettere a comprare in ristampa: paradossalmente costava meno l’originale che la ristampa, anche se parlo ovviamente di testate più note e meno “da collezione”.

        Per anni ho usato la tecnica dello “scambio” in fumetteria, per questo dico che è impossibile quanto descritto in questo episodio, a meno che i fumetteri americani non usassero politiche-kamikaze, facendo leggere gratis i loro fumetti 😀

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  3. Vasquez ha detto:

    “Il primo fumetto di Ferrus l’invicibile”…primo e ultimo, visto che racconta di come sconfiggere “Ferrus l’invincibile”! 😛
    Mi dico contenta di questa tua ottica tutta nuova, nel tentativo di non sparare a zero su una serie che rimane purtroppo figlia del suo tempo, che si dimentica totalmente di quanto detto e fatto negli episodi precedenti. Quasi antologica come serie, zero trama orizzontale, hai visto mai che uno spettatore occasionale che passava di lì per caso si fosse perso senza capire più niente della storia o dei personaggi? All’epoca si usava così, e spesso si esagerava, a scapito dell’evoluzione dei personaggi, o di qualsiasi altra cosa che poteva legare un episodio ad un altro.
    Sono altresì contenta che il viaggio non finisca qui, e mi chiedo se tratterai l’episodio della mantella stregata e, nel caso, se è quanto riuscirai a trattenerti 😛

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Già se mi anticipi che si parlerà davvero di una mantella stregata, i miei poteri di “moderato” si affievoliscono 😀
      Comincio a rivalutare la “lampada posseduta” di uno dei film di Amityville! (Tutti oggetti che dovranno finire nel futuro Dizionario)

      Anch’io sono nato e cresciuto nella serialità circolare, Starsky & Hutch, Simon & Simon, Colombo, Fletcher, tutti personaggi che non sono mai cresciuti dalla prima all’ultima puntata, identici a sé stessi in ognuno delle centinaia di episodi, al massimo si poteva capire il passare del tempo dalle rughe o dalle acconciature, ma non di molto, e la narrativa del personaggio di Marchak già all’epoca l’avevo vissuta con Gigen di “Lupin III”: ogni maledetta puntata il nemico di turno Gigen lo conosceva “dai tempi di…”, si erano già incontrati a…, e via dicendo, un trucchetto che ogni tanto usava pure Kirk (“Era dai tempi dell’Accademia che non ci incontravamo”) ma non così vergognosamente come Gigen.
      Malgrado dunque io sia nato in quel mondo, lo stesso mi sembra che questo “Venerdì 13” sia su un prodotto inferiore, come struttura e scrittura, visto che ogni puntata va in direzione diversa e al decimo episodio ancora non è riuscito a dare forma ai personaggi: non si sa che mestiere facciano e ogni lo motivazione è fumosa, quando invece tutti i personaggi delle serie storiche mettevano in chiaro sempre la loro posizione. Credo che solo Magnum P..I. non avesse un lavoro ben chiaro e definito, nel senso che bisognava seguire la serie per capire bene il suo ruolo nella vicenda.
      Per questo credo che anche se questa serie l’avessi vista all’epoca temo che avrei storto il naso più e più volte 😛

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      • Vasquez ha detto:

        I nemici di Gigen erano come la sua sigaretta appesa: infiniti 😛
        L’unico di cui mi piacerebbe seguire le puntate in modo sistematico è Thomas Magnum…ci hanno provato qualche tempo fa, poi il suo posto è stato preso dall’insulso remake: dire che l’attore non ha lo stesso carisma che aveva Tom Selleck è come dire che una pozzanghera non è l’oceano…
        Non vedo l’ora di leggere come rivaluterai la “lampada posseduta” di Amityville 😀

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Anch’io Magnum l’ho seguito tardi, nei primi Novanta, e non mi ci sono mai davvero affezionato: negli Ottanta in casa preferivamo i poliziotti cittadini al baffuto hawaiiano 😀

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      • Giuseppe ha detto:

        Io invece temo che quando la rivedrò per bene oggi, dall’inizio alla fine e in esatto ordine cronologico NON mi farà più lo “scanzonato” effetto dell’epoca, quand’ero decisamente ancora abbastanza giovane da poter passare sopra a certi difetti 😀
        Per il resto, questa finta passione fumettistica a Ryan non l’ho mai perdonata nemmeno io, conoscendo già bene ai tempi le difficoltà e i pregiudizi che un VERO appassionato doveva affrontare (tra l’altro proprio il 1990 si stava distinguendo, come se già il resto non bastasse, pure per l’ignobile e ridicola crociata contro Dylan Dog). Comprare fumetti non a buon mercato, leggerli per farsi una cultura generale e poi rivenderli? Pensandoci, inizio a credere che fosse QUESTO il vero aspetto fantastico dell’episodio e non quel povero golem robotico 😛
        Ah, il giovane David Hewlett… forse “Debug”, il fantahorror che ha girato nel 2014 con il collega Jason Momoa potrebbe trovare spazio da queste parti 😉
        P.S. Ricordo che Pennacchioli sul Jeff Hawke della fase anni ’70 aveva un parere mooolto personale, del tipo “belle tette ma storie illeggibili”, ma sicuramente sono io ad essere prevenuto: lui avrebbe scritto senz’altro cose migliori di “Il tempo è scombinato”, “Hic Sunt Tigres”, “Selena”, “Inquilino senza contratto”, “Il segreto di Shorty” che notoriamente sono solo avventure noiose, incomprensibili e infarcite di tette… 😒

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        In effetti mi sa che ho sbagliato il tema dell’episodio: ad essere posseduto era il gestore del negozio, che faceva leggere fumetti gratis 😀
        Quando qualcuno ti fa una crociata contro, vuol dire che stai avendo successo ^_^

        Pensa che Hewlett in realtà l’ho conosciuto vent’anni fa con “The Cube” ma non lo ricordavo: riuscirò a vederlo al fianco di Momoa ma non nei panni di McKey???

        Grazie ai citati negozi di fumetti usati negli anni Ottanta ho fatto una scorpacciata di fumetti anni Settanta: tutti avevano tette a sbucar fuori in ogni pizzo, elemento sensibile per l’adolescente che ero, quindi usarla come critica a Jeff Hawke la dice lunga sulla qualità del critico 😀

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      • Giuseppe ha detto:

        A proposito di Hewlett: nel film non lo vedrai a fianco di Momoa, visti che lì lui si limita a scrivere e dirigere 😉

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  4. Grendizer ha detto:

    “Ryan (John D. LeMay), il quale afferma di leggere fumetti senza pagare, visto che li compra, li legge per farsi una cultura generale e poi li rivende. ”
    Di sicuro non lo rivendeva al fumettaro ladrone.
    In USA il collezionismo di fumetti è sempre stata una cosa serie, capace di attirare gente con soldi da spendere: di sicuro però non riesci a venderli a cifre alte, visto come li trattano nell’ episodio .
    I comics USA erano all’epoca stampati su carta straccia e con copertine in carta velina, che si sciupa dopo due sfogliate.
    Inoltre negli USA non esistono gli arretrati e una volta che l’albo è ritirato dalle edicole, l’unica è richiedere copie invendute al distributore o diventare preda degli speculatori
    “Nel 1988 di questo episodio penso che tutti i giovani italiani leggessero fumetti:”
    Purtroppo, a parte Bonelli e Topolino, gli italiani non eleggevano fumetti, non c’erano prorpio altri tipi di fumetti: i fumetti di supereroi stavano timidamente ricominciando a fare capo nelle edicole ( dopo anni che erano scomparsi), senza mai vendere chissà cosa, e i manga arriveranno solo nel 1990 ( vendendo poco anche loro ; faranno il botto solo nel 1996 con Dragonball)

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Forse è per quello che gli americani usano infilare fumetti in buste di plastica, per via della delicatezza della carta. Coi fumettoni Bonelli non c’è bisogno, a meno di non essere proprio dei puristi maniacali.

      Mi permetto di dissentire, il fatto che non ci fossero supereroi non vuol dire che non si leggesse, tutt’altro: quella fine anni Ottanta è stata l’epoca d’oro dei fumetti, mai più replicata: da lì in poi è stata tutta discesa.
      Che i Bonelli spadroneggiassero in edicola è vero, avevano una distribuzione capillare e massiccia e probabilmente erano i più venduti, ma ti assicuro che era pieno di altre testate ed altre case, che vendevano tanto anche senza superpigiamini colorati.

      Nel 1984 Lupo Alberto aveva fatto esplodere il formato a striscia (quello ormai oggi dimenticato, perché nessuno legge più), cioè fumetti con due strisce larghe per pagina: le edicole sciabordavano di personaggi a striscia ritornati in auge o nati in quel momento. Andy Capp, Lupo Alberto, Cattivik, Sturmtruppen, Nilus, e giusto per citare i più famosi che mi vengono in mente, ma ce n’erano davvero tanti. Più le relative raccolte e ristampe, in contemporanea. E i libri a fumetti che raccoglievano, di nuovo, strisce vecchie.
      Poi c’erano riviste-contenitori, come Comic Art, che presentavano fumetti di altri Paesi, idem per “Lanciostory” e “Skorpio”, poi c’erano cose come Linus, Diabolik, Alan Ford, fumetti vari di case minori che però, ti assicuro, vendevano bene, pur se certo non potevano ambire ai numeri sfoggiati dalla Bonelli.
      E poi c’era la Panini che non stava certo a piangere senza supereroi: c’erano così tante pubblicazioni Disney da non rimanere mai sguarniti, e comunque i supereroi buoni c’erano: proprio all’epoca di questa puntata ero un feroce lettore de “Il Punitore”, che portava sì una tutina ma molto più figa dei suoi colleghi.
      Infine, bastava entrare in un qualsiasi negozio dell’usato per uscirne con secchiate di fumetti di epoche precedenti: Geppo, Soldino, Tirammolla, Eureka, Eureka Pocket (che ristampava regolarmente anche all’epoca), e secchiate e secchiate di altri fumetti. Con i fumetti targati Bonvi ti ci facevi il bagno, i maestri argentini te li tiravano appresso, c’erano contenitori e raccolte di varia natura: mancavano solo i soldi, per questo andavo a rifornirmi dai fumettari.

      Tutto questo è stato spazzato via dagli stramaledettissimi manga, che con l’inizio dei Novanta hanno attirato tutte le nuove generazioni che d’un tratto hanno schifato gli eserciti di testate in edicola, e dagli stramaledettissimi supereroi in pigiama, esplosi col Batman di Burton (‘tacci sua!), ma queste sono antipatie personali 😛

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      • Grendizer ha detto:

        Gli unici fumetti che vendevano era i Disney e i Bonelli ( Dylan Dog però arranca nelle vendite e conoscerà il boom dal n 40 in su ), il resto che citi vivacchiava, con vendite tra le 5-10.000 copie.
        Nulla a che vendere con la situazione degli anni 80 in USA, dove i fumetti vendevano più che mai ( tanto che nacquero le prime case editrici di fumetti indipendenti e le autopubblicazioni degli autori) e che conosceranno un effimera esplosione di vendite nei primi anni 90, pompata dagli speculatori e da lotte dei distributori/case editrici che porterà quasi al fallimento l’intero settore.
        Per la salute del fumetto italiano degli anni 80 ti mando qui ( firmato dal giornalista Sauro Pennacchioli, ex scrittore di fumetti per Bonelli, Disney e Bianconi)
        https://www.giornalepop.it/linverno-dei-fumetti-milanesi/

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Mai fatto alcun paragone col fumetto americano, e ad avercene mille di fumetti che vendevano poco come quelli: meglio oggi che tutti vendono zero? Preferisco quando le edicole erano piene e i giornalisti la consideravano “crisi” piuttosto ad oggi che le edicole sono chiuse e le nuove generazioni parlano solo di manga: a me sembra peggio della sedicente crisi dell’epoca, anche perché di solito è quando le cose vanno bene che ci si lamenta delle tirature: quando le cose vanno male si pensa alla mera sopravvivenza. Come, appunto, oggi.

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      • Conte Gracula ha detto:

        Mi pare che negli anni ’80 Topolino fosse distribuito da Mondadori, non da Panini 🤔

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Ah sì è vero, in effetti non ricordo cosa facesse la Panini, a parte le figurine, non credo di averla mai seguita all’epoca. Per me avrei comprato l’edicola intera ma dovevo limitarmi, quindi adottavo la gratuita arte dello “spilucco” in edicola, così da rimanere informato sulle uscite. Per non rischiare che l’edicolante mi cacciasse frequentavo più e più edicole, così si notava meno il mio operato di spionaggio 😀

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  5. Lory ha detto:

    Quanta passione, è un piacere seguirvi! 👋

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  6. Willy l'Orbo ha detto:

    Anche il fumetto maledetto mi ha piacevolmente interdetto! 🙂
    E il pingue e viscido fumettaro è un esemplare raro! 🙃

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  7. Lory ha detto:

    È una curiosità, davvero particolare, so che queste cose ti intrippano, forse non c’è chissà che spiegazione…..Un paio di sere fa, stavo guardando in dvd il film “L’appartamento “, lo conoscerai senz’altro, anno 1960 di Billy Wilder con Jack Lemmon. Inizia il film e parte una panoramica, Jack Lemmon si presenta e dice: “Io sono un esperto nel ramo statistiche come diciamo noi assicuratori, e infatti lavoro alla Consolidated Life di New York una grande compagnia di Assicurazioni. La nostra sede centrale conta 31.259 impiegati, cioè più di tutta la popolazione di Gallarate, Lombardia, Italia. ” Ecco, tenendo presente che la nominata Gallarate sta a pochi km.dal mio paese, 6/7, io mi chiedo…..? Che mi chiedo??😃 sono rimasta basita, volevo condividere e sapere un tuo pensiero 🤭

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Grazie della segnalazione, adoro queste chicche di doppiaggio, quando le versioni italiane avevano carattere e non erano semplici versioni itanglesi dei film 😛
      Ovviamente in originale Lemmon non cita Gallarate, bensì «Natchez, Mississippi»: chissà se sono due città simili, sarebbe da visitarle per fare il confronto 😀

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      • Lory ha detto:

        Ah, vedi, avevo pensato di guardare la versione originale, poi mi è sfuggito, interessante, per cui nel doppiaggio, uno si inventa ciò che vuole? Pazzesco, mi sembrava troppo strano, considerato che la sceneggiatura è di Billy Wilder e non di un italiano, vedere nominato un paesino nostro. 😁😉

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Una scuola di pensiero ipotizza che se il film è in italiano, è come se anche i personaggi fossero italiani, quindi citano cose italiane. E’ anche vero che nessuno fuori dagli Stati Uniti avrebbe mai capito il riferimento del personaggio, quindi immagino che nella versione spagnola del film si citerà una cittadina spagnola 😀

        Personalmente preferisco un doppiaggio che prende iniziativa a uno che si limita a fare il Google Translate del film: noi italiani adoriamo citare Woody Allen ma tutto, ogni singola parola pronunciata nei film di Woody è un’invenzione del doppiaggio italiano, che ha reinterpretato una comicità che gli italiani anni Ottanta non avrebbero capito, e ha regalato successo al suo autore. Se oggi nascesse un altro Woody non lo capirebbe nessuno, perché traducendo parola per parola si avrebbero battute che non farebbero ridere nessun italiano.
        Quindi viva Gallarate!! ^_^

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  8. Lory ha detto:

    Beh, anche questa è bella, cosa mi dici?!? Oggi giornata delle scoperte, anche questa su Woody Allen davvero una chicca, non me lo sarei aspettata, allora poco serve leggere i sottotitoli, bisogna vedere la versione originale solo se si conosce davvero la lingua, o no? Anche se probabilmente la rilettura che ne hanno fatto, immagino non si discosti troppo dal pensiero di Woody, giusto?
    W Gallarate, chissà, forse il doppiatore era di queste parti, oggi leggo che di abitanti ne ha intorno ai 53.ooo

    The pool leggo esiste anche un film 2001, stesso titolo, uno slasher.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Grazie di avermelo ricordato: quel vecchio slasher ce l’ho da parte, registrato su un piccolo canale locale, ma ancora devo vederlo.
      Tanti dicono che le opere andrebbero gustate in lingua originale, frase che purtroppo avrebbe un pallido senso solo se uno fosse un drago in inglese e vedesse solo film in inglese. Per vedere i film in francese, spagnolo, tedesco, russo, thailandese e kirghiso come si fa? E film in giapponese, danese, norgevese, filipino e in dialetto inuit?
      Mettiamola così, di solito chi non vede film, lo fa in lingua originale. 😀
      P.S.
      A questo punto si alza sempre quello che dice “Eh, ma Robert De Niro nel Padrino 2 parla benissimo in italiano”, non so perché ma c’è SEMPRE quello che fa questa obiezione, cioè uno che non ha mai visto un film in vita sua se non una volta da ragazzino quel Padrino e pensa che quel Klingon che esce dalla bocca di De Niro sia italiano, ma purtroppo questo rovina ogni discussione seria.
      Sai chi parla italiano milioni di volte meglio di Robert De Niro? Toh, di nuovo Woody Allen! Solo che in “Tutto quello che avreste…” l’hanno fatto doppiare a Lionello, ma se lo senti in lingua originale parla meglio italiano un ebreo newyorkese di tutti i falsi italiani broccolini, tipo De Niro e Pesci 😛

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      • Lory ha detto:

        Grande! Ci dovresti davvero fare un post con tutte queste considerazioni 👍davvero intrigante tutto ciò, apre un mondo oltre che il cervello. Sei una miniera di informazioni, quando sentii quella frase pronunciata da Jack Lemmon, ho pensato di avere le allucinazioni….la spiegazione era forse molto semplice, ma interessanti tutti questi risvolti che non conoscevo. Qualche volta ora che ci penso, mi è capitato soprattutto in film thriller, sentire che la traduzione era lievemente diversa dall’originale, tanto da inficiare addirittura la spiegazione o il senso, ora non ricordo il film in particolare, ma mi è capitato sui blog di leggere anche questo. Grazie.

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Quando mi capita lo segnalo, succede di inciampare in strane rese italiane, a volte persino errate, ma comunque ti ricordo il blog “Doppiaggi italioti” di Evit, interamente dedicato all’argomento 😉
        Quando vedi un DVD e ti capita un passaggio che non ti convince, prova a tornare indietro e a risentirlo con in italiano ma con i sottotitoli inglesi, così magari puoi renderti conto dell’adattamento. Occhio, però, perché è un universo che potrebbe risucchiarti 😛

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  9. Lory ha detto:

    Da un veloce controllo, non avendo ancora riconsegnato il dvd, leggo e sento che Natchez, Mississippi è in ogni versione, quella italiana pure nei sottotitoli, solo il parlato italiano fa cenno a Gallarate, il resto, versione inglese, tedesca, francese, spagnola, solo Natchez. Quindi mi sono fermata , matacchione il nostro italiota 😉

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Ti svelo un altro segreto che pochi sanno: i sottotitoli vengono creati esclusivamente in inglese: tutte le altre lingue, compreso l’italiano, sono fasulle, perché si limitano a tradurre i sottotitoli inglesi, qualsiasi cosa dica l’attore.
      In Italia le case non fanno niente, grasso che cola se scrivono il titolo in italiano sulla locandina: ti pare che si mettono a riscrivere i sottotitoli seguendo il doppiaggio? Macchè! Prendono i sottotitoli inglesi e li traducono, anche se dicono cose che in italiano non esistono. Idem per qualsiasi altra lingua: magari l’edizione tedesca del film dice “Eidelberg”, magari l’edizione francese dice “Bordeaux”, ma ai sottotitoli non frega niente 😛
      Se il DVD è multi-lingua, anche se purtroppo è una consuetudine che si è persa, ti conviene alzare il volume e mettere le varie lingue, per vedere se si capisce che città indicano i doppiatori esteri. Altrimenti non lo sapremo mai, perché i sottotitoli sono solo inglesi 😉

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      • Lory ha detto:

        Infatti, in questo caso, risulta sempre Natchez, solo la versione italiana parlata nomina Gallarate.Tutte le altre versioni parlate e sottotitoli danno Natchez, Mississippi. Ok, comunque ci siamo capiti.

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Quindi il doppiaggio delle altre lingue apparteneva alla scuola di pensiero per cui in tutti i Paesi del mondo la battuta “Nantchez” sarebbe stata capita, mentre noi italiani saremmo rimasti confusi 😀

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  10. Lory ha detto:

    Poveri Italiani…ma no, un diversivo del nostro doppiatore, non posso pensare si pensi a noi come dei celebro lesi, mi rifiuto 😉

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Sono anche ragionamenti dei doppiatori (o direttori del doppiaggio) che esulano da cosa pensino gli spettatori: il doppiaggio di “300” si è preoccupato dell’aderenza storica e ha rovinato una frase ad effetto con “Stanotte ceneremo nell’Ade”, perché in effetti all’epoca delle Termopili non esisteva l’inferno, mentre il doppiaggio de “Il gladiatore” se ne è fregato di qualsiasi aderenza storica e ha vinto tutto con “Al mio segnale scatenate l’inferno”, malgrado anche all’epoca non esistesse l’inferno.
      Sono scelte, a volte sono buone altre meno, a volte pensano a noi (tipo il traduttore che in una sit-com il nome “Freddy Krueger” l’ha cambiato in “Dracula” perché convinto che gli spettatori non conoscessero bene il personaggio) altre volte pensano solo a loro. E mo’ mi fermo se no qui facciamo notte: resa italiana dell’originale “Fahrenheit” 😀

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  11. Federico ha detto:

    Arrivo in ritardissimo (giornata piena) ma vorrei ringraziarti per la gentilezza della citazione al mio piccolo canale. E quel “Brivido” che ho pubblicato dovrebbe esser proprio la prima tv di Italia 1. Roba da museo!! 😀

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      E’ stato un gran piacere, perché il tuo video appunto ci fa respirare un po’ d’aria del 1990, come ho cercato di fare con questa serie di post, più incentrati sul “viale dei ricordi” che sulla serie in sé ^_^

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  12. Pingback: Venerdì 13: la serie (1987) 11 – Lo spaventapasseri | Il Zinefilo

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