Nei suoi ultimi aneliti di vita la mitica AVO Film (buon’anima) sul finire degli anni Duemila ha portato in Italia oro puro, materiale inedito che credo sia stato doppiato per l’occasione, in una lunga serie di DVD uno più meraviglioso dell’altro, contenenti le sontuose rimasterizzazioni della Celestial Pictures di prodotti d’annata targati Shaw Bros. Peccato che questa lodevole iniziativa non abbia impedito la scomparsa della storica casa nostrana: temo che questi dischi siano stati acquistati alla loro uscita solo da un ristretto numero di pazzi marziali come me.
Grazie a questa iniziativa, possiamo ammirare in lingua italiana un kolossal d’annata inedito da noi per decenni – fino a prova contraria – anche se certo la nostra conoscenza della storia e cultura cinese rende un po’ difficile apprezzarlo.
Il DVD
L’HKMDb ci dice che risale al 17 marzo 1972 l’uscita nei cinema di Hong Kong del film 水滸傳 (“Fuorilegge dell’acqua”), un vasto e variopinto affresco storico di grande ambizione scritto e diretto dal maestro Chang Cheh, l’Omero di Hong Kong, con l’aiuto di vari collaboratori. Il produttore Run Run Shaw dà licenza di vastità all’autore per ingaggiare un esercito di attori, anche se poi onestamente la montagna non fa che partorire un topolino.
Distribuito all’estero con il titolo immotivato di Seven Blows of the Dragon, non esistono prove che sia mai giunto in Italia prima di questa edizione AVO Film con copyright 2008, dal titolo Le sette anime del drago.
Il formato dell’immagine, come sempre, è 2.35:1 widescreen, mentre l’audio è italiano (2.0 e 5.1) e mandarino (mono).
La Storia e la Finzione
Con il nuovo anno rispolvero una gloriosa rubrica, virandola in chiave marziale.
Per capire l’ambientazione del film di oggi è necessario un po’ più di approfondimento, e per fortuna mi aiuta Michael Wood con il suo ottimo saggio La storia della Cina. Ritratto di una civiltà millenaria (Mondadori 2022).
Nell’anno Mille sotto la dinastia Song la Cina ha conosciuto tutto quello che l’Europa conoscerà solamente quattro secoli dopo: il celebre Quattrocento italiano che ha cambiato per sempre il mondo occidentale e che ha creato la realtà in cui noi ancora oggi viviamo i cinesi l’hanno vissuto con quattrocento anni di anticipo, dalla riscoperta dei classici all’invenzione della stampa al proliferare delle arti: se i cinesi avessero avuto la naturale tendenza europea a invadere e massacrare stranieri, probabilmente oggi staremmo tutti facendo tai-chi al parco.
Alcuni storici hanno calcolato che all’epoca gran parte della popolazione mondiale abitava in Cina, parliamo di un impero florido e ricco, grazie alla dinastia Song, alla sua tolleranza religiosa e ai suoi rapporti diplomatici con i vicini. Rapporti però aiutati dal più grande esercito della storia umana: si parla di circa un milione e mezzo di soldati, roba che gli Antichi Romani sembrano una scolaresca in gita. I soldati però hanno la pessima abitudine di mangiare tutti i giorni, quindi le spese governative per mantenere l’elefantiaco apparato militare sono parecchio alte, ma tranquilli: è un periodo florido, i commerci vanno benissimo e l’impero è ricco.
«Al culmine della prosperità nell’XI secolo, la società Song era una delle più umane, colte e intellettuali della storia cinese; e anzi, si può dire, della storia mondiale», mi spiega Wood. Questo Paradiso terrestre può essere rovinato solo da due fattori: una catastrofe naturale o l’invasione dei terribili popoli delle steppe. Alla povera dinastia Song sono capitate entrambe.
Quella del 1048 è stata un’estate straordinariamente calda, e noi oggi purtroppo siamo informati sui rischi che questo comporta: i ghiacciai si sciolgono. A noi in realtà non ce ne frega niente, perché per nostra natura a noi piace lucidare le maniglie del Titanic, ma è una cosa gravissima. Per esempio quell’estate del 1048 alcuni ghiacci del Tibet si sono sciolti e l’acqua che ne è derivata ha ingrossato i fiumi per migliaia di chilometri attraverso la Cina, generando forse la più grande massa d’acqua vista da essere umano, ad esclusione dei racconti biblici.

La Cina durante la Dinastia Song del nord
(da Wikipedia)
Una massa d’acqua mai vista prima da occhio umano si riversa sulla Cina settentrionale, e la recente ricostruzione dello storico Ling Zhang (Cambridge 2016) permette di farci un’idea dell’evento: stando alle testimonianze dell’epoca, una zona grande all’incirca 500 chilometri rimase popolata esclusivamente di cadaveri. Si parla di un milione di morti spazzati via dalla potenza devastante di una catastrofe naturale di portata inconcepibile, il che significa parecchi milioni di sfollati, sopravvissuti rimasti indigenti che si spostano in massa nelle regioni limitrofe a chiedere aiuto: non ottenerlo dalla classe media e alta, indifferente al disastro umanitario, non ha aiutato la situazione, che è degenerata in fretta. Lo storico Sima Guang, testimone diretto degli eventi, scrive che «padri e figli si mangiavano a vicenda».
Come reagisce un impero ricco e florido a un evento di portata biblica? Male, molto male. La catastrofe del 1048 – ancora oggi, mille anni dopo, ci sono nella zona laghi creatisi all’epoca! – ha avuto ripercussioni sociali ed economiche per i decenni a venire, e le casse dell’impero si sono velocemente svuotate. Attenzione, non perché l’imperatore aiutasse i milioni di sfollati che morivano di fame per le strade e si mangiavano a vicenda, di quelli non fregava niente a nessuno (tipo come oggi!), ma perché tutta quella gente… non pagava più le tasse! Se nessuno coltiva quei campi sfuggiti al disastro, se nessuno lavora, non ci sono risorse per l’impero, che d’un tratto scopre come un milione e mezzo di soldati sono un maledetto problema.
Visto che la sfiga non arriva mai da sola, l’evidente debolezza e prostrazione in cui era caduto l’impero dei Song non sfugge ai Jurchen Jin, popolazione di quei luoghi che oggi appartengono alla Russia: diventati forti grazie a diverse campagne vittoriose in cui si sono annessi regni vicini – rubando così la preziosa tecnologia militare cinese – i Jurchen Jin calano fatali a distruggere quel po’ che rimaneva della dinastia Song del settentrione, portandosi via in schiavitù le centinaia di cortigiani al seguito dell’imperatore, reso schiavo egli stesso. Non citerò cosa facevano i Jurchen Jin alle donne di corte, ma basti dire che è comprensibile che centinaia di loro si siano suicidate prima di finire in quell’inferno.
Come capita spesso nella storia cinese, una dinastia muore sotto il peso di una massa immane di cadaveri.

Cavalleria Song contro cavalleria Jurchen Jin (da Pinterest)
Quando intorno al Duecento (ma la datazione è incerta, potrebbe anche essere successiva) qualcuno si è messo a scrivere un poema cavalleresco in tutto simile a quelli che si scrivevano da noi in Europa, secondo voi l’ha ambientato nel periodo ricco e florido o durante quello di crollo e disperazione? Avete risposto bene: gli ultimi tempi della dinastia Song del settentrione diventano un teatro perfetto per ambientare storie di eroismo ma anche di vendetta sanguinaria.

da Wikipedia
Il poema cavalleresco in lingua mandarina Shuihu zhuan viene di solito tradotto con Water Margin ed è un insieme infinito di storie con personaggi a secchiate. Il testo arriva in Italia negli anni Cinquanta del Novecento e da allora conosce solo due edizioni: I briganti (Einaudi 1956, 2004), che decisamente fuorvia il lettore sull’argomento del testo, e il più fedele, anche se vago, In riva all’acqua (Luni 2015). Nessuna delle due edizioni è tradotta dal cinese, la prima deriva dal tedesco e la seconda dal francese.
Per larghe somme la storia verte su ben 108 personaggi, tutti con un motivo per allontanarsi dalla società civile e diventare fuorilegge, senza che però questo voglia dire siano criminali: semplicemente non accettano le ingiustizie che la dinastia Song sta mettendo in pratica.
La storia infatti è ambientata poco prima dell’invasione dei Jurchen Jin, in quel periodo in cui l’imperatore Huizong (o Hui Zong) deve gestire i lunghi effetti della catastrofe naturale senza esserne capace. Huizong infatti si dedica all’arte e nella sua Città Proibita gusta tutto ciò che è bello, mentre milioni di suoi sudditi sono costretti al cannibalismo e le autorità locali spadroneggiano, in mancanza di un potere presente. Questo non vuol dire che Huizong fosse malvagio, come alcuni lo disegnano, ma semplicemente non aveva il polso giusto per gestire un impero allo sfascio, distrutto non certo per colpa sua.
Per i 108 banditi invece l’imperatore Huizong è il nemico per antonomasia, come lo sono tutti i potenti che spadroneggiano in suo nome.
Magnus (anteprima)
Il romanzone Water Margin dev’essere piaciuto parecchio al celebre fumettista Magnus (Roberto Raviola), che sul finire degli Settanta inizia a creare una sua personale reinterpretazione della chanson de geste cinese, ma lo vedremo la settimana prossima, insieme al seguito del film. (L’ho voluto anticipare prima che nei commenti si affollassero tutti a segnalarmi questo fumetto.)
Magnus inizia a pubblicare la sua saga a fumetti almeno cinque anni dopo l’uscita originale del film di Chang Cheh: è una prova che comunque in Italia è arrivato qualche eco di quell’opera? Magari un “mischione” come nel caso di The Brave Archer (1977) sempre di Cheh? Si può dire di tutto, ma il problema è che non esistono prove certe: sarei felicissimo di scoprire un’edizione italiana del film, ma non posso accontentarmi di “voci di corridoio”.
Il film
Come ci spiega una scritta iniziale, questo film è ispirato ai capitoli dal 64 al 68 di Water Margin, scelta dovuta al fatto che si tratta di un testo sterminato e quindi per forza di cose si è dovuto scegliere una sotto-trama particolare.
Una lunga parte iniziale ci presenta l’esercito di personaggi a disposizione della produzione – per fortuna non tutti e 108 i briganti, ma ci sono andati molto vicini! – e visto che quasi nessuno di questi personaggi sarà protagonista della vicenda, è già un passaggio inutile che ammazza il ritmo del film. Anche se Cheh mette i nomi in sovrimpressione di ogni personaggio, chi mai ricorderà quel fiume di gente?
La vicenda prende l’avvio da una situazione di tensione che finisce in tragedia. La situazione è data dal fatto che abbiamo questi 108 guerrieri fuorilegge (i “briganti” del titolo italiano) saldamente arroccati sul Monte Liang (Liang Shan), nello Shandong (Cina nord-orientale), raggiunto via acqua, il che non fa per nulla piacere alla vicina Zengtou, che viene definita “città dei ricchi”. Quando Chao Kai (Tung Lin), “re celeste” del Monte Liang, si reca in pacifica visita alla città viene passato per le armi dal responsabile locale della sicurezza, Shi Wengong detto “Lancia d’Oro” (Toshio Kurosawa).
Ammazzare un loro rappresentante non è il modo migliore di instaurare buoni rapporti con i vicini briganti, i quali iniziano a progettare una rappresaglia per vendetta, e per questo mandano a chiamare un valido alleato: Lu Chun I detto “Unicorno di Giada” (Tetsuro Tamba). Evidentemente in 108 non bastano, serve un 109° guerriero.
Come avrete notato, il film è appena iniziato e già pare un elenco del telefono: e vi ho risparmiato le decine di nomi citati che però non sono funzionali alla storia.
Unicorno di Giada e il suo giovane compare Yen Ching detto “Il Prodigio” (David Chiang), non ne vogliono sapere di aiutare i ribelli e scacciano in malo modo i loro “ambasciatori”, ma già il fatto stesso di averli ospitati in casa costituisce reato e quindi si ritrovano ricercati dai soldati imperiali. Ecco che quindi, senza volerlo, si ritrovano “briganti” pure loro.
D’un tratto la vicenda di portata epica si riduce a quello che a tutti gli effetti sembra la versione cinese di uno spaghetti western: una vicenda minuscola, un episodio di mala-giustizia in un piccolo paesino, gli eroi che si inventano trucchi strani per gabbare la legge corrotta, David Chiang che ride sempre come un ebete, personaggi pittoreschi, un’esecuzione capitale sventata alla Sergio Leone e fine del film.
Oh, dov’è finita la celebre epica di Chang Cheh? Ma soprattutto, ’sto Water Margin di millemila pagine è tutto così? Un insieme di storielline di rara inconsistenza e superficialità al cui confronto i filmacci marziali senza sceneggiatura diventano capolavori da Oscar? Possibile che la Shaw Bros organizzi un kolossal con decine e decine di attori solo per ridursi a un filmetto inferiore alla media dei loro prodotti più economici?
Dopo tutta la trama raffazzonata, spesso incomprensibile per via dello slalom fra decine di nomi snocciolati come un appello scolastico – Yin Yon Yan, “presente”; Pin Pon Pan, “assente” – alla fine si arriva dove arrivano tutti i film della Shaw Bros: al lungo combattimento finale girato in esterni, nei soliti prati terrosi delle campagne intorno ad Hong Kong.
Da notare che siamo all’alba del gongfupian, cioè il cinema dei combattimenti a mani nude, genere ancora indigesto alla Shaw Bros e quindi qui abbiamo solo scontri all’arma bianca, rendendo il film più simile a un wuxiapian, sebbene i protagonisti non volino. Da segnalare la presenza nel combattimento finale di una donna, quando è nota l’avversione di Cheh al genere femminile: probabilmente è stata imposta dalla produzione per non creare un film tutto al maschile, ma è curioso che Cheh invece di relegarla a “ragazza che muore”, al suo solito, la faccia combattere al fianco dei buoni, ruolo per nulla scontato per le donne di Chang Cheh.
Lo confesso, sono rimasto profondamente deluso da questo film, che ha evidenti mezzi a disposizione e li butta via malamente, limitandosi a inquadrare il divo dell’epoca – il totalmente inespressivo David Chiang – che ride, ride e fatte ’n’altra risata! Da un grande autore epico come Cheh era lecito aspettarsi molto di più, avendo a disposizione un testo epico di grande importanza nella cultura cinese e soprattutto un’ambientazione storica così potente.
A parte snocciolare una cinquantina di nomi, tutti inutili alla trama, questo film non fa altro: che Cheh si sia tenuto il meglio per il seguito? Lo scopriremo la settimana prossima.
L.
– Ultimi film marziali:
- Perfect Addiction (2023) Ammmòre e MMA
- Il castello dei gufi (1963) La nascita dei Ninja
- Project S (1993) Michelle Yeoh Superstar
- Shaolin Avengers (1994) La vendetta degli Shaolin
- L’uomo del kung fu (1973) guest post
- Heroes Two (1974) Quando Fong incontra Hong
- [Gli Archivi del Monte Song] Bruce Lee contro i Superman (1975)
- Shaolin Temple (1976) I giganti del karatè
- [Gli Archivi del Monte Song] The Dragon Lives Again (1977)
- Disciples of the 36th Chamber (1985) L’eroico Fong Sai-yuk
Bellissimo, sia l’edizione home video che il post, visto che lo hai segnalato attendo Magnus a questo punto, perché come inizio settimana Zinefilo direi che sono più che soddisfatto, anche perché non devo fare tai chi al parco, fiuuuu pericolo scampato! 😉 Cheers
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L’esercizio fisico sarebbe stata la parte peggiore della dominazione cinese 😀
Scherzi a parte, è un peccato che il film non risponda alle aspettative, perché c’erano tutti i numeri per un kolossal storico che ci facesse conoscere meglio un periodo buio della Cina.
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Adoro questi articoli di approfondimento storico perché riesci a riassumere in poche parole e in modo divertente eventi storici spesso poco conosciuti. Poi se il film non è granché pazienza, tanto mica lo guardo, è l’approfondimento storico che mi interessa!
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ahaha ti ringrazio e in effetti stavolta non posso difendere il film, che ti consiglio di ignorare, ma quel periodo storico è stato davvero intenso: il saggio citato spiega molti più particolari ma ovviamente ho dovuto riassumere, limitandomi al succo della questione.
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Dubito che la pezzentissima Avo film si mettesse a doppiare film inediti e misconosciuti , cinesi per di più.
Basterebbe ascoltare il doppiaggio italiano per capire se è recente o di annata.
Chi si intende appena appena di doppiaggio , lo capisce subito.
Magnus scrisse il suo fumetto dopo aver letto “i Briganti” che però era mal tradotta e ometteva la parte favolistica dell’ opera originale ( che iniziava col risveglio di un demone assente sia nella versione occidentale del romanzo e del fumetto ),
Questo viene spiegato nel volume con l’integrale del fumetto della Rizzoli-Lizard
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Speravo che l’aver citato Magnus evitasse di ricevere commenti in proposito…
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Ma sai che te lo volevo citare io? M’hai bruciato sul tempo 😜
Un Chang Cheh decisamente sottotono, qui, se pensiamo che con una tale fonte di partenza ci sarebbe stato del materiale bastante non solo per un film migliore, ma per un’intera saga (già un seguito migliore sarebbe comunque un buon risultato)…
Ottimo approfondimento storico, come sempre 😉
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Ti ringrazio ed è davvero un peccato, perché Chang Cheh viveva proprio di questi drammoni epici di ambientazione storica, è un peccato che proprio con questo abbia dato il peggio di sé. Speriamo nel seguito 😉
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Cmq il poema cinese dei Briganti è famosissimo in tutta l’Asia, Giappone compreso, dove è conosciuto come “Suiko-den” ( di cui c’è anche una saga videoludica piuttosto conosciuta e che in comune con l’originale ha solo la presenza di 108 guerrieri )
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Ti ringrazio, ma c’è già una pagina Wikipedia piena di queste informazioni, che non ho citato perché non hanno attinenza con il film.
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Arrivo tardi e tra l’altro mi sono anche persa nel bellissimo post del “J’accuse”, davvero interessante, non sapendo niente della realtà storica che hanno distorto, il film di Polanski mi piacque, evidentemente con Polanski non sono obiettiva, mi chiedo adesso se abbia fatto ricerche in merito, ahiahai, da lui non me lo aspetto.
Veniamo invece al post odierno, anch’io amo la parte storica, per questo il cinema internazionale del passato oltre ad amarlo, lo ritengo prezioso proprio per tutto quello che merita esser raccontato, conosciuto e assimilato. E se del film in sé non posso esprimere un parere, è stata proprio la storia sulla catastrofe con i risvolti terribili a farmi venire in mente una cosa quasi identica ma voluta, ovvero la costruzione di una diga sempre in Cina, sul fiume Azzurro, per la costruzione di un bacino artificiale capace di contenere 22 miliardi di metri cubi d’acqua e la successiva costruzione di una centrale elettrica. Hanno allagato, ovvero sono sparite 13 città, 140 paesi e 1352 villaggi da quanto ho letto con lo sfollamento di 1,4 milioni di persone. La prima volta che lo vidi al cinema fu grazie al film tratto dal libro omonimo “Balzac e la piccola sarta cinese”, successivamente ritrovai questa storia in un altro film dove venivano raccontate le tragedie e le conseguenze di tutto questo, non mi ricordo il titolo. Restai veramente impressionata, e anche se questo esula dal tuo post, me lo ha ricordato, bellissimo racconto ne hai fatto.
Molto ansiogeno The pool, pensavo di guardare dieci minuti, ero cotta, … passato il sonno, meritava, 😉
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Non ho capito il riferimento a Polanski, devo essermi perso un passaggio 😛
La sensazione è che in Cina sia tutto più grande, forse perché sono talmente tanti che tutto ciò che fanno ha ripercussioni inoncepibili: evidentemente quel disastro del passato con l’acqua non ha insegnato loro niente…
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Inizi il post scrivendo: Con il nuovo anno rispolvero ‘una gloriosa rubrica’ è evidenziato in blu, ovvio ho cliccato, appaiono 4 post, uno dei quali è “Prigionieri dell’onore”
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Ah, non sarei mai arrivato all’Affaire Dreyfuss 😀
Pare di averlo scritto una vita fa…
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L’altro film di cui non ricordavo il titolo è “Still life”, di Jia Zhanghke, girato su zone già parzialmente evacuate.
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Tra l’altro hai scritto cose nei commenti (post Prigionieri dell’onore) di cui discutere per ore, davvero chapeau
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Ti ringrazio 😉
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Non so, io leggo e scrivo da telefonino e questo mi era apparso, ho cliccato: oltre questo post, ne presenta altri 4, appunto come ti dicevo, non so se da PC sia la stessa cosa.
Basta coi complimenti, ma 👌
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Seguo con interesse (anche per il discorso Magnus)
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Contento di riuscire a destare interesse sulla storia cinese, non certo presente nel nostro immaginario collettivo 😉
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Voglio la carrellata dei 108 briganti! 😀
Al di là degli scherzi la storia è molto interessante, mi par di capire assai più del film! 🙂
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Un film che inizi con venti minuti di gente che appare con il nome in sovrimpressione non può certo entrare nella storia del cinema 😀
Almeno però ci ha fatto conoscere un po’ di storia cinese.
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Ciao! Ti sei tenuto in serbo per il futuro i riferimenti a ‘La Frontiera del Drago’, la serie tv nippo-cinese che ricordo con grande affetto sulla Rai (direi 1980), che è tratta dallo stesso Water Margin? Perché la citazione di Magnus evoca l’impatto in Italia della narrazione originale – e il telefilm è stato una hit, all’epoca.
F.
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Sì, ne parlerò nel post di lunedì, come scritto.
Malgrado nei siti venga associato Magnus a quella serie in realtà la tempistica non corrisponde: chi compila pagine, recensioni e introduzioni su Magnus è così distratto dalla sua smodata e incontrollata venerazione per il fumettista da dimenticare di controllare le date 😛
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