Shaolin Temple (1976) I giganti del karatè


Riavvolgiamo il nastro e torniamo alla metà del film della settimana scorsa, quando Fong Sai-yuk entra nel tempio di Shaolin: qui assistiamo allo stesso evento, ma la narrativa è decisamente diversa.

Spero non ci sia bisogno di specificare che non c’è alcun karatè in questo film.

少林寺 esce nei cinema di Hong Kong il 22 dicembre 1976, ci dice il consueto HKMDb, e viene distribuito all’estero sia con il corrispettivo inglese, Shaolin Temple, sia con un misterioso Death Chamber.

Ricevuto il visto della censura italiana il 9 novembre 1978, la Kent World Distributor lo porta poco e male nelle nostre sale: sicuramente lo troviamo dall’11 dicembre 1978, e ci rimane almeno fino al 1981.
Domenica 16 marzo 1986 Italia1 lo manda in terza serata, dandogli subito dopo un bel calcione nel sedere: riappare nel 1989 sulla mitica Italia7 e inizia la sua breve vita nei canali locali.

Direttamente dall’Archivio Marziale Etrusco

La pessima vita in sala rispecchia quella in home video, dove viene distribuito dalla minuscola 999 Home Video Productions, roba che solo pochi pazzi (come me) hanno noleggiato in videoteca, sbrigandosi a digitalizzare.

La pessima qualità di questa VHS viene migliorata leggermente quando il film viene ripescato dalla Fabbri Editori con l’inizio del nuovo millennio, nella celebre collana da edicola “Kung Fu”.

Fabbri Editori si impegna, ma la qualità è sempre bassina

È stato più volte ristampato in DVD, e grazie alla mia abitudine di conservare gli scontrini nelle custodie posso datare l’acquisto di una delle due versioni che ho in collezione, da cui sono tratte le schermate di questo post: 22 ottobre 2008, probabilmente la data in cui è uscita quell’edizione Elleu, casa che all’epoca stava ristampando in digitale vari filmacci marziali. Dev’essersi sbagliata, nel presentare un prodotto di qualità nel mucchio.


Fong Sai-yuk, di nuovo nel Tempio Shaolin

Come abbiamo visto nel film I discepoli della 36ª camera (1985), l’eroe popolare Fong Sai-yuk (o Fang Shih Yu) un giorno riuscì a farsi accettare nel severo tempio di Shaolin così da migliorare nelle arti marziali, di cui era già esperto grazie agli insegnamenti materni, sì da poter affrontare gli spietati dominatori Manciù.

Benvenuti nel tempio di Shaolin, protagonista di leggende senza fondamento

Quanto c’è di vero in questa leggenda popolare? Difficile dirlo ed anzi è inutile chiederselo: è una leggenda veicolata attraverso romanzi popolari scritti nella dinastia Qing e da allora entrati nell’immaginario collettivo cinese. A volte Fong Sai-yuk deve vendicare l’uccisione di suo padre (come in Chen, la furia scatenata) altre volte viene ingannato e addirittura vuole unirsi ai Manciù (come ne I discepoli…): qui ne I giganti del karatè torna il tema della vendetta ma si rimane sul vago, forse perché gli spettatori cinesi ben conoscono il personaggio o forse perché in realtà lo spunto non ha molta importanza nella vicenda.

Firmando sia la sceneggiatura che la regia, il maestro Chang Cheh ci regala un grande affresco marziale di una storia notissima ai cinesi malgrado non sia attestata da fonti storiche, e ripetendo lo stile dei suoi 108 briganti di Water Margin (1972) presenta i personaggi con tanto di nome in sovrimpressione, per chi sa leggere gli ideogrammi cinesi.

Non so cosa dicano le scritte, so solo che al centro c’è il mitico Fu Sheng

Sebbene Fong Sai-yuk sia un personaggio sbarazzino per definizione, incapace di affrontare seriamente anche i pericoli più grandi, Chang Cheh è un autore troppo drammatico ed epico per ritrarlo come i suoi predecessori, così cuce addosso all’eroe una scena che noi europei dovremmo conoscere bene, se mai ce ne fregasse qualcosa della nostra storia, e cioè l’umiliazione di Canossa.

Nel gennaio 1077 l’imperatore del Sacro romano impero Enrico IV doveva farsi togliere la scomunica da papa Gregorio VII così, nell’emiliana Canossa, fece penitenza davanti al castello di Matilde dove soggiornava il papa rimanendo inginocchiato per tre giorni e tre notti, in condizioni meteorologiche avverse. Mi piacerebbe fosse un riferimento voluto, ma più probabilmente appartiene alla mitologia di Shaolin il fatto che gli aspiranti allievi ripetessero l’operazione davanti alle porte del tempio, e se avessero ceduto alle tentazioni (come cibo e acqua) sarebbero stati scacciati.

Quando nel 2002 il bravo Greg Rucka prende in mano i fumetti di Elektra, manda l’eroina marziale da una nuova maestra ma prima… tocca pure a lei l’umiliazione di Canossa! Mi piace pensare che un estimatore della cultura popolare come Rucka conoscesse il celebre film di Cheh.

Elektra a Canossa disegnata da Carlos Pagulayan (“100% Marvel” n. 10, settembre 2003)

Così Fong Sai-yuk, che il doppiaggio italiano ribattezza Kim Sotèr (interpretato da Fu Sheng), Hu Hui Gan (il sempre musone Chi Kuan-Chun, compagno d’avventure fisso di Fu Sheng) e un altro tizio resistono ben cinque giorni prima di essere finalmente accettati al tempio.

Ora, per sgranchirci, giù di kung fu

Non è chiaro se i tre si conoscano, comunque i saggi monaci mettono i nuovi arrivati a compiere mansioni umili, e il trucco alla Karate Kid è ormai noto, anche se all’epoca era ancora “roba fresca”: gli eroi si lamentano di non star imparando niente, invece a loro insaputa stanno potenziando i propri corpi e acquisendo capacità al limite del soprannaturale.

Così se passano tutto il giorno a mescolare nei pentoloni bollenti, diventeranno bravi con il bastone.

Sì, però che due palle…

Se vengono fatti saltare tutto il giorno – come succede al personaggio interpretato dal mitico Phillip Kwok, grande interprete marziale e futuro coreografo de Il patto dei lupi (2001) – allora diventerà un acrobata fenomenale.

Salta che ti passa!

Non è chiaro cosa faccia Hu Hui Gan, se non passare il giorno ad eseguire le cinque forme del kung fu degli animali, in scene entrate subito negli annali del cinema marziale.

Questa scena va subito nell’Enciclopedia del Cinema Marziale

Non vi ricordate quale siano le cinque forme animali di questo kung fu? A rinfrescarvi la memoria ci pensano le cinque stelle fortunate di Sammo Hung.

Cinque stelle fortunate, cinque stili di kung fu

Al tempio arrivano anche alcuni soldati sopravvissuti a una battaglia, probabilmente contro i Manciù, e questi non devono conoscere alcuna Canossa: entrano e vengono trattati bene dai monaci. Questo non è un bene, perché la dinastia Qing vede con crescente preoccupazione l’abitudine dei monaci Shaolin non solo di dare ospitalità ai ribelli, ma addirittura di insegnare loro la fenomenale arte marziale che può sbaragliare ogni Manciù.

Mi sembra chiaro che questo tempio debba essere distrutto… ma prima, conosciamo un monaco decisamente particolare.

Perché questo monaco sta sempre faccia al muro?

Non so perché Chang Cheh riprenda sempre di spalle l’unica maestra donna di Shaolin, se perché così voglia la tradizione o se invece abbia prevalso il noto disinteresse dell’autore per i personaggi femminili nei propri film, sta di fatto che a un certo punto uno dei soldati (interpretato dal solito Ti Lung) viene preso come allievo da «sorella Chan-Min».

Non so perché il doppiaggio italiano si inventi quel nome, né perché faccia dire alla donna di insegnare la frusta, visto che non esiste alcuna frusta in tutto il film: se già non bastasse il mito a identificare la donna, l’avremmo “stanata” dagli esercizi del suo allievo.

E noi all’albero lo menamo!

Usando i rami di un vecchio albero, l’allievo di Chan-Min si esercita come faranno milioni di cinesi nei secoli a venire, usando al posto dell’albero un wooden dummy che temo non abbia un nome italiano.


La leggenda della monaca marziale

Di nuovo, non esistono fonti storiche ma solo leggende popolari, eppure è irresistibile l’idea fra i grandi maestri marziali cinesi ci sia stata una donna, sfuggita alle persecuzioni dei Manciù così da insegnare il suo stile, ancora oggi fra i più amati in patria.

Anche qui la monaca marziale inizia di spalle

Anche Yuen Woo-ping – il geniale regista marziale che ha lanciato Jackie Chan con Drunken Master (1978) e ha coreografato Matrix (1999) e Kill Bill (2003) – riprende la maestra di spalle, ma poi ce la mostra anche di viso, e lo splendido viso appartiene a Cheng Pei-Pei, che gli italiani hanno fatto finta di conoscere con La Tigre e il Dragone (2001) ma in realtà è totalmente ignota nel nostro Paese, dove prima del Duemila non sono mai arrivati i film che l’hanno resa la prima grande eroina marziale.

Una maestra marziale interpretata da un’eroina marziale

Quasi vent’anni dopo I giganti del karatè, il personaggio torna a raccontarci della sua allieva migliore, o comunque più famosa, protagonista del film Wing Chun (1994), che prende appunto il nome dall’allieva Yim Wing Chun.

Una delle migliori eroine marziali dell’epoca nella parte di una leggendaria lottatrice

Interpretata da una strepitosa Michelle Yeoh, Wing Chun è una donna libera in un mondo di strette consuetudini immutabili, una donna che si veste da uomo e non vuole essere legata ad alcuno, e che per combattere l’istituzione matrimoniale inizia ad allenarsi nel kung fu, istruita dalla monaca di Shaolin di cui è il momento di dire il nome: Wu Mei, nota anche come Ng Mui.

Riconoscete il protagonista maschile del film, al centro?

Dalla maestra Wing Chun impara uno stile di lotta unico che, infatti si chiama wing chun e ancora oggi è famosissimo: fra gli illustri maestri che l’hanno insegnato c’è Ip Man, e guarda caso in questo film del 1994 c’è proprio Donnie Yen nel ruolo di co-protagonista.

Michelle contro Donnie è poesia marziale pura!

Visto che Ip Man è esistito davvero (abbiamo le foto!) e visto che lui stesso afferma che il suo celebre stile di lotta discende da Wu Mei, questo rende la maestra marziale vera? No, dimostra solo quanto sia entrata nell’immaginario collettivo.

Donnie Yen esegue il wing chun con il wooden dummy nella saga Ip Man

Il film è principalmente una commedia, Yuen Woo-ping cancella ogni citazione dei Manciù e usa dei generici banditi come cattivi, inoltre rimangono dubbiose alcune scene in cui sembra di intuire l’omosessualità di Wing Chun: fa parte della sua leggenda o è uno stereotipo maschile, per cui una donna forte per forza debba essere “dell’altra sponda”? Non si sa, è tutto talmente vago che non ha senso porsi altre domande.

Dunque Fong Sai-yuk, addestrato sin da giovane età da una mamma marziale, ha avuto modo di conoscere anche Wu Mei, altra grande maestra marziale, ma è il momento di tornare al tempio e assistere alla sua caduta.


La caduta del tempio di Shaolin

Forse i Manciù hanno davvero distrutto un tempio di Shaolin, forse ne hanno distrutti addirittura due – uno alla fine del Seicento e uno all’inizio del Settecento – ma in realtà, di nuovo, sono tutte leggende prive di qualsiasi documento storico: di sicuro c’è solo che la storia fa parte integrante dell’immaginario narrativo cinese. Così come il fatto che il tempio sia caduto per colpa di un infame traditore.

E chi poteva interpretare un Giuda schifoso se non Shan Mao? Con quella faccia non poteva che fare il cattivo in tutti i film della sua breve vita: scomparirà appena trentenne l’anno successivo a questo film.

Chi sarà mai l’infame traditore che condannerà Shaolin?

Fong Sai-yuk riesce a fuggire dal tempio per adempiere alla propria vendetta, ma una volta resosi conto che i Manciù stanno marciando per distruggerlo torna indietro e avverte i monaci: è il momento di mettere in pratica tutto ciò per cui si sono allenati, ed eventualmente morire per Shaolin. Essendo un film di Chang Cheh, potete scommetterci che i morti saranno a secchiate.

Fu Sheng ogni tanto stempera la drammaticità del suo ruolo

Grazie al faccione simpatico di Fu Sheng l’autore non ha bisogno di perdere tempo a mostrare il personaggio allegro, gli bastano un paio di pennellate per far ricordare che Fong Sai-yuk è un buontempone ma poi via, tutti a morire ammazzati: Chang Cheh è l’Omero di Hong Kong, e nessuno esce dall’Iliade con le proprie gambe.

Baluardi di giovani petti alla barbarie dei Manciù

Chang Cheh è il cantore delle morti epiche, degli eroi che si lanciano in missioni giuste anche se sanno essere suicide: il bene superiore è la massima aspirazione dei suoi eroi, ancor di più se ad essere in pericolo è un simbolo di libertà e ribellione all’oppressore come il Tempio Shaolin.

E mo’ ve lo brucio, ’sto tempio!

Se Cheh avesse avuto mano libera avrebbe fatto morire tutti, pure i passanti, ma stavolta ha le mani legate dal mito: tutte le leggende di Shaolin parlano dei superstiti alla distruzione del tempio che vanno in giro per la Cina a portare il seme della ribellione ma soprattutto a insegnare gli stili marziali appresi. La stessa Wu Mei viene detta scampata alla distruzione, anche se non appare mai fra gli eroici superstiti.

I pochi fortunati scampati all’epica di Chang Cheh

Visto che la mamma di Fong Sai-yuk è stata istruita da un sopravvissuto al crollo del tempio di Shaolin, è davvero incredibile che il giovane assista a sua volta al crollo di un altro tempio: oh, non è che sia Fong Sai-yuk a portare jella? Più probabilmente le leggende si sovrappongono e ogni maestro esistente in Cina negli ultimi quattro secoli si dice scampato al crollo del tempio di Shaolin. Bella la storia fatta così, ognuno se la gira come gli pare.

I giganti del karatè si chiude con le fiamme che avvolgono Shaolin: cosa faranno i giovani allievi superstiti? Chang Cheh l’aveva raccontato due anni prima, infatti questo film è una sorta di prequel ma ho voluto recensirlo per primo: alla prossima settimana per conoscere il destino di Fong Sai-yuk e dei suoi amici.

L.

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19 risposte a Shaolin Temple (1976) I giganti del karatè

  1. Cassidy ha detto:

    Bellissimo post per iniziare la settimana, che come al solito spazia, fino a Canossa che cito ad ogni occasione utile perché gli Enrico della storia regalano sempre grandi trame che andrebbero ricordate, come Rucka con questo film. Bellissima anche la locandina, malgrado si sa, il karate’ non ci azzecca nulla. Cheers!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Purtroppo il karate in Italia era troppo di moda per accettare il fatto che non esista in video, così appena si alzava una mano diventava “la violenta mano del karatè” 😀
      Per me Rucka ha citato questo film, lasciando la povera Elektra in ginocchio per giorni sotto la pioggia, ma magari invece a sorpresa l’autore è un fan di Enrico IV ^_^

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  2. Willy l'Orbo ha detto:

    Già apprezzo (eufemismo per dire che adoro) questi post se poi mi ci piazzi dentro Italia7. l’episodio di Canossa, Elektra e le monache marziali, capisci che l’entusiasmo sale alle stelle! 🙂

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  3. loscalzo1979 ha detto:

    questo non credo di averlo mai visto, nonostante i passaggi a Italia 7

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  4. Ninjoe ha detto:

    Negli ultimi anni andò sul canale satellitare Raisat Cinema.
    Il dvd dell’edizione elleu contiene un master estero, senza titoli e crediti in italiano.
    Non sapevo che il dvd Fabbri contenesse la pellicola coi titoli italiani, e fortunatamente con un aspect ratio corretto, anche se forse manca qualche dettaglio ai lati dell’immagine…
    Attualmente, sempre con la versione storica, lo si può trovare anche su youtube sul canale della Videa, che a quanto pare sembra essere l’avente diritto per l’Italia.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Non posso dare per certo che quella schermata dell’edizione Fabbri si riferisca al DVD, la mia sensazione è che sia invece la VHS digitalizzata: l’ho trovata in giro quindi non posso confermare.
      Quel mitico ciclo RaiSat è stata una boccata d’aria fresca, ed è capitato proprio quando mi ero comprato il mio primo DVD-Recorder, che funzionava da schifo ma era sempre un inizio. Ci ho sputato sangue per salvare i film di quel ciclo, fra il registratore che si imballava e il PC che schioppava, e il risultato è ben al di sotto della sufficienza, ma è stata una bella lotta ^^
      Non so come mai la VIDEA regali i propri film su YouTube, forse perché sa che tanto non vale la pena stamparli su disco che non se li compra nessuno (se non noi malati collezionisti ^
      ^), comunque la ringrazio di tante gioie che condivide per intero.

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      • Luca ha detto:

        Confermo avendo la collezione completa “kung fu”, al tempo acquistata sia in dvd che vhs, che questo film è uscito solo in vhs (formato PanScan)

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Ti ringrazio per la conferma 😉
        All’epoca purtroppo non ho fatto questa collana (non ricordo perché, forse perché la maggior parte dei film li avevo appena registrati da Italia7 in digitale e quindi cercavo di risparmiare) ma quando capita sto colmando le varie lacune, ma questo ancora non l’ho trovato fisicamente.

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  5. Giuseppe ha detto:

    Effettivamente, la traduzione letterale italiana non chiarirebbe né forma né scopo di quello che non è certo un generico “manichino di legno”;) Molto interessante questa commistione tra la realtà storica (partendo da Enrico IV per arrivare a Ip Man) e la leggenda (Wu Mei, i multipli sopravvissuti a un tempio di Shaolin perennemente in crollo)… “I giganti del karatè”, però, temo di non averlo mai visto nemmeno io.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Fa rabbia pensare che grandi case come la Titanus, che distribuivano molto bene in vari formati, si siano comprati Bruce ma anche le brufale, mentre piccoli gioielli come questo, che magari negli anni Settanta avrebbero potuto far sviluppare un minimo di gusto marziale nel pubblico italiano, tartassato da titoli-spazzatura, è finito in mano a una minuscola casa che l’ha distribuito maluccio.
      Oggi esiste in almeno tre versioni DVD (me ne manca una ma prima o poi colmerò la lacuna) quindi il mio consiglio è di recuperare, anche se certo va visto con gli occhi di altre epoche.

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  6. Il Moro ha detto:

    è incredibile come riesci a rendere appassionanti articoli su film di cui non solo non avevo mai sentito parlare, ma che probabilmente non vedrò mai.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Ti ringrazio, e teoricamente questo doveva essere compito dei distributori, invece di buttar via film a caso 😜
      Visto oggi sicuramente non ha lo stesso impatto, ma rimane un gioiellino in mezzo a tanti pessimi titoli che invece da noi hanno avuto miglior distribuzione 😉

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