
Fallita la saga cinematografica, se volete nuove avventure di Jason dovete andare in libreria.
Continua il “nuovo universo classico” di Friday the 13th e la “Black Flame” quel novembre 2005 presenta il romanzo Hate-Kill-Repeat, di Jason Arnopp, che con un nome del genere non poteva che essere grande appassionato di cinema horror, oltre che curatore del sito http://www.slasherama.com (non più in attività).
Indice:
La trama
In fuga dall’FBI, gli assassini seriali Norwood e Penelope Thawn, impegnati in una crociata per ripulire l’America dai propri peccati, fanno rotta verso Crystal Lake nel tentativo di entrare in contatto con Jason Voorhees, che i coniugi pensano condivida i loro valori morali. Il mostro omicida che noi tutti conosciamo e amiamo comunque già fa del suo maglio per conto suo e non ama la competizione. Si prepara una grande battaglia e chi rimane nel mezzo è meglio che cominci a pregare.
Estratti dal Capitolo 1
Norwood stava ancora guardando Kitty-Lou. «Hai avuto rapporti sessuali rapporti con entrambi questi uomini, stasera?»
Kitty-Lou deglutì a fatica. Poi qualcosa nella sua testa scattò, qualcosa che le ricordava il giorno in cui decise che finalmente ne aveva avuto abbastanza di Jerry. «Cosa diavolo c’entra lei, signore?»
Norwood ridacchiò. «L’inferno, mia cara: l’inferno è dove tu e i tuoi complici in schifezze disgustose siete diretti». Mentre faceva una smorfia, Kitty- Lou ricordò: quella gente era stata al Dolly’s Dive.
Bud fece qualche passo verso Norwood, solo per scoprire che quella Penelope teneva una pistola nella mano destra, usando il braccio che aveva presumibilmente ferito. Il fuoco che danzava nei suoi occhi era la cosa più spaventosa che avesse mai visto. Sarebbe anche stata l’ultima. Penelope premette il grilletto.
*
Il silenzio aleggiava sulle acque come un mantello. A quell’ora, quasi le tre del mattino, anche gli animali soccombevano alle esigenze dell’oscurità e tacevano. L’oscurità era infranta solo da un’occasionale lampada, un gesto simbolico per i campeggiatori abbastanza temerari da piantare le loro tende a Crystal Lake. Vari casi di omicidio di massa avevano portato a cambiare più volte il nome dell’area. A un certo punto si chiamava Forest Green. Al momento, era Clear Waters. Tuttavia, come per ogni tentativo di reinventare qualcosa di antico, la gente del posto si riferiva ancora al luogo come Crystal Lake. Alcune anime più morbose avevano insistito per chiamarlo Camp Blood.
Quella sera, una tenda dall’aspetto costoso si trovava a breve distanza dalla riva, dove le acque nere lambivano avidamente la riva. Bobby e Gina l’avevano piantata vicino a una delle lampade, ma in qualche modo la luce sembrava non raggiungerli.
«Cosa fai?» chiese Bobby.
«Mi sto rimettendo il reggiseno», fu la risposta della sua ragazza semi-nuda. «Ho i capezzoli come dannati tappi di champagne.»
Bobby ridacchiò, con la propria virilità in una mano. «E che c’è di male? Dài, Gina, toglitelo. Ti rimetterai quelle mutandine tra un minuto.»
Lei gli lanciò uno sguardo fulminante. «Sei un sensitivo? Cristo, perché siamo venuti qui al campo, quando saremmo potuti restare a Orlando?»
Bobby sospirò. «Perché questo è un bel posto, Gina. Qui è dove Jason Voorhees dovrebbe aver ucciso tutti quei ragazzi.»
Gina gli rivolse lo stesso sguardo spaventato che aveva avuto ad ogni menzione del nome di Voorhees. «Devo essere pazza per essere qui», disse, rimettendosi le mutande di pizzo nero sopra il sedere formoso. «Fa dannatamente freddo e potremmo essere uccisi in qualsiasi momento.»
«Prima di tutto, perché dici sempre “dannato”? Perché non provi a “fottuto”? Nello specifico, perché non provi a fottere me? Siamo qui per questo, giusto?»
Gina incrociò le braccia ed esaminò con rabbia la propria pelle d’oca. «Chiamami strana, ma la costante minaccia di omicidio non fa molto per la mia libido.»
«Cos’è una lib-eedo?» si accigliò Bobby.
Gina si limitò ad alzare le sopracciglia. Il diciannovenne era un bravo giocatore di football, ma non era il più sveglio del gruppo. Gina gettò gli occhi sui suoi addominali scolpiti, poi sul suo viso rozzo, e cercò di ricordare a se stessa perché fosse lì: principalmente per infastidire le altre ragazze, in verità. Aveva adorato l’espressione di Mary-Beth quando Bobby le aveva annunciato che avrebbe portato lei, Gina, in campeggio. In quel momento, però, l’entusiasmo per quel trionfo stava iniziando a svanire.
«Senti, Gina. Ti sto solo prendendo in giro. Jason Voorhees è storia antica, ammesso che sia mai esistito. Hai sentito delle ultime persone che presumibilmente lo hanno affrontato?»
Gina scosse la testa, incerta se volesse saperne di più. Sussultò quando il richiamo sordo di un gufo ruppe il silenzio all’esterno.
«Una di loro era una ragazza di nome Tina, che presumibilmente aveva poteri tele… psi… ehm, poteri mentali speciali. Era in terapia al lago quando un gruppo di ragazzi e un paio di adulti sono stati freddati. Quando il è arrivata la polizia, lei e il suo ragazzo sono stati gli unici sopravvissuti.»
«Allora dov’era Jason?» chiese Gina, vergognandosi di essersi interessata alla storia.
«Be’, questo era il problema. Non si trovava da nessuna parte. Tina ha affermato che suo padre morto era risorto dalle profondità e aveva trascinato Jason giù, avvolgendogli delle catene intorno al collo. Naturalmente, è stato allora che hanno capito che era pazza. Lei e il suo fidanzato sono finiti in custodia, da quello che ho sentito, e Tina è finita in un fottuto manicomio! È probabile che Jason non abbia nulla a che fare con quegli omicidi.»
Gina annuì. «Quindi è davvero solo una leggenda?»
«Forse. Ora, che ne dici se ti riscaldo un po’?»
«Ah, che diavolo». Sorrise, strisciando di nuovo dentro il sacco a pelo.
*
Giù in fondo alle acque era completamente un altro mondo. I pesci galleggiavano serenamente sopra il letto del lago, affrontando senza sforzo sia gli ostacoli della natura che i detriti artificiali.
Per loro era come qualsiasi altra distesa d’acqua.
A parte il respiro. La prova ritmica che un cuore pulsava da qualche parte all’interno di questo labirinto.
Inspira…
… espira.
Era un temperamento oscuro e minaccioso, come una caldaia gonfia pronta a esplodere.
Inspira…
… espira.
Il suono ronzava lentamente nell’acqua, imponendo ad ogni forma di vita senziente una pausa di riflessione. Un estraneo viveva al centro del loro regno. Alcune delle creature del lago erano abbastanza intelligenti da registrarne la posizione, a giudicare dalle onde sonore, così da tenersene alla larga. Altri erano senza cervello, sbadati o entrambi, quindi viaggiavano ovunque la loro fantasia li portasse.
Queste ultime creature si avventuravano nelle vicinanze dell’intruso e percepivano momentaneamente il pulsare divorante della morte e del decadimento. Poi si contorcevano dolcemente mentre affondavano alla base del lago, appesantiti dalla potenza schiacciante del male, atterrando in cima a un mucchio di loro simili, morti come loro.
Seduto in mezzo a molti di questi mucchi di carne in decomposizione c’era la fonte di questo male. Da lontano sembrava solo un’altra protuberanza sul fondo del lago.
Se si fosse stati in grado di guardare più da vicino, si sarebbe osservato che la protuberanza assomigliava molto a una testa eretta. O, almeno, sembrava avere occhi e bocca.
Ancora più vicino, si sarebbe visto che la faccia era più brutta e più contorta di quanto si sarebbe potuto sognare.
Più vicino, si potrebbe vedere l’unico occhio; quell’occhio largo e furioso, che si torce accanto a un’orbita morta.
Poi ci si girerebbe e si nuoterebbe via, puntando freneticamente verso la superficie, perché ora la cosa che respira sembra tintinnare dentro il proprio cranio.
Inspira…
… espira.
*
Il gigante era quasi libero. Rosen si sentì vittorioso mentre tagliava gli ultimi pezzi di fango che tenevano fermi gli enormi piedi dell’uomo. Non aveva visto molto del corpo del gigante durante questa operazione, a causa dell’acqua nera che lo circondava. Il subacqueo era praticamente capovolto, con la testa e la parte superiore del corpo immerse in questo buco di sua creazione. Era profondo più di due metri.
Se avesse avuto il pieno controllo della sua mente, avrebbe potuto vagamente prevedere cosa sarebbe successo dopo. Due mani forti gli afferrarono le gambe, esercitando una dolorosa presa d’acciaio. Uno dei piedi del gigante si staccò dal sedimento sottostante e colpì Rosen in piena faccia, fracassandogli la maschera da sub e riducendogli in poltiglia il naso. L’acqua cominciò a inondare la sua tuta.
Nel panico improvviso, Rosen sentì il corpo del gigante sollevarsi accanto a lui, mentre quelle mani lo spingevano simultaneamente più in basso nel buco. Le sue stesse mani si dibattevano all’impazzata, ma non riuscirono ad aggrapparsi alle pareti scivolose e sgretolate. Acqua nera e sporca gli pompava in gola, lasciandolo con gli occhi stralunati e pregando per l’aria che non sarebbe mai arrivata.
L’ultima cosa che Rosen sentì fu un puro, claustrofobico terrore mentre un mucchio di fango veniva spinto giù intorno alla sua testa e alle sue spalle: la stessa terra che aveva strappato via veniva ributtata nel buco con un calcio.
Jason Voorhees era in piedi sul fondo del lago, osservando l’uomo a testa in giù che era incastrato fino alla cintola nella sporcizia. Solo quando i piedi rivestiti di gomma smisero di scalciare e contrarsi, Jason rilasciò le gambe. Galleggiavano senza vita in sintonia con la corrente del lago.
Jason lo guardò. Indossava abiti che apparivano anneriti e bruciati. La sua spina dorsale, costole e altre ossa erano visibili attraverso ciò che restava della sua carne.
Alzò la testa verso l’alto, percependo qualcosa. Rumore.
Movimento. Vita.
Una corda veniva tirata dall’alto.
Le spalle larghe di Jason si alzavano e si abbassavano con rabbia. Poi si chinò e strappò il gancio dalla mano destra di Michael Rosen.
La furia omicida di Jason
«Il dolore è tornato», disse Shona a denti stretti. «E stavolta è davvero forte.»
«Respira e basta», la esortò Halo, afferrando le spalle della sua amica. «Riprendi fiato almeno, e poi torneremo a correre. Dobbiamo farlo. Potremo riposarci quando…»
«Quando saremo morti?» chiese Shona, soffocando. I suoi occhi brillavano nella luce fioca.
«Ehi, non dirlo nemmeno, mi hai sentito?» Halo le strinse le spalle. «Noi non moriremo.»
Accanto a loro, i cespugli si aprirono con un crepitio feroce. Jason uscì a passi pesanti sul sentiero, con il machete in pugno.
Si mosse con formidabile velocità, afferrando i capelli di Shona e tirandola verso di sé. L’istinto di Halo era quello di aggrapparsi alla sua amica e cercare di trascinarla via, ma il buon senso e la sua pura forza alla fine la costrinsero a lasciarsi andare. Lei indietreggiò, le gambe come di pastrafrolla.
I capelli di Shona erano aggrovigliati nel grande pugno di Jason. Lei urlò mentre lui spingeva la sua testa indietro contro un albero. Anche Halo urlò, sopraffatta dal crudo orrore di ciò che stava vedendo. Si voltò, gli occhi pieni di lacrime, e fissò il sentiero. Ancora una volta sentì il doloroso morso della codardia.
Jason sollevò il machete e lo abbatté contro la spalla sinistra di Shona. Halo lo vide, poi intravide il braccio della sua amica cadere in terra. Questo era troppo per Halo e si diede alla fuga.
Mentre Shona gridava in agonia, lottando debolmente contro di lui, Jason le conficcò il machete nello stomaco. Ululò ancora più forte e sputò sangue sulla sua maschera. Rivoli rossi si facevano lentamente strada lungo la superficie: il suo ultimo atto di sfida.
Jason rigirò il machete dentro Shona, che era ormai senza vita. Come frustrato dalla mancanza di reazione, Jason tirò fuori la lama con un potente colpo. Shona si accasciò contro l’albero come un burattino, con la testa che le ciondolava sulle spalle, gli occhi ciechi che brillavano. Jason girò la testa per vedere la figura indistinta e distante dell’altra ragazza, quella che voleva davvero.
L.
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Grazie per la consueta, catartica, lettura! 🙂
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E anche questa settimana non si può mancare all’appuntamento con quel bastardone putrido di Jason… 😊
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Sembra incredibile, ma mi sono affezionato a quel faccione bianco! I romanzi sono riusciti dove nessuno dei film ha avuto alcuna speranza: conquistarmi il cuore ^_^
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