The Turn of the Screw (1992) Presenze

«Se la presenza di un bambino dà all’effetto un altro giro di vite, che direste di due bambini?»
Henry James, Giro di vite (1898)


Il romanzo Giro di vite (1898) di Henry James conosce varie e ripetute versioni televisive ma sono piccoli prodotti che non è chiaro se e quando siano arrivati in Italia, e di sicuro rimangono di difficile reperimento: essendo adattamenti diretti alla fin fine non credo valga la pena impazzirci dietro.

Invece merita una menzione questa nuova versione britannica, con immancabile bionda protagonista: per qualche strana regola non scritta l’istitutrice Jennifer dev’essere bionda…


Persa la volpe, si finisce nelle sabbie

L’attrice londinese Patsy Kensit doveva lavorare con Michael J. Fox invece è finita con Julian Sands, da cui il simpatico gioco di parole che ho usato nel titoletto.

Che motti scherzosi, nevvero?

A rivelarlo è lei stessa, nella sua particolareggiata autobiografia Absolute Beginner (2013), in cui però al film in questione non dedica se non pochissime righe sparute. Più interessante il “contorno”, visto che scopriamo come nel febbraio 1992 l’attrice – esplosa con Arma letale 2 (1989) ma già chiaramente appannata, visto che appare nel nostrano Blue Tornado (1991) – ha un incontro con la Columbia Pictures in cui le offrono il ruolo di interesse amoroso di Michael J. Fox in una commedia intitolata The Concierge: il metro e 65 centimetri d’altezza dell’attrice non sarà un problema, per il metro e 63 di Fox.

Patsy però vuole essere onesta con la Columbia e rivela di essere al quarto mese di gravidanza. «Ero ancora magra e la pancia non si vedeva, ma non mi sentivo a mio agio a mentire». Questa sincerità britannica viene premiata dalla Columbia, che caccia a pedate l’attrice e ingaggia il metro e 62 di un’altra britannica, quella Gabrielle Anwar esplosa ballando con Al Pacino in Scent of a Woman (1992), per il film che uscirà nel 1993 con il titolo Amore con interessi (For Love or Money), di Barry Sonnenfeld.

Patsy da allora si ritrova ad aggirarsi nei più oscuri meandri delle casupole di serie Z: girare Inganno pericoloso (1993) con Stephen Baldwin ed Eclisse letale (1993) con Mario Van Peebles rende chiaro quanto sia finita la sua carriera da attrice.

Tornando all’autobiografia, Patsy ci spiega che stava portando avanti da sola la gravidanza perché il suo marito del momento – l’attrice non riesce a stare sposata per più di due o tre anni – era in giro a scrivere canzoni per i Simple Minds (trattandosi di Jim Kerr, mollato per Liam Gallagher degli Oasis), piuttosto che stare sola in casa decide di accettare «un adattamento filmico del romanzo breve Giro di vite di Henry James». Ciò che però trovo interessante è come l’attrice descrive il film che ha accettato di girare:

«Era il rifacimento del film Suspense con Deborah Kerr, anch’esso basato sulla stessa storia di James.»

Perché questa specifica? Forse perché il romanzo di James e il film con la Kerr hanno due titoli diversi e andava sottolineato il collegamento? O forse perché le minuscole casupole anglo-francesi le hanno espressamente detto che non sarebbe stato un film legato al romanzo bensì al film del 1961?

Presentato in anteprima allo spagnolo Sitges Film Festival nell’ottobre 1992 (mi dice l’IMDb), The Turn of the Screw riceve il visto italiano il 21 giugno 1993 con il titolo Presenze, quello stesso mese nel catalogo della celebre rassegna FantaFestival.

La splendida pellicola italiana conservata dal DVD Prism

Rimasto in sala giusto un mesetto, a dicembre dello stesso 1993 esce in VHS Minerva Video e un decennio dopo (maggio 2004) la Prism Entertainment presenta il bel DVD che ho trovato su bancarella, il quale conserva la splendida pellicola italiana, con tanto di graffi che piacciono tanto a noi fuori di testa, perché ci ricordano i film rovinati che vedevamo da ragazzini su grande schermo.


Una favola oscura

Nell’unica riga della sua autobiografia dedicata a questo film Patsy lascia un commento non certo positivo: «mentre Suspense era fatto molto bene, purtroppo il nostro [film] non lo era». Non ci spiega in cosa consisterebbe il “non essere fatto bene”, ma temo che il giudizio negativo a tanti anni di distanza sia dovuto al fatto che l’attrice per tutte le riprese ha subìto i disagi di una gravidanza, entrata almeno nel suo quinto mese, ammettendo che abbia iniziato a girare il mese dopo quel febbraio in cui ha rifiutato il film con Michael J. Fox.

Essere presente in tutte le scene già Deborah Kerr lo definì un’impresa sfiancante, figurarsi se – come ci rivela Patsy – si soffre di continui bruciori di stomaco e si gira per il set con in mano una bottiglia di Gaviscon. Non devono essere stati giorni felici, per l’attrice, quindi alla fine è comprensibile che non sprechi altre parole per questo film.

Il finto sorriso di chi sa che l’aspetta la Z profonda

Mi spiace per i disagi vissuti dall’attrice ma onestamente ho sempre trovato affascinante questo Presenze, scritto e diretto da Rusty Lemorande che non credo di aver mai incrociato in altri lavori. Il fatto che questo film sia girato negli stessi Shepperton Studios di Suspense rende chiaro l’essere citato anche come rifacimento, ma sarebbe meglio usare il termine “reinterpretazione”.

La storia è identica, riga per riga, parola per parola, eppure è completamente diversa. Per rifarsi al testo originale torna il prologo con dei personaggi che raccontano una “storia di paura”, anche se poi sarà intrigante scoprire l’identità della narratrice di tutta la vicenda (interpretata dalla cantante e attrice Marianne Faithfull), torna l’istitutrice Jennifer o Jenny (Patsy Kensit) ingaggiata dall’anaffettivo zio (Julian Sands) perché badi ai suoi due mocciosetti – Miles (Joseph England) e Flora (Claire Szekeres) – nell’isolamento totale di Bly House, con giusto la compagnia della signora Grose (Stéphane Audran).

Nelle foto, Quint sembra davvero un mascalzone amoroso…

Come vuole il copione, Jenny inizia a vedere fantasmi che invece i due bambini non vedono (forse), e la Grose le spiega che sono il giardiniere Quint (Olivier Debray) e l’ex istitutrice Jessel (Bryony Brind), entrambi ormai defunti. Ma il modo con cui i due vengono ritratti già fa capire lo stile del film.

A parte l’essere ambientato negli anni Sessanta, probabilmente per strizzare l’occhio all’originale girato all’epoca, qui siamo in tempi più spregiudicati come solo quei primi anni Novanta possono essere, perciò si sottintende molto meno e si suggerisce molto di più. Non ci sono dubbi che Quint sia un vizioso, un lussurioso, e chissà quali indicibili pratiche ha insegnato al piccolo Miles, per le quali il bambino è stato cacciato dal collegio. Bambino che per tutta la vicenda non nasconderà i suoi appetiti e il suo interesse per Jenny, con richiami sessuali non diretti ma chiarissimi.

Ma che gli fa Quint agli abitanti di Bly House?

Molto meno viziosa appare Jessel, anzi qui sembra una ninfa delle acque che cerca di mettere in guardia Jennifer, che però non capisce il suo messaggio. Si fa molto più forte qui il legame con l’acqua, grande elemento traghettatore d’anime, tanto che la semplice apparizione fugace dell’immobile fantasma qui diventa una vera danza demoniaca delle acque.

Sicuramente una scena iconica del film

Forse sarà la pancia di Patsy Kensit che inizia a vedersi, il motivo per cui l’attrice è ripresa quasi esclusivamente in primo piano, o forse Lemorande ha voluto mettere in atto una serie di giochi registici che ho molto apprezzato: mai, in nessun momento, abbiamo la sensazione della grandezza di Bly House, come invece succedeva nel film in bianco e nero girato negli stessi posti.

Uno scorcio della casa che però non ci fa capire le dimensioni

Tutto qui è minuscolo, intimo, opprimente, claustrofobico, vediamo spesso inquadrate case di bambole inquietanti e non sempre è chiaro se stiamo assistendo a persone che si muovono o marionette mosse da un oscuro burattinaio, e non credo che sia un caso. Ogni scenografia è oscura ma soprattutto densa di oggetti simbolici, inquadrati solo per pochi fotogrammi ma capaci di andare a segno, che lo spettatore se ne accorga o meno.

A Bly House tutti sono pedine mosse su una scacchiera

Il crollo di Jennifer, ossessionata da fantasmi che forse vede solo lei, è una caduta oscura all’interno di scenografie sempre più opprimenti e infestate, tra bambole orripilanti e case di bambole che sembrano imprigionare l’anima di chi le guardi. E l’ossessione per i primi piani rende tutto ancora più claustrofobico, con le figure di questo dramma che a malapena riescono a fuoriuscire dall’oscurità che le inghiotte sempre più.

Figure che a malapena riescono a fare capolino dall’oscurità

Quella libertà che l’autore non si è preso con la sceneggiatura, identica in tutto e per tutto, se l’è presa con scenografia, fotografia e stile registico, creando quello che per me è un gioiellino oscuro, una danza fra scenografie inquietanti dove personaggi condannati muovono i loro passi da marionette. Magari tutti i remake fossero fatti con questa qualità.

Una curiosità. In questa versione Flora entra in scena parlando con un fantasma, plausibilmente la signorina Jessel, negando poi di averlo fatto: una concessione a quella moda che diventerà ossessiva con il nuovo millennio, dove in tutte le storie di fantasmi i bambini parlano sempre con loro, senza averne mai paura. Un giorno bisognerà farne una panoramica…

L.

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12 risposte a The Turn of the Screw (1992) Presenze

  1. Cassidy ha detto:

    Questo mi manca, ma sembra proprio buono, mantenere la storia inalterata e utilizzare tutti gli elementi per raccontarla e renderla personale è quello che dovrebbe fare un regista con la testa sulle spalle, mi dispiace per le sofferenze patite dalla bionda Patsy, purtroppo optare per un classico non ha portato bene alla sua carriera come attrice. Cheers!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Mi piace pensare Patsy come un’altra vittima del tocco magico di Julian Sands, l’uomo che traghetta le attrici nella serie Z 😀
      Scherzi a parte, la distribuzione nostrana non è stata gentile con questo film ma se ti capita è altamente consigliato, perché il regista ha costruito una favola oscura e ha curato minuziosamente ogni scena. Altri tempi, quando ci si poteva permettere una fotografia oscura e opprimente.

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  2. coulelavie ha detto:

    Bene. Allora questo è molto probabile che lo veda 😉

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  3. Willy l'Orbo ha detto:

    Post molto interessante che concilia brani di vita, opere letterarie, film…in un connubio riuscito e su una pellicola che ha frecce stimolanti nel suo arco! 🙂

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  4. loscalzo1979 ha detto:

    vedo di recuperare, sembra buono

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  5. Giuseppe ha detto:

    Di questo “Presenze” ho un ricordo vago, lo ammetto, ma comunque non associato a delle sensazioni negative: per sicurezza, verificherò di nuovo 😉
    Ad ogni modo, che i ricordi spiacevoli di Patsy a riguardo fossero dovuti molto più al suo essersi trovata in stato interessante che non alla qualità effettiva del film mi pare fuor di dubbio…

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