Il 25 gennaio 2017 ci ha lasciati John Hurt, l’attore britannico talmente noto che nessuno ricorda più di due o tre dei duecento film a cui ha partecipato. Da giorni accarezzavo l’idea di ripescare un suo titolo a me molto caro, sebbene davvero poco noto in Italia, così quando Il Cumbrugliume mi ha proposto un omaggio congiunto ho accettato immediatamente.
- Passate a dare un’occhiata all’omaggio del Cumbrugliume
- e già che ci siete, anche a quello de La Bara Volante
- e di 30 anni di Aliens
Malgrado abbia la BBC alle spalle, non si può dire che Love and Death on Long Island sia un film che abbia lasciato il segno.
Presentato al Festival del Cinema di Cannes l’11 maggio 1997, esce in patria britannica il 3 luglio 1998: paradossalmente esce prima nei cinema italiani, il 23 aprile 1998, con il titolo Amore e morte a Long Island.
Esce in VHS ma è talmente rara che non ho trovato la minima informazione: io l’ho visto probabilmente nel primo passaggio televisivo, sul canale a pagamento Tele+1.
Omaggiare un attore morto con un film che abbia “morte” nel titolo non sembra di buon gusto, ma c’è di peggio. Il gioco di parole del titolo si riferisce al fatto che John Hurt interpreta un personaggio di nome Giles De’Ath… Omaggiare un attore morto ricordando un suo ruolo in cui si chiama “Mo’rte” sembra di gusto ancora peggiore.
Invece il suo nome è il simbolo stesso del film: la morte che si trasforma in una nuova vita, che proprio nella fine è il nuovo principio…
È davvero un peccato che il romanzo omonimo del 1990 di Gilbert Adair da cui è tratto il film risulti inedito in Italia.
Giles De’Ath (John Hurt) è uno scrittorone di quelli da salotto letterario, un autore di successo che ha sempre vissuto isolato con la moglie, rifiutando la volgarità del mondo esterno. È stimato e venerato e tutti si chiedono quando infrangerà il suo rifiuto di farsi intervistare.
Ora che la moglie è morta lo scrittore d’un tratto decide di fare qualcosa di ardito: si lascia intervistare da una trasmissione radiofonica, perché la direttrice era amica della moglie. Il risultato è fallimentare: Giles De’Ath non ha la minima idea del mondo che lo circonda, ignora qualsiasi aspetto della civiltà successivo al XIX secolo.
Se ne torna nel suo piccolo mondo antico, chiuso nella sua grande casa ed accudito in tutto dalla governante, e la storia sembra finita qui.
Un giorno dimentica le chiavi di casa e per ripararsi dalla pioggia si infila in un cinema, dove stanno trasmettendo la solita stupida commediola adolescenziale americana: Hotpants College, una chiara presa in giro di Porky’s con tanto di cicciona di bianco vestita e col fischietto.
Invece di indignarsi, le avventure dei ragazzotti allupati intrigano De’Ath che torna a vedere Hotpants College 2: cos’è che lo diverte di queste commediole pruriginose? Quando inquadrano il protagonista Ronnie Bostock, Giles De’Ath, il grande ed austero Giles De’Ath, l’autorevole romanziere e lecturer attempato… si prende una cotta per l’attorino del momento!
Per rendere perfetta la situazione paradossale, l’attore belloccio è interpretato da Jason Priestley, una delle star della serie Beverly Hills 90210 in cerca di ruoli per dimostrarsi anche bravo attore. Qui, dove interpreta in pratica se stesso, ci riesce in pieno.
De’Ath da attempato uomo di cultura si trasforma man mano in ragazzina e comincia a ritagliare le foto di Ronnie Bostock dalle riviste per adolescenti, finché decide di fare quello che mai avrebbe pensato: partire per Long Island per andare a conoscere il divo!
Il regista e sceneggiatore Richard Kwietniowski crea un gioiellino perfettamente equilibrato, e John Hurt è assolutamente impeccabile nel presentarci lo stupore, la paura ma anche l’eccitazione di un uomo finito, che si considera al capolinea, che d’un tratto scopre una passione cocente che gli fa iniziare tutto daccapo.
De’Ath impara cosa sia un videoregistratore, così da poter vedere e rivedere a rallentatore le scene dove inquadrano il bel sorriso del suo attore preferito; impara cosa sia una videoteca e una volta a Long Island il suo british style crea ovviamente deliziosi siparietti quando si scontra con l’american style.
Tutto è lieve ma densissimo, tutto è divertente ma serissimo: De’Ath non sta giocando, non è la crisi di mezza età… è davvero innamorato di un ragazzo.
Fingendosi uno sceneggiatore che vuole regalare a Ronnie Bostock il successo in Europa, De’Ath riesce a passare del tempo con il giovane ma alla fine dovrà fare qualcosa, prima che le loro vite si separeranno per sempre…
Non posso dirvi nulla, di quello che succede, perché è talmente perfetto e di un gusto talmente sottile ma toccante che… dovete andare a vedervelo da soli!
Nei tic e nei comportamenti di un perfetto John Hurt ho ovviamente riconosciuto molto di me stesso, che a 16 anni ritagliavo le foto di Van Damme dai giornali: ok, non è che amassi in “quel” modo l’attore marziale, ma comprendo la passione.
Quella passione che ti fa ripartire quando sei finito, che ti fa tornare a vivere quando ormai ti senti morto. Non importa l’oggetto della passione: è importante il sentimento che ti spinge, non dove ti spinga.
Per questo trovo meravigliosa la poesia di Whitman che viene citata nel film, che in pratica racchiude in sé tutta la sceneggiatura.
«Ora fine della spiaggia, ora terra e vita, fine e addio. Il bisogno inespresso, dalla vita e dalla terra mai concesso, alfin libero salpa nell’ignoto per cercare e trovare».
Non sono riuscito a capire da quale raccolta di Whitman sia tratta: se qualcuno me lo sapesse dire gliene sarei grato.
Buon viaggio, John Hurt, che sei salpato verso l’ignoto, per cercare e trovare…
L.
Grazie per il bellissimo ricordo Lucius. Mi sono reso conto di avere visto anche io il film, probabilmente proprio su Tele+… ricordavo più Jason Priestley che John Hurt, ma… avevo 18 anni quando uscì nelle sale, quindi sono perdonabile,dai 🙂 La parte finale della poesia è sicuramente una traduzione libera da Leaves of Grass: “The untold want, by life and land never granted. Now, Voyager, sail thou forth, to seek and find” La prima parte probabilmente è presa da un’altra parte, ma non so dove!
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Ti ringrazio della dritta, però curiosamente in rete quella poesia viene sempre legata al film e mai a Whitman: mi sa che prima che la citasse John Hurt non la conosceva nessuno 😀
Da “The Walt Whitman Archive” scopro che fa parte di “Songs Of Parting”, raccolta di versi che fa parte dell’edizione 1891–92 di “Leaves of Grass”, mentre l’edizione “Foglie d’erba” Newton che ho io si riferisce alla seconda edizione del 1856… e infatti non c’è niente del genere! Del milione e mezzo di versi che compongono “Leaves of Grass” mi sa che le edizioni italiane presentano solo una scelta…
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Davvero un bellissimo omaggio, hai scelto un film che non sconoscevo affatto, e che ora dovrò recuperare assolutamente! Ci mancherà John Hurt davvero un sacco. Cheers
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Sono sicuro che lo adorerai, Hurt è bravissimo!
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Anch’io comprendo la passione, eccome 😉
Parlando di un altro suo personaggio che, in un certo senso, è “fuori dal tempo” non meno di Giles De’Ath, John Hurt è stato pure un eccellente “War Doctor” di transizione (posto cronologicamente dopo Paul McGann e prima di Christopher Eccleston) ne “Il giorno del Dottore”, l’episodio celebrativo dei cinquant’anni di vita di Doctor Who…
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Purtroppo non ho mai seguito il Dottore, e ogni volta che penso di farlo mi disarma la valanga di roba che dovrei guardare…
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