È esistito un tempo in cui la passione marziale ha spinto alcuni visionari a tentare una strada senza uscita: portare il “cinema di menare” in TV. Per lo più sono esperimenti falliti, ma hanno comunque lasciato tracce importanti nell’immaginario collettivo. Ecco le loro storie.
Anno 2002. L’agente di polizia Eddie Murphy e il detective Robert De Niro si ritrovano protagonisti di un reality poliziesco diretto da William Shatner: cioè lo spunto del film Showtime (2002).
Murphy fa subito il lecchino, va da Shatner e gli dice:
«”T.J. Hooker” è stata purtroppo la serie meno apprezzata di tutte quelle sui poliziotti: credimi, T.J., nessuno entrava dalle porte meglio di te.»
Shatner, che interpreta Shatner, insegna a De Niro a saltare sulle auto senza farsi male, facendosi male: la scena è così verosimile che appena finita tutti i membri della troupe accorrono per salvare l’attore, che sicuramente si è fatto male. Shatner si alza illeso, stava solo recitando: ci vuole altro per fermare il poliziotto più poliziotto dei poliziotti in TV.
Avevo nove anni quel 1983 in cui Canale5 portò in Italia la serie TV “T.J. Hooker“, abbondantemente replicata dalle reti Fininvest ma solo all’interno degli anni Ottanta, quindi è facile che i “nati dopo” non abbiano mai avuto la fortuna di aver visto il secondo poliziotto più gagliardo della storia. Il primo è ovviamente Terence Hill in Poliziotto superpiù (1980), che ho avuto l’onore di vedere in sala considerandolo il film più grandioso mai visto nella mia vita. (Avevo sei anni!)
Vista oggi, potreste considerarla una serie datata, troppo piena di stereotipi anni Ottanta, ma sbagliereste: l’unica differenza tra “Supercar”, “A-Team”, “Hazzard”, “Chips” e “T.J. Hooker” è che solamente quest’ultima non va in onda tutti i giorni da quarant’anni. All’epoca, quando tutte queste serie sono arrivate e il giovane Etrusco faceva la spola da una all’altra, state certi che Shatner e i suoi capelli diversamente naturali non era secondo a nessuno.
Era il decennio della saga di Scuola di polizia, finiti gli anni Settanta dell’odio contro “la pula” e sfumati gli anni di piombo dei primi Ottanta, ormai la divisa in TV spaccava, e come portava la divisa Shatner non la portava nessuno.
«Il mio nome è T.J. Hooker, ma non perdete il sonno a chiedervi per cosa stia T.J.: per quel che vi riguarda, il mio nome è… sergente!» Così si apre l’episodio pilota girato perché fosse approvata la serie, racconta Shatner nella sua biografia Up Till Now (2008), raccontando la storia di un veterano del Vietnam, ex Berretto Verde, che è diventato detective ma quando il suo collega è stato ucciso ha indossato di nuovo la divisa ed è sceso in strada: a scatenare una guerra al crimine che neanche se la sognano.
All’inizio, ricorda l’attore, doveva essere una serie su un istruttore e otto giovani poliziotti alle prime armi, con le loro storie e i loro rapporti personali, «si pensava ad una specie di Dallas ma con i poliziotti». Poi si capisce subito che il pubblico vuole altro e la serie si focalizza su Hooker, che invece doveva essere una figura marginale di istruttore: d’un tratto diventa il protagonista e il nome nel titolo. «Comunque non mi hanno aumentato il compenso».
Per capire il successo immediato a livello popolare, Shatner racconta che dagli anni Sessanta ogni volta che la gente lo vedeva a girare per strada diceva «Guarda, c’è il capitano Kirk»: il giorno dopo la messa in onda del primo episodio di questa serie, ha sentito qualcuno dire «Guarda, c’è T.J. Hooker».
Secondo voi, una serie televisiva di ben cinque stagioni, con novanta episodi di vita poliziesca per le strade e ospitate di alto profilo – ancora oggi è mitologica la puntata in cui appare Leonard Nimoy: Kirk e Spock insieme in borghese! – poteva ignorare la febbre della marzialità orientale? Giammai!
Il 15 ottobre 1983 va in onda l’episodio 3×03, Chinatown, un titolo quasi obbligatorio per l’epoca, e un’occasione per chiamare tutti i caratteristi asiatici di Los Angeles: tutti volti che abbiamo già incontrato in ogni puntata di questa rubrica.
Il primo passaggio italiano sicuro dell’episodio risale al 9 febbraio 1987, ma è facile ce ne siano anche di precedenti.
Il solito George Cheung tanto per cambiare fa il boss cattivo, stavolta impegnato nella vendita di armi illegali importate dall’Oriente: i mitragliatori Uzi. Che uno dice “Uzi” e pensa al Vietnam, infatti Hooker ci spiega che i Viet-Cong rubavano quelle armi ai soldati americani.
Va bene, qualche puntiglioso potrebbe chiedersi perché mai invece dei consueti M16 i soldati americani dovessero girare con gli israeliani Uzi (così chiamati dal loro inventore Uziel Gal, israeliano appunto), ma questa non è una “serie di concetto”: non va ascoltata, va vissuta!
Immancabile la scena della palestra con gli sgherri che si allenano, un’occasione per mostrare in azione il decano baffuto Al Leong, ma tranquilli che a fare il bullo troviamo anche il suo pupillo James Lew, futuro re del settore.
Erano anni che Hooker non entrava a Chinatown, per via di una brutta storia di donne: in realtà è quello che io chiamo “Fattore Jigen”. Quando da ragazzino amavo alla follia la serie animata “Lupin III”, mi infastidiva che ogni singolo episodio vedesse Jigen ricordare accigliato qualcuno che aveva conosciuto in passato e ora quello aveva ripercussioni sul presente. Il personaggio non ha mai avuto altra caratterizzazione, e purtroppo non era il solo.
Appena gli sceneggiatori avevano bisogno di inventare un personaggio, tranquilli che l’eroe di turno già lo conosceva in passato. Proprio come Kirk, che appena nella puntata di “Star Trek” veniva citato qualcuno di nuovo esclamava “Ma certo, abbiamo fatto l’Accademia insieme”, così Hooker ogni volta già conosceva qualcuno e aveva vissuto un’esperienza traumatica in passato. Fattore Jigen, grande protagonista della narrativa dell’epoca.
Invece Hooker era in anticipo con il tonfa, visto che i film marziali ancora non l’avevano sdoganato sullo schermo. Storica arma del kobudo di Okinawa, il tonfa fa parte di molte arti marziali asiatiche ma è anche in dotazione alle forze di polizia: ignoro se tutti i poliziotti americani ce l’abbiano, ma quelli della Los Angeles televisiva anni Ottanta lo usano che è un piacere.
In questa puntata dunque Hooker ritrova il passato amore a Chinatown, regola i conti col passato e già che c’è ferma il boss locale a colpi di tonfa, dimostrandosi più in gamba di un maestro marziale. Giusto per ricordare che gli altri eroi giocano: T.J. Hooker è maledettamente serio!
Saltiamo all’episodio 4×14 (2 febbraio 1985: il primo passaggio italiano sicuro risale al 18 marzo 1987) e continuiamo a parlare di vietnamiti: ma che c’entrano con i cinesi? Perché mai Chinatown dovrebbe essere piena di vietnamiti? Forse perché all’epoca erano gli asiatici più famosi nella cultura popolare, visto che ormai l’odio per i giapponesi era evaporato dai tempi della Seconda guerra mondiale.
Stavolta i cattivi hanno altre facce, così ad interpretare due vietnamiti signori del crimine troviamo il coreano Soon-Tek Oh e l’hawaiiano Clyde Kusatsu, entrambi volti molto noti dell’epoca.
Tranquilli, c’è spazio anche per il nostro James Lew, che non possiamo mica ridurre troppo la quota marziale.
Visto che i cattivi vietnamiti gestiscono un circuito di prostituzione, servirebbe una poliziotta bionda e piacente per andare sotto copertura: toh, guarda la combinazione, ce l’abbiamo. L’agente Sheridan interpretata da quella Heather Locklear di cui ero pazzamente innamorato da bambino.
Tutto va come deve andare ma non c’è spazio per la marzialità, stavolta si risolve tutto a pistolettate. Però poi arriva il 1986 e non si può più presentare un prodotto televisivo d’azione privo di marzialità.
Il 21 maggio 1986 va in onda il doppio episodio 5×16 (in pratica un film televisivo) dal titolo più che esplicativo: Blood Sport, giusto un paio d’anni prima che Van Damme renda celebre l’espressione.
Non sono riuscito a stabilire l’arrivo in Italia del doppio episodio, ma è facile che sia avvenuto in tempi successivi alla serie, visto che il nome del protagonista viene pronunciato Hòker: dopo dieci anni a pronunciarlo Hùker, il miglior doppiaggio del mondo ha colpito ancora.
All’epoca era una grande consuetudine televisiva la “puntata speciale alle Hawaii”, in cui una serie cittadina veniva mandata in trasferta per farle prendere un po’ d’aria. Mitica la doppia puntata di Jessica Fletcher incontra Magnum P.I. (novembre 1986).
Qui l’agente di polizia che domina le strade di Los Angeles si trasforma in investigatore da spiaggia, facendo anche la guardia del corpo di un suo vecchio amico – come sempre, secondo il Fattore Jigen – diventato ora politico: la yakuza vuole morto il politico, perché è noto come le statunitensi Hawaii brulichino di mafiosi giapponesi. E il capo dei giapponesi non poteva essere che… il coreano Soon-Tek Oh, di ritorno dal Vietnam di Missing in Action 2 (1985)
In fondo fra il 1981 e il 1986 è apparso in ben quattro episodi di “Magnum P.I.” in ruoli sempre diversi: un vietnamita, un giapponese, un cinese e ancora un vietnamita. Un coreano che sta bene su tutto.
«Riconosco un farabutto di Yakukza a prima vista», esclama aspro Hooker, e lui che fa l’agente di polizia a Los Angeles di yakuza ne incontra tutti i giorni: lo chiamano per le fiere di paese a tenere lo spettacolino “Riconosci lo yakuza”.
Un mese prima che esca Karate Kid 2 vediamo Yuji Okumoto fare l’hawaiiano, quando poteva fare benissimo il giapponese, ma a forza di fare un minestrone di razze e di vestiti – c’è gente in camicia e giacca e gente ignuda! – ad un certo punto gira la testa: diciamo che non è una puntata per palati fini.
Però si riscatta con l’idea che alla fine Hooker se la deve vedere a mani nude contro Al Leong: l’incontro dell’anno!
Peccato che la totale cialtroneria del regista renda completamente inguardabile la scena.
Proprio l’incapacità del regista di girare una semplicissima scena d’azione fa capire la novità di quella “moda”: non sono più le storiche scazzottate all’americana presenti in un mare di film, è qualcosa di nuovo che prevede non più una camera fissa sull’eroe bensì una costruzione della scena e un montaggio che sappia capire quando mostrare la tecnica e quando mostrare chi la subisce.
Qui tutto è sballato, la cinepresa è sempre nel punto sbagliato e il povero Al Leong si ammazza ad eseguire tecniche che non vengono inquadrate. Addirittura tira un calcio volante che finisce a rompere il finestrino di un’auto, ma non si vede perché la cinepresa sta inquadrando Hooker. Insomma, è un mondo nuovo, quello marziale nella TV americana, e tutti stanno procedendo un po’ a tentoni.
Stando alla biografia di Shatner, i poliziotti americani amano da morire “T.J. Hooker”, e che una serie così conservatrice, omologata e omologante, si apra alla moda marziale – cioè un qualcosa di importato da quell’Asia vista con così profonda diffidenza – fa capire la potenza di un fenomeno che nessuno poteva ignorare, men che meno una fucina di miti come la narrativa televisiva.
A serie avanzata si inventeranno che T.J. sta per Thomas Jefferson, ma potevano evitarsi questa cafonata: T.J. Hooker è il nome più gagliardo della polizia televisiva, e rimane un mito anni Ottanta che porto nel cuore. E ora, vai con la sigla: ta-ta-tah ta-taaaaaaaaah…
L.
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