The Fast Sword (1971) Furia gialla

All’alba del 20 settembre 2021 IRIS ha rispolverato un wuxiapian d’annata che da tanto non si affacciava nei palinsesti Mediaset: ne ho approfittato per registrarne una versione migliore rispetto a quella che ho preso su Italia1 una ventina d’anni fa.

Si tratta di The Fast Sword (奪命金劍, Duó mìng jīn jiàn, “Spada d’oro mortale”), noto in Italia con il titolo razzistico Furia gialla, perché all’epoca per noi tutti i cinesi erano gialli.


La truffa del wuxiapian

«L’ondata cinese è già oggetto di esami e di analisi da parte degli studiosi». In quell’inizio 1973 in cui Lo Lieh prima e Bruce Lee poi fanno esplodere in Italia la più grande febbre marziale mai registrata nella storia, tutti i critici e gli intellettuali osservano sdegnati il fenomeno: possibile che questi “cinesi di menare” risultino irresistibili per ondate di spettatori? Ovvio che qui c’entra la psicoanalisi, come testimonia la frase che ho riportato, tratta dalla rivista “Tempo” che il 29 aprile 1973 dedica un lungo servizio al cinema marziale asiatico e all’entusiasmo sproporzionato che desta negli spettatori. In un trafiletto Franco Paoli ci anticipa che ci sono dieci film di questo genere già in lavorazione o quasi pronti (basandosi ovviamente su dati aleatori, visto che ad Hong Kong se ne giravano semmai dieci in un mese!), ma quel che conta è una sola delle sue “previsioni”:

«Il distributore Luigi Mondello annuncia Furia gialla con Barbara Bouchet (“violenza, sesso, avventura, in un clima da apocalisse”).»

Chissà che tipo di fonti avranno utilizzato per questi articoli, visto che la Bouchet non risulta impegnata in film con un titolo simile, mentre invece una decina di giorni prima dell’uscita della rivista – il 17 aprile 1973 – riceve il visto della censura italiana Furia gialla, che probabilmente gli autori hanno confuso con chissà quale progetto vedesse la Bouchet protagonista.

Come dicevo, giornalisti e intellettuali non riescono a capacitarsi che il popolo non stia facendo nulla per “elevarsi” e invece impazzisca in massa per filmetti pencolanti dove i protagonisti con occhi a mandorla passano il tempo a menarsi di brutto: possibile non ci sia un minimo di trasporto per l’occhio della madre della Corazzata Potëmkin? Dove finiremo, dico io?
Nel citato pezzo del “Tempo” sul cinema cinese si trova la pubblicità di un libro fresco di stampa, una monografia su Alexandra Kollontai: Autobiografia di una comunista sessualmente emancipata. Ecco, questi sono gli argomenti di cui si parla nel 1973, non i “cinesi di menare”. Eppure le sale d’Italia sono prese d’assalto da orde di appassionati di un genere ancora senza nome.

Il titolo scritto nella solita “fonte asiatica” dell’epoca

Fioccano nomignoli come il delizioso eastern (cioè un western che però viene dall’Asia, dall’est) e di certo nessuno chiama questo genere con il suo nome: wuxiapian, “film di cavalieri erranti” (all’incirca).
Il problema è subito chiaro: gli italiani vogliono il neonato gongfupian, “il cinema del kung fu” che nel 1973 ha all’incirca un anno di vita, il genere che mostra personaggi affrontarsi a mani nude usando vagamente qualcosa che con molta fantasia potrebbe persino assomigliare (da lontano) a uno stile marziale. Solo che è appunto un genere appena nato, ad Hong Kong non esistono titoli da vendere all’estero per soddisfare l’enorme richiesta: ecco che nasce la truffa del wuxiapian. Gli spettatori vogliono strilli e botte come in Dalla Cina con furore, invece si beccano gli svolazzanti spadaccini dozzinali di Furia gialla.

Uscito ad Hong Kong il 28 luglio 1971 (fonte: HKMDb), la sua prima apparizione sicura in una sala italiana risale al 10 luglio 1973, mentre dal 1980 appare in piccoli canali locali.


Furia, spadaccino dell’Est

Protagonista della vicenda è la famigliola Nan-Cun, che in cinese significa “Jellati-Sfigatelli”. La mamma è cieca, tanto per gradire, e le ha detto bene perché invece il papà è morto. I loro figli si dedicano alla pastorizia nella solita radura brulla dove vivono tutti gli eroi della serie Z di Hong Kong.

Tipica ambientazione dei film di Hong Kong dell’epoca

Mentre Lin (Han Hsiang-Chin) frusta le pecore senza alcun motivo, l’ardimentoso Kung-Cheng Jellati-Sfigatelli (Shih Chun) medita la vendetta: gli arriva infatti voce che l’assassino del padre, il principe Tu Kai-Su, sia tornato in paese e abbia dato una grande festa a corte, quindi è l’occasione giusta per la vendetta.
Dopo dodici anni di attesa, finalmente l’orfano può vendicare il padre, e quale piano machiavellico avrà escogitato in tutto questo tempo? Niente, vado lì, poi si vede. Incredibilmente riesce davvero a farsi giustizia a suon di spadate.

Un piano astuto elaborato in dodici anni: ti prendo a spadate!

Come se niente fosse, Yen (così è reso in italiano il nome del protagonista) se ne torna a casa, in fondo ha solo ucciso il principe locale, che vuoi che sia? Tanto è il suo stupore quando ad attenderlo c’è un uomo di legge, auto-invitatosi a casa sua fingendosi un suo amico: è l’agente Tu-No (Chang Yi) dell’Accademia dei Sei Ventagli. A cosa servano quei sei ventagli non è chiaro.

Tipica faccia di chi appartiene all’Accademia dei Sei Ventagli

I due sono entrambi fenomenali combattenti e non vorrebbero battersi, perché basta loro accennare un po’ dei propri poteri soprannaturali per far capire che sarebbe uno scontro pari sì ma cruento, e a risolvere la situazione ci pensa la madre cieca: suo figlio Yen ha ucciso e quindi è giusto che vada a processo, dove potrà raccontare la triste storia che l’ha portato a vendicarsi.
Il fatto che non si sia battuto e tratti con rispetto Yen ci fa capire che l’agente Tu-No è un buono, al contrario degli sgherri del principe che invece arrivano per farsi giustizia sommaria.

Siamo i cattivi: lo potete capire dai baffoni

Fra i malintenzionati attacca-brighe non poteva mancare il nostro vecchio amico Sammo Hung, all’epoca rinomato coreografo di combattimenti per la Golden Harvest di Hong Kong, che oltre a titoli importanti sfornava anche prodottini scarsi come questo.

Nelle sue coreografie Sammo Humg ci prende sempre la sveglia

Quando prende lui in mano le redini del film strappandole al regista Wong Fung – che si ritaglia anche il piccolo ruolo del giudice supremo Chen – il discorso cambia completamente: da una rozza regia di maniera si passa ad un flusso d’azione roboante e scoppiettante, con pose e inquadrature che rendono chiara la freschezza della visione di Sammo.

Va’ che inquadratura gagliarda ti tira fuori Sammo

Teoricamente la trama verte sul viaggio della guardia e dell’assassino che ne approfittano per conoscersi e per scoprirsi amici, ma in realtà non c’è tempo per questo: dopo trenta minuti di pure lungaggini si parte con scene di combattimento che dureranno per il resto del film!

Sì, va be’, siamo amiconi, ma ora basta ridere: ora botte!

Qui non siamo in Occidente, dove per “film di arti marziali” si intendono due o tre minuti di botte, qui siamo nella Z di Hong Kong: sono solo botte! E le quote rosa menano pure loro.

La frusta che non perdona!

Mena pure la mamma cieca, anche meglio dei figli, quindi grazie a mamma Jellati-Sfigatelli, che affronta un esercito da sola, questo film rientra nel grande ciclo dei “Maestri sciancati“.

Quando una mamma cieca affronta un esercito, è una “maestra sciancata”

C’è giusto il tempo di accennare al fatto che morto un principe se ne fa un altro, così ora il suo castello è passato al fratello Tu Lung (Miao Tian), giusto una trovata per avere il cattivo finale che minacciasse madre e sorella dell’eroe.

«Questo è un gruppo rintrecciato / Chi più sgruppa, più raggruppa.» (cit.)

Il film è esattamente quello che sembra, un prodotto di basso profilo interpretato non certo da divi dell’epoca – sebbene tutti prolifici – ma una ghiotta occasione per il giovane Sammo Hung di studiare il “mestiere” e provare le tecniche che in altri film l’avrebbero reso uno dei maestri di Hong Kong. Sotto mano qui non ha molto con cui “giocare”, gli attori a disposizione sanno fare qualche salto e qualche capriola ma poco altro, quindi è apprezzabile ancora di più il suo sforzo di farli sembrare grandi lottatori.

Furia gialla è uno dei primi film di quella Golden Harvest che nel 1971 ha provato a fare concorrenza all’invincibile Shaw Bros, quindi i mezzi sono pochi e così i “volti noti” da mostrare su schermo, e certo il genere wuxiapian è così istituzionale che la concorrenza è sterminata. Di sicuro la fortuna della casa risiede in quell’invenzione recente, il “cinema di arti marziali”. Qui ogni eco marziale è lontana, nessuno si permette di toccare l’avversario a mani nude – gesto volgare per antonomasia – e forse per questo tali prodotti hanno conosciuto una esplosiva vita distributiva in tutto il mondo: costavano molto meno dei film marziali, perché al di fuori di Hong Kong nessuno li voleva.
Nelle sale italiane per dieci anni sono arrivati fiumi di filmacci wuxiapian di serie Z come questo, spacciati tutti per “l’erede di Bruce Lee” e quindi inflazionando e di fatto uccidendo il genere marziale in Italia, che avrà anni di rinascita solamente dal 1989 grazie a un filone totalmente differente, la cui forza era appunto la totale alterità rispetto allo stile di Hong Kong.

Nessun dei milioni di italiani che affollavano le sale della nostra Penisola voleva vedere spadaccini volanti, tutti volevano botte di kung fu o di finto karate, quindi dubito che Furia gialla sia piaciuto a qualcuno all’epoca della sua uscita: eppure questo non gli ha impedito di rimanere per anni a girare le sale del nostro Paese, sebbene al contrario di altri non ha conosciuto l’onore di una distribuzione in VHS. (Men che mai in DVD.)
Però ha conosciuto un altro tipo di onore: è facile supporre che con ancora il film in sala al Bonelli pensasse al suo titolo al momento di mandare in edicola La furia gialla, numero 26 (luglio 1977) della testata a fumetti “Mister No“, con in copertina il celebre calcio volante di Bruce Lee. Segno che il wuxiapian non fregava a nessuno, neanche a fumetti!

Furia gialla è un semplice figlio del suo tempo ma soprattutto una palestra di stile per il giovane Sammo Hung: cosa si può chiedere di più da un prodotto di onesta serie Z?

L.

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9 risposte a The Fast Sword (1971) Furia gialla

  1. Zio Portillo ha detto:

    Bellissima la storia del film e dei generi, nonché della confusione che regnava tra addetti ai lavori e spettatori. Interessante lo spaccato dell’epoca con la “febbre marziale” che aveva contagiato milioni di italiani tra lo stupore e lo sgomento. Che mi fa sempre ridere quando leggo di “inchieste e sgomento” sui gusti degli spettatori. Che sia la febbre marziale o la voglia di trash (Grande Fratello e simili) e delle curve della Fenech, ogni volta ci si interroga inutilmente!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Storicamente la classe intellettuale in Italia, di qualsiasi colore essa sia, prova sempre sgomento allo scoprire che la gente poi sceglie secondo i propri gusti e non lasciandosi guidare da illuminati consigli forniti tramite stampa e TV.
      E non si pensi che la “febbre marziale” fosse solo una questione di cinema: negli anni Settanta ai poliziotti veniva insegnato il karate, quindi il cinema marziale era visto da tutta l’intellighenzia italiana come fascista, perché – secondo gente che non ha mai visto i film di cui parlava – esaltava quella violenza che poi i poliziotti facevano propria. Tutte frescacce inutili che la dicono lunga sul valore degli intellettuali italiani, che parlano senza informarsi.

      Se distributori senza scrupoli non avessero inflazionato il genere con ondate di spazzatura forse ancora oggi in Italia ci sarebbe il gusto per questo cinema, purtroppo ucciso dal wuxiapian spacciato in malafede per gongfupian.

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      • Giuseppe ha detto:

        Distinzione che ai cosiddetti intellettuali italiani non passava nemmeno intesta di verificare, impegnati com’erano a condannare un fascismo non facente parte di quei film condannati in blocco senza averne mai visto uno, a differenza del pubblico plebeo (e forse, affronto ancor più grave, nemmeno composto in massa da comunisti emancipati) che per far loro dispetto invece accorreva a frotte… Comunque, è sempre un piacere vedere spuntar fuori Sammo, qui onorevolmente nonché professionalmente impegnato a salvare il salvabile 😉

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Sammo all’epoca era la punta di diamante della neonata Golden Harvest, quindi immagino potesse fare un po’ quel che voleva. Si vede subito quando si passa dalla regia di maniera delle scene normali alla vispa visione innovativa nelle scene d’azione.

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  2. Cassidy ha detto:

    Onore e gloria al mitico Sammo, questo film è sempre uno spasso da rivedere così come restano spettacolare vedere come sei in grado di ricostruire l’epoca, la comunista emancipata roba che ora pare una battuta di Nanni Moretti invec era tutto vero 😉 Cheers

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Le pubblicità dei libri in uscita mostravano una varietà di argomenti tutti in contrasto con i successi di botteghino, pieni da una parte di donnine nude e dall’altra di botte cinesi. Ah, questi italiani che non seguono mai i grandi intellettuali… 😀

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  3. Willy l'Orbo ha detto:

    In realtà non credo di averne visti molti di wuxiapian e al contempo c’è qualcosa (un sentore, non di più) che non mi ispira nel provare a vederli…te che dici? Conoscendomi potrebbero piacermi, in generale? 🙂

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      E’ una grave responsabilità quella che mi dài!
      Il wuxiapian va preso a piccole dosi ma soprattutto – come qualsiasi altro genere – sarebbe meglio gustarsi prima la serie A, e poi semmai (ma anche no) passare alla Z. A meno che non parliamo di perle Z molto più divertenti della A, ma non è questo il caso.
      Quindi ti sconsiglio questo filmettino dozzinale, e se vuoi andare sul sicuro è meglio un qualsiasi film diretto da Chang Cheh, l’Omero di Hong Kong. Non è arrivato molto in Italia, ma è roba buona. Anzi, visto la tua passione per la storia mi sentirei addirittura di consigliarti caldamente “L’inferno dei Mongoli” (cioè la storia di Marco Polo ma vista dai cinesi!) e “Boxer Rebellion” (cioè la rivolta dei boxer di inizio Novecento contro gli stranieri occidentali, di nuovo vista dai cinesi). Sono fusioni di fantasy (tutti fanno salti di almeno tre metri!), storico e arti marziali (ci si mena a iosa) raccontata con grande attenzione all’epica. Se questi, che sono serie A, non ti dovessero piacere, allora la Z la eviterei accuratamente 😛

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      • Willy l'Orbo ha detto:

        La risposta mi conferma che non potevo chiedere a persona migliore (e non avevo dubbi a tal proposito)! 🙂
        I due film che hai citato, mix di storia (sai bene come accendere il mio interesse!), arti marziali e fantasy, mi sembrano un ottimo “trampolino di lancio”
        Ci faro più di un pensierino! Grazie per i consigli! 🙂 🙂

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