And Now the Screaming Starts! (1973) La maledizione


È il filone dei “corpi dissacrati” a cui ho dedicato più tempo, passione e studio, quello delle “mani cattive“, nel senso etimologico dell’aggettivo: mani “possedute”, ovviamente da entità maligne.

Ci sono mani che si stringono tra i banchi delle chiese alla domenica, mani ipocrite, mani che fan cose che non si raccontano, altrimenti le altre mani chissà cosa pensano (come cantava Frankie HI NRG nel 1997) e poi ci sono le mani cattive… che non hanno bisogno del fardello di un corpo umano a limitarle!


Ed ora, qualcosa… di cui urlare

La britannica Amicus ci regala un’altra perla horror con mano mozza. Presentato a New York il 27 aprile 1973, … And Now the Screaming Starts! riceve il visto della censura italiana il 26 marzo 1974 con un divieto ai minori di 18 anni, che sarà revocato solo vent’anni dopo: la Heritage lo porta nelle nostre sale dal 24 novembre 1974 con il titolo La maledizione.

Stavolta sono d’accordo con il titolo italiano, più conciso

Inedito in VHS, viene riesumato in DVD da Millennium Storm e Pulp Video: purtroppo non so datare nessuna di queste edizioni. Le schermate della pagina sono prese dalla seconda, che appartiene alla deliziosa Peter Cushing Collection.


Fengriffen

Presentato come novella, o “romanzo breve” che dir si voglia – ma in realtà fino al secolo scorso 130 pagine erano più che sufficienti per parlare di “romanzo” vero e proprio – Fengriffen (1970) segna un grande esordio per il suo autore, lo statunitense David Case (classe 1937), anche se poi rimarrà uno scrittore abbastanza avaro di opere. Il romanzo è disponibile in italiano esclusivamente nell’antologia La voce del vento (Armenia 1990), con traduzione di Grazia Alineri.

David Case anticipa quel genere che di lì a poco riempirà gli scaffali del paranormal romance, con storie di antichi castelli e donne inquiete, spesso tormentate da fantasmi: in attesa di romanzi come Lo zingaro maledetto (1971), dal titolo oggi politicamente scorretto, Angelo posseduto (1974) o Il grido del vento (1974), Case usa lo stesso identico schema ma senza risvolti romantichelli, anzi con sorpresa stilistica ghiottissima.

«La mia prima impressione di Fengriffen fu: scheletrica. La vidi dalla carrozza, stagliata contro un tempestoso sole al tramonto come le ossa annerite di una qualche mostruosa bestia. Non le fragili ossa bianche di un uomo in decomposizione, ma le massicce colonne ad arco di un sauro primordiale che si fosse avventurato in quella desolata landa e là si fosse adagiato e morto, forse di solitudine, ere prima.»

Il castello della famiglia Fengriffen è un protagonista a tutti gli effetti, e già questo mi piace assai. Seguendo l’ondata neo-gotica (o come volete chiamarla), Case mi racconta il castello come simbolo della famiglia, e mentre vi si avvicina il protagonista nota sempre più particolari che torneranno utili durante la sua indagine. Perché protagonista è il dottor Pope, che oggi non esiteremmo a definire uno psicoterapeuta, sebbene questa figura stoni in una vicenda dal pungente sapore gotico.

L’Oakley Court di Windsor “interpreta” il castello di Fengriffen nel film

Nell’oscuro castello, appartenuto da tempo immemore ai Fengriffen, il proprietario vive con sua moglie, e i problemi fra i due necessitano di quella che oggi chiameremmo una “terapia di coppia”, ma in realtà Charles Fengriffen è un uomo più “gotico”, quindi ha ingaggiato il dottor Pope perché aiuti la moglie a guarire dalla sua pazzia. Perché se una moglie è turbata sicuramente sta male di testa: per noi oggi è un modo di pensare biasimevole, ma questo è un racconto ambientato in tempi lontani quindi ci sta che faccia riferimento a concezioni dell’epoca.

Unica edizione italiana

I due coniugi, separatamente, racconteranno a Pope sprazzi della storia dei Fengriffen, e come in una tipica storia “rashomonide” ognuno negherà quelle parti di verità che trova più vergognose: starà allo studioso della mente umana indagare su ciò che non gli è stato raccontato e capire il vero problema che assilla Fengriffen, luogo dove forse un’entità maligna infiamma le notti della moglie del padrone di casa. Nipote di un uomo crudele i cui atti nefandi hanno fatto cadere una terribile maledizione sull’intera casata.

Se pensate che la storia abbia un “gusto d’altri tempi”, è esattamente così, sono convinto che l’autore è proprio questo che voleva, ricreare un tipico racconto gotico – nella tradizione storica de Il castello di Otranto (1764) di Walpole – solo per poi divertirsi a “modernizzarlo”, colpendo il lettore con elementi di una novità inedita, anche per il nuovo millennio. Perché l’intera storia di un’antica maledizione, di odio e morte, di spiriti e fantasmi, può essere spiegata in maniera perfettamente psicoanalitica.

Charles Fengriffen ha chiamato un dottore famoso convinto che fosse una sorta di Van Helsing, un esperto di esorcismi che potesse guarire la pazzia della moglie con qualche balzano ritrovato, invece si ritrova in casa uno psicoterapeuta modernissimo, che ancora oggi – 2024 – è novità esplosiva in una qualsiasi storia horror: il dottor Pope spiazza Fengriffen con una tesi psicologica che spiegherebbe alla perfezione tutte le vicende misteriose avvenute al castello, dimostrando che in fondo secoli di leggende e superstizioni sono facilmente spiegabili con fissazioni mentali, fisime e traumi non elaborati. Ancora nel 2024 il mondo non è pronto per una verità così inaccettabile, preferiamo mostri e fantasmi ad inquietare le nostre notti.

Io soffro del “blocco del lettore”, se un romanzo o un racconto non mi prende immediatamente o non sfoggia un tocco magico già al primo paragrafo, sbuffo e lo butto via: le più di cento pagine di Fengriffen sono state un autentico piacere, in ogni attimo della giornata pregustavo il momento in cui sarei tornato al castello ad indagare insieme a Pope sugli strani e oscuri eventi, alle prese con i sordidi segreti che i coniugi nascondono, anche a sé stessi. Mi è davvero dispiaciuto quando è finito, ed è un sentimento che riservo a rarissimi titoli, soprattutto negli ultimi dieci anni di “blocco del lettore”. È un gran peccato che le già rare opere di Case siano quasi inedite in Italia.

Come può una casa di bocca buona come la Amicus portare su schermo un romanzo breve così sottile, che gioca in maniera così sapiente con un genere narrativo che abbraccia solo per ribaltarlo completamente? Come può una storia così priva di momenti forti rendere su pellicola? Scopriamolo.


La maledizione

Nel 1795, ci viene spiegato, Catherine (Stephanie Beacham) incontra il nobile Charles Fengriffen (Ian Ogilvy) e ne nasce l’amore: sposati, si trasferiscono al castello dei Fengriffen, dove una lunga serie di quadri immortala i vari antenati.

Marito e moglie cominceranno a gridare sin dal primo minuto di matrimonio

Sin dal primo istante a Catherine è chiaro che ci sia qualcosa di strano al castello, perché appena si sofferma sul quadro di Henry Fengriffen, il defunto padre di suo marito, scatta il terrore: una mano insanguinata fuoriesce dal dipinto. E il Romero de Il giorno degli zombi (1985)… muto!

Quando inizi un film con una mano che sbuca dal nulla, hai vinto già in partenza

I due giovani si sposano ma… una mano mozza si aggira per casa…

Una mano mozza entra in scena assolutamente a casaccio!

Ma che c’entra? Ma cos’è? Boh, alla Amicus avevano ancora la mano mozza de Le cinque chiavi del terrore (1965) e l’hanno buttata lì nell’inquadratura?

Me lo conferma Chris Knight, giornalista che nell’agosto 1972 va a visitare le riprese di questo film agli Shepperton Studios e ne scrive su “Cinefantastique” (estate 1973). Quando viene invitato nello studio dell’art director Tony Curtis, il giornalista si stupisce di trovare una mano mozza sulla scrivania. Gli racconta Curtis:

«Il meccanismo è stato fatto già prima di questo film, la mano l’abbiamo usata in varie forme in due o tre produzioni, ma in origine è stata creata per Le cinque chiavi del terrore. Ha un meccanismo molto complicato che deve simulare l’apertura e la chiusura della mano. Al suo interno c’è un piccolo motorino alimentato a batteria.»

Tutto bello, ma che c’entra con la vicenda? Visto che nel romanzo non si parla di mani mozze, qualcosa mi dice che hanno stiracchiato la trama per buttarci dentro un oggetto di scena da riciclare.

Un bieco riciclo di oggetti di scena

Già la situazione diventa chiara quando la prima notte di nozze Catherine, mentre aspetta il marito, viene aggredita da una mano mozza. All’arrivo di Charles è tutto svanito, forse è stato un incubo, ma poi il giorno dopo la donna, sempre guardando il quadro del suocero, intravede una forma fantasmatica con un arto reciso: cosa sta succedendo a casa Fengriffen?

Scusi, ha mica visto una mano che se ne va in giro da sola?

Catherine si rende conto che il marito le sta tenendo nascosto qualcosa, e in realtà tutti a Fengriffen sono a conoscenza di un mistero che solo la donna ignora, e intanto gli eventi luttuosi si alternano a ripetizione: difficile rimanere vivi a lungo, al castello.

La mano mozza diventa pure fantasma!

Fortemente provata dalle continui morti che la circondano e dagli eventi paranormali in cui è immersa, ci sta che la povera Catherine appaia un po’ “esaurita”, e l’apprensivo marito decide di rivolersi a uno bravo: il dottor Edward Pope (Peter Cushing), medico di Londra specialista in una «nuova scienza»… meno esperto in acconciature.

Sei sempre un mito, Peter, ma quei capelli… no, non ci siamo

Proprio come succede a Catherine, anche il dottor Pope – la cui «nuova scienza» non viene mai specificata – riempie la zona di cadaveri non appena prova ad indagare sulla questione, ma almeno lui riesce a strappare al giovane Charles il “segreto di Fengriffen”.

Cinquant’anni prima, il suo laido padre Henry Fengriffen (Herbert Lom) aveva trasformato il castello in un covo del vizio, e una brutta sera compie qualcosa di talmente terribile… da generare una maledizione attiva ancora decenni dopo.

Ah, quant’era vizioso nonno Fengriffen!

Non entro maggiormente nei particolari perché in pratica tutta la trama del film si dipana nella parte finale, dove vengono al pettine tutti i misteriosi nodi sparsi dall’inizio della vicenda. Nelle dichiarazioni dell’epoca, il regista Roy Ward Baker ammette apertamente di aver messo mano sia al testo originale che alla sceneggiatura di Roger Marshall per creare una propria versione della storia, a sorpresa fedele al romanzo ma strutturalmente alla rovescia.

David Case fa raccontare tutto al dottor Pope mentre qui il personaggio arriva solo nella seconda metà del film, quindi gli eventi pregressi del romanzo li vediamo “in diretta” nel film. Fondamentalmente la storia è mantenuta integra, ma il regista ha aggiunto molti più effettacci, i riferimenti alla mano mozza – che ci fa sempre piacere – e qualche strizzatona d’occhio alla moda occulta dell’epoca, come Catherine che inizia a leggere il Malleus Maleficarum (che il doppiaggio italiano rende con Relazioni sessuali con i demòni).

Una roba a caso per far piacere agli occultisti dell’epoca

All’inizio è spiazzante, ma la scelta di creare in pratica un film semi-muto funziona, perché invece di descriverci l’orrore ce lo mostra, invece di abbondare in particolari delle terribili esperienze di Catherine ce le fa vivere insieme a lei, il tutto con un esiguo numero di parole: tutto è visivo, dato per scontato, per ovvio, è una storia per immagini che nasce da un romanzo invece molto narrativo. Mi è piaciuta questa libera interpretazione dell’originale.

Visto oggi, a cinquant’anni di distanza, temo che possa apparire un prodotto datato, sebbene piacevole, ma se visto con gli occhi della grande stagione horror a cavallo tra ’60 e ’70 questa della Amicus mi sembra un’opera più che dignitosa, pur essendo meno ambiziosa dei filmoni della concorrente Hammer.

Una curiosità. David Miller nel suo The Peter Cushing Companion (2000) raccolta molti aneddoti nati dal lavorare spesso con il celebre attore. Durante le riprese di questo film il sessantenne Cushing è stato molto professionale come sempre, ci dice Miller, ma il recente lutto – nel 1971 era morta la sua amata moglie Violet Helene Beck dopo trent’anni di matrimonio – ha lasciato comunque segni profondi e ancora evidenti nel comportamento sul set. Per esempio Cushing aveva iniziato a non sopportare di essere fissato mentre recitava: se durante una scena si accorgeva che qualche tecnico o addirittura il regista lo guardava, era capace di bloccare le riprese. Perciò nelle scene con lui davanti all’obiettivo si era presa l’abitudine per cui tutti fissavano gli occhi in terra, per evitare problemi all’attore.

Salutiamo la mano mozza che minaccia la povera Catherine e speriamo di riuscire un giorno a identificare tutti i film in cui è apparso quel modellino meccanico.

L.

Mi sia consentito questo spazio di becera auto-promozione, visto che proprio dieci anni fa il fascino delle «mani cattive» mi ha pervaso a tal punto da scrivere il mio primo ed unico romanzo: Le mani di Madian.
Qualcuno sta uccidendo delle traduttrici mentre uno scrittore di successo afferma che la propria mano destra… non è la sua! I due casi sono uniti da una mano misteriosa che affonda le radici in citazioni letterarie che solo l’investigatore bibliofilo Marlowe (no, non quel Marlowe) saprà cogliere.
Capite che in questo ciclo non potevo resistere a questo pizzico di pubblicità. Il romanzo lo trovate in tutti gli eStore a soli 99 centesimi.

– Ultimi “corpi dissacrati”:

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9 risposte a And Now the Screaming Starts! (1973) La maledizione

  1. Cassidy ha detto:

    Questo lo adoravo, chissà se Romero lo conosceva, secondo me si, ero sicuro che lo avresti trattato in questa rubrica del venerdì 😉 Cheers!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      L’ho rivisto con piacere, che le memorie della mia prima visione ormai erano evaporate. E il romanzo originale è ancora più bello, però non ci sono mani mozze quindi… viva il film ^_^

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      • colospaola ha detto:

        Di David Case è notevolissimo anche il racconto “La guerra è finita” comparso in una sua antologia pubblicata su Urania Horror negli anni Novanta, racconta di Maria, una giovane vedova che, alla fine della seconda guerra mondiale, accoglie un soldato in casa e gli racconta una storia su come è molto il marito, il finale è davvero terribile, in senso buono!

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Mi è piaciuto così tanto questo romanzo che sono sicuro Case sia un ottimo scrittore: mi sono procurato il suo raro romanzo da cui un altro film con Cushing ma ancora devo leggerlo. Grazie della dritta, se lo trovo mi gusterò anche quel racconto 😉

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  2. Andrea87 ha detto:

    “Amò, lo so che sei malata, ma ho portato qui un dottore!”

    “E’ van Helsing?”

    “No, è Peter Cushing!”

    “Ma Peter Cushing E’ van Helsing!”

    “Non è van Helsing!”

    (citazia scontata ai Simpson, se volete si può fare anche con Dr. Who, funziona uguale)

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  3. Giuseppe ha detto:

    Ce l’ho parcheggiato lì da una vita, in attesa di rivederlo (parimenti, erano ormai evaporate pure le mie memorie di prima visione) e credo che, per via del tema trattato, non incorrerò nel rischio di doppisensi se affermo che mi dovrò decidere a riprenderlo in MANO 😛 Passando dalla pellicola alla carta, davvero interessante la caratterizzazione moderna del dottor Pope pure se, nel quadro di una storia horror/gotica, io riesco ancora a tollerare il fatto che mostri e spettri non lo siano soltanto della mente (e in mani meno capaci di quelle di Case temo che, alla lunga, l’approccio razionale rischierebbe di diventare non meno banale e stucchevole di quanto già non lo sia quello soprannaturale, in analoghe condizioni di scrittura pigra)… 😉

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  4. Willy l'Orbo ha detto:

    Film, aneddoti, libri e mani cattive: un poker garanzia di gran post! 🙂

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