Coherence (2013) Il capolavoro portato da una cometa

Sul blog Letture pericolose Federica ha lanciato l’iniziativa di dedicare questo febbraio 2019 al tema del “doppio” e dello “strano” (weird), il che mi fornisce l’occasione di vedere e ri-vedere dei titoli che accarezzavo da tempo.

Presentato in anteprima il 19 settembre 2013 allo statunitense Austin Fantastic Fest, finito di girare per festival esce in Rete il 6 agosto 2014: l’unica notizia di distribuzione italiana è quando il 9 dicembre 2015 la Cult Media presenta Coherence in DVD e Blu-ray. (Aggiunge anche uno stupidissimo sottotitolo che non merita di essere ripetuto.)

Lo dico subito per mettere le cose in chiaro: è uno stramaledettissimo capolavoro che dovete immediatamente recuperare, e se non fosse stato per questo ciclo sul doppio probabilmente non mi sarebbe mai capitato sotto gli occhi: un’altra cosa per cui essere grati a Federica di “Letture pericolose”!

Per me, la sorpresa dell’anno!

È la storia di una donna che chiama la polizia, perché l’uomo che dice di essere suo marito non lo è. Non può esserlo. La polizia controlla, ma il marito è proprio lui, ha tutti i documenti in regola, tutti lo conoscono, sono sposati da anni e non si capisce perché ora la donna si agiti tanto nella sua folle denuncia. Alla fine la moglie gioca la sua ultima carta, e fornisce la prova schiacciate: quello non può essere suo marito… perché lei il marito l’ha ucciso la sera prima.
La polizia controlla: non c’è arma del delitto, non c’è cadavere, l’uomo è vivo e vegeto. Caso chiuso: la donna semplicemente è fuori di testa. Ed è ovviamente l’unica “morale” che possiamo trovare in questa storia degli anni Venti del Novecento. (Che potrebbe essere vera o forse inventata per l’occasione del film.)

Oppure c’è un’altra risposta. Sia la moglie che il marito hanno ragione, è solo successo che il passaggio di una cometa ha fatto loro perdere… la coerenza.

In ogni rapporto di coppia c’è bisogno di… coerenza

Bisogna stare attenti al passaggio delle comete, chiedetelo a quel tizio di Pittsburgh che proprio mentre l’oggetto celeste solcava il cielo ha visto i morti uscire dalle tombe e rantolare sulla terra. Quegli uomini e donne non sapevano di essere morti, magari anche loro… avevano perso la propria coerenza.
Il morto non sa di essere morto finché qualcuno non apre la bara, proprio come se fosse il gattino di un aneddoto tanto noto quanto spesso frainteso.

Lo scienziato che ci spiega il destino del gatto nella scatola

È la storia di un gatto infilato in una scatola con del veleno: stando fuori, noi non conosciamo il destino del gatto, se dopo un po’ il felino sia ancora vivo o meno non ci è dato saperlo. Quindi – come piace specificare a chi racconta l’aneddoto – il gattino è allo stesso tempo sia vivo che morto. La “morale” dell’esperimento non è però questa, sta tutta in una frase che è facile non trovare citata nel racconto, molto amato da ogni forma di comunicazione: il gattino vive questa sua condizione finché non si apre la scatola. In quel momento non sapremo quale sia stato il destino del gatto… perché saremmo stati noi a decidere del suo destino.

La storiella è nata per spiegare che al contrario del concetto classico di esperimento, dove cioè l’osservatore è neutro e si limita a fare da semplice spettatore, nel mondo della quantistica è proprio l’osservatore a decidere il destino dell’esperimento. L’osservatore cambia le vite ipotetiche, gli universi paralleli in potenza di ciò che osserva.
È l’osservatore che fa perdere coerenza al gatto…

Erwin Schrödinger ideò nel 1935 questa idea che porta ancora oggi il suo nome, e lo fa in un momento in cui il mondo sta crollando: no, non c’entra niente il nazismo e gli integralismi che stanno infiammando l’Europa. Quello è “solo” politica, è “solo” vita e morte: c’è ben altro che sta per esplodere. Sta per esplodere la realtà.

Se già il principio di indeterminazione di Heisenberg nel 1927 era stata una bella batosta, il colpo finale arriva intorno al 1931, a dimostrare che quegli anni c’è un condensato di idee che stanno distruggendo quanto faticosamente costruito dalla conoscenza umana nei millenni precedenti.
Un pazzo, un visionario con manie di persecuzione, insomma un genio, Kurt Gödel, dimostra che non ci sono solamente cose che non sappiamo: ci sono cose che non possiamo sapere. Significa che ogni apparato logico e razionale della cultura umana non è perfetto, non è uno strumento che ci garantisca la conoscenza. Usando parole non sue, possiamo dire che Gödel ci ha insegnato che non è detto che il vero ci garantirà la verità.

Ma questa è roba da università, da studiosi occhialuti impacciati: che ci importa di tutto questo? A spiegarcelo, ci pensa la narrativa.

Mi sa che lo spiegone dura ancora…

È la storia di moglie e marito che vivono una brutta esperienza con una terza persona, e tutti e tre in seguito racconteranno una storia diversa di quanto è accaduto: chi li ascolta giunge alla più triste delle conclusioni. La verità è impossibile da appurare.
Luigi Pirandello nel 1917, Ryûnosuke Akutagawa nel 1922 e Akira Kurosawa nel 1950 hanno raccontato in tre modi diversi questa stessa storia – il cui nome più famoso è Rashômon – non si sa quanto coscientemente copiandola dal maestro Ambrose Bierce, che l’aveva già raccontata in modo perfetto nel 1907. Prima di ogni scienziato che dimostrasse la fallacità della conoscenza umana.

Romanzieri e scienziati hanno passato la prima metà del Novecento a dimostrare che la verità magari esiste pure, ma i nostri strumenti non sono più in grado di conoscerla. Ci hanno dimostrato che le scienze e le conoscenze in cui avevamo fede non hanno alcuna garanzia di offrirci tutta la verità.
Quindi il messaggio passato è pessimistico? No, perché poi arrivano gli anni Ottanta e queste nozioni vengono aggiustate con la “messa in piega”.

Oh, ma quanto dura ’sta premessa?

È la storia di una donna che sente discutere una tesi di laurea in cui è spiegato che il gatto di Schrödinger non deve per forza “escludere” una delle due opzioni: una delle realtà che l’osservatore sceglie per lui, aprendo la scatola, non esclude le altre. In un’altra realtà, chissà, il gatto magari è scappato dalla scatola mentre l’osservatore era distratto…

La donna sorride, perché sa già tutto: da tempo ha perso la sua coerenza e sta viaggiando nelle sue vite. Anzi, in ogni variante della sua vita, come se attraversasse in continuazione tutti gli universi paralleli che la interessano:

«Non avrebbe prestato più attenzione al momento in cui  sarebbe arrivato il domani, ma a quale domani sarebbe arrivato». (Traduzione di Nicoletta Vallorani)

Il gattino di Schrödinger (Schrödinger’s Kitten) è un racconto di George Alec Effinger apparso sulla celebre rivista di fantascienza “Omni” nel settembre del 1988 e arrivato in Italia nell’antologia “Destinazione Spazio” (Urania Mondadori n. 1142, 16 dicembre 1990). Chissà se è stato letto dal regista e sceneggiatore James Ward Byrkit, visto quanti piccoli elementi in comune ha con il suo capolavoro, Coherence.

Vai, che tocca a noi e finalmente si mangia!

Una cena tra amici, con qualche piccolo segreto, qualche piccolo rancore, qualche decisione da prendere, tutto normale. Però la serata è speciale, sta passando una cometa e si raccontano strane voci e strane storie, di cose strane successe ad ogni suo passaggio. I cellulari smettono di funzionare, come regola ferrea vuole nei film horror, e uno degli amici chiede permesso: deve andare da suo fratello, nella casa accanto, per rassicurarlo che va tutto bene. Perché il fratello sa che durante il passaggio delle comete le cose si fanno strane.
Uscire dalla stanza è una tipica tecnica degli horror, ma tranquilli: questo non è un film horror. È molto più spaventoso.

Una serata allegra che lentamente mozza il fiato

Non posso svelare troppi particolari perché dovete gustarvi appieno le incredibili trovate del film, ma basti dire che al suo ritorno l’amico ha una strana storia. Deve aver sbagliato strada, camminando al buio, perché si è affacciato alla casa vicina… e ha visto gli stessi amici della casa da cui è partito. Sicuramente si è sbagliato.
Uno dei commensali ha l’idea di scrivere un biglietto da lasciare alla porta dei vicini, ma appena finito di scrivere sentono bussare alla porta. Aprono… e alla loro porta c’è appeso un biglietto. Lo stesso biglietto che hanno appena finito di scrivere.

La cometa sta passando… e tutti hanno perso la propria coerenza.

Otto personaggi in cerca di coerenza

Coherence è un film che si basa quasi unicamente sui dialoghi, quindi chissà che attento studio ci sarà stato sulla sceneggiatura… «Sono dialoghi completamente improvvisati, non c’è alcuno storyboard»: così confessa il regista a Sam Davies della rivista “Sight & Sound” (marzo 2015):

«Ma i punti salienti della storia, i suoi misteri e la parabola dei personaggi quelli sì che sono frutto dello studio di un anno intero, fra me e il mio socio Alex Manugian, che nel film interpreta Amir.»

Byrkit ha questa teoria per cui se la storia è ben studiata, non importa cosa diranno gli attori sul set: tutto verrà bene da solo. Non so se funziona di solito: qui funziona alla perfezione.
Inoltre il regista spesso ha lasciato proseguire una scena anche per mezz’ora, lasciando campo totalmente libero agli attori. Il risultato era del tutto inutile, ma magari c’erano alcune reazioni perfette o alcune scene eccellenti: tutto poi passa nelle capaci mani del montatore per creare la magia.

Coherence è un film che si basa quasi unicamente sugli attori, sui loro tempi di reazione, sulle loro interazioni, sul loro affiatamento che risulta perfetto. Quindi chissà quanto il cast ha lavorato insieme prima di arrivare ad ottenere una sincronia in pratica perfetta. «Gli attori si sono incontrati per la prima volta cinque minuti prima di iniziare a girare, e sono dovuti subito entrare nei personaggi», confessa il regista a Cheryl Eddy del “San Francisco Bay Guardian” del 1° luglio 2014.

«Gli attori erano tutti miei amici, ma loro non si conoscevano l’un l’altro. Li ho ingaggiati perché sentivo che sarebbero potuti essere amici o amanti.»

Quello di Byrkit assomiglia ad un esperimento sociologico: mettere un gruppo di estranei in una stanza e porli in una condizione al di là di qualsiasi normalità o logica: come reagiranno? Per noi spettatori, è puro oro…

Proprio come il Von Trier dei tempi d’oro, Byrkit chiede il massimo dai propri attori ma è anche il primo a dare il massimo. Per esempio il budget non consente minimamente l’affitto di una casa dove girare l’intero film, quindi Byrkit mette la propria a disposizione: bei soldi risparmiati. Certo, la moglie incinta di nove mesi che si vede otto attori girare per casa ogni notte non è stata proprio contentissima dell’impegno artistico del marito, quindi non possiamo biasimarla quando ha lanciato un ultimatum al consorte: ti concedo al massimo cinque notti. E in cinque notti Byrkit gira il suo film.
Una settimana dopo l’attrice protagonista – la bravissima svedese Emily Baldoni – torna giusto per girare gli esterni fuori casa, cioè la terribile scena finale. All’una di notte sono ufficialmente finite le riprese del film: alle tre di notte inizia il travaglio della moglie del regista. Il cui figlio nasce quando la coerenza è tornata…

Attori che frugano in casa del regista

Aver trovato in casa un libro di fisica che parli del gattino di Schrödinger potrebbe darci una chiave generale di lettura, che cioè queste otto persone d’un tratto, per colpa del passaggio della cometa-osservatrice, si ritrovino rinchiuse in una scatola: sono vivi o morti? Non è questa la domanda, lo sappiamo: sono vivi e morti. Magari fosse così facile… Il problema è sempre la verità: la più inesistente delle conoscenze. E la verità, per il nostro gattino, potrebbe significare la morte…

Dubitate di chi credete di essere

Un film fluido e denso allo stesso tempo, semplice e complesso, innocente e maligno: tutto e il suo opposto convivono, in questa meravigliosa scatola di Schrödinger che dovete assolutamente vedere.
Un consiglio: mai vedere questo film durante il passaggio di una cometa…

L.

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22 risposte a Coherence (2013) Il capolavoro portato da una cometa

  1. Cassidy ha detto:

    Dal 2013 più o meno, mi tengo questo film nel taschino, per consigliarlo a tutti quelli che possono apprezzarlo, devo averne anche scritto dalle mie parti, lo trovo un capolavoro, senza ombra di dubbio. La prima metà parlata potrebbe convincere chiunque a smettere di proseguire, sarebbe un grave errore, perché la cena tra amici si svolge in maniera naturale, e hai ben descritto il perché. Il finale è fantastico, esattamente come questo post, che non solo pubblicizza un film che si merita più visibilità, ma finalmente mette in chiaro quel cacchio di gatto in scatola. Grandissimo post, davvero splendido 😉 Cheers

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  2. Kuku ha detto:

    Ecco un genere di trama che se la leggo mi vien subito voglia di vedere il film. Siccome di solito temo sempre la cazzata in agguato, questa volta andrò sul sicuro dal momento che c’è il bollino di qualità del Zinefilo e di Cassidy.
    Non so perché questa trama mi ha fatto pensare al film Premonition, con la Bullock che viveva i giorni in maniera non lineare. Solo che non mi ricordo come andava a finire e se il tutto era poi una cazzatona o no. Chiederò al gatto.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Lascia stare quel povero gatto, che se apri la scatola magari gli fai stirare le zampette 😀
      Scherzi a parte, ti consiglio caldamente questo film spettacolare, ed è più che sicuro che non rimarrai delusa dal finale 😉

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  3. Conte Gracula ha detto:

    Mi chiedo quale cometa abbia finito di uccidere la coerenza di certa gente… ah, no, è una coerenza diversa 😛
    Comunque, quel gatto è vivo e merita vendetta!

    Nel mio piccolo, un problema di coerenza quantistica l’ho vissuto pure io: mia madre ricorda di avermi visto aprire un certo regalo di compleanno, tanti anni fa, ma io quel regalo non ricordo di averlo mai ricevuto.
    Cometa vagabonda…

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Purtroppo a confrontare i ricordi con i propri genitori, sembra di aver vissuto chissà quante vite parallele, in altri universi. Non parliamo di quando escono fuori discorsi come “Non ti avevo prestato dei soldi?” “A me no di certo: forse a qualche altro me” 😀

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  4. Il Moro ha detto:

    Ho letto con un occhio solo per evitare qualsiasi anticipazione: mi hai già convinto con il primo paragrafo. Lo vedrò.

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  5. Zio Portillo ha detto:

    Venduto alla stragrande! E assicuro che questo film non l’avevo mai sentito prima di oggi.

    E come al solito mi sorge la solita domanda senza risposta: perché questo gioiellino bisogna cercarlo mentre filmacci di merd@ ti vengono sbattuti in faccia in ogni modo possibile? E’ una trama “complicata” per lo spettatore medio che frena la distribuzione? L’idea è troppo originale per essere venduta? O cos’altro? Non credo che la distribuzione di questo film indipendente costi un’occhio.
    Scusate ma giuro che non riesco proprio a capire.

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  6. Anonimo ha detto:

    Visto e confermo la bontà del tutto, da guardare con occhi, orecchi, neuroni e sinapsi ben desti a cogliere le sfumature. Mi sento un po’ fuori ruolo a non consigliare un film caciarone alla Lundgren ma anche io ho le mie debolezze 🙂

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  7. Giuseppe ha detto:

    Quando ho visto il titolo del post ho sperato ardentemente che non fosse ironico: NON poteva esserlo, visto quello a cui è dedicato. E infatti hai scritto un ottimo post degno di un ottimo, piccolo (solo nei mezzi a disposizione) film che fortunatamente già conoscevo da più di due anni e che consiglio caldamente pure io, nel suo essere un po’ Twilight Zone… sì, una zona di crepuscolo quantistico ai confini DELLE realtà (e intrappolati all’interno si trovano anche Nicholas “Buffy: The Vampire Slayer” Brendon e Elizabeth “Highlander” Gracen) 😉

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Insomma ero rimasto solo io a non aver visto ‘sto film??? 😀
      Scherzi a parte, davvero si respira l’aria di Twilight Zone dei tempi d’oro, di quelle storie così “semplici”, che è molto difficile trovare.

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  8. Pietro Sabatelli ha detto:

    Se lo presenti così come si fa a non dargli una chance? 😉

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  9. Anonimo ha detto:

    Ehi, guardate che stò film lo ha trasmesso Rai 4 almeno un paio di volte.
    Io l’ho visto lì almeno un anno fa.
    Mi è piaciuto.

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