The Hand (1981) La mano di Oliver Stone


È il filone dei “corpi dissacrati” a cui ho dedicato più tempo, passione e studio, quello delle “mani cattive“, nel senso etimologico dell’aggettivo: mani “possedute”, ovviamente da entità maligne.

Ci sono mani che si stringono tra i banchi delle chiese alla domenica, mani ipocrite, mani che fan cose che non si raccontano, altrimenti le altre mani chissà cosa pensano (come cantava Frankie HI NRG nel 1997) e poi ci sono le mani cattive… che non hanno bisogno del fardello di un corpo umano a limitarle!


È il primo film di mani mozze che io abbia mai visto, avevo all’incirca 16 anni e già il marchio di “Leggenda” mi si imprimeva nella carne: mentre i miei coetanei amavano ciò che era noto a tutti, io perdevo la testa (anzi, la mano!) per un film ignoto a chiunque, mai citato quando si parlava del regista e dell’attore, entrambi talmente illustri che era impossibile avessero partecipato a un filmaccio horror con una mano che ammazza la gente.

Il giovane etrusco si lasciava trasportare dal MACC in territori inesplorati fatti di corpi a pezzi dalla distribuzione inesistente ma in grado di infiammarmi.

Avevo dei guanti identici… ma lo sguardo più da folle

Dovrei avere ancora le riprese fatte in casa con la videocamera di famiglia legata al mio avambraccio, con io che sdraiato a terra avanzo strisciando sul pavimento così che la mia mano, nell’inquadratura, sembra che stia “camminando” libera per casa.

Se non avete mai strisciato per casa intenti a girare un horror di mani mozze, temo non possiate capire la bellezza de La mano di Oliver Stone!


La (inesistente) distribuzione italiana

Nei primissimi anni Novanta in cui l’amico Zio Portillo sui piccoli canali televisivi locali vedeva e rivedeva Mad Max 2, io invece sui canali locali di Roma beccavo una copia rovinatissima de La mano: ma la Warner Bros era informata che i suoi prodotti erano finiti nelle mani di emittenti locali temo poco attente a questioni di diritti?

da “La Stampa” del 21 dicembre 1984

Come si può vedere dal ritaglio qua in alto, una volta che Carlo Rambaldi era diventato un divo in Italia ecco apparire notizie su un film da noi totalmente ignoto, ma questo articolo in cui viene presentato non serve da apri-pista: solamente nell’ottobre 1989, grazie alle varie statuette portate a casa da Oliver Stone, la Warner Home Video porta La mano nelle nostre videoteche.

Subito la videocassetta finisce nelle “mani” (capito? Ah!) di piccole emittenti private, spesso impossibili da tracciare perché non finivano nelle guide TV di cui oggi abbiamo gli archivi digitali. Però sono riuscito a trovare il palinsesto di Telecity su “La Stampa” del 19 luglio 1988, ritaglio che mi fa scoprire come il MACC abbia sempre vegliato su di me.

Quella sera infatti subito dopo La mano va in onda… L’etrusco uccide ancora (1972) di Armando Crispino. È chiaro che il MACC voleva farmi conoscere la mano mozza di Michael Caine!

L’unico passaggio televisivo nazionale che ho trovato, consultando gli archivi digitali dei quotidiani dell’epoca, risale al 22 giugno 1992 in seconda serata sulla storica Italia7.

Purtroppo non so risalire con precisione all’anno in cui trovai per puro caso la trasmissione su una pessima emittente locale, con l’immagine che saltava spesso, ma sono abbastanza sicuro fosse dopo il 1990, data in cui infatti iniziai a registrare film horror in giro, essendo ormai del tutto “dylaniato”.


Ma davvero questo horror l’ha diretto
quell’Oliver Stone là?

Oggi Oliver Stone, per quelli che se lo ricordano, è un regista poliedrico e oserei dire “sperimentatore”: nel 1990 circa in cui ho beccato La mano in TV il suo nome evocava ben altro. Era un autore di violente denunce di guerra premiate con l’Oscar – Platoon (1986) e Nato il quattro luglio (1989), mica Pizza & Fichi! – era un regista d’autore incensato da trasmissioni TV e riviste di cinema: le stesse identiche fonti che ignoravano il cinema horror di cassetta. E le fonti che parlavano di horror, non annoveravano Stone fra i registi “di genere”. Perché erano appunto anni in cui il ghetto del “genere” era insormontabile.

Mi sono così rivolto a Cercando la luce (2020), l’autobiografia di Oliver Stone che comunque va presa con molte pinze. Già consultandola per sapere la sua versione sull’Affaire Conan ho storto il naso, perché c’era una imprecisione molto strana (di cui parlerò in un’altra occasione), ma stavolta la bocca non l’ho storta: l’ho spalancata, allibito!

Capisco che scrivendo di eventi di vari decenni prima la memoria si faccia traballante, ma in occasione di questo suo saggio poteva anche perdere un pizzico di tempo a rinfrescarsi i ricordi: invece spaccia il romanzo e il suo film come uguali, con la stessa trama, quando invece sono simili per poi presentare un finale totalmente diverso. Possibile non avesse il tempo di informarsi meglio? Mettiamola così, come ogni autobiografia anche questa va presa con le pinze.

Dopo l’enorme successo di Fuga di mezzanotte (1978), che nel 1979 riceve il Premio Oscar come miglior sceneggiatura non originale, Stone ha finalmente l’occasione di diventare regista: cosa portare su schermo? Dopo qualche idea, con i produttori della Orion Pictures si sceglie The Lizard’s Tail (1979), un romanzo troppo sottile per lo schermo, un protagonista troppo negativo per il grande pubblico e un “mostro” troppo intrigante per un attore protagonista di quel livello.

Di sicuro Michael Caine non è un nome associato al cinema horror, né lui ha accettato per chissà quale ragionamento “inter-genere”: semplicemente gli è stato offerto un milione di dollari e lui ha detto subito “sì”. E vorrei vedere. Stando all’autobiografia di Stone, ha sentito anche Jon Voight, Christopher Walken, Alan Bates ma l’esperienza peggiore di tutte è stata con Dustin Hoffman: il giovane Stone si ritrova ad una colazione di lavoro alle sette di mattina a spiegare all’attore, appena insignito di un Premio Oscar per Kramer contro Kramer (1979), che dovrebbe interpretare un fumettista rimasto monco e la sua mano posseduta che va in giro ad ammazzare la gente. «Quando lo incontrai di nuovo, anni dopo, non credo che Dustin mi ricollegò a quel triste, sudato regista neofita conosciuto nel 1980».

Mi immagino così la faccia di Dustin Hoffman a sentire la trama del film

Il reparto tecnico, ricorda Stone, è stato uno sbaglio appresso all’altro, è stato subito chiaro che sarebbe stato uno di quei film che nascono male e finiscono peggio. L’unico che abbia un po’ brillato è stato il nostro Carlo Rambaldi, ingaggiato per creare la mano mozza che doveva muoversi davanti alla cinepresa. Abituato a lavorare con modelli molto grandi, il nostro Carlo ha incontrato molti problemi con una creatura così piccola come una mano, e quindi non sono mancati i momenti di frustrazione sul set.

Molto bella la mano, ma valeva la pena per quel poco che si vede?

Come il giovane regista avrebbe scoperto, il film vero lo si fa in sala di montaggio, e se lì non ti imponi puoi dire addio alla tua opera. La mano, altra scoperta tardiva di Stone, era il peggior progetto da affrontare per un giovane autore perché aveva una doppia lettura: il cineasta che pensa all’arte ci vede un thriller psicologico tutto concentrato sul protagonista, il suo dolore, le sue reazioni, la sua follia e come tutto questo interagisce con gli altri personaggi; il produttore che deve far soldi ci vede un “filmaccio con mostraccio” con cui riempire i cinema meno esigenti. Decidere il sottile e delicato equilibrio fra queste due visioni contrapposte di una stessa storia è potere del montatore, potere che Stone non aveva. Quindi La mano è un film con mostro che sogna di essere un thriller psicologico.

Da una parte il thriller psicologico… dall’altra una mano mozza assassina

Uscito in patria nell’aprile 1981 e preso a pernacchie da tutti – lo dice Stone nel suo libro – è chiaro si tratti di una ruvida opera prima che serve all’autore per capire come funzionino le cose nel cinema.

«Oggi posso dire che La mano, per essere il mio primo film per uno studio hollywoodiano, fu il più difficile e autolesionista che potessi girare, e che con esso mi ero cacciato, senza rendermene conto, in un ginepraio.»


Il romanzo indefinibile

La Sperling & Kupfer ha sempre avuto un rapporto stretto con il cinema, nei primi Novanta vedevo in libreria un sacco di romanzi-novelization di quella casa – diversi li ho poi recuperati anni dopo su bancarella – sul finire dei Novanta ha provato a portare nel nostro Paese universi espansi come Star Wars ed Alien, e quindi non mi stupisce che quel 1981, mentre del film di Stone non frega niente ad alcun distributore italiano, la S&K invece ne porta il romanzo nelle nostre librerie.

Ora prendo la mia pipa che fa bolle di sapone, la barba e gli occhiali già ce li ho quindi sono pronto per salire sulla mia finta cattedra e fare lo psicologo della domenica.

L’Etrusco gioca a fare Freud: meglio che mi tolga questo oggetto oblungo dalla bocca

Il britannico Marcus Beresford, noto come Marc Brandel, è nato nel 1919: si offende qualcuno se lo chiamo “uomo d’altri tempi”? Negli anni Quaranta Patricia Highsmith fa di tutto per accalappiarselo invece Marc sposa l’attrice Ruda Michelle, da cui divorzia intorno al 1960 e, mentre l’ex moglie si sceglie un francese più giovane, lui si sposa con una psicoterapista.

Voi vi starete chiedendo. e a noi che ci frega della vita di ’sto Brandel? Faccio qualche bolla di sapone con la pipa ed emetto la mia ispirata diagnosi da sedicente psicologo: con The Lizard’s Tail (1979) il romanziere ormai sessantenne ha voluto tracciare un bilancio della propria vita mascherandolo da thriller psicologico.

Il protagonista Martin non è un romanziere bensì un autore di fumetti – una trovata che apre la via a lunghissime pagine di descrizioni di retroscena fumettistici che non hanno molto peso nella vicenda – ma siamo sempre lì: uno scrittore abituato a guadagnare con il frutto della propria creatività e a godere di una certa stima in quanto artista. I giovani d’oggi temo non lo ricordino, ma negli anni Settanta il formato “a striscia” andava per la maggiore quindi il nostro Martin racconta le avventure del suo eroe Miguel una striscia alla volta, con un nome “latineggiante” che mi piace pensare strizzi l’occhio al fumetto argentino che all’epoca dominava il panorama mondiale. (Nel film il personaggio verrà ribattezzato Mandro.)

Roba che nel ’79 spaccava!

Dove sarebbe l’elemento autobiografico? La vicenda inizia con Martin che apprende dalla moglie di come il loro matrimonio sia “in crisi”: ci vorrà un numero impressionante di pagine, ma il succo è che lei non lo ama più e vuole un “modello più giovane”, spupazzandosi così un giovane fumettista promettente, che aiuta la donna ad abbracciare quella «Nuova Età» che ancora in Italia non si chiamava New Age.

Martin è un uomo d’altri tempi, cresciuto con l’idea che il maschio porta i soldi a casa dove la moglie l’aspetta e sopporta le corna, perché il maschio per sua natura va a saltare la cavallina in giro e non c’è niente di male. Questa visione del mondo, uno zinzinino datata, viene totalmente infranta ad inizio vicenda: la moglie, che guida mentre gli dice che il loro matrimonio sta finendo, ha un incidente d’auto in cui lui perde la mano destra. Quella con l’anello che le aveva regalato lei da giovani: può essere un incidente più simbolico?

La mano del fumettista evirato che disegna fumetti erotici: e Freud muto!

D’un tratto Martin scopre che il 1979 non è più il 1919, che le donne possono non aver voglia di stare in casa ad aspettare il marito e addirittura sentono il bisogno di andare in giro pure loro a saltare la cavallina; che d’un tratto lui non è più in grado di guadagnare con il proprio lavoro, e la frustrazione lavorativa si unisce alla castrazione… perché chiaramente sua moglie l’ha appena evirato. Se in quell’incidente Martin avesse perso il pene, il romanzo non sarebbe cambiato di una virgola, anche se il titolo sarebbe stato molto più frizzante. (O magari no, visto che l’originale “La coda della lucertola” può dare adito a doppi sensi.)

La lunga vicenda, con una narrazione diversamente snella, è il chiaro racconto di un uomo a metà tra due epoche, in un mondo che cambia e lui si ritrova costretto a seguirne i veloci sviluppi: la rabbia frustrata che tutto questo genera… attiva la parte più oscura di lui… e la sua mano comincia a fare ciò che il suo subconscio vorrebbe fare.

Marc Brandel non parla di mani mozze, si limita a chiudere i capitoli con indizi che portano chiaramente il lettore a pensare all’intervento di una mano mozza che però non è mai raccontato né data per certo, anche se rimane l’unica spiegazione. Chi ha ucciso le persone che hanno ferito Martin? Gli indizi portano ad una ed una sola conclusione: la sua mano mozza che, mai ritrovata sul luogo dell’incidente, sta vendicando l’uomo d’altri tempi per il dolore che sta provando.

Chiamarlo “thriller psicologico” è davvero eccessivo, è un romanzo che secondo me si spiega esclusivamente come la storia simbolica del suo autore, che cresciuto in un’epoca si è ritrovato ad invecchiare in un’altra, con una seconda moglie psicoterapista che magari gli ha spiegato come la prima moglie l’abbia castrato.

Ecco, ora posso posare la mia pipa di plastica e spogliarmi dalle vesti di psicologo dei poveri, per vedere come Oliver Stone abbia potuto tirare fuori la sua opera prima da tutto questo.


La mia mano vuole ucciderti

Il fumettista Martin diventa Jonathan Lansdale (Michael Caine) ma il resto non cambia: un incidente d’auto provocato dalla moglie che lo sta lasciando gli fa perdere la mano e il suo mondo va in pezzi.

Non la giornata migliore, per un fumettista

Assistiamo alla frustrazione del fumettista che deve accettare l’idea che un altro, un disegnatore più giovane, prenda in mano il suo personaggio lasciandogli il compito di scriverne le storie (che comunque poi verranno cambiate a piacimento), e al consequenziale scioglimento della sua famiglia, con la moglie Anne (Andrea Marcovicci) che sempre più vuol essere indipendente e soprattutto… farsi aprire i chakra dal bell’insegnante di yoga.

La moglie new age che legge Carlos Castaneda

Anche quando gli forniscono una mano artificiale, lo sguardo di Jonathan è sempre omicida.

«’Sta mano po’ esse fèro…» (cit.)

Come sceneggiatore Stone sfronda il romanzo degli infiniti capitoli dedicati alla descrizione di una storia con troppi particolari rispetto a quanti ne servano per la vicenda, in realtà molto semplice, e soprattutto non resiste a rendersi anche lui monco per il suo cameo nella parte di un barbone.

Il giovane Oliver Stone ci crede così tanto… da perderci una mano!

Oggi Stone racconta nella sua autobiografia che il montaggio del film è in pratica quasi tutto frutto di Richard Marks – lui in realtà non fa il nome, forse per timore di cause legali – ed essendo un giovane cineasta il nostro Oliver non aveva ancora capito quanto sia importante la fase in sala di montaggio: quando de La mano è voluto da Stone e quanto invece è uscito fuori suo malgrado?

Mi spiace per il giovane regista che si è sentito estromesso dalla sua opera prima, ma a me piace lo stile del film, con un montaggio che ci fa capire come Jonathan abbia visioni della propria mano e ci aiuti a capire la follia che scena dopo scena lo pervade, mentre la carne morta della sua mano monca diventa strumento della sua vendetta.

La vendetta comincia a mettere radici

La sceneggiatura è un ottimo condensato del romanzo, e posso capire quanto Stone sia seccato, perché il simbolismo è ridotto all’osso mentre si punta di più sullo spunto horror di una mano mozza assassina: sarà la nostalgia a parlare, ma ancora oggi mi sembra un piccolo film delizioso.

Da giovane volevo ricreare queste scene con la videocamera di famiglia!

Peraltro il serissimo Michael Caine anticipa di anni il Bruce Campbell che combatte contro la propria mano in Evil Dead 2 (1987), anche se… molte di quelle idee Raimi le aveva già anticipate nel suo cortometraggio del 1979! Stone l’aveva visto?

Mano mozza, tu m’hai provocato… e io me te magno!

Non c’era bisogno di pagare chissà quanto Carlo Rambaldi per la mano animata, visto che è inquadrata solo per pochi secondi e sembra identica alle più economiche versioni de Il mistero delle 5 dita (1946) e The Crawling Hand (1963), ma al di là del movimento – troppo posticcio per dare un senso di credibilità – è una mano dall’ottima cosmesi.

Una mano mozza molto malvagia di tutto rispetto

Come detto, il romanzo ambisce ad essere una storia simbolico-psicologica anche se temo non ci riesca fino in fondo, perché leggendolo si ha molto più l’impressione che l’autore volesse creare una storia come quella del film, dove cioè troviamo il livello psicologico (un uomo che impazzisce e si convince che la sua mano monca uccida per lui), il livello simbolico (il crollo del pater familias nel post-’68 e la castrazione del maschio, non più unico artefice della vita di coppia), e infine il livello “mostruoso” che vende il prodotto (una mano monca che si aggira nell’ombra pronta a colpire).

Mi spiace per le ambizioni artistiche del romanziere e del regista, ma hanno ragione i produttori: chi compra film come questo lo fa per l’horror, non per il simbolismo, che se mai è un valore aggiunto.

Nel mio subconscio simbolico… c’è una mano che uccide!

In giovane età questo film mi è entrato sottopelle e c’è rimasto: ancora oggi nel risentire la colonna sonora del giovane James Horner (non ancora famoso) mi vengono i brividi e ritorno a quei magici giorni, in cui attraverso la registrazione volante di una trasmissione rovinatissima da un canale locale, che molto probabilmente non aveva neanche il permesso dalla Warner Bros di trasmettere il film, io mi lasciavo conquistare dalla dottoressa del manicomio (Viveca Lindfors) che spiegava al protagonista come non esistesse alcuna mano, tutti i delitti li aveva commessi lui. Questa è l’unica spiegazione… prima della vera spiegazione.

«Sigmund Freud; analyze this…» (cit.)

Voglio un gran bene a questo film, ruvido e spesso incerto su dove posizionarsi, se nello psicologico, nel simbolico o nell’horror; un film strano, ibrido, un horror diretto e interpretato da nomi grandissimi che mai nessuno associa all’horror; un film con una mano che non viene mai citata fra le creature di Carlo Rambaldi; un film dimenticato come il 90% dei prodotti Warner Bros che non vedano protagonisti Eastwood o Gibson; un film unico e che porto nel cuore. Anzi… nel polso!


La morale finale

Cosa ci ha insegnato questo film? Lo spiega Michael Caine nel saggio Raising Caine: the authorized biography (1982) di William Hall:

«Il protagonista perde la propria mano quando la tira fuori dal finestrino dell’auto per fare dei segnali a un altro guidatore, al che un furgone gliela trancia via. Dal giorno delle riprese non ho più messo la mia mano fuori dal finestrino dell’auto.»

La mano, film maestro di vita!

L.

P.S.
Vi ricordo le cinque dita di (rabbiosa) violenza della recensione di Cassidy, all’interno del suo viaggio nel cinema di Oliver Stone.

Mi sia consentito questo spazio di becera auto-promozione, visto che proprio dieci anni fa il fascino delle «mani cattive» mi ha pervaso a tal punto da scrivere il mio primo ed unico romanzo: Le mani di Madian.
Qualcuno sta uccidendo delle traduttrici mentre uno scrittore di successo afferma che la propria mano destra… non è la sua! I due casi sono uniti da una mano misteriosa che affonda le radici in citazioni letterarie che solo l’investigatore bibliofilo Marlowe (no, non quel Marlowe) saprà cogliere.
Capite che in questo ciclo non potevo resistere a questo pizzico di pubblicità. Il romanzo lo trovate in tutti gli eStore a soli 99 centesimi.

– Ultimi “corpi dissacrati”:

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14 risposte a The Hand (1981) La mano di Oliver Stone

  1. coulelavie ha detto:

    Dato che hai voluto cominciare questo ciclo, credo ti toccherà parlare anche di Talk to me (circuito Raiplay), in cui tramite la mano di una veggente ci si mette in contatto con l’aldilà (o è troppo fuori tema?)… 😉

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  2. Cassidy ha detto:

    Ti ringrazio per la citazione! Hai parlato di questo film da tutti i punti di vista, ti mancava proprio quello del film stesso, la rubrica ti ha dato una mano per farlo (ah-ah) 😉 Cheers!

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  3. Vasquez ha detto:

    Il film non mi pare di averlo visto… però concordo: chi lo guarda si aspetta il risvolto horror, magari tendente al grottesco, il resto può insaporire il piatto ma non è necessario.
    Bella recensione appassionata 🙂

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Avendolo conosciuto e amato in giovane età, in un’epoca in cui stavo scoprendo l’horror, non saprei quanto il film possa piacere visto oggi per la prima volta: diciamo che è il mio Mad Max 😀
      Scherzi a parte, è un film unico proprio nel suo essere indefinibile e fuori da qualsiasi logica, visti anche i nomi coinvolti, ma gli voglio un gran bene.

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  4. loscalzo1979 ha detto:

    il M.A.C.C ci mette sempre lo zampino…. anzi la Manina

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  5. Fabio ha detto:

    Mai ricordare ad un giornalista finto-saccente,il passato horror di alcuni registi entrati successivamente nel giro grosso dell’ipotetica serie A Hollywoodiana,potrebbero scoprire di essersi fatti una cultura a base di pane,ipocrisia e puzza sotto al naso!. Posso capire il punto di vista di Stone,ma a volte certi registi con le loro prestese artistiche,possono seriamente tirare fuori degli abomini di assoluta noia. PS.-Il DVD c’è l’hò!.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Un altro DVD che ti invidio! ^_^
      Purtroppo a lungo l’istituzione del ghetto ha dettato legge, quando il cinema era il medium princeps, ora è l’ultima ruota del carro per cui anzi se un regista d’autore fa horror tutti impazziscono di gioia 😀

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  6. Willy l'Orbo ha detto:

    Che chicchina! E non l’ho vista! E ho scoperto di averla! In conclusione: grazie per lo spunto, mi hai dato proprio…una mano! 🙂

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  7. Giuseppe ha detto:

    WordPress peggiora a vista d’occhio, facendomi partire commenti incompleti e in anonimo, pure 😛 Comunque, riprendo da “Affetto condiviso pure dal sottoscritto che, di” e, continuo, di conseguenza sottoscrive tutta la tua recensione compresa la parte da psicologo della domenica, sperando che tu condivida con noi la versione domestica de “La mano” di Stone girata dal giovane Etrusco 😉 Certo che se l’esimia Warner gestiva la questione dei diritti così come curava la distribuzioni, non c’è da sorprendersi nello scoprire quanto il film abbia girato nelle emittenti locali anche al di là dei palinsesti “ufficiali” su canali nazionali (e, quindi, più tracciabili): mai come in questo caso è giusto dire che sia passato di MANO in MANO, ecco 😛

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Una mano andrebbe data alla Warner Bros, ma in faccia!!! Quando un giorno apriranno i suoi archivi italiani usciranno fuori centinaia di titoli che nessuno ormai ricorderà più, murati vivi da decenni e sconosciuti alle TV: questo sì che mette orrore, più di una mano monca! 😛

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