Il nostro amato canale SuperSix non si ferma mai, e a all’alba del 13 marzo 2024 scorso ha mandato in onda una scintillante edizione italiana di Gardenia blu (The Blue Gardenia, 1953), film diretto da un tizio che potrebbe anche diventare famoso: un certo Fritz Lang.
La distribuzione italiana
Ricevuto il visto italiano il 18 agosto 1953, la Warner Bros lo porta nei cinema italiani dall’11 settembre successivo.
Mamma RAI se lo pappa subito e lo manda in onda il 3 aprile 1978, e lo sapete cosa succede ai film comprati dalla RAI: scompaiono subito nel nulla. Ignoto all’home video su nastro, riappare miracolosamente in DVD almeno nel 2008. L’edizione italiana trasmessa da SuperSix è troppo di alta qualità per essere la pellicola d’annata, mi chiedo se sia la copia digitale presentata da A&R Productions nel 2020.
Quando Fritz Lang
non era più Fritz Lang
La centralinista Norah Larkin (Anne Baxter) riceve una terribile delusione d’amore. Passa tutte le sere a cenare da sola con la foto del suo innamorato, militare di stanza in Corea, finché una brutta sera riceve da lui una lettera: si è perdutamente innamorato di una coreana e rimane lì da lei. Norah è così sconvolta che accetta l’invito del primo che passa, nello specifico il viscidissimo Harry Prebble (Raymond Burr, non ancora diventato Perry Mason).
Dopo una seratina frizzantina al locale notturno Gardenia Blu, con tanto di Nat King Cole che canta la canzone mollicona omonima, Norah è ubriaca e alla mercé di Harry, che non è né ufficiale né gentiluomo. Capito che l’uomo l’ha portata a casa propria non per recitarle poesie, Norah appanicata prende un attizzatoio e lo colpisce, fuggendo poi nella notte.
Il giorno dopo il celebre giornalista di cronaca nera Casey Mayo (Richard Conte) indaga sul caso e affibbia un nome all’assassina bionda ignota: Gardenia Blu, per via del fiore trovato sul luogo del delitto.
Ovviamente allo spettatore è chiaro e cristallino che non sia stata la protagonista ad uccidere il viscidone, così dobbiamo assistere con discreta noia ai timori di Norah per l’intera vicenda in cui cerca di sfuggire alla polizia, finché un finale sbrigativo non riporta il sole nelle anime dei personaggi.
Come abbiamo già visto, la stella di Fritz Lang era decisamente decaduta, in quel di Hollywood, e come se non bastasse il disastro artistico già nel 1947 con l’inizio degli anni Cinquanta la situazione peggiora parecchio, visto che Lang finisce nella lista nera per sospetto comunismo, come mi spiega Lotte H. Eisner nel suo biografico Fritz Lang (1986). Per più di un anno il regista non ha ricevuto alcuna proposta di lavoro, finché a salvarlo arriva un produttore… di nome Adolf Gottlieb. Che di tutto potrà essere stato sospettato, ma non certo di comunismo, con quel nome!
Il produttore vuole sfruttare l’eco mediatica che ancora perdura sul delitto della prostituta chiamata Black Dahlia, tirando fuori una storia che non c’entra niente ma con la stessa struttura del titolo, cioè un fiore colorato. Lang non sembra sia stato molto felice del progetto, ma aveva bisogno di lavorare e accetta i venti giorni che gli sono stati dati per completare il film.
La pochezza del film si vede tutta, ancora oggi, e le scene in cui Lang cerca fare l’Hitchcock de poveri – come già aveva purtroppo fatto con Dietro la porta chiusa (1947) – non si riescono ad apprezzare, soprattutto perché buttate a capocchia nella vicenda. La storia è sbrigativa, superficiale, non è il film che andrebbe citato quando si parla di un decano del cinema come il povero Lang. Il problema è che sono tanti i suoi film che non andrebbero più citati…
Lo pseudobiblion in giallo
All’inizio della vicenda il personaggio di Sally (Jeff Donnell) viene presentata come appassionata lettrice di romanzi tascabili di genere “truculento”.
A un certo punto Sally riceve una telefonata dalla «biblioteca circolante qua sotto» (resa italiana di rental library down at the drugstore) che la informa essere disponibile un libro che stava aspettando:
— Il nuovo giallo [mystery] di Mickey Mallet. È la storia di una bella ragazza dai capelli rossi che viene colpita alla testa, pugnalata alla schiena, ferita allo stomaco! Scende traballando le scale…
— Ma come lo sai? Non l’hai ancora letto.
— Be’, sono tutti uguali!
Chissà se il nome del falso autore, Mickey, è una strizzata d’occhio al Mickey Spillane che aveva da poco iniziato a raccontare le toste avventure del suo Mike Hammer, visto che il suo primo romanzo (1947) è così piaciuto che persino Ricky Cunningham di “Happy Days” lo usava come “manuale dell’uomo duro”.
Titoli di testa
Scritte interne
Titoli di coda
L.
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Urca, aanche Fritz Lang! L’archivio di SuperSix è davvero un miniera di chicche e per altro, gran bel post domenicale 😉 Cheers!
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Il canale ha un archivio sterminato e nessuna paura di attingervi 😛
Purtroppo non era più il Lang di un tempo, diciamo che stavolta la distribuzione italiana ha aiutato a far sparire tanti titoli non dignitosi del mito.
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Chicca domenicale…sempre vale! 😊
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La qualità d’immagine sembrerebbe proprio quella del DVD… forse è molto meglio concentrarsi su quella che non sulla qualità del contenuto (ormai lontana da quella a cui ci aveva abituato il Lang degli anni d’oro) 😉
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Sono contento che le recenti edizioni DVD riportino alla luce le edizioni italiane in versione scintillante, però la pellicola d’annata, graffiata e rovinata, ha sempre il suo fascino irresistibile 😛
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E questo SuperSix lo sa (le edizioni restaurate sono un di più, ma per il resto è il “vissuto” d’annata a tener banco) 😉
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