The Falkland Man (2001) Final Assault


Seconda collaborazione fra il nostro Michel Qissi e il campione argentino Héctor Echavarría, ma è davvero difficile decifrare questo strano film, visto poi che è talmente dimenticabile che forse non vale neanche la pena perderci troppo tempo.

Il cast tecnico-artistico è praticamente lo stesso del coevo Extreme Force, però alla fine dei titoli di coda il copyright porta la data 1998: come mai è uscito solo nel 2001? Mi sa che si vergognavano…

Visto che entrambi i film sono distribuiti nel mondo dalla Creative Light nel 2001, ipotizzo siano stati girati prima e rimasti su qualche scaffale in attesa di una casa distributrice talmente messa male da accettare di sporcarcisi le mani.

L’unica traccia di distribuzione italiana è il DVD EP (Enrico Pinocci), senza data ma quasi sicuramente risalente al 2006, che anni fa trovai su bancarella.

Un film rarissimo, e forse è un bene…

Lo sceneggiatore Jonathan Davenport vuole raccontare di ex soldati e quindi ha un bel problema davanti: come lo spacci un argentino dal forte accento come solito reduce dal Vietnam tipico dei film d’azione? Ideona, facciamo che è un soldato della guerra delle Falkland (1982) fra Argentina e Gran Bretagna, così tutto torna.

Peccato che Echavarría avesse 13 anni all’epoca, quindi il suo ruolo e l’intero assunto del film è altamente improbabile, oltre che imbarazzante. A sorpresa l’unica idea azzeccata è l’uso del kukri, il machete tipico dei nepalesi Gurkha al servizio dell’impero britannico in quella guerra, anche se non si capisce allora perché lo usi il protagonista argentino, che temo fosse dall’altra parte della barricata: l’avrà rubata a un nemico?

L’arma è giusta, ma è chi la impugna che non va

Hector Riviera (Echavarría) dunque ci viene spacciato come ex soldato argentino che subito dopo la guerra delle Falkland è emigrato negli Stati Uniti, lavorando sodo per farsi una posizione in un’azienda (credo di fondi d’investimento) e costruendosi un’amorevole famiglia. Chiaramente l’attore marziale risulta fuori parte in ogni singolo punto di questa storia.

Pronto? Sì, faccio finta di fare l’affarista tipico dei film americani anni Ottanta

Hector vive in maniera morigerata, non beve, non fuma, si allena e il massimo della sua trasgressione è bere un bicchiere d’acqua naturale al Superfoot, il locale gestito da Bill Wallace, storico campione del ring che nei decenni ha spesso fatto capolino al cinema e in TV, affrontando i grandi nomi del genere.

Bill contro Chuck Norris: scontro di peli!

Ecco come ci si mena ad Hong Kong!

Mi piace pensare che Bill “Superfoot” Wallace, che al cinema ha affrontato Chuck Norris (1979), Jackie Chan (1985) e Cynthia Rothrock (1987), abbia davvero un bar che prenda il suo nome di battaglia, qui pubblicizzato. Va be’, questo film l’avremo visto in dieci in tutto il mondo, non mi sembra gran che come pubblicità.

Una piccola comparsata che vale più dell’intero film!

Sono passati vent’anni dalle Falkland e per motivi ignoti (o che non ho capito), ora un super-cattivo sta iniziando ad ammazzare i vari membri del plotone di Hector, guarda caso tutti trasferitisi in America. Chi è mai questo cattivone? DeFuego (Michel Qissi) non rivela il motivo del suo odio, ma tanto è presto detto: vuole vendicare suo fratello, ucciso in guerra dal plotone di Hector.

Il cattivo pizzettato dall’agire misterioso

Il nostro Hector non vuole credere a questa sorta di complotto, ma poi deve arrendersi ai fatti: è rimasto l’ultimo del suo plotone e ora deve lottare, sia per la propria vita che per difendere moglie e figlio, affrontando vari assassini pittoreschi che DeFuego gli ha mandato contro, tipo Youssef Qissi, che ancora non ho capito quale grado di parentela abbia con la grande famiglia di Michel.

Con quella faccia, Youssef Qissi può solo fare il cattivo

Non è chiaro se tutti i soldati argentini fossero addestrati nelle arti marziali, comunque malgrado vent’anni di vita sedentaria Hector si è mantenuto allenato così può menare i vari assassini che gli piombano addosso, possibilmente di notte così si nascondono le magagne delle inquadrature.

Uno dei rari momenti in cui si intravede qualcosa

Il problema principale del film è infatti la regia del quasi esordiente Paulo Schultz, che si firma “Paul” forse per nascondere il sangue latino. La sua regia di maniera, completamente sballata nelle scene di combattimento – cioè l’unico motivo per cui esiste il film! – fa apprezzare il lavoro di Michel Qissi in Extreme Force.

Tutti i combattimenti avvengono al buio e sono inquadrati male e montati peggio. Quello finale, cioè il più importante, mi diverte pensare che Qissi abbia voluto ambientarlo in un ring fatto di auto per omaggiare la stessa scena in Lionheart (1990), uno dei film che lui oggi afferma aver impreziosito con la propria visione marziale. Sarà un omaggio al vecchio ex amico Van Damme o la ripresa di una sua idea?

Il ritorno di un’ottima idea, però eseguita male

Ciò che conta è che lo scontro finale fra il buono e il cattivo nel ring d’auto dovrebbe essere l’apice della vicenda, il tipico combattimento finale dove si dà il meglio… e invece è solo tristezza, perché nel buio non si capisce gran che – Qissi è pure vestito di nero! – e le inquadrature sono pessime.

Qui la tecnica ci sta pure, ma Qissi è uscito dall’inquadratura

Qui c’è Qissi, ma Echavarría c’ha la testa tagliata!

La storia e la sceneggiatura sono robe da dimenticare immediatamente, la recitazione è drammatica, la regia di maniera e i combattimenti incomprensibili: diciamo che sono riusciti a sbagliare tutto quanto fosse possibile sbagliare. Per lo meno capiamo quanto sia bravo Qissi come regista, malgrado purtroppo non gliel’abbiano più fatto fare. Quindici anni dopo tornerà a dirigere un film marocchino che dubito riuscirò a recuperare.

Dillo, non era meglio quand’ero io il regista? Dillo!

È un peccato che Qissi non abbia avuto più occasioni per brillare nel mondo marziale, mentre persino un ciocco di legno come Echavarría è riuscito a trovare il suo piccolo spazio.

Salutiamo Michel, ringraziandolo per le emozioni marziali di serie Z che ci ha donato a cavallo fra ’80 e ’90. «Give me Tong Po!»

L.

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10 risposte a The Falkland Man (2001) Final Assault

  1. Cassidy ha detto:

    Gli aamericani non citano mai le Falkland, pensano solo al Vietnam, se pensassero fuori dai loro confini avrebbero un’altra tornata di reduci da sfruttare per i film, peccato che insieme al machete (usato anche per i tagli di inquadratura) non ci siano altre idee, onore al mito del grande Tong Po! Cheers

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Per gli americani le guerre degli altri sono sempre sbagliate, e guarda caso se serve un reduce o è dal Vietnam o al massimo dall’Afaghanistan, come se le decine e decine di guerre che hanno sparso nel mondo non avessero sfornato anche i loro reduci, per “piccoli” che siano 😛

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  2. Madame Verdurin ha detto:

    Credo che tutti qui avrebbero fatto meglio a mollare tutto e aprire un bar…

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  3. loscalzo1979 ha detto:

    L’idea del reduce delle falkland era interessante, peccato la trama faccia alquanto pena

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  4. Willy l'Orbo ha detto:

    Ogni volta che recensisci un film Z che non conoscevo fremo per la curiosità e resto sempre appagato anche quando la putridità, come in questo caso, è potente. Il bonus è aver seguito un mito come Qissi in questo percorso, grazie per le emoZioni, a lui e a te! 🙂

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  5. Giuseppe ha detto:

    Provando a chiudere (con grandissimo sforzo, ma non essendoci nemmeno Qissi in cabina di regia è consigliabile farlo) un occhio sulle serie carenze tecniche, marziali e “recitative” ci si poteva quasi illudere di leggere a proposito delle Falkland (l’idea del reduce) un sottotesto di denuncia ma, alla fine, ad essere da denuncia è solo il modo in cui è stato realizzato questo film 😛

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  6. Sam Simon ha detto:

    “recitazione drammatica” potrebbe anche quasi essere scambiata per un complimento. Poi uno si guarda intorno, capisce il contesto e… no, non lo è. X–D

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