Ammiraglio Yi (2) L’impero e la gloria (2014)

Seconda avventura in ordine cronologico per l’ammiraglio coreano Yi Sun-Shin, considerato dagli storici anglofoni uno degli ammiragli più grandi mai vissuti e temo decisamente ignoto alle nostre latitudini.

Come già spiegato, il regista Kim Han-min ha dedicato una trilogia di film all’epopea di Yi che però non seguono un ordine cronologico come invece sto facendo io, ecco come mai presento questi primi due film in ordine invertito.

A questo va sottolineato il motivo per cui il regista abbia deciso di basare l’intera propria carriera su un unico personaggio storico: il film di oggi, il suo primo, Roaring Currents (명량 / Myeong-ryang), è stata un’esplosione nucleare ai botteghini coreani!


L’ammiraglio che sconfisse James Cameron!

Stando alla rivista “Korean Cinema Today” n. 20 (ottobre 2014), quando il 17 dicembre 2009 è uscito nei cinema di quel Paese Avatar è saltato tutto: il film di James Cameron ha stracciato ogni record precedente, diventando l’unico film della storia coreana a superare i cento miliardi di won incassati (124,9, per la precisione). L’uscita di grandissimi successi locali non ha minimamente intaccato gli omini blu di Jimmy, finché nel 2014 è arrivato l’ammiraglio Yi, che di nuovo – come nel 1592 – ha vinto contro ogni possibile previsione.

«La battaglia navale ha superato i dieci milioni di spettatori nei primi dodici giorni di programmazione in sala, e superato quindi Avatar che la stessa cifra l’aveva raggiunta in diciotto giorni.»

Al momento in cui scrive il critico Kim Hyung-seok, Roaring Currents sta per toccare i diciotto milioni di spettatori, sedendo sul trono dei film più visti in Corea. Ciò che colpisce, spiega il critico, non è il numero bensì la velocità: nel 2003 il film Silmido era stato il primo titolo locale a superare i dieci milioni di spettatori coreani, ma ci aveva messo 58 giorni, mentre The Host (2006) ne ha impiegati 22: questi due grandi successi locali sono stati quindi eclissati dai soli dodici giorni di Roaring Currents.

Quando un pessimo filmetto di bieca propaganda sguaiata, scritto malissimo e recitato peggio, diventa il più visto del proprio Paese… è chiaro che una trilogia non te la toglie nessuno.

La Minerva Pictures aspetta il 2020 per portare in Italia il film in DVD con il titolo L’impero e la gloria: io l’ho visto su Prime Video nel febbraio 2021 non capendoci una mazza, perché non mi ero informato sull’aspetto storico completamente taciuto dall’opera. Rivisto oggi, è comunque un pessimo film, ma è utile nel nostro viaggio nella storia dell’Asia.

Un film sconsigliato a chi non sia coreano, ma utile in questo viaggio


Ciò che è successo fra i due film

Con La battaglia di Hansan (2020), titolo nettamente superiore a questo (come spiegherò alla fine, nella conclusione), abbiamo visto la fase principale dell’inizio della guerra nippo-coreana del 1592, guerra scoppiata perché la penisola si è rifiutata di concedere il passaggio ai giapponesi nel loro folle progetto di invadere la Cina. Data la completa incapacità dell’intera classe dirigente coreana, corrotta e abituata ad aspettare l’intervento provvidenziale di “mamma Cina”, i giapponesi invadono la Corea senza alcuna difficoltà, finché l’unico coreano che ha dimostrato capacità, l’ammiraglio Yi, li ferma in una serie di incredibili vittorie navali che nessuno avrebbe mai potuto preventivare. Neanche i coreani.

Malgrado nessuno di questi film li citi, in questa guerra ci sono anche i cinesi Ming, che però non partecipano subito perché sono impegnati a combattere con i mongoli in giro per l’Impero Celeste.

Nel gennaio del 1593 finalmente arrivano i cinesi in forze… be’, non proprio in forze forze, diciamo che hanno provato a vedere se la situazione si poteva sbloccare con il minimo impegno, e solo dopo una batosta i Ming finalmente decidono che è il caso di occuparsi seriamente dell’invasione giapponese: l’invio massiccio di truppe cinesi unito alla strenua resistenza coreana obbliga gli invasori a fermare la propria avanzata, vista poi la carenza dei rifornimenti dalla patria dovuta al controllo dei mari da parte della flotta coreana.

Quando arriva lo stallo, arriva anche il momento per un negoziato, parola che però in questo caso non ha lo stesso significato per i due belligeranti: per i coreani vuol dire “stiamo vincendo noi e facciamo una pausa prima di ributtarvi a mare”, per i giapponesi, che ormai controllano solo il porto di Pusan, significa “noi siamo giapponesi e voi no, quindi comandiamo noi”.

Malgrado stia perdendo la guerra, Toyotomi Hideyoshi per firmare un “cessate il fuoco” pone richieste assurde: vuole un matrimonio regale sino-giapponese per stringere legami stretti con i Ming, e già che c’è vuole l’annessione di gran parte della Corea al Giappone. Ovviamente il negoziato salta.

I negoziati sono solo un modo per tirare il fiato prima di tornare in battaglia

Nell’inverno del 1596 c’è uno scambio di ambasciate fra Cina e Giappone, un tentativo di trattato di pace fallato alla radice perché entrambi gli imperi sono convinti che l’altro come condizione di pace offra la propria sottomissione. Il fraintendimento porta ad una seconda invasione giapponese, stavolta meno impulsiva e più preparata: si parte a marzo del 1597 e a settembre si arriva al momento chiave.

A cosa sono serviti questi mesi da marzo a settembre? A quanto pare ad ordire un piano tanto geniale quanto incredibile.


La caduta di Yi:
complotto o incompetenza?

Stavolta, oltre al consueto Stephen Turnbull e il suo splendido The Samurai Invasion of Korea 1592-98 (Osprey 2008) ho consultato anche The Imjin War (2003) di Samuel J. Hawley e anche il nostro Maurizio Riotto con Storia della Corea (Bompiani 2005), e tutti fanno i vaghi al momento di spiegare la caduta di Yi.

Alla fine del precedente film avevamo lasciato l’ammiraglio Yi come il salvatore della patria, il militare più famoso del suo Paese, mentre all’apertura di questa sua avventura successiva ci viene detto che è stato imprigionato e torturato: ma perché? È tipo il nostro Garibaldi, che all’epoca era l’italiano più famoso del mondo ma tanti italiani lo volevano fare fuori? Mistero. Addirittura un saggio come Koreans to remember (1993), espressamente dedicato a presentare al mondo personalità illustri di quel Paese, tace completamente l’evento.

Un mistero buttato via in due parole di spiegazione

Quando ogni tanto la questione viene a galla, ho trovato due spiegazioni: Yi è stato vittima un complotto – come per esempio afferma Lee Ki-baik di A New History of Korea (1984) – oppure è stata un’incomprensione del re.

Il saggio Hulbert’s History of Korea (1905), a cura del professor Clarence Norwood Weems, è l’unico a sfoggiare una dovizia di particolari sospettosa, che ha cioè il forte sentore dello “buttare in caciara”. Secondo questa ricostruzione, i giapponesi nel preparare il grande ritorno all’attacco del 1597 devono prima fare in modo di togliere di mezzo Yi e le sue “navi tartaruga”, quindi organizzano un complotto.

«Un giorno un giapponese di nome Yo-si-ra è apparso al campo del generale Kim Eung-su dicendo di essere stanco della propria nazionalità e di voler diventare coreano. Vestiva alla coreana e da quel momento faceva la spola fra i due popoli scambiando informazioni preziose, rimanendo devoto ai coreani. Un giorno si presentò tutto emozionato e disse che il generale giapponese Kato stava arrivando in Corea con una grande flotta e che bisognava inviare l’ammiraglio Yi a contrastare quell’invasione.»

Ricevuto dal re l’ordine di partire, Yi si sarebbe rifiutato perché giudica una trappola quella notizia: il luogo scelto per l’incontro guarda caso è una zona di mare piena di scogli affioranti e lui non ha intenzione di cadere nel tranello. Questa risposta non piace per nulla al re, pare fomentato da ministri ostili a Yi – va ricordato che tempo prima l’ammiraglio si era scagliato contro l’estrema corruzione delle classi dirigenti – e quindi accusa il nostro eroe di tradimento, mettendolo a morte, sentenza poi mitigata per i grandi servizi resi alla patria e trasformata in una perdita di gradi. L’ammiraglio che aveva salvato la Corea si ritrova all’improvviso un soldato semplice.

Quindi Yi è vittima di un complicato piano giapponese, fruito attraverso una spia giapponese mascherata da spia coreana? Oppure è stato un complotto di palazzo come sembra suggerire il film? Oppure ancora è stato un fraintendimento, cioè il re pretendeva da Yi sempre nuovi successi anche quando era impossibile ottenerne e quindi si è convinto che l’ammiraglio d’un tratto non facesse più il proprio dovere?

È così che la Corea tratta i propri eroi nazionali? Pensa gli altri!

Il suo posto a capo dalla flotta è preso da Wun Kyun, che per alcuni potrebbe essere proprio il calunniatore che ha incastrato Yi. La faccenda mi sembra terribilmente fumosa e forse è lasciata in ombra perché la Corea non ci fa una bella figura.

Accantonando il mistero della caduta di Yi, rimane il fatto che nell’agosto del 1597 Wun Kyun affronta i giapponesi nelle acque di Pusan e l’esito è disastroso: come ogni altra flotta non guidata da Yi, anche questa finisce quasi completamente distrutta e Wun Kyun stesso rimane ucciso. Ora che la Corea non ha più una flotta… magicamente Yi viene reintegrato e gli viene dato di nuovo il grado di ammiraglio. E le infamanti accuse di alto tradimento? Va be’, abbiamo scherzato.

Iniziano le vicende del film.


La battaglia di Meyongnyang

Nel settembre del 1597 i giapponesi iniziano l’invasione di terra, massacrando ogni forma vivente che incontrano, umana o animale che sia, compiendo quegli atti per cui ancora oggi sono famosi (o famigerati) in tutta l’Asia: musei di nasi mozzati ai civili coreani sono ancora lì a ricordarlo. Nella prima invasione Hideyoshi voleva solo usare la Corea come corridoio per la Cina, ora invece che ha subìto sconfitte umilianti ha una questione personale coi locali, che vuole colpire talmente forte che i cinesi dovranno capire la forza giapponese, così da ottenere due risultati con lo stesso massacro.

Una flotta di invasori che portano morte e distruzione totale

Intanto la flotta giapponese si appresta ad accedere al Mar Giallo, il cui accesso è libero non esistendo più una flotta coreana. Assunto che si rivelerà drammaticamente sbagliato, perché sono rimaste dodici navi, anche se altre fonti dicono tredici. Sembra un numero ridicolo di fronte alle centinaia nemiche, ma il discorso cambia… se a comandare quelle tredici navi c’è uno dei più grandi ammiragli della storia.

Choi “Oldboy” Min-sik nel ruolo dell’ammiraglio Yi

L’accesso al Mar Giallo, da cui poter comodamente invadere la Cina, passa attraverso lo stretto di Meyongnyang, dove il nostro ammiraglio Yi si posiziona con le sue tredici navi: novelli trecento spartani alle Termopili! Alla fine di quel 26 ottobre 1597 trenta navi giapponesi sono distrutte senza una sola vittima coreana, con la flotta nemica costretta ad indietreggiare e a rinunciare all’accesso al Mar Giallo.

Il punto in cui l’ammiraglio Yi ferma l’invasione giapponese verso il Mar Giallo

Ovviamente parliamo di eventi di cinque secoli fa che hanno lasciato tracce storiche straordinariamente esili: da una parte è una fortuna che ci siano arrivati i diari degli interessati, ma dall’altra è assai difficile prenderli come fonti attendibili. Quindi i numeri cambiano parecchio a seconda della fonte e soprattutto a seconda della propaganda: è plausibile che i coreani abbiano avuto più vittime di uno zero tondo, ma comunque rimane il fatto che indiscutibilmente hanno vinto la battaglia di Meyongnyang e impedito ai giapponesi l’accesso al Mar Giallo, con consequenziale invasione della Cina.

Le dodici o tredici navi coreane che fermarono l’ondata giapponese

Compiuta un’impresa degna di Leonida, Yi non sarà venerato solo dai coreani. Quando nel 1905 l’ammiraglio giapponese Tōgō Heihachirō è stato insignito di un’onorificenza per le sue imprese, nel proprio discorso di ringraziamento si è paragonato a Lord Horatio Nelson ma specificando che invece non poteva ambire ad essere paragonato a Yi, sarebbe stato un onore troppo grande. (Lo racconta il citato saggio di Weems.)

Quindi come racconta questa epica battaglia il film di Kim Han-min, il più visto della storia coreana? Nel modo più incomprensibile possibile.

Belle scene, che però non portano a niente

Abbiamo una battaglia navale che è come le Termopili della cultura europea: tredici “buoni” contro trecento “cattivi”… e allora perché in tutto il film vediamo una o due navi affrontarne un paio? A un certo punto la cosa è talmente ridicola che pure gli autori se ne sono accorti, e allora viene farfugliata una roba vaga, tipo che gli ammiragli giapponesi ci sono rimasti mali che sia stato inviato uno a comandarli, il generale Kurushima (Ryu Seung-ryong) detto il Re Pirata, e quindi mandano avanti lui a prendere gli schiaffi.

Il risultato è che vediamo un “cattivo” immobile che fissa il vuoto mentre le sue due navi vengono distrutte. E le 298 altre navi giapponesi stanno lontane, a guardare. Sarebbe questo il film campione di incasso?

Recita meglio la mano del Re dei Pirati che la sua faccia

La secchiata di personaggi coreani snocciolata senza sosta temo non sia nota neanche ai coreani stessi, e non c’è tempo di presentare nessuno. Neanche Yi, che qui è una statua di sale che bisbiglia ordini (ma perché parla a voce così bassa?) e non si sa cosa stia facendo. Qual è la sua strategia? Boh, lo vediamo fissare l’acqua. Ammazza che ammiraglio!

Ecco, è tutta qui la strategia di uno dei più grandi ammiragli della storia…

Kim Han-min aveva per le mani una battaglia epocale e l’ha buttata in caciara. Ha fatto bene, visto che ha vinto tutto, ma da spettatore sono profondamente deluso.


Conclusione sul film

L’attore di Seoul Choi Min-sik è diventato un volto noto a livello internazionale con Oldboy (2003) quindi almeno sappiamo che un paio di espressioni se si impegna sa anche farle: qui si limita a fissare il vuoto nei panni di Yi, limitandosi ad avere un’aria gravosa e a bisbigliare ordini. Tira pure un paio di spadate, a caso, giusto per meritarsi l’assegno dalla produzione, ma nient’altro.

Un eroe addormentato e perennemente immobile

Ero rimasto deluso da La battaglia di Hansan (2020) perché privo di sceneggiatura invece devo ricredermi: è un film da Oscar in confronto a questo! Almeno lì la battaglia aveva una componente emotiva perché all’incirca conoscevamo i personaggi coinvolti, ci erano stati un minimo presentati: male, ma comunque si era fatto un tentativo. Qui inizia il film con una secchiata di volti ignoti che salgono su una barca e via, a prendersi a mazzate.

Le fonti storiche non parlano in alcun modo di ciò che è successo nella battaglia di Meyongnyang, quindi il regista aveva mano libera ma a patto che ci facesse capire che cacchio stesse succedendo. Invece vediamo un mulinello e solo a fine film si capisce che è tutta lì la tattica di Yi, aspettare che si apra un maelstrom nel mare che si inghiotta i giapponesi ’nfami. Ammazza che stratega!

Belle ricostruzioni, ma fini a sé stesse

Per l’intera battaglia è un continuo alternarsi di salvataggi insperati dell’ultimo secondo, interventi della Provvidenza che spezzano ogni empatia: ma quindi uno dei più grandi ammiragli della storia andava a occhio? Buttava lì ordini aspettando che succedesse qualcosa di totalmente casuale che salvasse tutti? Stando a questo film è esattamente così che Yi ha vinto la battaglia: a forza di enormi botte di culo!

Splendido il fucile, ma il cecchino potevano benissimo risparmiarcelo

Quando sbuca fuori il cecchino che colpisce bersagli a mille chilometri di distanza è chiaro che questa è la sagra della cazzatona. Quand’anche io prendessi una rincorsa e dessi una sonora capocciata al muro, riuscendo così ad ottenere quella fantomatica “sospensione dell’incredulità” per cui nel 1597 esistano fucili giapponesi così di precisione da ipotizzare la folle idea di un cecchino in mare – sai che bello prendere la mira tra le onde? – lo stesso rimarrebbe la domanda: perché se ne sono portati uno solo? 300 navi giapponesi piene di soldati armati… e un solo cecchino? Scusa Kim Han-min, ma ti becchi l’appellativo di “Ridley Scott coreano”, visto che pure il regista britannico ha messo un singolo cecchino nell’èra napoleonica.

Vogliamo parlare delle famose “navi-tartaruga” che qui appaiono solo di profilo per due secondi netti? A un certo punto vediamo una silhouette della nave inventata da Yi e sua gloria eterna e poi… fine del film. Capisco che il regista si sia fatto il personale teaser, così gli spettatori sanno di cosa parlerà il film successivo, ma c’è modo e modo.

L’impero e la gloria è un filmaccio inguardabile, ha incassato fantastiliardi in patria solo perché è un’opera di bieca propaganda – che altri chiamano soft power – dove i giapponesi so’ tutti ’nfami e sparano ai bambini: per carità, sappiamo che i giapponesi hanno fatto di ben peggio nelle loro guerre, il loro naturale disprezzo per gli stranieri (cioè tutta l’umanità) li ha portati a fare cose che farebbero impallidire persino noi europei, ma la scena in cui sparano ai bambini si poteva evitare: è roba che di solito in tempi di guerra si scrive su volantini da lanciare via aerea sulle città occupate, non materiale da cinema del 2016.

L’unico aspetto positivo del film è che ha portato all’ottimo La battaglia di Hansan (2020), un’opera talmente superiore che non sembra neanche diretta dallo stesso Kim Han-min, che qui invece ha più l’aspetto di un grigio burocrate incaricato di veicolare della propaganda di regime.


La fine del viaggio

Il 23 dicembre 2023 Kim Han-min ha presentato in patria Noryang: Deadly Sea (노량: 죽음의 바다), l’ultima impresa dell’ammiraglio Yi. Il film è solo un mare di chiacchiere e qualche scena navale piena d’enfasi, non merita di essere presentato “in solitaria”: magari se un giorno uscirà in Italia riprenderò la questione.

Qui merita di essere citato al volo il fatto che il 18 settembre 1598 muore Toyotomi Hideyoshi e in pratica l’idea di invadere la Cina passando dalla Corea muore con lui. Il problema è che tutti sanno che i giapponesi stanno per ritirarsi, e quindi tutti ambiscono ad un’ultima impresa “decisiva” di guerra per portarsi a casa la gloria: vista la scarsa considerazione che i cinesi hanno dei coreani, è impensabile lasciare all’ammiraglio Yi l’onore di un ultimo scontro coi giapponesi, perciò arriva Chen Lin, ufficiale dell’Impero Celeste convinto di dare un paio di schiaffi ai giapponesi in fuga e così entrare nei libri di storia. Non andrà così.

I coriacei giapponesi sono per la terza volta fermati dall’ammiraglio Yi, che continua a lottare per sovrani che lo ostacolano in mille modi, e il palcoscenico dell’ultima impresa è nella grande battaglia di Noryang (18 novembre 1598) dove la flotta degli invasori subisce enormi perdite e di fatto la guerra nippo-coreana si conclude. Purtroppo si conclude anche la vita di Yi Sun Shin, colpito a morte nel momento della vittoria: morire al comando di una flotta vincente è il sogno di ogni ammiraglio e il lasciapassare assicurato per il mito.

Nel film Yi è solo uno dei millemila personaggi che fissano il vuoto e dicono cose incomprensibili a chi non sia coreano, ma magari se uscirà in Italia ne riparleremo.

Salutiamo dunque uno degli ammiragli più famosi della storia, che ha sbancato i botteghini coreani senza mai mutare espressione.

L.

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6 risposte a Ammiraglio Yi (2) L’impero e la gloria (2014)

  1. Cassidy ha detto:

    Penso che il successo del primo film, una buona campagna pubblicitaria e un gran attore (qui utilizzato malamente) abbiano determinato il successo in patria, ma lo Scott sbagliato coreano no, questa svolta proprio poteva evitarsela! Peccato, anche se mi sembra una storia che probabilmente in Corea conoscono tutti, quindi il regista non si è sforzato troppo di raccontare. Cheers!

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  2. Willy l'Orbo ha detto:

    Il viaggio, in questo caso incentrato sulla figura dell’ammiraglio, nella storia dell’Asia è sempre interessantissimo, anche quando veicolato da film discutili in cui le mitiche “navi-tartaruga” fanno da sfondo per pochi secondi! 🙂

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  3. Giuseppe ha detto:

    Il film lascia molto a desiderare, a differenza del tuo impeccabile (a maggior ragione, considerata la labilità -quando non la contradditorietà- delle fonti) excursus storico 😕
    Ma, se proprio bieca propaganda doveva essere, perché non pensare almeno di rinforzare la parte spettacolare? Visto che hai citato lo splendido (quello sì, eccome) “The Host”, sarebbe bastato abbassare ulteriormente le pretese di (scarso) realismo del film per sconfinare nel fantastico puro, prendendone a prestito il protagonista: immagina la creatura del film di Bong Joon-Ho sotto il controllo dell’ammiraglio Yi, mandata ad attaccare e sconfiggere i giapponesi al grido di “E Gojira… MUTO!” (cosa che, ovviamente, avrebbe costretto i giapponesi a realizzare una loro versione contro-propagandistica dal titolo “Godzilla minus Yi”) 😜

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      ahahah sarebbe stato un capolavoro senza tempo! 😀
      Altro che navi-tartaruga, Yi avrebbe affrontato gli invasori a cavallo di mostri marini, tipo vermoni di Dune al che i giapponesi avrebbero risposto mandando Godzilla 😀

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