Geomgaek (2020) The Swordsman


Un paio di mesi fa sono ritornato su instagram (con il nome zinefilo, che il vecchio account se lo sono mangiato i pirati russi!) e appena rimesso piede lì l’amico mani_che_rompono m’ha rovinato, facendomi scoprire edizioni italiane di film marziali o d’azione che ignoravo fossero uscite. E così il portafogli piange.

Grazie a lui ho scoperto che la Blue Swan ha fatto uscire in DVD italiani due recenti film del regista coreano Jae-Hoon Choi: l’azione moderna e johnwickesca di The Killer (2022), di cui ho già parlato e che trovate ancora su Prime Video, e il clangore di spade storico di The Swordsman (검객, 2020): in entrambi protagonista è Jang Hyuk, un attore d’azione da tenere d’occhio.

Questo secondo film mi permette di continuare un progetto unico al mondo, che le future generazioni spero apprezzeranno: la storia dell’Asia attraverso il cinema d’azione marziale, ad uso di noi occidentali che non ci abbiamo mai capito niente di quella fetta di mondo.


Schiacciati tra Qing e Ming

Con il film The 36th Chamber of Shaolin (1978) abbiamo visto i cinesi passare dalla dinastia Ming a quella Qing, che detta così sembra una qualche cerimonia folcloristica, invece è stato un evento luttuoso che ha aperto tre secoli di lotte sanguinose nel Paese. Perché i Ming erano locali e amati, i Qing erano i Manciù, stranieri oppressori che venivano a dettare legge in casa altrui. Da allora e fino agli inizi del Novecento – come abbiamo visto in Boxer Rebellion (1976) – i Manciù della dinastia Qing saranno così disprezzati dai cinesi che li combatteranno sempre, con mille e mille rivolte.

Tipico Manciù cattivo dell’immaginario filmico cinese

Ma quando nel Seicento i Manciù cominciarono a conquistare territori in giro per l’Asia, il problema non è stato solo cinese ma anche dei satelliti dell’Impero Celeste: come si poneva la Corea davanti alla minaccia di questi “barbari” invasori? Be’, diciamo in maniera molto diplomatica.

Sono tornato ad affidarmi al saggio Storia della Corea (Bompiani 2005) di Maurizio Riotto, difficile da consultare (per via di mille nomi scritti in maniera diversa da quelli riportati in Rete) ma stavolta ho trovato più velocemente il punto interessante.

Per affrontare l’arrivo dei Manciù, i cinesi Ming davano per scontato l’aiuto degli alleati fraterni coreani, scoprendo che invece questo aiuto era tutt’altro che scontato.

Nel 1614 poi sale sul trono, scalciando il legittimo erede, il principe Kwanghae, chiamato Gwanghaegun, il quale nicchia e sarà famoso per un’opera di alto equilibrismo: si ritrova in un regno schiacciato fra i Ming e i loro invasori Qing (cioè i Manciù), quindi è importante non scontentare nessuno, dicendosi amico di entrambi senza in realtà spalleggiarli mai.

Mentre Gwanghaegun si esibisce nelle sue acrobazie diplomatiche, i Manciù – sempre ritratti come barbari rozzi, perché odiati da tutte le popolazioni locali, essendo peraltro un’etnia nomade che conquistava terre di stanziali – avanzano fino ad arrivare al fatale giorno in cui non si può più nicchiare: Gwanghaegun è costretto a decidere se schierarsi dalla parte dei cinesi contro i Manciù o il contrario. Le mille beghe politiche a palazzo consigliano (male) il regnante il quale cede all’imposizione cinese di mandare diecimila soldati (ai quali peraltro Gwanghaegun impone di non dar retta agli ordini cinesi e di non rischiare la vita), ma il calcolo è stato errato. I Ming non sono così forti come sembrano, e i crudeli Manciù li battono su tutta la linea.

In questo film i Manciù c’hanno il capello perfetto!

Curiosamente non saranno i Manciù a colpire Gwanghaegun, perché il regnante verrà destituito da un colpo di stato organizzato nel 1623 dai suoi stessi cortigiani, in una congiura di palazzo che serviva a togliere di mezzo un regnante considerato troppo diplomatico, in favore di qualcuno più schierato con i Ming. Gwanghaegun finisce in esilio ed è qui che inizia la storia del film.


Uno spadaccino cieco contro i Manciù

Dopo alcune concitate scene iniziali rivolte chiaramente ai soli coreani, visto che non viene spiegato niente e solo dopo aver letto il saggio di Riotto capisco trattarsi del colpo di stato con deposizione di Gwanghaegun, si fa un lungo salto in avanti.

Il successore di Gwanghaegun, Injo, dimostra che senza diplomazia si prendono solo tante botte, infatti il suo schierarsi nettamente coi Ming fa sì che arrivino i Qing a conquistare tutto con la forza: nel 1636 la presa di Joseon da parte dei Manciù fa cadere anche Injo, ed è qui che ci troviamo nel cuore del film.

La versione coreana di un celebre momento storico cinese

Joseon è un regno a terra, con i perfidi Manciù della dinastia Qing che spadroneggiano in giro e fanno tutte le tipiche cose da cattivi nei film, mentre lord Lee (Choi Jin-ho) cerca un sistema per resistere, senza molta speranza.

Il capo dei Qing a Joseon si chiama Gurutai («cugino dell’imperatore, signore di Hwangbang») e non poteva che essere il più cattivo di tutti, interpretato con gran divertimento da Joe Taslim, che se la gode a fare il cattivo da fumetto.

Ah, al suo fianco vediamo una donna occidentale, interpretata da Angelina Danilova: giusto per ricordare quanto bene si vogliono russi e asiatici…

«It’s good to be Qing» (semi-cit.)

Gurutai ha messo gli occhi sullo spadaccino Seung-ho (Jeong Man-sik), un uomo d’armi che per strane ragioni ha partecipato alla congiura di palazzo nel 1623 ma ora è al fianco del vecchio regime, salvo di nuovo voltargli le spalle: diciamo che non è un personaggio ben delineato.

Sembra un personaggio di spessore invece poi esce fuori essere un buco di sceneggiatura

Per badare alla propria madre, Lee adotta una ragazzina umile delle montagne, la piccola Tae-ok (Hyeon-soo Kim), ignorando che è la figlia naturale di re Gwanghaegun (Jang Hyun-sung): quella fatale notte del 1623 questi la affidò segretamente all’unico uomo di fiducia che gli era rimasto, un giovane guerriero dalla spada spezzata che portò in salvo la bambina e l’ha cresciuta come fosse sua.

Oggi quel guerriero, Tae-yul (Jang Hyuk), è solo un povero pellaio di montagna che sta perdendo la vista, e non a caso cammina con un bastone con lama a scomparsa di zatoichiana memoria, ma ormai lo sanno tutti: non stuzzicare il semi-cieco armato!

Qualcosa mi dice che il pellaio cieco non è uno con cui scherzare

Tae-yul impugna una spada stranissima, dalla lama che in punta si biforca: pare di capire sia un’arma propria della guardia reale o qualcosa del genere, perché durante un ricordo Tae-yul viene chiamato “La spada del re”, infatti è l’unico nella vicenda ad averla.

Sembra una spada venuta male, invece pare essere un’arma di grande lignaggio

Comunque la lama si è simbolicamente spezzata durante il colpo di stato del 1623, a simboleggiare il Governo distrutto, ed ora la spada è ancora più strana.

Anche con un’arma strana si possono uccidere cattivi a secchiate

Trasformandosi in macchina di morte, Tae-yul comincia a tagliare in due tutti i Manciù, uno alla volta, andando alla ricerca di sua figlia, anche se non ne è il padre biologico. Inizia la parte finale dove viene abbandonata ogni realtà e plausibilità, e il protagonista fa fuori l’intera dinastia Qing. E i Ming muti, se no poi tocca pure a loro!

Davanti a Tae-yul che da solo fa fuori un milione di Qing non possiamo che citare un vecchio film italo-marziale di Antonio Margheriti: Ming, ragazzi!

L’uomo che da solo estinse la dinastia Qing, una spadata alla volta!

Gli scontri alla spada sono ghiotti e chiaramente costituiscono l’ossatura del film, anche se sono relegati quasi esclusivamente nella parte finale: ipotizzo che i primi due terzi dell’opera stiano lì a ricordare quanto siano infami gli stranieri invasori, cioè i cinesi. Siamo sicuri che i coreani distinguevano fra l’etnia Han locale e i Manciù della dinastia Qing? Chissà.

Per me che sono occidentale è un modo interessante per vedere ricostruito un evento storico di grande importanza in quella fetta di mondo, visto che condizionerà almeno tre secoli a venire, mentre come film marziale siamo a livelli basici: volendo sollevare una critica mi chiedo che senso abbia avuto tutta la ricostruzione iniziale se tanto poi finisce con una johnwickata in cui il protagonista ammazza duecento persone risultando immune a ogni colpo ricevuto.

Comunque è una buona visione marzial-storica e sono contento di essere stato contagiato su Instagram da mani_che_rompono.

L.

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14 risposte a Geomgaek (2020) The Swordsman

  1. Cassidy ha detto:

    Bellissimo! Mi dispiace solo per l’assalto frontale al tuo portafoglio quello si belluino 😉 Cheers

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  2. Conte Gracula ha detto:

    Ringrazia che hai una buona resistenza immunitaria alle serie TV, altrimenti rischieresti di perderti nel gorgo dei “drama” coreani (ne fanno di molto carini).

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  3. loscalzo1979 ha detto:

    Sei su INSTAGRAM e non mi dici nulla?
    Ti ho già messo il segui e ti ho scritto XD
    Il film sembra interessante

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  4. Willy l'Orbo ha detto:

    La storia dell’Asia attraverso il cinema d’azione marziale credo che sia opera altamente ragguardevole e chiedo l’intervento del ministero dell’istruzione e del merito (e tu ne hai molto di merito) per valorizzarla! 🙂
    Intanto, con post come questo e i precedenti hai già conquistato, come ben sai, la generazione orba! 🙂

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