Bandiera gialla (1950) Il vero volto di Parker


Quando Stuart M. Kaminsky, celebre e prolifico giallista, va a casa di Donald E. Westlake per intervistarlo, per il saggio antologico Behind the Mystery. Top Mystery Writers (2005), il povero Parker è a mala pena citato, quasi fosse una nota a piè di pagina dell’opera westlakiana.

L’unica domanda che verta su Parker è quella riguardo ai vari film a lui dedicati, e Kaminsky chiede a Westlake se avesse per caso un attore in mente quando ha creato il suo personaggio. Qui Donald ci stupisce:

«Un giovane Jack Palance. Avevo decisamente Jack Palance in mente quando ho scritto il primo romanzo con Parker: grosso, forte, pericoloso, agile e veloce. Anche senza volerlo ha una voce minacciosa, persino quando cerca di essere divertente. Per me Parker è il Jack Palance di Bandiera gialla (Panic in the Streets, 1950).»

Va bene tutto, gran film e grande attore, ma onestamente mi sembra troppo spigoloso, preferisco altri attori ad impersonare Parker al cinema. Potevo però resistere a rispolverare il film in questo mio viaggio parkeriano? (Anche perché l’ho visto così tanti anni fa che non ricordo nulla.)


Sulle strade sventola bandiera gialla

Ci sarà tempo per Un tram che si chiama Desiderio (1951), Fronte del porto (1954) e La valle dell’Eden (1955), ci sarà tempo perché questi enormi successi rendano Elia Kazan un nome di culto: quel 1° luglio 1950 in cui esce nei cinema americani Panic in the Streets è solo un giovane regista che per la prima volta si è voluto scrollare di dosso una regia di maniera, da “teatro al cinema”, e provare a creare qualcosa di più cinematografico.

Riceve il visto italiano il 14 settembre 1950, la stessa 20th Century Fox lo porta nelle sale italiane dal 28 settembre 1950 con il titolo Bandiera gialla.

Già il 2 agosto 1962 l’emittente Nazionale (cioè Rai1) lo trasmette in prima serata. Inedito in home video, la A&R Productions lo riesuma in DVD nel 2012.

L’ultimo piccolo film prima di diventare famoso

«In seguito alle precauzioni prese per causa della peste, i viaggiatori furono trasbordati sopra un canotto che aveva inalberato bandiera gialla, segnale di epidemia.»

Così leggo su “La Stampa” del 3 aprile 1882, testo che mi ricorda come l’espressione usata ancora nell’Italia del 1950 per indicare questo film appartiene a un mondo che abbiamo dimenticato: la terminologia epidemica. In fondo da allora non abbiamo più avuto epidemie, no?

Un Paese così aperto all’immigrazione come l’America del Novecento doveva combattere contro parecchie epidemie portate dai viaggiatori, soprattutto quelli che arrivavano senza seguire le trafile sanitarie, e insieme a casi “classici” di tifo e colera poteva arrivare anche una vecchia conoscenza dell’umanità: la peste.

Per citare Tex Willer… “Peste!”

Il tenente Reed (Richard Widmark) del Dipartimento della Salute di New Orleans viene informato di un caso di peste polmonare, un immigrato armeno mostra tutti i segni più evidenti ma c’è un grosso problema: due pallottole in corpo rendono la sua morte difficilmente legata a cause epidemiologiche.

Reed dovrà citare tutti i casi di morti atroci che gli Stati Uniti hanno avuto nei precedenti decenni per colpa di epidemie scoppiate fra gli immigrati e sottostimate dalle autorità, così da riuscire a farsi dare l’aiuto del capitano Warren (Paul Douglas) della polizia locale, che non crede al dottore ma è costretto ad aiutarlo.

Le persone che hanno toccato il cadavere contaminato sono già state tutte isolate e curate, visto che l’unica cosa buona della peste è che ormai si può curare, ma manca solo un “infetto” alla lista: l’uomo che ha ucciso il paziente zero.

Un’ombra di aggira nelle notti di New Orleans…

Per evitare che la peste dilaghi per New Orleans, Reed e Warren dovranno trovare un assassino in un sottobosco urbano dove ne abbondano.

… ed è l’ombra tagliente del vero Parker!

Il “giallo pandemico” non è certo un genere prolifico quindi stupisce trovarne uno addirittura prodotto da una grande major, e lo svolgimento anticipa i grandi thriller sanitari di decenni successivi, come i romanzi di Frank G. Slaughter nei Settanta e Robin Cook negli Ottanta, ma senza però averne l’ampio respiro. Reed e Warren in pratica si limitano a lasciarsi guidare dalla fortuna, non avendo alcuno strumento per identificare l’ignoto assassino.

Ma chi è l’eroe nero della vicenda? È Blackie, il primo ruolo cinematografico per Walter Jack Palance, che perderà subito quel “Walter” dal nome.

Blackie, l’animaccia nera di New Orleans

A parte qualche ruolo televisivo, Jack esploderà di lì a poco con l’iconico cattivo de Il cavaliere della valle solitaria (1953) e da lì il cinema di genere sarà suo territorio di pascolo, mentre qui è pura “belva umana”, un nodoso volto da noir che riempie l’inquadratura ogni volta che si palesa.

Blackie gestisce una lavanderia a gettoni, un’attività pulita che nasconde… boh. Non ci viene detto cos’è che faccia il personaggio per essere considerato un “re del crimine”, al massimo ad inizio vicenda lo vediamo giocare a poker, ma non abbiamo problemi a immaginare tanti affari loschi nella New Orleans più oscura.

Quali saranno gli affari loschi portati avanti da Blackie?

L’attore è appena trentenne ma quando entra in scena si mangia tutti. È calmo, posato, affabile, gentile, proprio come un predatore che fa sentire la preda tranquilla, prima di colpire inesorabile. Blackie è sempre vestito bene ed è gentile con tutti: per questo appare ancora più letale.

Le indagini di Reed e Warren non sono memorabili, è un film del 1950 che dimostra tutta la sua età, la parte interessante è chiaramente solo quella in cui vediamo Blackie fare le sue, di indagini: perché tutta la città si informa su quel tizio che ha ucciso? Vuoi vedere che portava qualcosa di prezioso che lui ignorava? E chi ce l’ha ora, quel qualcosa di prezioso? Vuoi vedere che i suoi compari l’hanno tradito?

Ogni inquadratura prende vita, quando entra Jack Palance

Devo concordare con Westlake, Jack Palance qui è minaccioso in ogni fotogramma, ma soprattutto è molto “parkeriano” nella sua ossessione perché gli venga dato ciò che è suo – come abbiamo visto in Flashfire (2000) e relativo film (2013) – ma soprattutto è fedele ai compari che non tradiscono.

Nel rutilante finale vediamo il duro Blackie scappare alla polizia portandosi dietro l’ingombrante e diversamente agile Fitch (Zero Mostel, celeberrimo comico che stava per essere colpito dal maccartismo): perché mai un duro del suo livello si trascina dietro l’ultimo degli sgherri? Perché gli è sempre stato fedele, e questo è un valore fondamentale, anche per un criminale spietato.

Forse Westlake mi ha convinto, a considerare questo il vero Parker

Malgrado il giovane Jack Palance continui a sembrarmi troppo “spigoloso” e tagliente per il Parker letterario, è innegabile che ne incarni l’essenza, visto poi che l’ha confessato il suo autore: riuscirò a immaginarmi l’attore mentre leggerò le prossime avventure del nostro ladro e assassino? Ci proverò, ma i volti “a colori” più vicini a noi hanno ancora troppo fascino per mollarli.

L.

P.S.
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– Ultime manifestazioni di Parker:

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9 risposte a Bandiera gialla (1950) Il vero volto di Parker

  1. Cassidy ha detto:

    Anche aa me Jack Palance pare troppo spigoloso, ma con i suoi infiniti trascorsi da cattivi tutto si può dire, ma non che non sia minaccioso, anzi! Carisma da vendere poi, questo recupero ci sta tutto. Cheers!

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  2. Willy l'Orbo ha detto:

    Lettura mattutina per questa chicca sabatina con un carisma del protagonista…da adrenalina! 🙂

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  3. Vasquez ha detto:

    Mi piace come giri intorno alla questione “Parker”, affrontandolo anche di sguincio, così che ci troviamo al cinema non solo dei Parker che non si chiamano Parker, ma anche dei Parker che sono stati più Parker di quelli tratti dai libri di Parker!
    Sempre più curiosa di vedere dove ti porterà questo viaggio 👍

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  4. Giuseppe ha detto:

    Jack Palance non sarà IL Parker per eccellenza, d’accordo (letterariamente parlando), ma nella rosa dei papabili penso ci possa stare, alla fine 😉

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