Guy Ritchie’s Gunga Din (2023) noto anche come The Covenant


Per commentare il nuovo “sforzo” (nell’accezione più volgare del termine) di Guy Ritchie l’altro giorno mi sono andato a sfogare su “La Bara Volante“: per fortuna lo stesso giorno mi sono trattenuto dal ripetere l’operazione su “CineMuffin“, perché Cassidy è abituato alle mie uscite messianiche mentre temevo che Madame Verdurin mi prendesse per un invasato.

Mi sono poi detto: perché privare i lettori del “Zinefilo” del mio vaniloquio? Perché impedire loro di gioire della mia elevata recensione di questo film che, essendo uscito su Prime Video, sarà visto da mille volte più persone che se fosse uscito in sala? (È però anche vero che Prime s’è vergognato e l’ha subito fatto sparire sotto il tappeto!)

Passata la rabbia e lo sdegno della visione del film, posso cercare di parlarne con pacatezza e cuore leggero, tutte qualità che mi difettavano mentre insultavo lo schermo durante la visione.

Uno dei titoli alternativi di questo “Gunga Din”

Il titolo del film è tutto un programma e già prima di vederlo capiamo che il britannico Guy Ritchie dopo molti fallimenti ha infine compreso come fare i big money americani: parlando bene della guerra e dei valori cristiani. Come lo chiami un film su un gruppetto di occidentali in un paese islamico? The Covenant, che a noi italiani non dice niente ma per gli anglofoni è un messaggio bello chiaro: «Io stabilisco la mia alleanza con voi» (I establish my covenant with you): a parlare non è un passante, è Dio in persona nel Genesi (9,9), nella King James Version che ogni americano conosce sin da bambino. Usare un termine fortemente cristiano per parlare del rapporto coi musulmani è già un colpo di genio da applauso.

Tipico paesaggio afghano da cinema

Siamo in Afghanistan, terra liberata dai cattivi talebani al costo di svariate migliaia di morti, tutti giusti, tutti giustificati, Guy Richie in veste di sceneggiatore non mette in dubbio questa sacra verità. Io, ingenuo e sognatore, per un attimo ho pensato che un britannico, un cane sciolto senza alcun guinzaglio hollywoodiano, dopo la grande vergogna del 2021 facesse un film che mostrasse il dramma di vent’anni di guerra inutili, vent’anni di lotta contro sassi e sabbia, con un numero di morti superiore a qualsiasi attentato terroristico, ma no: invece sono stati vent’anni spesi bene, ci assicura Guy, e il fatto curioso che i talebani sono tornati trotterellando senza essere rimasti anche solo scalfiti dal più grande esercito del mondo non è minimamente citato. È tutto giusto, ci spiega Guy, scemo io a pensarla diversamente.

Un gruppetto rappresentativo di come gli americani vedono ogni popolo centroasiatico

Gli afghani sono tutti straccioni, infami, terroristi e nei rarissimi casi in cui qualche sparuto afghano non sia un terrorista – pare strano, eppure capita – comunque aiuta i terroristi a nascondersi, quindi gli amici afghani sono tutti cani infedeli: un altro autore avrebbe sottolineato che è lo stesso giudizio che gli afghani hanno degli americani invasori, ma no, non Guy, per lui è giusto così. Ritrae solo ed unicamente afghani terroristi, cospiratori, fiancheggiatori e in generale gente spregevole. Senza il minimo dubbio in questione. Se ne salva solo uno: Gunga Din.

Prima che pensiate male, pare si faccia così per bere da una sacca d’acqua…

Sin dal Seicento in cui i bravi europei sono partiti per portare la democrazia nel mondo è nata l’idea del “buon selvaggio”, priva di qualsiasi acredine o negatività, bensì figlia di una cultura razzista e paternalista: se lo straniero, che è stupido e inferiore in quanto straniero, prova ammirazione per noi che siamo geneticamente superiori in quanto occidentali, allora è un bravo ragazzo. Ci è simpatico, gli si sorride, ci si finisce persino amici, ma soprattutto lo si aiuta a rinnegare la sua cultura sbagliata e a sputare sui propri fratelli. Più il buon selvaggio diventa come noi, più diventiamo amici e lo proteggiamo da quegli zozzi dei suoi simili.

Originariamente il discorso era diverso, rappresentava più un “uomo naturale” guardato con curiosità dai colonizzatori molto più tecnologici – un’eco la si può trovare nel Dersu Uzala (1975) di Akira Kurosawa, coi soldati russi che prendono in simpatia il vecchietto pittoresco che vive nei boschi – ma nel Novecento è più facile trovare storie dove l’unico straniero buono è quello che rinnega la propria cultura per venerare quella occidentale.

Cambia la moda vestiaria, ma il personaggio purtroppo no

In The Covenant abbiamo dunque Gunga Din che è l’unico afghano buono: oh, non se ne trova un altro manco a pagarlo. Sono tutti geneticamente infami, nel migliore dei casi perché ricattati dai terroristi, i quali sono milioni e controllano ogni centimetro del Paese. Ma Gunga Din no, lui è diverso: lui è buono e quindi, per ovvia conseguenza, ama gli invasori occidentali che da vent’anni gli hanno occupato la madre patria.

Avete mai sentito di un soldato americano che si sia comportato in maniera men che perfetta? Mai! I soldati americani sono stati forgiati nella fucina dell’onore e quindi il protagonista giustamente non spicca sugli altri, perché tutti i soldati americani sono perfetti: viene inquadrato solo per mere esigenze narrative, ma il sergente Cary Grant non ha nulla di speciale. È americano e quindi è perfetto per antonomasia. Grazie, Guy Ritchie, per questo complesso scavo psicologico del personaggio.

A differenza di Jake, Cary solo ogni tanto fissa il vuoto

Il sergente Cary Grant non dorme, non mangia, non riposa, vive esclusivamente per dare la caccia ai terroristi afghani, cioè a tutti gli afghani, e quindi è solo questione di tempo perché faccia amicizia con Gunga Din, l’unico afghano che odia i propri simili e adora gli occidentali. Possibile che a quest’ultimo non rimanga un briciolino di amore per moglie e figlio? No, è escluso: Gunga Din vive esclusivamente per rischiare la vita in favore degli americani. E poi chi glielo dice che il figlio di tre anni, essendo afghano, non sia già un terrorista infame?

Tutti i buoni selvaggi aspirano a diventare come i soldati che hanno invaso la loro patria

Con una sceneggiatura sottile e delicata, scritta in punta di penna, il rapporto fra i due personaggi evolve, le proprie differenze culturali si appianano, i propri pregiudizi si sciolgono e finalmente arriva il tanto agognato momento… il cui il povero straniero, sfortunato perché nato straniero, può ambire al rispetto del grande padre bianco Cary Grant, che essendo occidentale è talmente buono che può considerare amico un povero straniero, non benedetto dalla grazia divina di essere americano.

La gioia fanciullesca di quando un padre bianco è buono con te

Scommetto che vi siete dimenticati che siamo in Afghanistan, una terra crudele e infame, dove la popolazione – impossibile a credersi – non ha piacere che degli invasori vengano a dettar legge e ad ammazzare le gente: uno porta loro la democrazia e questi rispondono col terrorismo? Ingrati! Così a un certo punto i cattivi terroristi, cioè animali senz’anima, fanno del male al grande padre bianco Cary Grant, e il cuoricino di Gunga Din si spezza per il dolore: l’idea che un bravo soldato americano possa rimanere ferito per colpa di quei cani, che poi sarebbero i compaesani di Gunga Din, è insopportabile.

Il buon selvaggio tiene fede alla propria natura e fregandosene della propria famiglia e della propria vita salva il sergente Cary Grant, trascinandolo per chilometri di deserto e alla bisogna ammazzando afghani che si permettono di ostacolare questo salvataggio. In fondo so’ afghani, ne vengono ammazzati tanti, uno più uno meno… Bravo, Guy, bel messaggio di amicizia fraterna hai dato: l’unico amico è quello che la pensa come te, gli altri se gli spari in testa fai solo che bene.

Guy Ritchie spiega agli afghani che devono mostrarsi ancora più infami

Sostituite l’esercito americano con quello britannico, sostituite i talebani con i Thugs, sostituite l’Afghanistan con l’India ma non sostituite la storia che ho descritto, perché Guy Ritchie’s The Covenant è semplicemente la copia di Gunga Din (1939) di George Stevens, con Jake Gyllenhaal che fissa il vuoto per l’intera vicenda mentre almeno il giovane Cary Grant riusciva a muovere più di un muscolo facciale.

Cambia la posizione del fazzolettone, ma la trama no

Invece del portatore d’acqua che sogna di diventare giubba rossa, perché è l’unico indiano buono in un Paese di straccioni terroristi, abbiamo un interprete ma il resto è lo stesso, anzi peggio: Gunga Din sogna di indossare la divisa dell’esercito invasore invece Ahmed (Dar Salim) già l’indossa sin dall’inizio. Infatti è molto meno servile della sua controparte del 1939, forse perché l’obiettivo della sua vita l’ha già raggiunto.

Guy Ritchie voleva omaggiare i tanti che hanno lavorato per gli americani e che sono stati fregati alla grande, visto che i soldati sono fuggiti lasciandoli a morire? No, perché non una parola viene spesa per questo, se non una scritta alla fine: viene lasciato intendere che salvarne uno significa saldare ogni debito. E le altre centinaia rimasti nelle mani dei talebani? Silenzio. Abbiamo salvato Gunga Din, punto: il dovere di Guy è fatto.

«Noi dobbiamo restare… vicini vicini!» (cit.)

Guy Ritchie voleva denunciare la burocrazia americana? A parte usare questa trovata come contrasto comico – è molto più facile per Ahmed trascinare Jake Gyllenhaal per chilometri di deserto che per Jake Gyllenhaal superare il muro di gomma dei centralini telefonici – ogni critica è assente. Molto più graffiante è stato invece di nuovo Cary Grant in Ero uno sposo di guerra (1949), dove un capitano dell’esercito viene scambiato per una moglie di soldato e il povero protagonista dovrà affrontare mille avventure per convincere la burocrazia militare che… non è una moglie di guerra!

Guy Ritchie voleva raccontare questa storia di amicizia in guerra, che pare essere vera? Quindi se io facessi un film dove mostro Hitler buono che salva un gattino da un albero non solleverei alcuna polemica? Nessuno mi accuserebbe che, quand’anche fosse vero, non è un evento rappresentativo del momento storico, anzi sembra un tantino apologetico?

Tie’, béccate ’sto valore occidentale!

Qual è allora il motivo per cui Guy Ritchie ha fatto questa vergognosa leccata di culo all’esercito americano, facendoci tornare al paternalismo razzistico dei rampanti anni Trenta? Non lo so, forse ha capito che a parlar bene della guerra si vince sempre, e poi andiamo, è un ottimo film, girato molto bene: Guy Ritchie fa questo lavoro dal 1998, ci mancherebbe pure che dopo venticinque anni di carriera non sapesse costruire scene come si deve!

Dal punto di vista tecnico The Covenant non si discute, perché appunto il regista non è l’ultimo arrivato e a guardarlo è un signor film, il problema è il soft power che veicola, lo stesso del 1939 che d’un tratto appare giusto, il che è ridicolo in questi anni di crociate moraliste contro qualsiasi argomento.

Lasciamo stare Gunga Din all’epoca in cui ancora aveva senso quel tipo di messaggio. Un momento… e se anche in questa nostra epoca fosse tornato ad aver senso quel messaggio?

L.

– Ultimi film di guerra:

Informazioni su Lucius Etruscus

Saggista, blogger, scrittore e lettore: cos'altro volete sapere di più? Mi trovate nei principali social forum (tranne facebook) e, se non vi basta, scrivetemi a lucius.etruscus@gmail.com
Questa voce è stata pubblicata in Warmovie e contrassegnata con . Contrassegna il permalink.

27 risposte a Guy Ritchie’s Gunga Din (2023) noto anche come The Covenant

  1. Madame Verdurin ha detto:

    Buongiorno Lucius, grazi per la tua citazione! Ho visto Gunga Din tantissimo tempo fa e a dire il vero non me lo ricordavo, però sono convinta della grande somiglianza di cui parli e non discuto nemmeno una parola di quello che hai detto. Come sai a me il film invece è piaciuto e ci ho visto un’intenzione di messaggio universale che, per me, trascendeva gli schieramenti, ma non è detto che abbia male interpretato, abbagliata dalla perizia tecnica di Guy Ritchie (che anche tu sottolinei) e dagli occhioni azzurri di Jake Gyllenhaal. Ti dico solo una cosa: non aver paura di esprimere le tue opinioni, anche se diverse dalle mie, su Cinemuffin! Non ti metterò mai alla porta come farebbe la vera Madame Verdurin, e poi io lo so che Tu Sei Leggenda 😉

    Piace a 1 persona

    • Lucius Etruscus ha detto:

      ahaah contento che la mia fama mi preceda e ti ringrazio di cuore dell’incitamento, il problema è che a volte mi faccio prendere dalla foga e mi metto a pontificare, così che una recensione appassionata sembri invece un vaniloquio 😛
      Non sono fan di Guy, non credo ci sia stato un solo suo film che mi sia piaciuto a livello di storia, ma sulla sua bravura registica non si discute, così come sul suo saper costruire scene che funzionano. Posso anche credere che volesse lanciare un messaggio positivo di amicizia e fratellanza, il problema è che anche “Gunga Din” voleva farlo: il mio timore è che mentre su certi argomenti si esagera da una parte (con crociate messianiche che sfociano nella cultura della cancellazione), dall’altra si esagera dal lato opposto, e siamo tornati indietro di un secolo, dove si racconta in maniera emotiva che un bianco in posizione di comando può diventare amico persino di uno straniero, che è sfortunato perché nato straniero.
      Se Guy voleva raccontare una storia d’amicizia, invece di rifarsi a “Gunga Din” gli bastava rifarsi a “Il mio nemico” (1985), un capolavoro sull’argomento ancora oggi imbattuto, invece il mio sospetto è che questo film sia solo una marchetta a favore dell’esercito americano, così da assicurarsi futuri lavori.

      Sono un grande ammiratore di Jake, ma non in questo film, dove l’ho visto sempre fermo a fissare il vuoto. Si anima un po’ nella seconda parte quando litiga al telefono, ma è davvero poco. Lo preferisco di gran lunga in film più piccoli, dove ha più libertà di movimento.

      Piace a 1 persona

  2. Cassidy ha detto:

    Definitivo. Dal titolo del post alla locandina (quella giusta oserei dire) all’analisi comparativa, definitivo vado a mettere il link al fondo del mio post, spero non ti legga mai Guy Ritchie perché lo hai sgamato in pieno 😉 Cheers

    Piace a 2 people

    • Lucius Etruscus ha detto:

      ahaha più che altro potrebbe presentarsi qui con la spada di Re Artù, altro suo grande “capolavoro” diretto bene che è durato il battito di un ciglio 😀
      Scherzi a parte, passato il fomento della visione mi piaceva parlare più pacatamente di questo film, che spero non rappresenti un incredibile salto indietro di cento anni di una narrativa cinematografica che già non se la passa benissimo.

      Piace a 1 persona

  3. Lorenzo ha detto:

    Nonostante preferisca di gran lunga l’Afghanistàn di Ciriaci e le sue casette, ho trovato tutto sommato gradevole questo film.
    Come ho scritto sul blog di Cassidy, la prima parte secondo me è un po’ troppo stiracchiata, ma da quando inizia la lotta coi call center effettivamente il ritmo si alza 😀
    Non mi sono indignato per il messaggio (sempre che ce ne sia uno), è da sempre che i film americani di cassetta sono così, e non credo che da soli possano cambiare il modo di pensare della gente (specialmente i filmetti d’azione, anche se spacciati per roba seria, tipo questo). Al massimo di consolidarne il pensiero: tu, ad esempio, ti sei fatto prendere dalla foga e dall’indignazione, mica sei andato a fare la tessera della Lega 😀

    Piace a 1 persona

    • Lucius Etruscus ha detto:

      Il problema è che questo non è un film di cassetta, bensì un prodotto di serie A con grandi nomi coinvolti e i soldi della MGM a spingerlo nella distribuzione: per fortuna è un sonoro flop al botteghino quindi sparirà nel nulla fra un attimo, però è lo stesso un messaggio increscioso e razzista veicolato da un canale ufficiale di grande risonanza internazionale.
      Gli USA sono molto bravi nel soft power, modo gentile di chiamare la più bieca propaganda di regime che tutti gli Stati veicolano: una cosa è mascherarla in un buon film, un’altra è gridarla in maniera volgare come in questo caso.
      Però sono l’unico ad averlo notato, quindi il soft power ha già vinto, e come sempre io rimango Leggenda ^_^

      "Mi piace"

      • Lorenzo ha detto:

        Di cassetta è anche la serie A, come lo erano i film di Rambo, anche se ai tempo gli afgani erano nemici dei russi e quindi amici, ma il concetto è lo stesso.
        Riguardo al soft power bisogna essere ciechi per non notarlo, anche quando è hard come in questo caso: io semplicemente ci passo sopra, non ne vengo influenzato, non basta un film per farmi cambiare idea.

        Piace a 1 persona

      • Lucius Etruscus ha detto:

        Sono contento che tu ci riesca, spero che anche il resto del pubblico internazionale abbia la tua stessa dote 😛

        "Mi piace"

      • Lorenzo ha detto:

        Forse sarò troppo ottimista, ma credo che oggi sia difficile che lo spettatore venga influenzato dal cinema, che al limite ribadisce concetti già espressi da altri canali. I notiziari in TV, i social network, le news su internet: è lì che si manipola davvero l’opinione pubblica 😀

        Piace a 1 persona

      • Giuseppe ha detto:

        Non è ovviamente un messaggio capace di influenzarmi in alcun modo, il che comunque non significa certo mi faccia piacere trovarlo così vistosamente “impacchettato” in una confezione tecnicamente impeccabile come quella di Ritchie. Ecco, magari torni il prima possibile dalle parti di “Lock & Stock” dove si trova senz’altro molto più a suo agio e, almeno in quel frangente, è anche esentato dalla necessità di far marchette a chicchessia…

        Piace a 1 persona

      • Lucius Etruscus ha detto:

        Sono contento che il messaggio sia privo di forza, ma il fatto stesso che esista è spiacevole: non aveva proprio altro da raccontare, Guy, se non una storia razzista? Forse lo preferivo quando faceva le robe alla Snatch 😛

        "Mi piace"

      • Loren ha detto:

        Ma come mai, con migliaia di opere statunitensi che veicolano da almeno un secolo lo stesso messaggio (includo i libri), proprio questa ti ha infastidito così tanto?
        Comunque volevo aggiungere un dettaglio: la presentazione dei militari con nome e grado in sovraimpressione si era già vista quasi 40 anni fa in Missing in Action 2 😛

        Piace a 1 persona

      • Lucius Etruscus ha detto:

        Mai parlato di presentazione in sovrimpressione, che neanche ricordavo più.
        Visto che citi Chuck Norris cerco di usarlo come esempio per qualcosa che mi sembrava ovvia nel post ma a quanto pare non è: non mi sembra, o almeno non l’ho notato, che nella trilogia di “Missing in Action” si dica che i vietnamiti sono animali e geneticamente inferiori agli americani, così come non ricordo che in altri film di guerra similari si vedevano vietnamiti che stringevano amicizia con quelli che avevano gettato napalm sulle loro case e fritto i propri fratelli. Eppure parliamo di film fortemente propagandistici.
        Una cosa è dire che noi siamo buoni, una cosa è dire che gli altri sono poveri mentecatti, che però se fanno i bravi e tradiscono la propria cultura allora gli possiamo pure dare una mano. Non puoi venirmi a dire che questo messaggio è normale, in tempi in cui perdi il lavoro se dici “la parola con la N” e ti cancellano se dici che una donna non è superiore a un uomo in tutto. Proprio perché stiamo vivendo un’attenzione patologica verso il politicamente corretto risulta di più il contrasto di un film politicamente scorretto.
        Girare oggi film come quelli che citi tu sarebbe vietato, perché non corrispondono più alla sensibilità contemporanea, che addirittura vuole cancellare “Via col vento” perché i bianchi sono paternalisti coi neri: qui il protagonista è paternalista con l’afghano, è questo contrasto che mi ha stupito.

        Ultimo paragone. E’ come se oggi girassero un film dove si dice che le donne devono stare in cucina, quello è il loro posto, io lo criticassi e arrivassi tu a dirmi “Eh va be’, è pieno di film degli anni Cinquanta che dicono lo stesso!” 😀

        "Mi piace"

    • Lorenzo ha detto:

      Il dettaglio dei nomi in sovraimpressione è venuto in mente a me, non c’entra con il tuo post 😀
      Per il resto mi sono un po’ perso nel filo della discussione, a me questo film non è parso politicamente scorretto (magari!), anzi, è in linea col pensiero americano e quindi occidentale: bisogna pesare le parole, ma non col nemico no (qui gli afgani, ma possono essere quelli che negano, a torto o a ragione, qualsiasi corrente di pensiero comune del momento).
      La differenza nell’esempio che porti tu è che il nero di Via col vento è innocuo, quindi guai ad insultarlo. L’afgano ha tirato giù le Torri Gemelle, quindi si può infamare senza problemi.
      Tutto questo è giusto? No. Va bene perché si fa da sempre? No. Mi scandalizzo? No. Cambierà il mio modo di vedere le cose? Sempre no 😀

      Piace a 1 persona

      • Lucius Etruscus ha detto:

        E’ chiaro che non riesco a spiegarmi: il paternalismo di Via col Vento è lo stesso del contemporaneo Gunga Din e di questo Covenant, cioè l’atteggiamento per cui uno che si sente superiore prende in simpatia uno che lui considera inferiore ma simpatico. Questo atteggiamento ha fatto parte della narrativa americana poi è diventato (giustamente) troppo razzistico e al cambiar del gusto si è perso, perché una cosa è se un film americano dice che gli americani sono i migliori (quello lo fanno tutti), un’altra se dice che gli altri sono inferiori, e il paternalismo è questo che fa, è simpatia verso uno che consideriamo inferiore a noi.
        Fanno benissimo le donne a incazzarsi quando gli uomini sono paternalisti con loro, perché è un chiaro segno che le considerano inferiori, per lo stesso ragionamento mi incazzo io davanti allo stesso paternalismo quando viene usato anche per gli uomini.
        Gli eroi militari e muscolari anni Ottanta sono patriottici, non paternalisti: spero di essere riuscito a spiegare l’enorme e profonda differenza che trovo nei due sentimenti.

        "Mi piace"

  4. Willy l'Orbo ha detto:

    Tornato dalle vacanze, trovo un post accurato, critico, coinvolgente, riflessivo…ottimo! E mi hai convinto a non vederlo, che le suddette vacanze mi abbiano cambiato??? (ma non ci fare troppo affidamento, ahahah!) 🙂

    Piace a 2 people

  5. loscalzo1979 ha detto:

    Bellissimo metro di paragone fra due film che mostrano verosimiglianze quasi al limite del plagio.

    Piace a 1 persona

  6. Il Moro ha detto:

    Guarda, questo articolo è talmente bello che mi viene quasi voglia di guardare il film! Quasi.

    Piace a 1 persona

    • Lucius Etruscus ha detto:

      ahahah ti ringrazio e spero non cederai alla tentazione di vederlo! 😛
      Se lo fai, ti consiglio caldamente il “doppio spettacolo”, vedendolo insieme a “Gunga Din” per apprezzare il crollo verticale della narrativa bellica di grande distribuzione.

      Piace a 2 people

  7. Sam Simon ha detto:

    580 minuti di applausi! Anche io a leggere Cassidy e Madame Verdurin ho sentito crescere il nervoso, ma non ho avuto la forza di guardare un film che, lo so già, odierei ogni minuto di più. Però ringrazio Guy Ritchie per averti fatto partorire questo post capolavoro!!! :–)

    Piace a 2 people

  8. Madame Verdurin ha detto:

    Per quanto io abbia amato questo film, devo dire che anche io aspetto con ansia un nuovo Lock & Stock, indiscutibilmente è il genere in cui Ritchie dà il suo meglio.

    Piace a 1 persona

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.