Payback (1999) La rivincita di Porter


Continua la caccia a Parker, il criminale nato dalla penna di Richard Stark (pseudonimo “cattivo” di Donald E. Westlake) che più volte ha provato a conquistare lo schermo senza mai grandi risultati.

Trent’anni dopo Senza un attimo di tregua (1967) parte il progetto per riportare su schermo la prima avventura di Parker, che avrà dei problemi produttivi ma almeno il titolo è profondamente parkeriano: Payback.


Indice:


La distribuzione italiana

Uscito in patria americana il 5 febbraio 1999 per la Paramount, poco dopo (16 febbraio 1999) riceve il visto della censura italiana e la Warner Bros lo porta velocemente nei nostri cinema, dal 26 febbraio successivo, con il titolo Payback. La rivincita di Porter.

da “La Stampa” del 26 febbraio 1999

È un filmone targato Warner Bros e c’è Mel Gibson protagonista, eppure per motivi che ignoro rimane nelle nostre sale all’incirca un paio di settimane: ma che l’hanno portato a fare? Nell’ottobre di quel 1999 la Warner Home Video lo presenta in VHS e il 30 ottobre Tele+Bianco lo manda in onda in prima serata, a pagamento. Il 20 gennaio 2004 va in onda in prima serata in chiaro su Italia1.

da “La Stampa” del 20 gennaio 2004

Italia1 presenta all’epoca la ormai perduta pellicola italiana del film!

Oggi purtroppo in Mediaset gira solo l’edizione americana con titolo italiano posticcio

Malgrado riporti come data il settembre 1999, è facile che risalga al 2000 l’uscita del DVD nell’edizione snapper, quella con la copertina di cartoncino che ho recuperato su eBay e adoro, per pura mania estetica e follia collezionistica.

Segnalo che il citato DVD Warner 1999 è “doppia faccia”: l’edizione del film è la stessa, l’unica esistente in Italia (vedremo più sotto quale sia l’altra, inedita da noi), ma per motivi che ignoro su una faccia del disco c’è il film in 16:9 e su un’altra in 4:3, più ampio e quindi con inquadrature più larghe. Plaudo all’iniziativa e TUTTI i DVD dovrebbero essere così!

Il rettangolo rosso è l’edizione 16:9, mentre quella 4:3 offre un’inquadratura molto più larga


Un autore pepato

Lo confesso, il nome Brian Helgeland non mi diceva niente finché non ho sfogliato la sua filmografia: ah però, ragazzetto in gamba! È regista e produttore ma ciò che mi ha colpito è la sua attività di sceneggiatore: non è da tutti iniziare la carriera firmando quel gioiellino di Nightmare 4 (1988), per me il migliore dopo il primo titolo.

In quell’epoca d’oro dell’horror Helgeland si dà da fare – non a caso è nato a Providence (Rhode Island) quindi è compaesano di H.P. Lovecraft! – firmando episodi di “Venerdì 13” e “I racconti della cripta” ma soprattutto sceneggiando 976. Chiamata per il diavolo (1988) e relativo seguito (1991) che prima o poi devo decidermi a recensire. Vogliamo parlare di quella follia di Autostrada per l’inferno (1991)? Ha pure messo mano alla sceneggiatura di Trappola sulle Montagne Rocciose (1995) ma giustamente non si è firmato, per non sporcarsi il curriculum.

In tempi recenti potrei citare titoli come Aiuto vampiro (2009), Green Zone (2010), Robin Hood (2010) e Legend (2015) – a parte quest’ultimo, gli altri non fanno fare bella figura ad Helgeland – ma nella seconda metà dei Novanta il nostro autore firma roba buona come L.A. Confidential (1997), adattandolo da un romanzo di James Ellroy, e Ipotesi di complotto (1997), con sceneggiatura originale. So che il western post-apocalittico L’uomo del giorno dopo (1997) ha molti seguaci quindi lo cito perché Helgeland ci ha messo lo zampino.

Consultando il Catalog of Copyrights, in quella metà dei Novanta è pieno di sceneggiature depositate che diventeranno film famosi, e nel 1997 troviamo… Parker, By Brian Helgeland per la Icon Distribution, Inc., che due anni dopo tornerà ad essere depositato con il titolo alternativo di Payback: probabilmente in questi due anni hanno consultato Stark/Westlake e l’autore deve aver negato l’uso del nome del suo celebre personaggio, appena tornato in vita.

Merita infatti di essere sottolineato come Stark/Westlake avesse interrotto la produzione di romanzi con Parker nel 1974 (come ho già raccontato), e dopo più di due decenni di silenzio il criminale torna in libreria con un romanzo dall’esplicativo titolo Comeback. E quand’è che questo atteso ritorno di Parker arriva nelle librerie americane? Guarda a volte la coincidenza, nell’ottobre 1997, due mesi prima che Brian Helgeland depositasse la propria sceneggiatura.

Quando nel 2001 Westlake racconta come mai Parker sia tornato in azione, in un articolo che ho tradotto in esclusiva, non fa alcuna menzione del film con Mel Gibson bensì fa risalire la scintilla addirittura ad anni addietro, quando ha sceneggiato Rischiose abitudini (1991) di Stephen Frears, un film che avrei voluto portare in questo viaggio ma è troppo mostruosamente brutto per recensirlo, a meno di non presentare una pagina piena di insulti.

Ipotizzo che invece quel furbacchione di Westlake, appena saputa la notizie che Parker tornava al cinema dopo decenni, si sia messo sotto a sfornare un nuovo romanzo per cavalcare l’onda. Oppure, al contrario, è stata la notizia dell’intenzione dell’autore di riesumare Richard Stark – dopo che Stephen King aveva riesumato George Stark! – ad aver spinto il mondo del cinema a tentare di nuovo l’impossibile impresa di rendere Parker su grande schermo.

Dopo che King ha riesumato George Stark, Westlake ha riesumato Richard Stark


La rivincita di
Parker-che-non-si-chiama-Parker

Come raccontato, uno dei tratti distintivi del personaggio letterario di Parker è il payback, cioè la inarrestabile determinazione a riavere ciò che lui considera proprio ma che per vari motivi gli è stato sottratto: Parker non è un ladro violento, i suoi colpi sono sempre “puliti”, il discorso cambia quando i suoi complici fanno i furbi e gli fregano la sua parte di malloppo. È allora che la situazione si fa violenta.

«Poca gente sa quanto vale la propria vita. Io lo so: la mia vale 70 mila dollari. È quello che mi hanno sottratto, ed è quello che devo recuperare.»

La frase iniziale con cui la voce narrante di Porter/Parker apre la vicenda mette subito in chiaro il collegamento con il personaggio letterario: rubare a Parker non è mai salutare, perché quando lui si riprenderà ciò che gli spetta qualcuno rimarrà steso per terra.

L’inizio che mette subito in chiaro la “filosofia” del personaggio

Salvato in extremis da un dottore che dubito sia iscritto a qualsiasi albo, dopo cinque mesi di degenza (chissà dove), Porter torna in città e comincia a compiere piccoli furtarelli e truffe per rimettersi in sesto.

Mel Gibson ce la mette tutta per apparire “a pezzi”, con tanto di abito fuori taglia, ma rimane ancora troppo bello e pulitino per essere un uomo che sta uscendo dall’inferno.

Sarebbe questo l’uomo distrutto, a pezzi???

Come il romanzo originale e il film del 1967 con Lee Marvin, anche stavolta il Parker-con-un-altro-nome raggiunge la moglie per appianare certe questioni lasciate in sospeso, questioni così poco piacevoli che la mogliettina (Deborah Kara Unger) si toglie subito la vita. Ecco che succede quando tra marito e moglie non c’è dialogo…

Cara, sono a casa… e dobbiamo parlare

Un flashback ci racconta il colpo che i coniugi Parker mettono a segno insieme al complice Val Resnick (quella faccia da eterno infame di Gregg Henry), un colpo che non va come dovrebbe e Porter si becca diversi proiettili nella schiena. Provenienti dalla pistola della moglie, tanto per peggiorare il tutto.

Un trio all’erta e pieno di brio

Ora che conosciamo gli eventi pregressi, capiamo il viaggio che Porter inizia alla ricerca del suo ex complice, passando a dare la sveglia a vari personaggi che consentono comparsate di lusso, tipo quando in una bisca trovi i detective Jack Conley e Bill Duke.

Quando a sorpresa ti ritrovi delle comparse… di “peso”

La scalata di Porter a quello che lui chiama «Sindacato» (syndicate) ma tutti gli ricordano che ora si chiama «Organizzazione» (The Outfit), cioè quell’associazione criminale che tornerà spesso nei romanzi di Stark – e che sicuramente è nota agli autori di John Wick – porta a incrociare anche altri volti noti, attori famosi che passano a fare un saluto con una comparsata di un paio di minuti che temo funzioni poco.

Così di punto in bianco piomba in scena, per uscirne quasi di nascosto, James Coburn (non accreditato)…

Non badate a me, sono solo di passaggio

… e poi all’ultimo esce fuori che il super capo mega-direttore galattico dell’Outfit è Kris Kristofferson, che fa sempre piacere vederlo con la sua faccia di cuoio ma non lascia certo il segno.

Ecco, questo sì che sarebbe un Parker filmico!

Ah, c’è pure la giovane Lucy Liu, all’epoca ancora attrice televisiva ma che stava per fare il botto anche su grande schermo: qui interpreta la parentesi comica, che rende il film ancora meno parkeriano di quanto già non sia.

Ciao, sono la quota asiatica e la parentesi comica: ignorami, che facciamo prima

Aggiungere personaggi quasi a fine vicenda non mi sembra sia una trovata che aiuti il ritmo o la narrazione, capisco che stanno rifacendo il film del 1967 che aveva questo difetto, fra i tanti, ma si poteva trovare benissimo un altro modo. E in realtà Brian Helgeland l’ha trovato eccome, solo che… la Paramount non gliel’ha fatto fare! (Ne parlerò più sotto.)


Mel Gibson è più Parker di Jason Statham?

Lo dico subito: no, per me nella immaginaria classifica dei Parker su schermo prima viene quello di Jason Statham, troppo perfetto nella sua adesione all’originale cartaceo, e questo di Gibson sono molto indeciso se metterlo al secondo o terzo posto.

Il primo problema è “italiano”. Gibson ha una voce rauca e profonda che si presta molto bene a fare il “cattivo”, mentre la splendida voce di Claudio Sorrentino rende il Gibson italiano molto più “mattacchione” e spezza la magia, anche se comunque il film ha una dose di umorismo tale che è davvero difficile anche solo affiancare il protagonista alla sua controparte cartacea.

Capisco che bisognava smorzare i toni per non fare un film troppo crudo, rischiando qualche divieto e minor incassi – che comunque in patria sono stati bassini, stando ad IMDb – ma impostare le scene più tese e critiche all’insegna di un’atmosfera leggera da “commedia criminale” da una parte rende il film più piacevole ma allontana Gibson dal trono di “Parker filmico”.

Scusa, Mel, ma forse non arrivi neanche secondo al Fanta-Parker!

Per questo tenderei a metterlo al terzo posto, preferendogli il molto più crudo e crudele Lee Marvin, che al di là della folle regia di Boorman è un Parker molto più simile all’originale, deciso, serissimo, taciturno e determinato.

Richard Stark più volte ha ritratto il suo Parker determinato in maniera parossistica: se gli sono stati sottratti 70 mila dollari, vuole quella cifra esatta, non un dollaro di più. Questa particolarità del personaggio qui nel film diventa elemento comico, perché a tutti i personaggi Gibson ripete che vuole solo 70 mila dollari e tutti lo prendono in giro. Da strumento narrativo per denotare la “rettezza criminale” di un personaggio è diventato elemento comico. Che sicuramente funziona, ma come detto allontana il film dal candidato parkeriano.

Ecco dove il film vine a mani basse

Dove invece Payback vince a mani basse è nell’amore del protagonista per Maria Bello, che non interpreta Claire ma palesemente è la migliore Claire possibile, sia perché Marie Bello è splendida, sia perché la adoro da sempre sia perché è una donna, non la solita ragazzetta da cinema, e quindi molto credibile come compagna di Parker.

Ora vado alla Total Recall e mi faccio impiantare la memoria di un film dove Parker sia interpretato da Jason Statham e Claire da Maria Bello.


Il vero Payback

Nel 2007 la Paramount concede a Brian Helgeland l’onore di un DVD dal titolo Payback: Straight Up, un modo per farci capire che la lavorazione del film non è andata come voleva il regista, infatti il disco contiene un’opera molto diversa: cioè il Director’s Cut con il vero film!

Paradossalmente la versione di Helgeland dura sette minuti in meno di quella uscita nel 1999, eppure c’è moltissimo materiale in più, così come materiale in meno: il corpo del film è pressoché lo stesso, ma cambia totalmente il finale e c’è una scena più lunga all’inizio.

Ah, e la qualità video è leggermente più scintillante dell’edizione che gira ancora oggi in Italia.

La versione ufficiale è quella pallida a destra, il Director’s Cut è invece scintillante


La moglie di Parker parla

Nel film ufficiale Lynn (Deborah Kara Unger), la moglie di Parker (che in realtà non viene mai nominata, ma si chiama così nel romanzo) non ha alcuna battuta, se non «Vuoi uccidermi?» e poi, interrogata se voglia smettere di drogarsi, «No». Praticamente è un personaggio muto.

Tutt’altro discorso nel Director’s Cut, dove ci si rifà al romanzo e marito e moglie parlano… e con “parlano” intendo che si riempiono di botte. Il dialogo rispecchia il romanzo quasi riga per riga, poi Porter spiega alla moglie chi sia Rosie (Maria Bello) e di averla conosciuta prima che loro si sposassero quindi non deve esserne geloso.

I coniugi Parker e un tocco di italianità, con la caffettiera in primo piano

Perché cancellare tutto e lasciare Lynn muta? La mia idea è che questa scena molto drammatica, che però ci mostra il mondo oscuro in cui vive il protagonista, stonava troppo con l’aria da commedia che la Paramount voleva presentare, e quindi via, quattro minuti importantissimi tagliati via di netto.

È vero, Porter dà uno schiaffone alla moglie ed è una scena sgradevole, che immagino avrebbe generato polemiche, ma perché allora non tagliare solo quel fotogramma invece dell’intera sequenza?


Il vero finale del film

A questo punto devo mettere un’Allerta SPOILER, visto che devo parlare del finale di Payback: quello ufficiale e quello vero presente nel Director’s Cut.

Nella versione ufficiale della Paramount, fatti fuori tutti i cattivi il ferito Porter dice all’amata Rosie «Tu guida piccola» (con accento mattacchione del nostro Sorrentino) e mentre tutti sorridono la voce narrante recita:

«Ce ne andammo a fare colazione… in Canada. Facemmo un patto: lei avrebbe smesso di battere, io di ammazzare la gente. Forse era un programma un po’ ambizioso».

Con quest’aria da tipica “commedia criminale”, dove per giustificare la mancata punizione del protagonista viene promesso che non peccherà più, non era proprio nei piani dell’autore, come dimostrato dal fatto che il Director’s Cut.

A quando una Parker donna? Sapete già quale attrice vorrei…

Giustamente Brian Helgeland vuole discostarsi dall’originale con Lee Marvin e i suoi personaggi che arrivano a fine vicenda, così dimenticatevi di Kris Kristofferson e quel finale posticcio che è ancora l’unica versione italiana: l’intero finale del film è completamente diverso. Ipotizzo che una volta girato, la Paramount abbia gridato “No” a pieni polmoni e così Helgeland ha dovuto girare al volto quel finale posticcio che abbiamo visto tutti.

Dimenticate quindi Kris Kristofferson – assente nella Director’s Cut – ma soprattutto dimenticate il Mel Gibson mattacchione: finalmente Helgeland lo trasforma in Parker, e nel finale diventa mille volte più cattivo di quanto visto nella precedente parte di film.

Ammazzare i cattivi al cesso: ecco, questo è Parker!

Porter si presenta alla consegna dei suoi 70 mila dollari ben organizzato, facendo cioè piazza pulita degli assassini sparsi in giro dall’Outfit, solo che… gliene scappa uno. Quello che gli spara in pieno petto.

Raggiunta Rosie, che nella Director’s Cut ha un ruolo più attivo, la coppia criminale salta in auto e parte. Per dove? Riuscirà un medico a salvare Porter? Tutto ciò che lui ha da dire è la stessa frase del finale ufficiale, ma con tutt’altro senso e con tono ruvido e cupo:

«Just drive, baby.»

John Carpenter docet, ed ecco un finale in stile La Cosa (1982): «Perché non aspettiamo qui ancora un po’ e vediamo che succede?». Personalmente lo gradisco di più.

Nero, crudele e disperato: questo è il finale che il regista voleva

Immagino che la Paramount non gradisse questo finale tragico e abbia preferito qualcosa di più pittoresco, come Kristofferson che ordina di spaccare le dita dei piedi di Porter, curiosamente considerato meno violento!


Salutiamo Porter, rimpiangendo che non sia arrivato anche in Italia il Director’s Cut, e la caccia al Parker filmico continua.


L.

P.S.
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– Ultime manifestazioni di Parker:

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17 risposte a Payback (1999) La rivincita di Porter

  1. Cassidy ha detto:

    Sogno un universo parallelo dove Helgeland e Maria Bello hanno avuto la carriera che si sarebbero meritati di avere, altroché il dimenticatoio dove sono sprofondati. Cheers!

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  2. Fabio ha detto:

    Tu guarda le coincidenze Lucius,proprio ieri ho scaricato “Autostrada per L’inferno”,devo ancora visionarlo,e nonostante la trama che ho letto sia appunto folle al punto giusto da attirarmi,in realtà l’unico motivo per qui l’ho scaricato è che da un paio di settimane circa,sono stato colto da una delle mie temporanee fissazioni che fulminano la mia mente senza preavviso,in pratica sto recuperando quanti più film possibili con in comune,la presenza del mai abbastanza menzionato Patrick Bergin!.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      “Autostrada per l’inferno” l’ho visto su satellite più di vent’anni fa e ti invito a prestare molta attenzione alle comparse: troverai il giovane Ben Stiller e tutta la sua famiglia! ^_^
      Patrick Bergin lo adoro sin da ragazzo, quando lo si beccava spesso in TV e in videoteca. Credo di averlo conosciuto con “Le montagne della Luna” (1990), molto bello – o almeno così lo ricordo dopo più di 30 anni! – ma mi ha folgorato con “A letto con il nemico” (1991) dove fa il marito crudele di Julia Roberts. E lo stesso anno fa la versione Z di Robin Hood con la giovane Uma Thurman, film che è immediatamente scomparso nel nulla e ricomparso magicamente in TV qualche tempo fa addirittura nella perduta edizione italiana! (Che ho prontamente registrato ^_^)
      Purtroppo poi non ha più avuto grandi occasioni ma dovunque appare fa luce e gioia, quindi plaudo alla tua iniziativa.

      Scopro di avere solo cinque film con Patrick, nel blog (ecco il tag): devo provvedere!

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  3. Fabio ha detto:

    Terrò gli occhi aperti,per fortuna ricordo molto meglio i volti che i nomi,eeh si,da parte mia Bergin l’ho conosciuto proprio con il filmone di Joseph Ruben dove si mangiava ogni scena in qui compariva,da pelle d’oca,”Robin Hood” mi divertì molto,sfiga per lui che usciva nello stesso anno di quello “leggermente” più famoso con Kevin Costner,”Le montagne Della Luna” speravo di recuperare il DVD,ma ormai e come la ricerca del santo graal,non si trova,di serie Z ovviamente ho recuperato il filmaccio con il mostro di Loch Ness,ma pure la versione Z de “Il Mondo Perduto”,và pure roba televisiva sui classici della narrativa fantastica,insomma c’è ne da cercare,nel bene è nel male,ma sempre col sorriso!.

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  4. Willy l'Orbo ha detto:

    Rimembro un film piacevole ma al contempo non rimembro troppo, credo che ciò corrisponda all’immagine di un film non memorabile pur caruccio! 🙂

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  5. loscalzo1979 ha detto:

    “un film che avrei voluto portare in questo viaggio ma è troppo mostruosamente brutto per recensirlo, a meno di non presentare una pagina piena di insulti.”

    Io la leggerei XD

    Detto questo, ricordo di averlo visto su Italia 1 e non mi è dispiaciuto (Gibson in generale mi è sempre piaciuto, anche nel doppiaggio)

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Il film è fatto bene (è sempre il prodotto di una grande major) e Gibson è Gibson, si va sul sicuro, ma appunto è Gibson e non Parker: dovrebbe interpretare un criminale duro invece appare troppo mattacchione e il film è troppo una commedia per tener fede al personaggio: perché si sono impelagati con Richard Stark?

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  6. Jena Plisskin ha detto:

    Uffa ora devo procurarmi la Director’s cut, per quanto anche l’originale mi sia piaciuto ma in effetti il finale è fin troppo happy. Sta storia dei finali alternativi mi sconquassa, proprio ieri stavo vedendo su Youtube l’armata delle Tenebre e scopro un finale differente da quello che ricordavo, e non ne ero a conoscenza. A parte la faccia pulitina trovo Mel adatto al ruolo e non sono un suo fan, magari con il vocione ammeregano spaccava, con tutto il rispetto per il buon Sorrentino.

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Tutti noi amiamo Sorrentino e la sua voce italiana è perfetta per Mel, perché di solito nei suoi film ha sempre quella vena non seria che smorza anche i personaggi più estremi: qui invece dovrebbe interpretare uno spregevole criminale, che ha sì un cuore ma è sepolto da parecchio fango. In originale la voce di Mel ci sta tutta, e quando fa la faccia seria – cioè nelle occasioni che ho catturato in schermata, e solo in quelle – sembra quasi un criminale, poi però è tutto leggero, da commediola d’azione ed è un peccato, perché invece questa doveva essere una storia nerissima.

      Quel finale dei Army of Darkness l’ho scoperto nel 2003, quando la DVD-Storm ha presentato la bella edizione speciale del film: è una chicca, ma preferisco di gran lunga il finale ufficiale del film 😛

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  7. Vasquez ha detto:

    Sulla scena dello spaccamento delle dita dei piedi giro sempre lo sguardo, e per buona misura mi tappo pure le orecchie, e non ho detto “sempre” a caso, perché penso di aver questo film più volte di quanto sia lecito ammettere.. e anzi devo anche ringraziarti per la versione italiana del mio Parker preferito, che aggiunge ulteriore piacere alla visione.
    E penso che mi piaccia proprio per quello che tu chiami “lato comico”, che per me è umorismo nero, nerissimo, che contrasta con la violenza delle scene, come quando in cucina mischi dolce e salato (prosciutto e melone, ravioli di ricotta al sugo, caramello salato, biscotti al burro con un pizzico di sale in più…).
    Il far cercare ossessivamente 70 mila dollari a Porter, non un centesimo di più e non uno di meno, secondo me è un modo per portare su schermo l’implacabilità del personaggio, che qui per me viene resa meglio che in “Parker”, dove invece viene ripetuto a voce, che lui vuole solo quello che gli è dovuto, che lui usa violenza ma senza crudeltà, che lui è leale con chi è leale con lui… che non è in linea col personaggio di Stark, di molte meno parole. E secondo me il film di Gibson rende di più questo suo lato inesorabile, che a quanto pare mette in difficoltà produttori (che qui l’hanno buttata sul “comico”, con un risultato più che accettabile) e registi (che in “Senza un attimo di tregua” Boorman trasforma in qualcosa di allucinato/allucinogeno, con un risultato meno riuscito).
    “Parker” mi piace, è un bel film d’azione, e Statham è un buon Parker, ma né il film né l’attore fanno venire voglia di andarsi a nascondere perché sta arrivando un carro armato che piallerà tutto e tutti. Però mi piace che nel film del 2013 venga omaggiato Porter sia con un piccolo riferimento al cane, che nella scena della doccia, che rappresenta un momento di quiete prima della tempesta: Statham la fa con Claire (la Claire più insipida della storia, che Claire fantastica sarebbe stata Maria Bello!), Gibson la fa da solo, con tutte le cicatrici in evidenza.
    Sapevo della Director’s Cut e mi dispiace che non esista in italiano, ma apprezzo che abbiano regolato la saturazione dei colori, vedrò di recuperarla, anche se già so quale continuerà ad essere la mia versione preferita 😉

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Io l’ho visto molte meno volte, a occhio credo che questa sia la terza, e continua a piacermi come film di grande casa e con grandi attori, però non ricordavo la chiave molto più leggera di quanto il regista stesso volesse, come dimostra la sua Director’s Cut: quella è molto più parkeriana della versione ufficiale che invece ha voluto la Paramount.
      Stiamo ovviamente parlando di finezze, ad avercene di film così, parkeriani o meno, e forse all’epoca non è stato un successone di botteghino proprio perché c’erano tanti film di ottima fattura, mentre oggi questo farebbe impallidire gli stessi titoli in cui Gibson fa capolino negli ultimi anni.

      Visto che vanno di moda i multiversi, dagli Avengers ad Eminem, ora voglio un multiverso dove Statham e Gibson litigano fra di loro su chi sia il Parker migliore! 😀

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  8. Giuseppe ha detto:

    Ne ho un ricordo piuttosto vivido, segno che qui Brian Helgeland aveva fatto comunque un buon lavoro, pur essendo diverso da quello pensato in origine: l’unica osservazione da fare è che sì, forse il Porter di Gibson funziona un po’ meglio quando non si ha in mente il Parker “classico” come termine di paragone. Ma anche così, alla fine, non posso davvero dirmi insoddisfatto del personaggio, ragionebper cui concordo con Vasquez (questione commedia compresa, più “nera’ di quanto non possa sembrare a prima vista) 😉 Fermo restando che la più cupa e dura Director’s Cut la voglio ovviamente vedere, per poter fare un confronto….

    P.S. Un attimo, cos’è tutto quest’entusiasmo per Maria Bello? No, perché sia ben chiaro che io lo CONDIVIDO IN TOTO! 😃 Tra l’altro, avevo letto tempo fa di come se la cavasse niente male col Muay Thai…

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