Il nastro bianco (2009)

In questo periodo il blog “L’ultimo spettacolo” sta portando avanti una lodevole iniziativa: in attesa del Festival di Cannes del 2017 sta presentando le recensioni di passati film premiati con la Palma d’Oro, nel ciclo “Speciale Cannes 70“.
Ieri xtb4tragicomix ha pubblicato l’entusiastica e irresistibile recensione de Il nastro bianco (2009) del bavarese Michael Haneke, e mi ha ricordato che all’epoca curavo per ThrillerMagazine la rubrica “Lo sguardo dell’altro” in cui recensii il film proprio in occasione della sua premiazione a Cannes. Non resisto a recuperare il mio testo dell’epoca, in netto contrasto con l’accorata recensione di xtb4tragicomix…

Il nastro bianco:
niente di nuovo sotto Bergman

(da ThrillerMagazine, 22 novembre 2009)

Lo Spettatore si reca fiducioso e speranzoso a vedere Il nastro bianco (Das weiße Band – Eine deutsche Kindergeschichte, 2009), il nuovo film di Michael Haneke. Ricorda le sensazioni provate vedendo altri due film del regista bavarese; ricorda il freddo gelido provato vedendo l’insensata violenza cieca di Funny Games (l’originale del 1997) e il calore bruciante dell’abisso infernale in cui La pianista (La pianiste, 2001) l’ha trascinato passo dopo passo. Dove lo porterà questo nuovo film?

Le recensioni dapprima promettono una denuncia di quella violenza “normale” che giace sotto la pelle di tutti e che si svolge nel silenzio delle case più insospettabili; poi parlano di un thriller che vede protagonisti i ragazzi del coro di un paesino; poi invece si parla delle origini del nazismo, ma lo Spettatore è diffidente di quest’ultima possibilità: la violenza non è certo prerogativa del nazismo, e solo perché un film si svolge in Germania non vuol dire che si debba andare a parare lì.

Inizia il film e lo Spettatore svuota la mente da recensioni e trame: è pronto a ricevere una forte dose di dolore e cattiveria e a spiare nella sicurezza della sala buia la violenza subita per finta sullo schermo, simbolo della violenza vera nel mondo. (Chissà, magari è proprio questo voyeurismo che Haneke vuole denunciare!)

Bella foto usata ovunque, all’epoca: ma ha un senso nel film?

È un racconto agreste, nota lo Spettatore, con voce narrante che premette e promette eventi di importanza enorme, che però sfuggono all’attenzione dello Spettatore, il quale nota solamente la descrizione classica di una storia corale: vengono mostrati molti personaggi, descritti con poche ed avare pennellate, e si assiste a situazioni che all’apparenza non hanno alcuna importanza ma che sicuramente (ha fede lo Spettatore) si ritroveranno più avanti nella storia.

Dopo la prima mezz’ora lo Spettatore ha un po’ di confusione con i personaggi, ma lo stesso si gusta l’affresco in un delizioso bianco e nero di un paesino la cui sopravvivenza ruota intorno al lavoro offerto dal barone locale, con relativa sudditanza psicologica. Però quello che apprezza di cuore è la figura del pastore e la sua rigidissima concezione dell’educazione, che impartisce ai figli a suon di punizioni fisiche e psicologiche. Non che sia apprezzata la violenza in sé, intendiamoci, bensì il richiamo al pastore di Fanny e Alexander (1982) in cui Ingmar Bergman concentrò i ricordi del proprio patrigno e della sua rigida educazione. Probabilmente non è una citazione diretta o voluta: quel tipo di educazione è stata molto comune e probabilmente in molti posti lo è ancora, dice fra sé e sé lo Spettatore.

 Superata la metà del film, però, cominciano a nascere dubbi. Fino a quel punto, infatti, la banalissima storia campagnola, che sembra tratta da un romanzo d’appendice ottocentesco (ma dov’è la violenza di cui parlavano le recensioni?), ha visto solo un picco d’attenzione, quando cioè avviene il forte dialogo fra la levatrice e il dottore del paese. Le parole forti in realtà sono solo una scusa per nascondere la totale mancanza di potenza della scena, ma più di tutto lo Spettatore è attonito: non può essere un caso la somiglianza con il dialogo fra Marta e Tomas in Luci d’inverno (Nattvardsgästerna, 1962) di Bergman! Non è che Haneke ha voluto fare un film “alla Bergman” e magari il bianco e nero fa parte del piano? Non ci sarebbe nulla di male in questo, anzi: più si cita e si ricorda il Maestro svedese e meglio è. Però certo lo Spettatore si sta chiedendo se sia partito con il piede sbagliato nel porsi di fronte al film…

Arrivati a tre quarti della pellicola la calma piatta è leggermente increspata dal sospetto di violenza domestica: di solito a questo punto del film c’è un colpo di scena, mentre questo tipo di violenza ce lo si aspettava sin dall’inizio! La scena (solo suggerita, non mostrata) è così priva di forza, di appeal, che lascia lo Spettatore esterrefatto, ed in più si chiede affranto: quanto dovrà essere bella l’ultima mezz’ora del film per salvare la nullità vista finora?

Semplice amalgama dei ben migliori padri-pastori di Bergman

A venti minuti dalla fine iniziano le “indagini” sugli incidenti accaduti ad alcuni bambini del villaggio, in modo ovviamente frettoloso e lo Spettatore si chiede: come mai un elemento finora secondario è divenuto d’un tratto importante? Si fanno ipotesi, si lanciano accuse, tutti i fili lasciati in libertà durante la storia vengono tirati in maniera scomposta, e a cinque minuti dalla fine lo Spettatore si chiede se non ci sia dietro l’angolo uno di quei colpi di scena capaci di rovesciare tutto, di dare a tutta la storia un significato diverso…

Il tempo di fare queste ipotesi ed una pietosa dissolvenza chiude una storia che non ha inizio né fine: un sipario misericordioso si cala su un film nato morto, interpretato da attori inconsistenti che ricoprono ruoli incredibilmente piatti.

C’è il sospetto che questo sguardi d’effetto siano semplicemente una “furbata”…

Il film è finito e lo Spettatore si chiede se sia in realtà mai iniziato. Sullo schermo non è accaduto assolutamente nulla e i personaggi sembrano non essere mai neanche apparsi. Il ragazzino che campeggia addirittura in copertina? Nei pochissimi minuti in cui appare non fa altro che ricordare l’alter ego di Bergman in Fanny e Alexander.

Dov’è la violenza di cui si parlava? Genitori che puniscono fisicamente i figli e alcuni bulli che maltrattano ragazzini sarebbe violenza? Che mondo meraviglioso se la violenza fosse solo quella!

Dov’è il nazismo? Va bene, alcuni critici entusiasti amano vedere il nazismo ovunque, ma qui proprio non c’erano le basi neanche con la più fervida immaginazione.

Dov’è il thriller? Un paio di bambini malmenati da uno sconosciuto, forse per punire i peccati dei padri, sarebbe il thriller?

In una parola: dov’è il regista?

Lo sapevate che un tempo i ragazzini non erano semidei
ma sottostavano ad una rigida educazione? Sarà questa la terribile violenza che si voleva suggerire?

Nei precedenti film di Haneke visti dallo Spettatore, il regista c’era e si faceva vedere (e sentire). Qui più che un regista c’è un tizio che gridava “azione” prima che la macchina da presa iniziasse a lavorare, e nelle vesti di sceneggiatore in realtà ha semplicemente battuto con le dita su una tastiera, stampato il risultato e fatto recitare a degli attori.

Lo Spettatore è deluso, non solo dal film ma anche dal Festival di Cannes che quest’anno ha assegnato la Palma d’oro a Il nastro bianco! Evidentemente i film concorrenti dovevano proprio esser messi male, pensa malignamente lo Spettatore prima di rivedersi il di gran lunga migliore La pianista.

L.

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18 risposte a Il nastro bianco (2009)

  1. Denis ha detto:

    Bianco e nero ,sudditanza psicologica mi viene in mente…..
    Questo succede quanto conta più il nome che la sostanza,a me non e piaciuto nesssun film di Tarantino eppure piacciono a tutti,di violenza ne ho vista ieri ieri in questo bel film Perdita Durango dovresti vedere la capigliatura di Javier Bardem^_^

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    • Willy l'Orbo ha detto:

      “Bianco e nero ,sudditanza psicologica mi viene in mente…..”…sottoscrivo! 🙂
      Per il resto, anche se non rientra proprio nelle mie corde,interessante questa nuova “angolazione” del blog!

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        C’è stato un tempo in cui non prendevo in considerazione la Z e recensivo “film alti”, ma poi sono stato risucchiato dal Zortice! 😀
        Chissà però che non dedichi un giorno a settimana a ripescare le mie recensioni di “filmoni”…

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Sai che da tempo mi capita sotto gli occhi Perdita Durango e non riesco mai a vederlo? Prima o poi ci riuscirò 😉
      Contento di sapere che esiste almeno un altro che non si genuflette adorante a priori davanti a Dio Tarantino 😛
      Temo che con “Il nastro bianco” si sia puntato più all’apparenza (bianco e nero) e alla vaghezza (nascita del nazismo?) che a un reale contenuto. E da Haneke proprio non me lo aspettavo.

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      • Denis ha detto:

        Te lo consiglio quello si che un film pulp ,Quentin ha fatto fortuna solo per il nome te lo dice uno che non e riusciuto neanche a finire un romanzo di King ,troppe pagine di descrizioni inutili (più spesso il romanzo ,più soldi) meglio quelli corti dell’Urania che dicono tante cose in 100-200 pagine.
        La rubrica del cinema alto puoi chiamarla Quando la A e peggio della Z
        Per Willy e riferito alla squadra del portiere che mangia la patatina della nonna bleaah

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Ormai King non lo leggo da più di vent’anni, ma all’epoca ero partito per lui. Di sicuro scriveva a chilo perché è così che sembra funzioni l’editoria americana, quando invece bastano 100 pagine per una buona storia. (Ormai funziona così anche da noi, dove sono scomparsi i romanzi brevi.)
        Purtroppo devo stare attento con Quentin: i suoi fan sono parecchio violenti ed estremi, quindi cerco di non parlarne mai…

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    • Conte Gracula ha detto:

      Nemmeno a me piace Tarantello, non ho visto tutto ciò che ha fatto (il poco che ho visto non mi ha preso, perciò non ho approfondito). Però, con Kill Bill mi ha regalato un momento di realismo magico: una volta ho incontrato un’amica vestita e pettinata come la scolaretta giapponese. Ho temuto che tirasse fuori l’arma per farmi secco XD

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  2. Cassidy ha detto:

    Non avrei mai pensato di trovare Haneke sul Zinefilo, ma va benissimo così, la tua passione per Bergman (bongustaio) si fa sentire, e chi ama il cinema non si fa intimorire né da Haneke né da filmacci di serie Z 😉

    Concluso l’inutile preambolo, sono contento di leggere uno che finalmente mette in dubbio l’argomento “Nazismo” in questo film, quando uscì ai tempi, era impossibile trovare un commento con non dicesse che i ragazzi di questo film, erano la generazione che ha dato vita al Nazismo, ma perché? Haneke non ne fa riferimento direttamente, più che altri mi sembrava un caso di recensori che si influenzano uno con l’altro offrendo una sola chiave di lettura al film.

    In generale, mi piace Haneke perché picchia duro, a questo suo film anche se molto blasonato, è quello che apprezzo di meno, molto meglio i calci sui denti di “Funny Games” o del più recente “Amour” a mio avviso. Cheers!

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Tu puoi capirmi, chi ama i cinema non si sente racchiuso in alcuna etichetta: si guarda di tutto perché si può provare piacere nel più impensato dei prodotti, al di là del genere o della lettera che lo accompagna.
      Temo che il nazismo sia negli occhi di chi guarda, perché se basta una rigida educazione a creare il nazismo, allora tutto il mondo doveva essere nazista fino agli anni Settanta! Oggi, che i bambini sono viziati oltre ogni umana sopportazione, vedere che invece un tempo erano chiamati a doveri ed erano rigidamente educati fa orrore e subito si pensa al nazismo, ma è davvero un giudizio sparato a casaccio.
      A parte citare Bergman in ogni dove, questo film non fa nulla: forse Haneke ha capito che è così che si vincono i festival 😀
      “Amour” mi manca, devo provvedere!

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      • Giuseppe ha detto:

        Può darsi: si vincono i festival compiacendo la giuria e dimenticandosi dello Spettatore 😉 Quello stesso Spettatore di cui invece, ai tempi di Funny Games, Haneke si ricordava bene (e sapeva come farsi ricordare da lui, eccome)…

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      • Lucius Etruscus ha detto:

        Se fosse stato un qualsiasi altro regista non lo avrei trovato strano, è il classico film da festival per nulla interessato allo spettatore. Ma da Haneke proprio non me lo aspettavo…

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  3. Vincenzo ha detto:

    ciao, grazie per la citazione del blog e dello Speciale Cannes 70, nato da un’idea del nostro @paolodelventosoest…
    chiedo scusa intanto ai commentatori qui sopra: è colpa nostra se abbiamo traviato lucius dalla serie z ai filmoni 😀 😀 😀
    però ogni tanto ci sta, dai…
    quanto al film di Haneke io sono sempre dell’idea che quando una recensione è ben argomentata anche se eventualmente di opinione opposta alla mia è comunque degna di encomio…
    io personalmente, come ho scritto nel commento alla recensione di @xtb4tragicomix, ci ho letto più che un’indagine sull’origine del (nazi)fascismo, un’analisi di come un popolo possa sviluppare un’attitudine innata a farsi sottomettere acriticamente dall’autorità…
    del resto il fascismo lo abbiamo avuto anche noi italiani, che sicuramente non siamo stati forgiati dal rigore del luteranesimo…
    la differenza tra fascismo e nazismo sta (forse) proprio in ciò: che gli italiani erano preda di un delirio collettivo stile gregge di pecoroni (leggasi populismo)… mentre in Germania i tedeschi si erano immersi totalmente nella parte del revanscismo pronto a tutto…
    ps: lungi da me fare politica, è un’analisi pseudo-oggettiva di fatti storici…

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    • Lucius Etruscus ha detto:

      Adoro gli stimoli ed è stato bello andare a ripescare un mio testo dimenticato dopo aver letto la recensione sul vostro blog 😉
      Forse è un’idea moderna che l’educazione rigida porti ad una cultura violenta, quando è più che evidente che non è affatto così. Quando ricorda il passato Bergman anticipa tutti i temi de “Il nasto bianco”, ma non è che li abbia inventati lui: l’educazione era quella, e nessuno diventava poi nazista. Mio padre è stato abbondantemente picchiato da bambino, perché si usava così, ed è la persona più pacifica del mondo: l’equazione “violenza porta violenza” sta solo nella mente dei critici e dei censori.
      Il fatto che si parli più del nazismo che del film dimostra quanto abbia fallito Haneke come artista ma quanto sia stato furbo come venditore: si è portato a casa un premio probabilmente sapendo che i festival li vinci così, con le chiacchiere degli altri. Dal regista di “Funny Games” e de “La pianista” mi aspettavo abissalmente di più…

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  4. Pietro ha detto:

    Insomma…bello sì ma niente di che personalmente parlando 😉

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  5. loscalzo1979 ha detto:

    A me non è dispiaciuto come film

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